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Delle “Nuove musiche” nelle stampe fiorentine »

Il corpus di musiche contenute nei 29 libri a stampa presi in considerazione consta di 678 brani, di cui 663 per una o più voci e basso continuo,46 1 per voci miste,47 8 polifonici e 6 strumentali, con una media di circa 23 titoli per libro.48 Nel computo totale delle composizioni vocali sono incluse anche 17 intonazioni di autore diverso rispetto a quello indicato nel frontespizio della stampa: i volumi che li accolgono sono i primi due di Benedetti (con un titolo di Marco da Gagliano e uno di Peri nella stampa del 1611 e con uno dello stesso Gagliano in quella del 1613), i libri di Brunelli del 1614 e del 1616 (con 2 brani di Giulio Caccini, uno di Peri, uno di Allegri e uno di Calestani nel primo e con 3 di Giovanni Bettini nel secondo), quello di Bonini del 1607 (con uno del confratello vallombrosano don Simone Finardi),49 quello di Calestani (con 2 composizioni di Giovanni Del Turco, una di

45 Una o più dediche di singoli componimenti a personaggi illustri si trovano in BENEDETTI 1611,

BENEDETTI 1613, BRUNELLI 1613, 1614 e 1616, BUCCHIANTI 1627, CALESTANI 1617, VITALI 1617.

46 Il conteggio viene effettuato considerando i componimenti divisi in più parti come un’unica composizione. 47 Per ‘voci miste’ intendiamo l’alternarsi, entro una stessa composizione, di parti in stile recitativo con il

continuo e di sezioni polifoniche senza il sostegno del basso: l’unico brano che presenta questa caratteristica singolare è Ecco ch’io verso il sangue di Giovanni Battista da Gagliano (su cui cfr. qui il cap. 5, § 5.3).

48 Si veda quanto riassunto nella Tabella n. 1b, p. 318. 49 Su questo monaco cfr. anche Documenti, Lettere, nn. 18, 19.

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Bettini e una di Brunelli), infine la stampa del 1617 di Filippo Vitali (che ospita solo un titolo di Del Turco). Ad eccezione della canzonetta di Chiabrera Se ridete gioiose, musicata da Giulio Caccini, che compare sia nella stampa di quest’ultimo del 1614 sia in quella di Antonio Brunelli dello stesso anno, nei restanti 15 casi siamo di fronte a brani presenti in forma stampata esclusivamente in questi libri. Uno di questi, Bel pastor dal cui bel guardo, troverà posto invece in una silloge manoscritta: stampato nel volume del 1611 di Benedetti lo ritroviamo, con pochissime varianti, nel manoscritto fiorentino Barbera, conservato nella Biblioteca del Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze.50 Quella di ospitare pagine di altri musicisti in una raccolta prevalentemente di un unico compositore era stata peraltro una prassi già in uso nella produzione polifonica cinquecentesca:51 il fine era solitamente quello nobilitare la pubblicazione mediante la presenza di firme di prestigio, ciò che doveva garantirne in qualche modo la qualità (come è evidente, ad esempio, nel caso delle due stampe di Benedetti); poteva accadere anche che un musicista volesse corredare il proprio libro con brani di musicisti amici e gravitanti nel suo stesso ambiente, come avviene con Calestani, che inserisce musiche di compositori attivi, come lui, per i Cavalieri di Santo Stefano a Pisa (Brunelli e Bettini) o appartenenti all’ordine stesso (il Cavaliere Del Turco). Dal momento che in tutti i casi manca il nome autorevole sul frontespizio è da escludere che ciò avesse scopi di tipo commerciale.

Su 672 intonazioni,52 521 sono per una voce e basso continuo (di cui 381 per Soprano, 117 per Tenore, 15 per Alto e 8 per Basso), 102 per due voci (alcune delle quali in forma di dialogo), 27 per tre voci, 7 per quattro o più voci, una per voci miste.53 Sono inoltre presenti 8 composizioni polifoniche nel vecchio stile, ovvero pagine che non prevedono la presenza del basso continuo: un probabile ricordo di

50 Bel pastor si trova al f. 70. Sul Barbera si rimanda a quanto già descritto nell’Introduzione. 51 Sui brani ospitati nelle stampe di area medicea (1594-1629) cfr. GARGIULO 1992.

52 Sono stati inclusi anche tutti i brani di provenienza teatrale, su cui ci soffermeremo nel § 4.4, e i 14 in lingua

latina; vengono invece escluse da questo conteggio le 6 pagine strumentali presenti nelle stampe.

53 Sono stati considerati a una o a due voci anche quei brani che presentano rispettivamente due o tre voci

con il testo (di cui la seconda o la terza coincide con la linea del continuo), anche laddove la stampa rechi indicazioni quali a una o due, a una o due se piace, o a due, nel primo caso, e a due o tre o a tre, nel secondo; è chiaro infatti che la linea del basso può essere sempre pensata come una voce, indipendentemente dal fatto che venga o meno cantata. Presentano questa caratteristica alcune composizioni presenti in PERI 1609 e 1619, BRUNELLI 1613, 1614 e 1616, RONTANI 1614, CALESTANI 1617. Secondo Carter nel caso di Peri si tratta di duetti per Soprano e Basso adatti e forse pensati per essere cantati da un’allieva insieme al maestro (CARTER- GOLDTHWAITE 2013, p. 276). Per l’espressione ‘voci miste’ cfr. quanto spiegato qui nella nota n. 47.

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un costume compositivo ormai non più alla moda ma non del tutto tramontato e ancora praticato dai musicisti.

Dal punto di vista delle forme poetiche, le più rappresentate sono quelle della canzonetta (307 brani) e del madrigale (231 brani); a queste fanno seguito il sonetto (47 brani), la stanza o le stanze di ottava rima (22 brani), la canzone o la stanza di canzone (14 brani) e altre forme, quali terzine di settenari, quartine di endecasillabi, ecc. (25 brani).54

Per quanto riguarda il rapporto tra forme poetiche e intonazione, si osserverà come gli endecasillabi e i settenari sciolti che caratterizzano i madrigali, per la loro vicinanza alla prosa, conducono per necessità a intonazioni di tipo durchkomponiert. È nell’àmbito della canzonetta che troviamo le soluzioni metriche più eterogenee e sperimentali: utilizzando versi brevi parisillabi come quadrisillabi, senari e ottonari, ma anche trisillabi, settenari e novenari, impiegati nelle combinazioni più diverse in strofette isometriche o polimetriche (omogenee, ma anche eterogenee, data la presenza ricorrente di versi sdruccioli e soprattutto tronchi), i poeti creano una poesia essenzialmente sonora, le cui brevi unità metriche e la cui scansione ritmica spesso trocaica ben si prestano alla forma chiusa dell’intonazione periodica a una o poche voci e a esaltare il singolo affetto.

Sebbene nel conteggio totale il numero delle canzonette superi di settantasei unità quello dei madrigali, la situazione muta in realtà col passare degli anni: nei primi libri di musiche a una o più voci e basso continuo il numero delle intonazioni dei secondi supera visibilmente quello delle prime ed è solo a partire dagli anni Venti del Seicento che la nuova forma della canzonetta, con le sue melodie semplici e orecchiabili, comincerà a essere preferita al madrigale.55

Escludendo le Nuove Musiche cacciniane, in cui compare per la prima volta la distinzione tra madrigali e arie, e i tre libri di Brunelli, caratterizzati da una rigorosa coerenza terminologica e da una coscienza tassonomica piuttosto rare per l’epoca56

54 Cfr. Tabella n. 2, p. 319. Sono state escluse da questo conteggio (e dalla Tabella n. 2) le 14 intonazioni su

testi in lingua latina, nonché i 5 brani vocali del Rapimento di Cefalo e i 7 del Ballo di Donne Turche presenti rispettivamente in CACCINI 1602 e in GAGLIANO 1615, poiché si tratta di veri e propri estratti teatrali (o, nel caso di Gagliano, dell’intero testo del Ballo) difficilmente classificabili in termini di forme poetiche. Senza questi 26 brani le composizioni in volgare risultano essere pertanto 646.

55 Il 1618 è il primo anno in cui questo avviene all’interno di una raccolta di musiche a una o più voci e basso

continuo. Cfr. FORTUNE 1968, pp. 125-217 (in particolare p. 165) e WHENHAM 1982, p. 239.

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(in parte riprese e imitate nella stampa del suo allievo Bucchianti), solo raramente questi libri forniscono informazioni riguardanti la forma poetica o il tipo di messa in musica: un’eccezione è rappresentata dai brani su poesie in ottava rima, la cui presenza viene spesso segnalata mediante esplicite indicazioni poste a intestazione dei singoli brani e inerenti la forma (ottava rima) o, più sovente, la modalità di intonazione dei versi (aria per ottave; aria d’ottave; modo di cantar ottave; altro modo di cantar ottave).57

Gli stessi compositori non mancano di distinguere tanto le diverse forme poetiche quanto le modalità dell’intonazione (durchkomponiert o strofica) che queste richiedevano. Scrive ad esempio Marco da Gagliano a Ferdinando Gonzaga nell’estate del 1608:

... gli mando due madrigali e sto aspettando con gran desiderio il terzo di vostra signoria illustrissima insieme con l’aria, quale sarà desideratissima da molti, conforme a che sono state tutte le sue, et in particulare “Chi da lacci d’amore” e “Dolce cor”, quale, gli giuro da servitore, non è rimasto scolare che non le canti e con gran gusto. (...)

... e per ubbidire a quanto mi comanda gli mando un sonetto, a tre voce, e una arietta fatta a requisitione d’un marescial, che pochi giorni sono passò di qua, e le parole sono del cavalier [Vincenzo] Panciatichi ...

Mando a vostra signoria illustrissima il suo sonetto, ridotto sotto miglior misura secondo il mio giudizio, e nel basso ho aggiunto una nota, sì come vedrà, quale mi pare gli aggiunga grazia. (...)58

Come è noto, le stampe musicali cinque-seicentesche non portano di norma l’indicazione del nome del poeta. Tranne pochi casi,59 i libri di “Nuove musiche” non fanno eccezione: su 596 componimenti in volgare messi in musica60 (e 658 intonazioni)61 è attualmente possibile risalire con certezza all’autore delle parole per soli 261 (circa, quindi, il 43,8%); 3 sono di dubbia attribuzione,62 i restanti 332 rimangono per adesso adespoti:63 se escludiamo le attribuzioni a Chiabrera, è

57 Sulla presenza di stanze di ottava rima in questo repertorio si veda BONECHI 2017, in corso di stampa. 58 Documenti, Lettere, nn. 7, 8, 9 (nostro il grassetto).

59 Ovvero alcuni brani inclusi nelle stampe di BONINI 1607, BRUNELLI 1613 e 1614, ove si specifica quando

l’autore di un testo si identifica con Carlo Bocchineri o con Ferdinando Saracinelli (entrambe personalità molto legate al compositore toscano).

60 Per l’elenco dei quali si veda l’Incipitario dei testi in volgare, p. 320 e sgg.

61 Come già visto, le intonazioni sono in totale 672, ma vengono esclusi in questo caso i 14 testi in latino, di

cui diremo nel paragrafo 4.5.

62 Bellissima regina (Gabriello Chiabrera o Ottavio Rinuccini); Caro e soave legno (Ottavio Rinuccini?); Ecco ch’io

verso il sangue (Michelangelo Buonarroti il Giovane?).

63 Per quanto riguarda le risorse utilizzate per le attribuzioni dei testi si rimanda ai I testi poetici / Note al testo,

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soprattutto il repertorio poetico per canzonetta a essere fortemente caratterizzato dall’anonimia. Nella maggior parte delle situazioni sono poesie che conoscono, all’interno dei libri presi in esame, una sola intonazione, talora una seconda, 7 volte una terza;64 soltanto la celebre egloga di Sannazzaro La pastorella mia spietata e rigida ha 5 diverse vesti musicali (a opera però di soli 3 compositori): ben tre versioni di Brunelli,65 una di Falconieri e una di Rontani.66

Il poeta più musicato risulta Chiabrera con 27 testi intonati (34 se consideriamo i 7 brani tratti da suoi libretti d’opera, di cui diremo); seguono Guarini con 26, Marino con 24, Ottavio Rinuccini con 23, il musicista e poeta Francesco Rasi con 21, il monaco e priore vallombrosano Crisostomo Talenti con 17 (musicati soltanto dal confratello Severo Bonini); quindi Michelangelo Buonarroti il Giovane con 16 componimenti (più uno di probabile ma non certa attribuzione), Petrarca e Carlo Bocchineri con 11, infine Alessandro Ginori e il musicista Pietro Benedetti con 9. Alcuni di questi vengono musicati da più di un compositore. Escluso l’occasionale Talenti e il raro quanto celebre caso di Rasi,67 si tratta per il resto di autori noti, alcuni dei quali già ampiamente celebrati in campo polifonico nel corso del Cinquecento (si pensi a Guarini, con testi tratti tanto dalle Rime quanto, in 5 casi, dal Pastor Fido,68 nonché a Petrarca); talvolta siamo invece di fronte a illustri contemporanei (Marino); tra i primi posti troviamo poi intellettuali appartenenti al nuovo milieu culturale fiorentino (Rinuccini e Buonarroti il Giovane); anche se presenti in maniera ridotta non mancano inoltre i nomi di Torquato Tasso (con 4 poesie di cui, oltre a due madrigali, un’ottava dalla Gerusalemme Liberata e alcuni versi

64 Questi i titoli: Accorta lusinghiera; Anima ohimè che pensi, ohimè che fai; Care luci che vaghezza; Io vidi in terra angelici

costumi; O miei giorni fugaci, o breve vita; O primavera gioventù dell’anno; Vergine bella che di sol vestita.

65 Sia a una voce sia a due voci (o tre, «se piace», con la presenza una terza che coincide però col basso

continuo) in BRUNELLI 1613, quindi ancora a due voci (anche in questo caso con una terza voce uguale alla linea del continuo) in BRUNELLI 1614.

66 È infatti un componimento intonato sin dal 1580 che, stando al RePIM, conosce quasi 20 diverse

intonazioni tra versioni polifoniche e a una o più voci e basso continuo.

67 Tra i musicisti noti anche come poeti si ricordano Marc’Antonio Mazzone (1556-1626), Giovanni Battista

Massarengo (1569- c.1596), Filippo Nicoletti (c.1555-1634), Girolamo Parabosco (c. 1524-1577); nel Seicento, oltre Francesco Rasi e – con ogni probabilità – Pietro Benedetti, Bartolomeo Barbarino (nato c. 1568) e Sigismondo d’India. Cfr. BIANCONI 1986, p. 342.

68 Sui versi della tragicommedia pastorale guariniana sono musicati i brani O primavera, gioventù dell’anno; Ch’io

t’ami e t’amo più della mia vita; Care mie selve, addio in RONTANI 1614; Cruda Amarilli, che col nome ancora e

Quell’augellin che canta in VISCONTI 1616. Sulla fortuna del Pastor Fido in musica si vedano HARTMANN 1953 e CARACI VELA 1990.

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tratti da Aminta),69 Jacopo Sannazzaro (con 2 testi, di cui un’egloga dell’Arcadia)70 e Pietro Bembo (un solo sonetto intonato).

Il posto di riguardo spetta evidentemente al savonese Gabriello Chiabrera (1552-1638) che, diversamente da Marino e dai marinisti, ebbe come modello quello delle forme classiche: educato a Roma presso i Gesuiti, il recupero della poesia antica nasceva in lui dalla volontà di far acquisire ai versi misura e razionalità attraverso un linguaggio poetico non retorico, semplice ma allo stesso tempo elegante e raffinato. Anche l’adozione di versi molto brevi (in particolare i parisillabi) e di rime ravvicinate proveniva dal desiderio di far rivivere i metri antichi, senza mai trascurare l’aspetto ritmico del verso.71 La sua canzonetta melica, o semplicemente canzonetta (detta anche ode), fu il risultato di un esperimento di lirica anacreontica, che dal poeta greco riprendeva in realtà solo i temi e l’uso del metro; la forma era esemplata invece su quella impiegata dal poeta francese Pierre Ronsard (1524-1585).72 L’atteggiamento di Chiabrera proveniva anche dalle sollecitazioni degli ambienti musicali del tempo, cui erano esplicitamente rivolte gran parte delle sue composizioni («io ho preso a far versi, i quali possano cantarsi», dichiarava in una lettera del dicembre 1608).73 Egli scrisse infatti spesso per musica, da camera e

69 Ho visto al pianto mio in BENEDETTI 1617. Tale intonazione a voce sola è seguita solo da quella, sullo stesso

testo, di Giovanni Macigni-Benedetto Magni (1617) e da Vorrai dunque pur Silvia di Allegro Porto (1625); si veda l’elenco redatto da Antonio Vassalli in L’Ariosto, la musica, i musicisti 1981, pp. 45-90: 59-60. Sulla scarsa fortuna dell’Aminta in musica cfr. CHEGAI 1994.

70 Si tratta del celebre La pastorella mia spietata e rigida, uno dei testi dell’Arcadia musicati con più frequenza che,

come già osservato, conosce 5 intonazioni a opera di 3 compositori. Sull’intonazione delle egloge di Sannazzaro si veda LEOPOLD 1979 (in particolare, su questo componimento, le pp. 85 e 104).

71 Giorgio Bertone ha elencato le innovazioni metricologiche più rilevanti dei componimenti chiabreriani:

negazione tendenziale dell’isosillabismo, parificazione in dignità di tutti i versi, sovrapposizione della metrica classica per piedi e stichi sulla metrica romanza, introduzione nel verso italiano tradizionalmente a cesura debole di strutture a cesura forte, tendenzialmente fissa. Cfr. BERTONE 1993.

72 Cfr. NERI 1920. Chiabrera aveva alle spalle il gusto italiano, maturato a Roma e durante l’esperienza nelle

corti dei Medici e dei Savoia, presso le quali soggiornò diversi anni; risentiva nello stesso tempo anche di un gusto tutto europeo, in particolare di quello francese della Pléiade, avvicinato negli anni della sua formazione romana tramite gli insegnamenti di Marc-Antoine Muret, il letterato che fece conoscere la poesia ronsardiana in Italia. Anacreonte, Pindaro, Saffo, Simonide, Catullo, Orazio furono per Chiabrera fonti preziose di innovazioni metriche e linguistiche. Le raccolte a cui la produzione di canzonette di Chiabrera è consegnata sono: Canzonette (Genova 1591); Le maniere de’ versi toscani (Genova 1599, dove l’esperimento metrico si spinge fino in fondo e l’imitazione dei classici diviene preponderante); Scherzi e canzonette morali (Genova 1599);

Vendemmie di Parnaso (in Rime, Venezia 1605, parte I).

73 La citazione è in KIRKENDALE 1993, p. 607. Già nel 1599, nella Dedica del prestanome Lorenzo Fabri,

curatore delle Maniere de’ versi toscani, a Giovanni Battista Doria, Signore di Sassello, il Fabri scriveva: «Queste canzonette furono fatte dal S[ignor] Chiabrera a richiesta di musici; poi per farne piacere a me s’è contentato che si stampino […]». Rivendicava, inoltre, una maggiore libertà del versificare toscano giustificandola come più funzionale a una maggiore pieghevolezza musicale dei componimenti: «Né tacerò ch’avendo i versi lirici speciale riguardo ad essere cantati, i musici con maggiore altrui diletto e loro minor fatica, variano le note sui

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da teatro, per occasioni ufficiali come per quelle di intrattenimento della vita di corte, consapevole delle possibilità musicali dei suoi componimenti.74 I musicisti amavano questa maniera variata di verseggiare perché induceva naturalmente una veste musicale: Caccini, nella Prefazione alle sue Nuove Musiche, affermava ad esempio di apprezzare Chiabrera per l’alta qualità dei suoi testi, in particolare per la varietà dei versi (parla infatti di «molte canzonette di misure varie di versi»).75 La versificazione anacreontica, ove arsi e tesi si alternavano con regolarità, presentava infatti varie analogie con la pratica del tactus dei musicisti.76 Se la poesia di Chiabrera non ebbe un immediato sbocco letterario (nelle antologie di Rime antecedenti al Seicento scarsissima era infatti la presenza di suoi componimenti), in musica il suo successo fu immediato, in particolare, come abbiamo visto, nel nuovo genere a una o più voci e basso continuo.77

Quanto agli autori meno intonati (i cui componimenti musicati nelle 29 stampe sono compresi tra un minimo di uno e un massimo di 4) ricordiamo i fiorentini Ludovico Arrighetti, Gino Agnolo Capponi, Jacopo Cicognini, Francesco Cini, Giovanni Della Casa e Giovan Battista Strozzi; i bolognesi Francesco Maria Caccianemici, Ridolfo Campeggi e Girolamo Preti; i ferraresi Orazio Ariosti, Alessandro Guarini, Maurizio Moro e Annibale Pocaterra; i genovesi Ansaldo Cebà e Livio Celano / Angelo Grillo; l’orvietano (ma dignitario della corte medicea) Ferdinando Saracinelli; il mantovano Giovan Battista Striggio. Troviamo altresì nomi di sacerdoti o religiosi (ma autori di testi dal contenuto profano) quali Desiderio Cavalcabò, Marcello Macedonio, Sebastiano Querini, Giovanni

versi i quali non sempre sono gli stessi […]» (CHIABRERA 1998, pp. 3-10). Per il rapporto di Chiabrera con gli ambienti musicali del suo tempo, in particolare negli anni della sua formazione romana, cfr. RUSSO 1993.

74 Nel 1611 scrisse infatti delle canzonette per Rasi e la Basile inviandole a Mantova e indicando loro come

cantarle. Cfr. KIRKENDALE 1993, pp. 580-581. Oltre a essere apprezzato dai letterati e dai musicisti fiorentini del Seicento per le sue liriche, Chiabrera fu impegnato in vari lavori di corte per i Medici. Dovette la sua fama soprattutto al Rapimento di Cefalo, rappresentato con le musiche di Caccini per le nozze di Maria de’ Medici nel 1600; si ricordano poi la canzone da lui scritta per il balletto a cavallo in occasione del matrimonio di Cosimo II con Maria Maddalena d’Austria nel 1608, le parole per il ballo Vegghia delle gratie rappresentato a Pitti nel carnevale 1615 su musiche di Jacopo Peri e “Lorenzino del Liuto” e coreografie di Agnolo Ricci; e ancora, il testo per l’intermedio di Belli, Orfeo dolente, per il carnevale del 1616, e la Galatea, rappresentata nel 1617 a Mantova su musiche di Santi Orlandi per le nozze di Caterina de’ Medici con Ferdinando Gonzaga.

75 Quanto lo stesso Chiabrera fosse consapevole della maneggevolezza con cui i musicisti si avvalevano delle

canzonette polimetriche per il nuovo genere a una o più voci e basso continuo è ben noto da tempo in primo luogo dagli studi di Silke Leopold. Cfr. LEOPOLD 1981.

76 L’intima connessione tra poesia e musica era stato il principio che aveva pervaso già tutta l’opera di

Ronsard.

77 Per tutti i componimenti musicati su testo di Chiabrera, l’elenco dei quali è ricavato dal RePIM, si veda

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Villifranchi; completano l’elenco le poetesse Maria Menadori e Isabella Andreini Canali, nota attrice.

Come è evidente, le scelte poetiche operate dai musicisti che scrivono nel nuovo stile sono spesso rivolte a componimenti di poeti minori o occasionali,78 anche se non si può escludere la presenza criptata di autori noti dietro componimenti pervenutici adespoti. Abbiamo già parlato, inoltre, di quei musicisti e poeti (Francesco Rasi e Pietro Benedetti) autori, stando a quanto esplicitamente dichiarato nelle stampe, tanto di alcuni testi quanto della veste musicale dei libri rispettivamente del 1608 e 1610 e del 1617.

Sebbene non sia possibile risalire alla paternità della maggior parte dei componimenti, da quelli di cui conosciamo l’autore si evince che le “Nuove musiche” dettero veste musicale tanto a liriche non nate per le note (madrigali, sonetti, ottave, stanze di canzone), sia a componimenti facilmente musicabili (quali le canzonette meliche di stampo chiabreriano), sia, infine, a versi appositamente pensati per l’intonazione (ad esempio quelli scritti a questo fine da Michelangelo Buonarroti il Giovane, soprattutto per Francesca Caccini, o gli 11 del pratese Carlo Bocchineri per Brunelli).79

Da un punto di vista contenutistico, soprattutto nei madrigali siamo prevalentemente al cospetto dell’evocazione di un mondo idillico e sentimentale, dove si muovono Amore, personaggi mitologici quali Fillide, Clori, Ïole ed Euterpe, le ninfe Clizia e Neera, e ancora Amarilli e i pastori. I madrigali esprimono in genere