Giorgio Cansacchi
1. In uno scritto comparso su questa Ri-vista (F. BERTOLOTTI, «Protezione del
consumatore e responsabilità del fabbri-cante», Fase. 7-8, 1977) era stato
osser-vato che la rapidissima evoluzione della tecnologia nell'attuale mondo industria-le ha enormemente accresciuti i rischi dei consumatori a causa di difetti palesi od occulti dei prodotti immessi nel mer-cato.
A questo maggior pericolo, che incombe su grandi masse di persone, non si sono, per lo più, adeguate le legislazioni e le giurisprudenze nazionali, le quali presen-tano notevoli differenze fra di loro nel-l'accertamento della responsabilità del produttore, nei limiti del risarcimento del danno, nell'estensione della respon-sabilità a tutti i partecipanti al ciclo pro-duttivo.
fn tale scritto si menzionava un proget-to di «direttiva» predisposproget-to nel 1976 dalla Commissione della Comunità Eco-nomica Europea, che invitava gli Stati-membri a « ravvicinare » le rispettive legislazioni nazionali sulla responsabili-tà dei produttori, uniformandole ad al-cuni essenziali ed inderogabili principi. In base all'art. 189, 3° cpv. del Tratta-to di Roma 25-111-1957, istitutivo della CEE, le «direttive», emanate dal Con-siglio su proposta della Commissione, vincolano lo Stato-membro cui sono dirette « per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la com-petenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi »; pertanto la di-rettiva summenzionata invitava ogni Sta-to-membro, non soltanto a modificare la sua legislazione in un certo senso, ma anche ad emanare le « disposizioni re-golamentari ed amministrative » neces-sarie per l'armonizzazione, nell'ambito comunitario, del trattamento riservato ai produttori ed ai consumatori. Il problema della tutela dei consumato-ri non è nuovo; esso fu oggetto di vaconsumato-rie proposte di regolamentazione, tanto nel-l'ambito CEE, quanto in quello del Con-siglio d'Europa.
In seno alla CEE, di fronte a due ante-riori proposte di direttive formulate pri-ma del 1976, era subentrata la terza del 1976 più perfetta e circostanziata delle precedenti; era stata studiata da un'ap-posita Commissione giuridica a ciò
sol-lecitata dall'Assemblea parlamentare e quindi da essa approvata; successiva-mente, fatta propria dalla Commissione esecutiva della CEE ed accompagnata da una dettagliata relazione, venne pre-sentata il 9-IX-1976 al Consiglio dei Ministri CEE per l'approvazione finale. Il Consiglio l'aveva, però, accantonata richiedendo alla Commissione un mag-giore approfondimento dei punti tratta-ti e delle conseguenze di una siffatta ri-ferma. La direttiva aveva incontrale no-tevoli critiche per parte dei rappresen-tanti di alcuni Governi (a ciò solleci-tati dagli ambienti industriali), sia per il paventato eccessivo carico di risarci-mento addossato ai produttori, sia per le prevedibili difficoltà di stipulare con-tratti assicurativi con sufficiente coper-tura di rischio, sia, specialmente, per il timore di generare un aumento ecces-sivo nei costi dei prodotti a vantaggio della concorrenza imprenditoriale extra-comunitaria.
Anche nella più vasta area dell'intera Europa Occidentale, l'Organizzazione internazionale, denominata « Consiglio d'Europa », aveva fin dal 1973 proposto agli Stati-membri una « Carta europea dei consumatori » da servire come base per la stipulazione di un trattato multi-laterale diretto ad immettere negli or-dinamenti interni degli Stati contraenti norme uniformi a tutela dei consumato-ri per causa di prodotti difettosi; senon-ché anche questa iniziativa era rimasta allo stato di progetto avendo incontra-to nei ceti industriali e commerciali le stesse obiezioni sollevate in sede comu-nitaria.
Poiché la proposta di direttiva CEE ap-pare tutt'òra la più completa e circo-stanziata ed i punti della normativa da essa esaminati sono quelli che più in-teressano i ceti industriali e commercia-li, e suscitano i maggiori contrasti nel loro ambito, merita che se ne faccia dettagliata menzione, unitamente alle giustificazioni addotte in argomento dai suoi compilatori.
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2. Il principio-base dal quale prende le mosse la direttiva comunitaria è quello della responsabilità oggettiva del pro-duttore per i difetti rivelatisi nel
prodot-to nei riguardi del consumaprodot-tore danneg-giato e ciò prescindendo da un'eventua-le responsabilità « contrattuaun'eventua-le » fra un'eventua-le due parti. Su questo punto le legisla-zioni nazionali degli Stati-membri sono assai dissimili fra di loro ed anche mag-giormente diversi gli indirizzi giurispru-denziali e dottrinari in materia. Alcune legislazioni, ritenendo trattarsi di respon-sabilità extra-contrattuale (sorgente da fatto illecito), prevedono il risarcimen-to risarcimen-totale del danno a carico di colui che ha fabbricato il prodotto difettoso, an-corché non sia provata la sua colpa
(re-sponsabilità oggettiva; teoria del schio); altre legislazioni, preferendo
ri-comprendere la fattispecie nell'ambito della responsabilità contrattuale e ricon-ducendo i difetti del prodotto ai « vizi della cosa venduta », presumono, bensì, la colpevolezza del produttore-vendi-tore, ma gli consentono di liberarsene provando di aver ignorati, senza sua col-pa, i vizi della merce; si giunge in que-st'ottica — come avviene nella giuri-sprudenza anglo-sassone e germanica — a configurare un contratto di vendita fra il produttore ed il terzo consuma-tore, in quanto il dettagliante, acquistan-do il proacquistan-dotto, agirebbe per conto di ter-zi (i consumatori) o, comunque, questi sarebbero legati da un rapporto contrat-tuale diretto con il produttore in base alla « fiducia » in essi generata dalla sua propaganda e dal marchio del prodotto. Altre legislazioni, sia ascrivendo la fat-tispecie alla responsabilità contrattuale, sia a quella extra-contrattuale, escludono una presunzione di colpa nel produtto-re, onde grava totalmente sul consuma-tore danneggiato l'onere di provare il suo dolo od almeno la sua colpa
(re-sponsabilità soggettiva; teoria della col-pa). Come giustamente rileva la
rela-zione, che accompagna la direttiva, in questi due ultimi tipi di legislazione — quelle, cioè, in cui occorre provare la colpa del produttore — il danneggiato è pressoché privo di tutela, essendogli sempre difficile, e spesso impossibile, fornire la prova della colpevolezza del produttore (specialmente nei casi di pro-dotti di larghissimo smercio, venduti im-ballati o sigillati, pervenuti a successivi rivenditori senza coincidenza fra
l'ac-quisitore del prodotto ed il consumatore del medesimo).
Anche nell'ambito delle legislazioni del secondo tipo summenzionato, in cui il produttore soggiace ad una presunzio-ne juris tantum di colpevolezza, è facile al medesimo confutare la presunzione di colpa a suo carico adducendo prove liberatorie: di avere, cioè, esplicata nel-la produzione nel-la comune diligenza ed oculatezza propria di quel dato ciclo produttivo, fi convenuto danneggiato — a meno che non ricorrano casi ec-cezionali di prodotti particolarmente pe-ricolosi per i quali la legge è maggior-mente rigorosa in tema di responsabi-lità — si trova, quale singolo individuo, totalmente isolato ed indifeso nei con-fronti delle grandi imprese produttrici, | solidali nei loro componenti, impenetra-bili nella loro riservatezza ed omertà in oggetto alle successive fasi di produzio-ne. L'utente del prodotto difettoso non sarà, pertanto, in grado di fornire prove sufficienti di difettosa produzione e ri-sulterà per lo più soccombente nella sua pretesa di risarcimento.
La relazione sostiene pertanto, giusta-mente, la necessità di adottare, relati-vamente ai rischi della produzione ed ai danni conseguenti, il principio della re-sponsabilità obiettiva del produttore — quale responsabilità per fatto illecito e cioè indipendentemente da eventuali violazioni contrattuali — e di adeguare a tale principio le legislazioni degli Sta-ti-membri, notando che senza quest'ado-zione comune verrebbero frustrati gli scopi dell'integrazione economica euro-pea perseguiti dagli organi comunitari ed alterato il gioco della concorrenza fra le imprese operanti nel Mercato Co-mune.
Si insiste sul fatto che l'applicazione di norme nazionali di diverso rigore, rela-tivamente alla responsabilità del fabbri-cante di un prodotto difettoso, genera una notevole disparità negli oneri gra-vanti sulle imprese produttrici, fra di loro concorrenti, site in Stati-membri diversi.
Se, infatti, il produttore risponde del difetto del suo prodotto anche in man-canza di colpa, il danno subito dal con-sumatore della merce difettosa ricade su di lui; il risarcimento che questi
do-vrà corrispondere verrà incluso nelle spese generali di fabbricazione del pro-dotto e vi sarà, indubbiamente, un au-mento dei costi di produzione che si ri-percuoterà sulla fissazione dei prezzi. Nei suoi calcoli manageriali il fabbri-cante includerà la probabile spesa di uno o più indennizzi e stabilirà appo-siti accantonamenti di somme in bilan-cio o cercherà di tutelarsi con assicu-razioni adeguate.
Se, invece, il produttore diviene respon-sabile soltanto in caso di colpa, di cui l'onere di prova grava sul danneggia-to, egli riterrà di essere normalmente immune da un'azione di danni: non avrà necessità di provvedere a maggiori accantonamenti o ad assicurazioni. In definitiva i suoi prodotti, esenti da pre-vedibili azioni di risarcimento, coste-ranno meno di quelli esitati da produt-tori sottoposti a legislazioni informate alla responsabilità obiettiva.
Premesso che la creazione di condizioni uniformi di concorrenza per tutti i pro-dotti operanti nell'ambito della Comu-nità Europea è il presupposto fonda-mentale per il buon funzionamento di un mercato comune, ne consegue la ne-cessità di eliminare le condizioni disu-guali di concorrenza create dalla diver-sità delle legislazioni nazionali; il riav-vicinamento in queste legislazioni dei
differenti criteri che regolano la respon- Controlli e collaudi dei materiali e delle parti tecniche.
sabilità del produttore si rende, pertan-to, indispensabile.
Ulteriori considerazioni si aggiungono a questa prima constatazione. Poiché nella maggior parte delle legislazioni na-zionali la responsabilità del produttore nasce da fatto illecito ed è quindi re-golata dalla legge del luogo in cui il danno si è verificato, ne consegue che il produttore avrà interesse a porre in commercio il suo prodotto nel territo-rio dello Stato, in cui la legislazione gli è più favorevole in tema di responsa-bilità per danni; di qui un ulteriore motivo di disuguaglianza di trattamento in campo concorrenziale fra le imprese che immettono in commercio i loro pro-dotti sotto l'impero di legislazioni be-nevole al produttore e quelle, invece, che li esitano nell'ambito di legislazio-ni favorevoli al consumatore. Infine le diversità di legislazione in tema di ri-sarcimento di danni per difetti di pro-dotti genera un'ingiustificata disugua-glianza di trattamento nei confronti dei cittadini degli Stati-membri, disugua-glianza in contrasto con i principi co-munitari.
Il consumatore che può richiedere il risarcimento per il danno subito nel-l'ambito della legislazione informata al principio della responsabilità obiettiva del produttore beneficerà di una situa-zione privilegiata rispetto al consuma-tore, residente in altro Stato-membro, nel cui ambito vige, invece, una legisla-zione informata al principio della re-sponsabilità per colpa.
Osserva la relazione che una situazione di disparità nella tutela del consumato-re a causa delle diffeconsumato-renti legislazioni nazionali non è compatibile con un mer-cato comune accessibile a tutti i con-sumatori alle stesse condizioni. Sulla base di queste considerazioni la direttiva CEE, accogliendo il principio della responsabilità obiettiva, afferma, nell'art. 1, che «il produttore di una cosa mobile è responsabile del danno causato da un difetto della cosa, a pre-scindere che egli fosse a conoscenza del difetto o che avrebbe potuto esserne a conoscenza ». La direttiva perviene, anzi, ad addossare al produttore un one-re di risarcimento anche più esteso e cioè ad accollargli i danni conseguenti
allo sviluppo della tecnica, danni che egli, al momento dell'immissione in commercio del suo prodotto, non po-teva prevedere. Gli si fa carico di quello che in dottrina viene chiamato il « ri-schio dello sviluppo tecnico». Recita, infatti, il 1° cpv. dell'art. 1: « il produt-tore è responsabile anche se la cosa, in base allo stato di avanzamento della tecnica e della scienza, nel momento in cui l'ha messa in circolazione, non poteva essere considerata difettosa ». Il produttore dovrebbe, pertanto, rispon-dere del fatto che il prodotto, consi-derato inizialmente immune da difetti, si riveli in seguito dannoso in base a nuove sopravvenute conoscenze tecnico-scientifiche. Questa evenienza di danno, per altro non molto diffusa, si può pre-sentare con maggior probabilità nel cam-po dei prodotti chimici, specialmente farmaceutici, come è stato dimostrato da dolorosi eventi recenti,
f n base alla direttiva comunitaria la re-sponsabilità del produttore deriverebbe, quindi, automaticamente dalla prova, fornita dal consumatore, di un collega-mento puramente materiale fra il difet-to riscontradifet-to nel prodotdifet-to ed il pro-cesso di fabbricazione. Quest'imposta-zione giuridica è indubbiamente assai diversa da quelle tuttora vigenti nella maggior parte degli Stati-membri, ivi comprese le legislazioni italiana e te-desca. Queste legislazioni, sia che si richiamino alla responsabilità contrat-tuale, sia a quella extra-contratcontrat-tuale, consentono a favore del produttore la prova liberatoria, da lui offerta, di ave-re esplicata nella produzione la normale diligenza e perizia tecnica, quali prati-cate dai produttori in consimili rami pro-duttivi. Tanto meno esse addossano al produttore i rischi, non prevedibili al-l'origine, dello sviluppo tecnico. Si comprende, pertanto, come in seno al Consiglio dei Ministri della CEE l'in-novazione legislativa propugnata dalla Commissione abbia sollevate molte per-plessità e numerosi dissensi e sia stata accantonata. Forti pressioni in senso ne-gativo si sono manifestate — come già si è accennato — negli ambienti indu-striali, venendo allegati, contro il suo accoglimento, sia il rilevante aumento dei costi dei prodotti, neppure
preven-tivamente calcolabile, sia la possibilità di azioni giudiziarie ricattatorie per par-te di fornitori e consumatori, sia, spe-cialmente, l'impossibilità di ottenere dalle imprese assicuratrici un'adeguata copertura del rischio, quanto meno a premi sopportabili.
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3. Un altro punto sul quale le legisla-zioni, e più ancora le giurisprudenze, degli Stati-membri divergono concerne la nozione di « difetto » che il prodotto può presentare. Nell'art. 4 della diretti-va si legge « una cosa è difettosa quan-do non offre la sicurezza riguarquan-do alle persone ed ai beni, che si può
legitti-mamente attendere ». La dizione della
norma può dar luogo a differenti inter-pretazioni ed ha generate critiche sulla sua formulazione. La relazione osserva, in proposito, che, essendo scopo della normativa comunitaria di tutelare il consumatore nella sua integrità fisica e nei suoi beni personali (purché non uti-lizzati a scopo professionale), la nozio-ne di difettosità del prodotto deve ba-sarsi sul principio della « sicurezza del-la cosa ».
Nell'economia di questa tutela norma-tiva non si deve avere riguardo alla cir-costanza — eventuale — che la cosa difettosa non sia stata quella pattuita in contratto o presentasse vizi occulti che la rendessero meno adatta all'uso del compratore; questi « difetti » rientrano nell'ambito dell'inadempienza contrat-tuale e sono contemplati da altre norme. In altre parole la legge, che deve tu-telare il consumatore per i difetti ri-scontrati nel prodotto — ed alla quale soltanto fa riferimento la direttiva CEE — , prescinde totalmente da un even-tuale contratto di vendita (o di altro ge-nere) fra il produttore ed il consuma-tore. L'obbligazione di risarcimento na-sce da un fatto, cioè dal danno generato dal difetto del prodotto. L'obbligo del risarcimento compete pertanto a favore di qualsiasi persona che sia stata lesa dalla cosa difettosa, anche se non è — come avviene normalmente — l'acqui-rente della medesima ed anzi vi sia una lunga successione di intermediari tra il produttore originario e l'utente danneggiato.
La relazione insiste sulla considerazio-ne che l'unico fattore su cui si deve ba-sare la responsabilità del produttore è la mancanza di sicurezza della cosa po-sta in commercio.
II danno conseguente può essersi veri-ficato sia nell'integrità fisica, sia nei be-ni del consumatore; anche questi de-vono essere risarciti.
La relazione si sofferma ad analizzare quale sia il grado di sicurezza che un prodotto posto in commercio deve pre-sentare per non essere considerato di-fettoso e sostiene — mi pare giustamen-te — che il grado di sicurezza non può stabilirsi con formula generale, ma deve essere lasciato alla valutazione discre-zionale del giudice in ogni caso concre-to. Il termine « legittimamente », pro-posto dalla direttiva, vorrebbe appunto affermare questa discrezionalità di va-lutazione. Si rileva, infatti, che è impos-sibile per tutti i tipi di prodotti immessi in commercio stabilire a priori il grado di sicurezza da essi presentato; che il rischio di danno può essere assai diver-so secondo l'udiver-so fattone dai consumato-ri e le caratteconsumato-ristiche merceologiche dei prodotti; che un prodotto può divenire difettoso con l'uso (chi usa un prodotto usato va incontro a maggiori rischi di chi lo usa nuovo); che il produttore non può avere l'obbligo di ritirare dalla cir-colazione i suoi prodotti solo perché, susseguentemente, sono state emanate norme di sicurezza prima non vigenti (quando egli, invece, aveva ottemperato alle norme in vigore al momento del-l'immissione del prodotto nel mercato).
La formula dell'art. 4, ponendo il di-fetto del prodotto nella mancanza di « si-curezza » che il consumatore può « le-gittimamente » aspettarsi, è indubbia-mente vaga e si comprendono le pro-poste di formule più circostanziate atte a restringere maggiormente l'eccessiva discrezionalità dei giudici; è, però, obiet-tivamente diffìcile presentare una dizio-ne appagante.
Secondo la relazione, che accompagna la direttiva, il produttore deve rispon-dere dei difetti riscontrabili nel pro-dotto, sia che essi fossero già riscontra-bili al momento dell'immissione in com-mercio, sia che divenissero palesi in un momento successivo. I difetti
po-trebberò derivare dai macchinari, dalle materie prime adoperate, dalla negli-genza o imperizia delle maestranze, da-gli errori dei dirigenti o dei progettisti ed anche dalle condizioni ambientali nel cui ambito il prodotto viene usato. Quindi, in pratica, secondo l'art. 5 del-la direttiva, l'unica prova a discarico del produttore sarebbe quella di non aver egli immesso in circolazione un prodotto difettoso oppure che questo non era difettoso quando egli l'aveva po-sto in circolazione (onde il difetto do-vrebbe imputarsi ad operatori succes-sivi).
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4. Un altro punto della direttiva, che è stato oggetto di contrastanti vedute, è quello dei limiti di responsabilità del produttore. La direttiva vorrebbe diffe-renziare due ipotesi: quando il danno colpisce una o più persone; quando il danno è di massa, cioè occasionato da difetto di un unico prodotto largamen-te diffuso in commercio.
La relazione osserva che, accogliendosi il sistema della responsabilità obiettiva del produttore e quindi aggravandosi il suo rischio di risarcimento, occorrerà limitare l'ammontare del risarcimento in quei casi in cui il danno, a causa di un difetto riscontrato in un medesimo tipo di prodotto, si ripercuote su di una larga massa di consumatori. In questa fattispecie, infatti, ove non fosse disposta una normativa di favore si ostacolerebbe il progresso tecnico ed economico in seno alla Comunità Euro-pea, giacché numerose imprese produt-trici, specialmente quelle indirizzate ad avanzate tecnologie, sarebbero indotte a non assumersi i rischi imprendito-riali conseguenti alla fabbricazione di nuovi prodotti, tecnicamente più evo-luti, ma, in ipotesi, più pericolosi. In ogni caso i premi assicurativi richiesti a queste imprese sarebbero assai elevati e verrebbero scontati su di un maggior prezzo dei prodotti immessi nel merca-to, con danno degli utenti.
Conseguentemente la direttiva comuni-taria propone, nell'art. 7, di limitare il risarcimento del produttore, per la to-talità dei danni alle persone provocati da articoli identici presentanti uno
stes-so difetto, al massimale di 25 milioni di
unità di conto europeo. Il massimale
sa-rebbe ancora limitato per i danni