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DELL’AGRICOLTURA SOCIALE IN ITALIA

Area Sociale

DELL’AGRICOLTURA SOCIALE IN ITALIA

AlFonso PAscAle

Presidente Rete Fattorie sociali I cARATTeRI dell’AGRIcolTURA socIAle

l’agricoltura sociale è l’insieme delle esperienze in cui persone provate da varie forme di svantaggio o disagio trovano nelle attività agricole collegate una chance per dare un significa- to alla propria vita e un senso alle proprie capacità (Finuola, Pascale 2008). si tratta di espe- rienze in cui sono praticati percorsi di inclusione sociale e lavorativa nelle aziende agricole e organizzati servizi educativi, terapeutici e riabilitativi nelle campagne. siffatte traiettorie si realizzano attraverso l’assunzione, in imprese agricole già esistenti, di soggetti svantaggiati (invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici, soggetti in trattamen- to psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione) oppure di lavoratori svantaggiati (immigrati, donne che hanno lasciato il lavoro per la difficoltà di conciliare tempi di vita lavorativa e tempi di vita familiare, persone sole con figli a carico, persone affette da dipendenze, disoccupati ultracinquantenni o di lungo periodo, ex detenuti). Ad essi si aggiun- gono le donne che hanno subito violenze e altri soggetti provati da diverse forme di disagio.

Percorsi di agricoltura sociale sono anche quelli che vedono protagonisti soggetti svantag- giati o con disagi nella creazione di nuove aziende agricole in forma singola o associata.

Pratiche di agricoltura sociale sono, infine, anche le forme di erogazione di servizi sociali o servizi socio-educativi per la prima infanzia mediante l’impiego di processi produttivi agri- coli o con l’ausilio di animali in aziende agricole singole o associate, nonché in cooperative sociali di tipo A e B, enti pubblici e privati, fondazioni e onlus, che, pur non configurandosi come imprese agricole, impiegano risorse agricole e rurali nelle loro attività.

sono interessati all’agricoltura sociale innanzitutto coloro che presentano bisogni speciali, cioè problematiche sanitarie o difficoltà sociali di particolare gravità, e le cui necessità sono spesso rappresentate da associazioni di familiari. mediante il contatto con le piante e con gli animali e il coinvolgimento nelle attività agricole, essi riscoprono la loro potenzialità interiore e il senso di responsabilità individuale che permettono di ritrovare un equilibrio motivazionale e relazionale.

Vi sono poi coloro che provengono anch’essi da ambiti lontani dall’agricoltura e che tro- vano le loro motivazioni profonde nel disagio provocato dagli aspetti quantitativi, standardiz- zati e consumistici del modello di sviluppo della società contemporanea e, quindi, nel biso- gno di sperimentare nuove forme di vita, di produzione e di consumo per dare un senso alla propria esistenza.

mostrano, inoltre, attenzione all’agricoltura sociale persone che hanno perduto il lavoro in forma continuativa e sicura o che lo mantengono in condizioni precarie e nelle attività agri- cole trovano un modo per integrare il reddito.

All’agricoltura sociale sono, peraltro, ultimamente sempre più interessati quei produttori agricoli per lo più “biologici” e che già svolgono attività diversificate nell’ambito dell’agritu- rismo e dei servizi legati al mondo della scuola. e ad essa incominciano a mostrare attenzio- ne anche altri soggetti agricoli, soprattutto giovani, con redditi misti e in possesso di strutture spesso di piccole dimensioni, i quali, spinti dalla globalizzazione ad abbandonare modelli pro- duttivi eccessivamente specializzati perché non premiati dai mercati, sono indotti, per integra- re il reddito, a sperimentare l’agricoltura ecocompatibile, multifunzionale e di prossimità.

A guidare i nuovi processi sono soprattutto le donne in quanto portatrici di una capacità di inventare le risorse e valutare in modo attento e duttile le opportunità. Un’attitudine acqui- sita nella società rurale, quando l’assolvimento di ruoli sostitutivi di quelli maschili, ritenuti irrilevanti nell’assetto formale del sistema che all’epoca vigeva, permetteva loro di saggiare continuamente le innovazioni e di introdurle informalmente e senza contraccolpi.

le ATTIVITà TeRAPeUTIche e RIABIlITATIVe con le PIAnTe e con GlI AnImAlI

nel dopoguerra nasce e si sviluppa nei paesi anglosassoni una vera e propria disciplina cu- rativa che coniuga competenze mediche con quelle botaniche: si tratta dell’Horticultural The-

rapy, solo da pochi anni tradotta in Italia come “terapia assistita dalle piante” (Borghi 2007). si applica a numerose tipologie di disagio, per le quali la pratica dell’orticoltura o la semplice visione di un paesaggio generano effetti benefici, osservabili clinicamente e capaci di ridurre una forte situazione di difficoltà o di limitazione psico-fisica.

l’ortoterapia (in latino hortus significa giardino in quanto spazio privato e recintato) coin- volge il singolo individuo in operazioni di giardinaggio che promuovono il suo benessere, e le piante da lui coltivate diventano prodotti stessi del processo di guarigione.

sono attualmente in corso anche in Italia progetti in ambito psichiatrico che dimostrano, in particolare nei pazienti schizofrenici, che le attività di orticoltura terapeutiche migliora- no l’adattamento alla struttura ospedaliera; i casi più eclatanti riguardano la cura del proprio aspetto fisico e dell’igiene personale, il diradarsi di episodi di violenza esplosiva e l’attenuar- si dell’isolamento attraverso la ricerca della comunicazione e del contatto con gli altri. nella relazione con il terapeuta, il verde serve a stabilire una comunicazione non verbale che eli- mina l’imbarazzo del colloquio faccia a faccia tipico della psicoterapia verbale, promuove la maturazione dell’espressione emozionale e prepara il malato al confronto.

In un certo senso complementari all’ortoterapia vanno considerati gli Healing gardens (il cui significato non è “giardini terapeutici” ma “giardini che curano, che cicatrizzano le fe- rite fisiche e morali”). essi non costituiscono una terapia complementare a quella conven- zionale, come invece è fuor di dubbio considerare l’ortoterapia nell’ambito dell’agricoltura sociale, ma vanno annoverati nelle pratiche della medicina olistica, che considera il malato un tutt’uno dal punto di vista fisico e psichico e per questo carica l’infermo della responsa- bilità nelle scelte che riguardano la sua salute. Un approccio terapeutico quello olistico che si collega strettamente al rapporto uomo-natura e, in particolare, al giardino come utile com- plemento della cura. Appare, infatti, con sempre maggiore evidenza che prendersi cura delle piante risveglia il medico che è in noi e questa circostanza aiuta a migliorare la qualità del- la nostra vita.

le attività e le terapie assistite dagli animali sono nate in America nel 1953, grazie allo psi- chiatra infantile Boris m. levinson, che, in base alla sua esperienza, le definì come “insieme di pratiche ben specifiche basate sull’incontro con un animale che non è di proprietà del fru- itore, ma si colloca in un rapporto a tre dove il conduttore dell’animale ha come obiettivo la realizzazione di un rapporto che attivi le capacità assistenziali dell’animale in modo tale che il paziente ne usufruisca in base alla sua patologia” (levinson 1962). Queste attività si sono sviluppate integrando le esperienze concrete con la “zooantropologia”, scienza che studia le interazioni tra uomo e animali. Imparare il linguaggio degli animali, mettersi dal loro punto di vista è essenziale per comunicare con loro. A partire dagli anni sessanta si è iniziato ad identificare l’utilizzo di animali da compagnia con il termine “Pet-Therapy” sostituito sem- pre più dalle più appropriate locuzioni “Animal Assisted Therapy” (A.A.T.) e “Animal Assi-

nell’ambito delle attività e terapie assistite dagli animali, da oltre trenta anni nel nostro paese si pratica l’ippoterapia, che, contaminandosi virtuosamente con l’equitazione, ha con- tribuito alla diffusione dell’equitazione sociale. Inoltre, coi progressi conseguiti negli ultimi quindici anni dalla nuova etologia, oggi noi sappiamo molte cose in più degli equini oltre il sapere tradizionale e possiamo perfino porci dal punto di vista del cavallo nel nostro rappor- to con questo animale.

negli ultimi tempi si va, infine, diffondendo l’Onoterapia, che si basa sulle relazioni par- ticolarmente intense ed empatiche che l’asino riesce a stabilire con le persone (Reinger can- tiello 2009).

l’AGRIcolTURA socIAle TRA cenTRAlITà dellA PeRsonA e PRoTezIone dell’AmBIenTe

la peculiarità dell’agricoltura sociale risiede nell’intimo intreccio tra il servizio sociale e l’esercizio dell’attività agricola e di quelle ad essa collegate, poiché detto servizio esplica la sua efficacia solo se la persona a cui è diretto viene pienamente coinvolta in un processo pro- duttivo agricolo o di trasformazione e vendita di un prodotto agricolo. Inoltre, l’utilizzazione di sistemi di produzione quali quello biologico o comunque in grado di assicurare il coinvol- gimento nell’attività agricola di persone con bisogni speciali è una componente fondamenta- le della strategia messa in atto da una fattoria sociale che pone al centro lo stretto legame tra fattore umano e fattore ambientale.

le pratiche di agricoltura sociale si accompagnano, infatti, in molti casi all’adozione del metodo biologico, inteso come pratica di produzione di beni alimentari che si ispira alla natu- ralità, al minimo intervento sul suolo, sugli animali, sulle piante e sull’ambiente in generale. Tale coincidenza è dovuta al fatto che l’agricoltura sociale si fonda sul recupero e rivitalizza- zione di modalità di produzione scartate con la modernizzazione agricola, in quanto ritenute inadeguate in una visione produttivistica dello sviluppo agricolo. dette modalità risultano, in- vece, del tutto efficaci per consentire alle persone con determinati svantaggi o particolari disa- gi di svolgere meglio e pienamente le attività agricole e possono essere senz’altro compatibili con gestioni imprenditoriali improntate ad una logica di efficienza economica.

l’agricoltura sociale si fonda sull’idea che promuovere stili di vita e modelli di produzio- ne, di investimento e di consumo compatibili con la protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima fa bene alle persone perché il benessere umano coincide con il benessere dell’eco- sistema. Una concezione di benessere che fa riferimento a modelli sociali e culturali in cui assumono valore le relazioni di senso, le opportunità che permettono alle persone di dare un significato alle cose che fanno e alle loro capacità, la salvaguardia del capitale sociale e dei saperi locali, la riappropriazione del Genius loci come perpetuazione della propria creativi- tà. Una concezione di benessere che si integra con una visione del paesaggio non come mero quadro statico da contemplare, ma come movimento, riscoperta, autocoscienza, formazione della personalità umana (Ferrarotti, 2009).

l’AGRIcolTURA socIAle: Un nUoVo PARAdIGmA dellA mUlTIFUnzIonAlITà del seTToRe AGRIcolo

l’agricoltura sociale è un modello che si accosta molto ma non coincide del tutto con quel- lo che di recente è stato definito “nuovo modello contadino” in cui l’attività è finalizzata alla creazione e allo sviluppo di risorse base autocontrollate ed autogestite che a loro volta forni- scono le forme di coproduzione tra uomo e natura vivente, che interagiscono con il mercato,

rafforzano le prospettive future e migliorano le risorse stesse ed il processo impiegato nella coproduzione accrescendo l’autonomia dell’impresa e riducendone la dipendenza da fattori esterni non controllabili (Van der Ploeg J. d., long A., Banks J., 2002).

non si tratta di un modello antitetico a quello della modernizzazione agricola, piuttosto di un vero e proprio nuovo modello che rielabora al suo interno conoscenze scientifiche, tecno- logie e pratiche proprie della modernizzazione, ma con differenti finalità ed una forte capacità di selezione di queste sulla base degli obiettivi di rafforzamento del processo di produzione e di miglioramento e controllo delle risorse di base.

Un ulteriore elemento che caratterizza questo modello neocontadino riguarda le relazioni specifiche stabilite coi mercati. Queste relazioni non sono esclusive e monodirezionali come nel paradigma della modernizzazione, ma sono parte di un più ampio insieme di relazioni che legano l’impresa neocontadina con il mondo circostante: all’interno di questa rete relaziona- le l’impresa non è un recettore passivo, ma partecipa attivamente alla costruzione della rete e delle sue regole indirizzandole in maniera tale da ottenere la massima flessibilità, margine di manovra e libertà. Inoltre, le relazioni esterne organizzate attraverso le reti consentono la creazione di nuovi tipi di organizzazione e di mercati dove responsabilità, rischio e successi sono divisi e condivisi con gli altri attori della rete.

Il modello neocontadino prevede strategie imprenditoriali che contengono almeno uno de- gli elementi di seguito indicati o che, qualora vi siano entrambi, si caratterizzano per la pre- valenza dell’uno sull’altro:

la qualificazione dei prodotti

1. , attraverso l’utilizzazione di nuovi sistemi di produzione per ottenere beni agricoli diversi da quelli convenzionali (prodotti biologici) o reintro- ducendo o migliorando i sistemi tradizionali che esaltano la vocazionalità dell’area e le competenze locali come le produzioni di qualità tutelate, oppure acquisendo funzioni a valle della fase di produzione come la trasformazione e vendita diretta in azienda; la diversificazione delle attività

2. , mediante l’ampliamento delle attività produttive a nuove funzioni sempre localizzate nell’ambito dell’impresa primaria quali l’agriturismo, le atti- vità didattiche con le scuole e la produzione di energia, o che possono essere del tutto in- dipendenti dalla produzione agricola come il turismo rurale e la gestione del paesaggio. ebbene, nelle strategie imprenditoriali adottate nell’ambito dell’agricoltura sociale vi è una terza componente che potremmo individuare come lo sviluppo delle capacità delle persone coinvolte nel processo produttivo, il quale si ottiene attraverso l’utilizzazione di processi pro- duttivi “inclusivi” ecocompatibili (dal biologico a metodi che escludono completamente la meccanizzazione) e che sovrapponendosi ai due elementi del modello neocontadino, arricchi- sce sia gli aspetti legati alla qualificazione dei prodotti (alimenti ad alto contenuto etico), sia gli aspetti della diversificazione delle attività (servizi terapeutici, riabilitativi ed educativi non genericamente forniti in campagna ma erogati mediante l’attivazione di processi produttivi agricoli in grado di rendere più efficaci i risultati in termini di benessere delle persone).

si tratta di un modello o di un paradigma della multifunzionalità dell’agricoltura del tut- to particolare, che finora non è stato indagato nei suoi aspetti più intimi e che si discosta dai modelli finora descritti in letteratura (milone, 2009).

sappiamo solo che, dovendo creare una fattoria sociale, dobbiamo scegliere le attività do- po un’attenta analisi delle attività agricole già svolte nelle strutture coinvolte, delle possibili conversioni e degli aggiustamenti da apportare per renderle funzionali al coinvolgimento dei soggetti portatori di bisogni speciali. Programmare processi di estensivizzazione agricola per introdurre colture che migliorano la fertilità del suolo o permettono di reintrodurre cultivar più legate alla tradizione; ristrutturare siepi, fossi, boschi e zone umide; ridurre l’uso degli antiparassitari; introdurre tecniche integrate di gestione degli organismi nocivi; usare l’acqua con parsimonia adottando sistemi irrigui a goccia o ad aspersione o ancora sottochioma; pro-

servativa per alterare il meno possibile la sostanza organica e tutelare la biodiversità sono azioni che potrebbero apparire antieconomiche. In realtà, non solo permettono alle persone con svantaggi o disagi di vario tipo di svolgere meglio e pienamente le attività agricole, ma producono anche effetti significativi sull’ambiente. orientando complessivamente l’azienda verso entrambi questi obiettivi strategici e rafforzando quelle attività connesse che la legano sempre più al territorio, si creano le condizioni perché la struttura adotti un percorso di Re- sponsabilità sociale d’Impresa (RsI) Per l’agricoltura sociale si possono sperimentare percor- si specifici di RsI in grado di accrescere le performance economiche delle aziende coinvolte e la qualità sociale e ambientale del territorio di riferimento.

I nUmeRI dell’AGRIcolTURA socIAle

Un censimento completo delle fattorie sociali in Italia non è stato mai fatto. A fine 2003, l’IsTAT ha rilevato 471 cooperative sociali di tipo B che svolgono attività agricole finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Tra il 2003 e il 2005 esse sono diventate 571 con un aumento del 21%, un dato in netta controtendenza rispetto a quello delle imprese agricole tout court. Il filo che lega queste realtà è la forte propensione a sperimentare strate- gie di sviluppo dal basso, improntate all’utilizzo pieno delle risorse locali e al rafforzamento di reti tra soggetti diversi: cittadini, imprese e istituzioni.

Il ruolo d’inclusione lavorativa svolto dalla cooperazione sociale in agricoltura è molto significativo (di Iacovo 2008): oltre 7.100 sono i lavoratori svantaggiati occupati in queste imprese, un’entità pari al 30 % del totale di tali lavoratori che trovano occupazione nel com- plesso delle cooperative sociali di tipo B. considerando che l’incidenza in termini di nume- ro di imprese è inferiore, emerge come le cooperative sociali agricole includano in media un numero maggiore di soggetti rispetto al resto della cooperazione sociale di inserimento lavo- rativo. le tipologie di svantaggio presenti sono varie. le cooperative sociali agricole tendo- no, rispetto al complesso della cooperazione sociale, a coinvolgere lavoratori con tipologie di svantaggio a maggior rischio di esclusione sociale, come i pazienti psichiatrici, i detenuti, gli ex detenuti e i tossicodipendenti. ciò è dovuto – come abbiamo visto - alle spiccate capacità dell’agricoltura, rispetto ad altri settori, di includere soggetti deboli.

Accanto alle cooperative sociali vanno considerate anche le numerose aziende agricole private che svolgono attività di agricoltura sociale. Un primo censimento è stato elaborato da AIAB da cui si ricava che in Italia esistono oltre un centinaio di aziende private biologiche che praticano l’agricoltura sociale (AIAB 2007).

nell’agricoltura sociale convivono, inoltre, anche esperienze che non si configurano in aziende agricole. sono fattorie sociali su piccoli appezzamenti di campagna dove si svolgono attività agricole hobbistiche o su spazi aperti adiacenti ad ospedali, istituti penitenziari, sedi di comunità terapeutiche o di accoglienza. oppure sono fattorie sociali organizzate da centri di riabilitazione o di accoglienza in cui le attività agricole di coltivazione e di allevamento non sono prevalenti rispetto alle attività sociali che tuttavia, anche in parte, si svolgono utilizzan- do risorse e attrezzature agricole.

È un’agricoltura sociale più rivolta verso una ruralità sociale, che non va considerata margi- nale in quanto può svolgere un ruolo essenziale per umanizzare strutture sanitarie e carcerarie o vivificare aree periurbane o di montagna. come per l’agricoltura lo sviluppo dell’attratti- vità dei territori rurali è una condizione per valorizzare le proprie attività, così per le fatto- rie sociali impiantate sulle aziende agricole lo sviluppo di iniziative sociali in ambiti agricoli dove le attività di coltivazione e di allevamento non sono prevalenti o non sono orientate al mercato costituisce un’opportunità per valorizzare la propria presenza in reti più vaste, che si fondano in ogni caso sull’immagine della ruralità. ci vogliono approcci diversi e strumen-

ti d’intervento specifici, che tuttavia devono essere capaci di integrarsi nella progettazione territoriale, l’unica che può offrire una valutazione sull’efficacia, per le comunità locali, dei diversi modelli adottati.

l’agricoltura sociale non è ovviamente un fenomeno solo italiano. esperienze significati- ve sono presenti anche in olanda, norvegia, Francia, Germania e Belgio. In olanda, Belgio e norvegia prevalgono tipologie fondate su aziende agricole for profit. e ciò si spiega perché in tali Paesi le attività terapeutico-riabilitative svolte in ambito agricolo sono state riconosciu- te dalle istituzioni pubbliche. In tutti gli altri Paesi, compresa l’Italia, protagonista principale è il terzo settore.

UnA PolITIcA PeR l’AGRIcolTURA socIAle

Gli obiettivi strategici di una politica per l’agricoltura sociale sono i seguenti:

migliorare le condizioni affinché le persone in difficoltà possano con l’attività agricola 1.

dare un senso alle proprie capacità;

riconoscere l’agricoltura sociale come un’opportunità per migliorare la competitività 2.

delle imprese e dei territori rurali;

creare un nuovo nesso tra sviluppo, protezione sociale e tutela ambientale nelle aree 3.

rurali.

Una politica per l’agricoltura sociale per essere efficace deve attenersi ai seguenti criteri: • riconoscere le specificità, il pluralismo e la pari dignità di tutte le esperienze di agricol-

tura sociale, indipendentemente se ad attivarle sia un’azienda agricola;

• passare da una politica di sviluppo rurale di tipo settoriale e redistributivo ad una politi- ca di sviluppo rurale territoriale;

• rafforzare le politiche sociali nelle politiche europee di sviluppo e coesione integrando- le nello sviluppo locale;

• orientare il governo del territorio ad una piena integrazione degli spazi agricoli nella pia- nificazione dei sistemi territoriali in modo che si possano consegnare alle nuove genera- zioni in uno stato tale che anch’esse siano in grado di abitarli e ulteriormente coltivarli; • promuovere stili di vita e modelli di produzione, di investimento e di consumo compati- bili con la protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, nella consapevolezza che