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VANTAGGI PRATICI E DIETETICI

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1979 (pagine 117-139)

INFORMAZIONI SUI SURGELATI

VANTAGGI PRATICI E DIETETICI

1) Resa maggiore, in quanto prodotti già sbollentati e cerniti.

2) Tempo di preparazione zero. Nes-suna perdita di tempo per pulitura, cer-nita o altro in quanto i vegetali sono già pronti per essere cucinati con piena economicità della spesa di cucina. 3) Costanza continua di qualità e prez-zo, quest'ultimo non legato alla variabi-lità del mercato del fresco.

4) Disponibilità del prodotto surgelato nell'arco dell'intero anno, il che con-sente e facilita la formulazione e rela-tiva attuazione di qualsiasi tabella die-tetica.

5) Ampia possibilità di scelta per il con-sumatore che p u ò disporre a suo

piaci-mento dell'intera vasta gamma di

orto-frutticoli surgelati. B I B L I O G R A F I A

6) Qualsiasi prodotto surgelato è asso-lutamente privo di conservanti e colo-ranti, igienicamente e microbiologica-mente sano.

7) Digeribilità proteica e glucidica au-mentata per l'effetto di una parziale idrolisi delle proteine e degli zuccheri che interviene favorevolmente durante la surgelazione e conservazione, con con-seguente maggiore assimilabilità di tali principi nutritivi.

Da tutto questo è facile capire che chi compra gli ortofrutticoli surgelati, oltre ad un ottimo prodotto, ineccepibile sot-to ogni aspetsot-to, compera pure un

ser-vizio, in quanto il prodotto è pronto e

non necessita di ulteriori manipolazioni per essere cucinato.

Per quanto concerne poi gli ortaggi con-servati in scatole metalliche, le differen-ze, a tutto favore dei surgelati, sono tali e tante ed evidentissime che non è il caso di prolungarsene nell'enumerazio-ne, comunque si possono in parte cosi compendiare:

1) Nessun rischio di bombaggio, rigon-fiamento microbiologico (prodotto tossi-co) o chimico-fisico verificatosi spesso nei prodotti inscatolati.

2) Sapore, colore, aroma, gusto e qua-lità superiori allo stesso prodotto insca-tolato.

3) Assenza assoluta di coloranti, conser-vanti e additivi vari, a volte dannosi, presenti invece nei liquidi di governo dei prodotti inscatolati.

4) Costi inferiori.

5) Il prodotto surgelato si vede al mo-mento dell'acquisto; nello scatolame si è costretti a comprare a « scatola chiu-sa ».

Infine, ritornando ai prodotti surgelati in genere, e a conferma del loro gradi-mento e della loro bontà, si può asserire che, stando alle previsioni realistiche per il prossimo 1979, il consumo di ali-menti surgelati in Italia salirà a 250.000 (duecentocinquantamila) tonnellate con un incremento del 120% circa in soli quattro anni.

IIAS, Gli alimenti surgelati e il commercio

moderno, M i l a n o , 1975; GIANNI GIROLAMO,

Surgelati & C., « S i p r a » n . 3-4, a g o s t o 1 9 7 5 ;

A c u r a d i TOLDO FRANCO, Surgetol, T o r i n o , 1978.

(Trailibri)

P R E S E N T A T I D A G L I A U T O R I

C. L1NDBLOM, Politica e m e r c a t o - Voi. di

13,5 x 21 c m , pp. 428 - Etas l i b r i , M i l a n o , 1979 - L. 10.000.

Tralasciando la differenza tra governi dispotici e libertari, la distinzione più significativa tra un governo e l'altro dipende dal grado in cui il mer-cato sostituisce il governo e il governo sosti-tuisce il mercato. Se ne erano resi conto sia Adam Smith sia Karl Marx. È per questo che certe questioni che riguardano il rapporto tra governo e mercato sono al centro sia della scienza politica sia di quella economica, nei si-stemi pianificati come in quelli di mercato. (...) Questi, dunque, sono i punti trattati nel nostro libro: i problemi fondamentali che riguardano il governo e la politica, i problemi che riguardano i sistemi di mercato e i rapporti tra i primi e i secondi. Le questioni sono affrontate secondo una progressione che va esplicitamente dal sem-plice al complesso: cominceremo dagli elementi costitutivi dei sistemi sociali, la cui compren-sione ci permetterà in seguito di capire i sistemi complessi, in cui tali elementi sono combinati in modi diversi. Gli elementi più semplici sono lo scambio, l'autorità e la persuasione. Lo studio porta avanti alcuni problemi analizzati in Politics, Economics and Welfare di Robert A. Dahl e Charles E. Lindblom (Harper & Brothers, New York, 1953), senza riepilogare tuttavia le parti normative di quell'opera, di cui viene rive-duta anche la teoria della democrazia. Il nuovo studio procede in modo più empirico ed è molto più esplicito nel collegare i fenomeni politici ed economici, specialmente nell'analisi delle mano-vre messe in atto in politica dalle grandi impre-se. Viene anche ripresa in esame la classifica-zione dei processi di base (che, nel libro prece-dente, erano la gerarchia, il sistema dei prezzi, la contrattazione e la poliarchia), mettendo mag-giormente in rilievo come la distinzione fonda-mentale sia tra la gerarchia e gli altri tre pro-cessi, che rappresentano tutti delle forme di mutuo adeguamento piuttosto che delle appros-simazioni al controllo unilaterale.

Mentre il libro precedente era prevalentemente incentrato sui sistemi democratici liberali, que-sto è ampiamente comparato: comprende infatti due campi di studio ben delineati, l'economia comparata e la politica comparata, nell'aspetta-tiva che questa giustapposizione li arricchirà en-trambi.

Alcune parti dei capitoli 19 e 23 seguono fedel-mente un'analisi che ho già pubblicato col ti-tolo « The Sociology of Planning » nell'opera cu-rata da Morris Bornstein, Economie Planning,

East and West (Ballinger Publishing Company,

1975).

Quasi tutti gli studi che affrontano problemi di tale portata si pongono i classici interrogativi: « Da dove vengono? » e « Dove vanno? ». Nel complesso, ho relativamente poco da dire sulle origini dei sistemi analizzati in questo studio, o sui loro sviluppi in futuro. Mi sono soprattutto proposto di sezionare e analizzare gli aspetti fondamentali di quei sistemi che ci hanno ac-compagnato per diversi secoli almeno, e mostra-no chiaramente di voler continuare indefinita-mente. Se vogliamo avere un certo controllo sul nostro futuro, è più importante per certi aspetti capire le nostre istituzioni abbastanza bene da poterle riplasmare, piuttosto che predire un fu-turo sulla base del presupposto che sia impos-sibile fare qualcosa per costruirlo.

I problemi esplorati nel nostro libro sono perciò di questo tipo: perché l'autorità dello stato si sgretola talvolta con tanta sorprendente rapidità; com'è che tanti governi non democratici sem-brano altrettanto motivati dei governi democra-tici e proteggere il benessere dei cittadini; per-ché i « liberi » mercati sono talvolta coercitivi quanto l'autorità statale; come mai gli uomini d'affari giocano in politica un altro ruolo, che è diverso e più influente di quello dei loro gruppi d'interesse; perché la « democrazia industriale », nella forma di partecipazione dei lavoratori alla direzione aziendale, può svilupparsi più facil-mente in uno stato non democratico che in una società democratica; cosa rappresenta, infine, la tradizione maoista nella Cina comunista: una de-viazione fondamentale oppure solo secondaria dal comunismo ortodosso?

In questo libro gli argomenti presi in esame so-no molteplici. Alcuni soso-no trattati estesamente: per esempio, la « posizione privilegiata » delle imprese nei sistemi basati sul mercato; le ten-denze verso la circolarità del controllo popolare che si verificano nelle democrazie occidentali sia nel governo sia nel mercato; e ancora certe convergenze nei presupposti e nelle aspirazioni operative che si realizzano tra i comunisti, da una parte, e i sostenitori occidentali della pia-nificazione e gestione scientifica dell'impresa e del governo, dall'altra. Passando in rassegna que-sti argomenti nel corso del libro, si riprendono in esame sia la validità del pensiero liberale classico, sia quella del pensiero pluralista. Ben-ché entrambi siano considerati grossolanamente difettosi, possiedono tuttavia alcuni elementi cen-trali che sembrano rimanere saldi.

AUTORI VARI (a cura di G. C a n a v e s e e M. La Rosa), Sviluppo capitalistico, organizza-zione del lavoro e professionalità - Voi. di

14 X 22 c m , pp. 173 - Franco A n g e l i , M i l a n o , 1979 - L. 3800.

Il tema dei rapporti tra sviluppo capitalistico, or-ganizzazione del lavoro e professionalità operaia

potrebbe in realtà apparire alquanto « inattuale ».

In tempi di crisi l'accento infatti è posto più sui problemi dell'occupazione da un lato e del recupero di produttività dall'altro, in forme che sovente lasciano poco spazio ad ulteriori e pur rilevanti aspetti in ordine alla identificazione di un modello di sviluppo per il nostro Paese che non solo faccia uscire dall'attuale situazione, ma offra una prospettiva di fondo sostanzialmente mutata e innovativa. Pur tuttavia il rapporto tra processi formativi, processi produttivi, organiz-zazione del lavoro e professionalità, sul cui ap-profondimento le pagine che seguono sono in-centrate, ci pare di grande rilievo non solo scien-tifico ma politico-culturale, anche e in specie per il momento che stiamo vivendo.

Non si tratta cioè di disquisire o analizzare a livello ipotetico, prima ancora che teorico, tema-tiche che sembrano in prima istanza indirizzarsi a delineare ipotesi e proposte su un fantomatico

job design, su di un nuovo modo di produrre

che oggi appare ai più remoto e problematico, quando il problema che « incombe » è quello delle masse di disoccupati. Non si tratta certo di questo, anche se abbiamo forti dubbi e nutria-mo forti riserve sulla « provenienza » e sulla na-tura di queste obiezioni, ancor prima che sulla validità che sembrano proporre. E proprio in

que-cisando la propria piattaforma in ordine al rin-novo dei contratti, non mancano — a riprova — linee propositive che sono ben decise a respin-gere un atteggiamento sulla « difensiva » e quasi « colpevolizzato », per tentare invece una strate-gia che vada al di là della crisi pur assumendola in pieno, per non vedersi poi costretti ad abban-donare posizioni oggi affermate e viceversa. Il tentativo è cioè quello di delineare un progetto di sviluppo rinnovato, pur consci che si sta at-traversando un momento fra i più difficili e che molto più •• agevole » sarebbe impostare una tat-tica « difensivistat-tica », come sovente per il pas-sato avvenuto, senza dubbio più accettabile an-che dalle controparti.

Si tratta, per contro, di rivendicare, se ancora ce ne fosse bisogno, la centralità di una tema-tica che risulta del resto evidente solo che si abbia a considerare la dicotomia sempre più preoccupante tra offerta e domanda di lavoro, in quantità ma anche in qualità, e che ha fatto emergere la « questione giovanile » come una delle più serie e complesse; solo che ci si sof-fermi, infine, sulla esigenza pressoché unanime-mente avanzata di uri forte recupero della pro-duttività, che dovrebbe peraltro potersi raggiun-gere avendo presente solo la « razionalità eco-nomica e strumentale » (...)

Il problema dunque viene qui solo avviato, in specie nella convinzione che anche il « ruolo » che i processi formativi pre e durante l'esperien-za lavorativa dovrebbero assumere cosi come un nuovo concetto di professionalità non possono non essere affrontati se non partendo dalle spe-cificità fondamentali che hanno caratterizzato lo sviluppo delle istituzioni formative, ma anche compiendo una analisi rigorosa e puntuale delle modalità più rilevanti che hanno accompagnato e •< segnato » la trasformazione dei processi pro-duttivi.

In questo senso porsi il problema di una

di-versa organizzazione del lavoro in rapporto ad

una significativa professionalità del lavoratore non deve rappresentare una modalità più

ra-zionale di utilizzazione della forza-lavoro nelle

via via mutate condizioni tecnologiche, laddove il termine di « razionalità » viene usato con una valenza ormai strumentale, finalizzata cioè esclusivamente al maggior profitto e con una permanente discrezionalità sulle conseguenti for-me di utilizzazione della manodopera. Parlare di una nuova professionalità o di nuova orga-nizzazione del lavoro, oltreché migliori condi-zioni di lavoro, di decisione e di controllo, de-ve significare per la classe operaia una riap-propriazione progressiva delle conoscenze in di-rezione di una progettualità che non può non delineare anche una diversa organizzazione so-ciale. In tale prospettiva il « nodo » della divi-sione del lavoro appare non tanto ancora

ine-splorato, quanto piuttosto entrato in un

perico-loso tunnel, ai cui estremi sembra esistere solo l'accettazione della sua realtà capitalistica (pur contemperata) o la sua negazione in termini pre-valentemente concettuali; e certamente questo

rappresenta un tema su cui dovremo e vorremo ritornare in un prossimo futuro. Esso dovrà infine

essere approfondito, anche per i suoi aspetti di congruenza concettuale oltreché operativa, nel-l'ambito del cosiddetto terziario sociale per indi-viduare, al di là della introduttiva ricerca pre-sentata in questa sede, le non marginali connes-sioni che l'evoluzione dell'organizzazione del la-voro ha avuto in questo settore in rapporto alle modificazioni intervenute nella fabbrica. Non cre-diamo infatti sia un caso che il superamento del-l'organizzazione scientifica del lavoro in azienda delinei — in un mutato assetto tecnologico in-terno — alcuni referenti di una « nuova » profes-sionalità nel work group, nel job rotation e nel sti giorni, in cui il movimento sindacale sta

pre-job enrichment, contestualmente all'emergere nel terziario sociale — in una diversa articolazione

degli Enti interessati — di spinte verso il

la-voro di gruppo, la polifunzionalità, l'esigenza di

un background professionale di carattere gene-rale e di base ed un rapporto lavorativo

interdi-sciplinare.

(dalle note introduttive di MICHELE LA ROSA)

AUTORI VARI (a cura di F. Cesarini e M. O n a d o ) , Struttura e stabilità del s i s t e m a finanziario Voi. di 14,5 X 21 cm, pp. 284

-Il M u l i n o , Bologna, 1979 - L. 6000.

H. Minsky, l'autore del primo dei saggi qui pre-sentati, appartiene a quella corrente dottrinale che, insoddifatta dei meccanismi di equilibrio proposti dai neoclassici, reinterpreta tutto il con-tributo keynesiano, sottolineando la crescente im-portanza del finanziamento, in ciò contrapponen-dosi al filone del recupero neoclassico della

Ge-neral Theory. (...)

I saggi di H. Kaufman e di J. Guttentag sono ri-feriti al contesto statunitense e si occupano del-le tensioni finanziarie succedutesi tra il 1966 e il 1974, l'uno dal punto di vista della funziona-lità del sistema finanziario nel suo complesso, l'altro con un taglio più centrato sui dissesti di grandi banche.

Kaufman analizza le caratteristiche di tre succes-sive crisi che, a suo parere, pur non avendo pro-vocato un completo blocco dei mercati, sono sta-te contrassegnasta-te da crescensta-te asprezza e da vistosi fenomeni di disintermediazione e di dete-rioramento della qualità del credito. Egli non manca di osservare che, tutto sommato, sino a quel momento il mercato è risultato in grado di assorbire gli impulsi destabilizzanti, ma dubita che esso possa sopportare nuove crisi di inten-sità prevedibilmente maggiore ed esprime quindi riserve sia sull'efficacia nel lungo periodo di semplici ritocchi tecnici agli strumenti finanziari, sia, più in generale, sulle proposte di liberalizza-zione dei mercati e delle istituzioni finanziarie. Guttentag, a sua volta, pone l'accento sul fatto che dissesti di grandi banche costituiscono una spiacevole novità nella storia bancaria del dopo-guerra: e non solo di quella del suo paese visto che anche talune banche europee cadute in dis-sesto — ad esempio, la Banca Herstatt in Ger-mania e, da noi, la Banca Privata Italiana — ave-vano raggiunto, al momento della loro liquida-zione, dimensioni e importanza tutt'aitro che tra-scurabili. (...)

II saggio di D. Jacobs e A. Phillips — che riflette le conclusioni di una commissione di studio no-minata dal governo americano (Commissione Hunt), di cui sono stati componenti autorevoli — sta a testimoniare una impostazione alterna-tiva dei problemi della struttura finanziaria ri-spetto a quella effettivamente seguita nei vari paesi e particolarmente negli Stati Uniti: Vi si sostiene che l'abbandono di regolamentazioni ec-cessivamente restrittive e di una rigida separa-zione di funzioni tra le diverse categorie di in-termediari costituisce condizione essenziale per una allocazione fluida ed efficiente dei finanzia-menti ai diversi settori economici. In questo modo inoltre — sempre a parere della Commis-sione — si trasmettono impulsi concorrenziali che facilitano la selezione delle operazioni e ri-ducono tendenzialmente il grado di instabilità del sistema finanziario.

Come si è già accennato, crisi bancarie si sono verificate anche in alcuni paesi europei ed il sag-gio di D. Deguen e J. H. David descrive le rea-zioni immediate e mediate delle autorità di con-trollo. Come esempio delle misure subito prese, possiamo ricordare l'intervento della Banca d'Ita-lia in occasione del dissesto della Banca Priva-ta IPriva-taliana, verificatosi nell'esPriva-tate del 1974. (...) La meccanica dell'intervento può essere colta con sufficiente chiarezza dal pur scarno resoconto che ne dà la Banca d'Italia nella Relazione per il 1974, rompendo una consolidata consuetudine di riserbo. Ciò che dal brano da noi riportato non emerge compiutamente è il fatto che l'intervento ha richiesto una modifica di rilevante portata alle tradizionali tecniche di rifinanziamento delle aziende di credito: con apposito provvedimento del Ministro del Tesoro si è infatti dovuto intro-durre ex novo una speciale forma di anticipa-zione a scadenza fissa (24 mesi) e nel contempo autorizzare la Banca d'Italia a derogare alle con-dizioni di tasso e di importo stabilite per le nor-mali operazioni di anticipazione. (...)

Come esempio di rivalutazione del ruolo del pa-trimonio ed anche per facilitare al lettore l'ap-proccio microeconomico al problema della crisi di aziende di credito, abbiamo incluso nell'anto-logia un capitolo di una recente opera di J. R. S. Revell, che contiene un'analitica ricostruzione dei concetti di liquidità e di solvibilità, delle loro complesse interrelazioni e dei vecchi e nuovi metodi — poi spesso fatti assurgere a « dottri-ne » — con cui le aziende di credito mantengono il proprio equilibrio finanziario e patrimoniale. (...) L'inclusione di due saggi a carattere storico ri-sponde alla convinzione che un autentico appro-fondimento della meccanica delle crisi finanziarie e delle loro conseguenze sulla struttura e sul-l'efficienza del sistema debba trovare supporto anche nell'analisi di casi concreti. Con l'econo-mia di una raccolta antologica, d'altra parte, ri-sultano difficilmente conciliabili le estese e mi-nuziose ricostruzioni — alcune delle quali di let-tura assai piacevole anche per il non speciali-sta — che hanno avuto per oggetto alcune fasi della storia bancaria del nostro paese. La scelta è perciò caduta su saggi in certo modo di sin-tesi, in cui ha largo spazio l'interpretazione eco-nomico-tecnica, ed entrambi — paradossalmente — scritti da studiosi di formazione non storica. Nel primo brano, A. Confalonieri, che è appro-dato agli studi di storia bancaria con un baga-glio di metodologie e di ricerche nel settore del-la finanza aziendale e deldel-la gestione degli inter-mediari finanziari, presenta un consuntivo del-l'esperienza delle banche italiane in un periodo — quello che va dall'Unità alla fondazione della Banca Commerciale Italiana — caratterizzato dal susseguirsi di dissesti bancari e dal faticoso emergere di tecniche di intervento che rispon-dessero alle esigenze del primo processo di in-dustrializzazione.

Nel secondo saggio, P. Sraffa, al quale il pen-siero economico moderno è debitore di alcuni fra i contributi teorici più innovatori, trae lo spunto da un episodio più specifico — per usare le sue parole, la « vita, morte e miracolosa re-surrezione della Banca Italiana di Sconto » — per offrire una visione d'assieme dei problemi della stabilità finanziaria con notazioni sui rischi collegati all'intreccio tra banca e industria che, ad oltre cinquantanni di distanza, non hanno cer-tamente perduto attualità ed interesse. (...) Il volume si chiude con una serie di saggi, ri-feriti specificamente alla situazione italiana, che collegano il problema dell'instabilità a quello delle caratteristiche complessive della struttura finanziaria e sintetizzano efficacemente il dibat-tito che ha avuto come elemento catalizzatore la Banca d'Italia e il suo Ufficio Studi.

Il saggio di G. Carli, M. Monti e T. Padoa Schiop-pa enuncia un'interessante interpretazione dei motivi per cui il sistema finanziario italiano è stato quasi del tutto immune dai dissesti che hanno contrassegnato altri sistemi, nonostante che il nostro paese fosse da considerarsi poten-zialmente molto instabile sulla base di parametri oggettivi: si vedano ad esempio quelli indicati da Minsky nel saggio che apre il volume. (...) Anche il saggio di C. Conigliani e T. Padoa Schioppa ha come punto di partenza il contrasto tra un assetto istituzionale sostanzialmente in-variato e un quadro complessivo di rapporti eco-nomici e finanziari soggetto a profonde modifica-zioni. Al centro dell'attenzione non è — almeno esplicitamente — il problema della stabilità, ben-sì quello delle caratteristiche della struttura fi-nanziaria, cioè dei modi con cui le disponibilità degli operatori in surplus vengono trasferite agli operatori in deficit. (...)

Il problema (di quali siano le alternative alle

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1979 (pagine 117-139)

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