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Modalità d’intonazione e possibile destinazione di un brano spirituale:

Come già anticipato, su un totale di 26 titoli presenti nella stampa di Gagliano, 9 sono di argomento spirituale: 3 sono incentrati sul tema della Natività, i restanti sulla morte di Cristo, sulla morte umana, e ancora sulla figura di Maria, sia sotto forma di preghiera (Stella del mare, n. 21, è ad esempio una libera parafrasi del noto inno latino Ave maris stella) sia come componimenti incentrati sul pianto della donna ai piedi della croce. 5 sono per voce sola,33 4 per due voci;34 3 canzonette

31 Ad esempio CACCINI 1602; RASI 1608; BRUNELLI 1613; BRUNELLI 1614; CACCINI 1614; CALESTANI 1617;

CACCINI 1618; VITALI 1617; PERI 1619; FRESCOBALDI 1630a e b.

32 ZUCCO 2001, pp. 97-105: 97. Un altro elemento riscontrabile in alcune delle canzonette intonate nelle

nostre stampe, ma non in quelle musicate in questo libro di Gagliano, è, invece che la presenza di elementi ritornellistici in ogni strofa, quella di elementi di corrispondenza formale tra le stanze, come il ritorno di un medesimo verso nella prima e nell’ultima strofa o ancora la ripetizione, con qualche variazione, della stanza iniziale con quella finale; elementi che determinano quindi una sorta di circolarità nella canzonetta.

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presentano inoltre un ritornello strumentale che presuppone la presenza di uno o più strumenti che eseguano, sull’accompagnamento del continuo, la linea melodica: brevi interludi musicali che caratterizzano, entro questo e altri libri di musiche nel nuovo stile, anche alcuni brani profani.

Ad attrarre la nostra attenzione è Ecco ch’io verso il sangue, una canzonetta di quattro stanze di sei versi ciascuna, endecasillabi e settenari, intervallate da un ritornello di due versi, che si ripete identico al termine di ogni strofa. Da un punto di vista formale e contenutistico, si tratta di una libera parafrasi in volgare del testo latino di una parte degli Improperia, i versetti cantati sia antifonicamente sia responsorialmente durante l’Adorazione della Croce all’interno dell’azione liturgica del Venerdì Santo. Come si ricorderà, negli Improperia, ossia frasi di lamento, si esprimono i paterni rimproveri rivolti dallo stesso Gesù al popolo ebraico, che l’ha tradito e abbandonato alla morte, in particolare attraverso la contrapposizione tra i benefici fatti da Dio al suo popolo e le sofferenze inflitte a Cristo nella Passione. Nella prima parte, tre Improperia sono destinati ai solisti; a ogni strofa risponde il primo coro con il Trisághion (ovvero ‘tre volte Santo’), a cui replica un secondo coro con le medesime parole in latino (Sanctus Deus). La seconda parte ribadisce gli stessi concetti, ma suddivisi in nove Improperia (cantati dai solisti su modello salmodico), intercalati dal coro che ripete ogni volta i primi versi con cui aveva esordito il solista nella prima parte: «Popule meus, quid feci tibi? Aut in quo contristavi te? Responde mihi!», ovvero i medesimi del ritornello di Gagliano. Come è evidente, quindi, il componimento in volgare intonato dal nostro musicista si modella sui contenuti e sulle modalità esecutive di questa seconda parte.

34 In genere due Tenori.

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Ecco ch’io verso il sangue, Tenore II

ecco ch’a morte io vegno; Tenore I

placa, Israel, lo sdegno, Tenore I + Tenore II

già vedi in croce il tuo Signor esangue: Tenore I + Tenore II

popol cotanto amato, 5 Tenore II

popol cotanto ingrato. Tenore I + Tenore II

Rispondi, o popol mio, CORO A 5 VV.

in che t’offesi mai, che t’ho fatt’io?

Ohimè, che per tuo bene Soprano

armando il braccio invitto 10 Soprano

l’empia città d’Egitto, Soprano

con piaghe flagellai d’orribil’ pene: Soprano

tu mi piaghi le membra, Soprano

né di ciò ti rimembra. Soprano

Rispondi, o popol mio, 15 CORO A 5 VV.

in che t’offesi mai, che t’ho fatt’io?

Te da servaggio acerbo Tenore

trassi fuor di periglio, Tenore

e dentro al mar vermiglio Tenore

per te sommersi Faraon superbo: 20 Tenore

tu mi dai per mercede Tenore

a chi mia morte chiede. Tenore

Rispondi, o popol mio,

in che t’offesi mai, che t’ho fatt’io? CORO A 5 VV.

Sai pur che per tuo scampo 25 Soprano II

del mar apersi l’onde, Soprano I

e sicuro alle sponde Soprano I + Soprano II

ti trassi fuor del periglioso campo: Soprano I + Soprano II

tu, perch’io venga meno, Soprano I

m’apri col ferro il seno. 30 Soprano I + Soprano II

Rispondi, o popol mio, CORO A 5 VV. in che t’offesi mai, che t’ho fatt’io?

Proprio negli ambienti confraternali e laicali fiorentini è documentabile una lunga tradizione legata a questo momento della liturgia del Venerdì Santo. Come ha osservato Lucia Boscolo,35 infatti, moltissime laude in volgare dei secoli XV e XVI di provenienza fiorentina si richiamano o riprendono in maniera diretta il modello degli Improperia liturgici.36 Nel brano di nostro interesse, raccogliendo l’idea di una struttura dialogata tra Cristo e il peccatore e di una espressiva logica drammatica, Gagliano fa intonare la prima strofa a due Tenori, la seconda a un solo Soprano,

35 Si veda BOSCOLO 2005, pp. 161-162.

36 Secondo quanto dimostra la studiosa, la lauda sul tema del rimprovero di Cristo in croce, che godette di una

grande fortuna in àmbito devozionale, è inquadrabile in un filone poetico-musicale compatto che si estende dalla metà del Trecento all’Ottocento. Nell’elenco di 43 testi in volgare da lei redatto, 27 provengono da fonti fiorentine quattro-cinquecentesche in cui figurano, tra gli autori dei testi, Feo Belcari, Lucrezia e Lorenzo de’ Medici, o ancora, nel corso del secolo XVI, Serafino Razzi.

con b.c. no b.c. con b.c. con b.c. con b.c. no b.c. no b.c. no b.c.

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quindi la terza a un Tenore, infine la quarta e ultima a due Soprani, secondo una struttura perfettamente speculare; il ritornello al termine di ogni stanza viene invece assegnato a 5 voci (2 Soprani, Alto, Tenore e Basso), senza il supporto del continuo. Nelle due strofe intonate dai due solisti, il primo verso viene eseguito sempre dal secondo cantante (nel registro più grave), quindi il verso successivo è affidato al primo, una terza sopra; i due centrali vengono cantati da entrambi (uno in modo omoritmico, il seguente a canone, sempre una terza sopra); quindi il penultimo è intonato dal secondo solista e il verso conclusivo di nuovo omoritmicamente da entrambi.37 L’alternanza tra scrittura a una o due voci e basso continuo e scrittura polifonica, nonché il fatto che la prima richieda un’abilità tecnica decisamente maggiore rispetto al coro, portano a ipotizzare che questa composizione sia stata pensata per solisti e coro e che il ritornello, breve e di facile memorizzazione, potesse essere affidato anche a un coro di giovani, quali appunto quelli dell’Arcangelo Raffaello. Tale modalità esecutiva è in effetti testimoniata nei Ricordi della suddetta Compagnia (conservati manoscritti presso l’Archivio di Stato di Firenze), a proposito di un cantante e suonatore che si esibì spesso all’Arcangelo Raffaello e che fu determinante per lo sviluppo in questo luogo del canto in stile recitativo: Raffaello di Ser Francesco Gucci.38 Tra gli anni ’80 del Cinquecento e il primo decennio del Seicento, per importanti occasioni o ricorrenze quali le feste liturgiche di Ognissanti e dell’Immacolata concezione, i riti della Settimana Santa o ancora le visite dei granduchi, Gucci si esibì nei locali della Compagnia da solo (spesso accompagnandosi al buonaccordo) o forse talvolta con Giulio Caccini, coinvolgendo talora direttamente i giovani.39 Come testimoniano alcuni resoconti confraternali, talvolta egli cantava infatti da solista, mentre il coro dei fanciulli interveniva nel ritornello:

La sera si disse l’uffizio intero de morti per l’anime di tutti, et Guardiani correttori et fratelli della casa, sì come è usanza fare ogni prima domenica doppo la festività di tutti i Santi, avendo fatto alquanto d’apparato, et dal nostro amorevole fratello Raffaello Gucci fu cantato il Miserere et il Benedictus sur un buonaccordo, et il coro rispondeva, quale dette molto contento ai fratelli et [agli] altri che per loro divozione erano venuti per sentire.40

37 Per la trascrizione completa del brano si vedano le pp. 240-243. 38 EISENBICHLER 1998, pp. 239-240.

39 HILL 1979a (ed. it.), pp. 120-122.

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E ancora, durante l’adorazione della croce del Venerdì Santo del 19 marzo 1585:

Francesco di Bernardo Puccini fece il prego alla [Croce] con gran fervore et divozione, et, mentre s’andava a baciarla, Raffaello Gucci cantava e sonava [sul] suo strumento i soliti versetti.41

Nonostante che all’altezza temporale in cui Giovanni Battista da Gagliano fu maestro di cappella Gucci fosse già morto da qualche anno, è da ritenere che questa modalità esecutiva fosse divenuta consueta nella confraternita, magari in determinate occasioni e al cospetto di uno o più cantanti di professione; ciò avvalorerebbe l’ipotesi che sia stata questa la prassi prevista anche per l’esecuzione di Ecco ch’io verso il sangue e che la destinazione di questa composizione fosse proprio la Compagnia dell’Arcangelo. La stampa risale infatti al 1623, anno in cui Gagliano era in servizio in questo luogo.

Il medesimo testo poetico si legge in una redazione manoscritta conservata tra le carte di Casa Buonarroti a Firenze. Pochi anni prima dell’edizione da parte di Gagliano era già stato musicato e pubblicato da Francesca Caccini nel suo libro di Musiche. In questo caso, tuttavia, sembra da escludere che fosse indirizzato a a una realtà confraternale, giacché il brano comporta l’esecuzione integrale a opera di un’unica cantante, oltre che notevoli difficoltà esecutive che lasciano supporre che tale pagina musicale venisse intonata da una professionista o da un’allieva della Caccini con spiccate qualità vocali.42

Quanto alla destinazione dei restanti brani spirituali, non è da escludere un loro utilizzo all’interno di altri luoghi religiosi in cui fu attivo Giovanni Battista da Gagliano, oltre all’Arcangelo Raffaello, quali ad esempio il monastero della Crocetta, o ancora la Compagnia di San Benedetto Bianco, della quale fu membro.43 La spiritualità penitente che caratterizzò quest’ultima, dovuta tanto all’originaria derivazione benedettina quanto all’influsso del frate correttore Domenico Gori (come emerge dalle opere a stampa e manoscritte di quest’ultimo), incentrata sul

41 Ivi, p. 123.

42 Per un’analisi e una trascrizione parziale del brano musicato dalla Caccini si veda CUSICK 2009, pp. 124-

128.

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sacrificio di Cristo, alla cui somma perfezione i confratelli potevano giungere solo con un lento cammino spirituale caratterizzato da digiuni e penitenze, rende plausibile che le composizioni di Gagliano che hanno come oggetto la morte di Cristo e il planctus Mariae fossero state originariamente concepite per questo ambiente. Analogamente alle molte opere artistiche dipinte per i locali di San Benedetto Bianco da grandi artisti del Seicento fiorentino (spesso membri essi stessi del sodalizio) e raffiguranti immagini con cui si ripercorrevano le tappe principali della Passione e si esortavano i confratelli alla mortificazione spirituale e corporale (con ricorrenti soggetti come il Cristo sul Calvario o la Croce), anche le musiche di carattere penitenziale avrebbero potuto avere il fine di suscitare nei confratelli, mediante testi meditativi e linee melodiche dai toni più mesti, i medesimi sentimenti sperimentati da chi fu presente alla Passione, come la Vergine Maria, o ne fu il soggetto, come lo stesso Gesù.44