Recinzione
Porosità
Lavoro nel vuoto
Superficialità Piana
Superficialità Profonda
“Il dispositivo, o l’apparato, ha essenzialmente una natura strategica, il che significa dare per scontato che si tratta di una certa forma di manipolazione di oggetti o forze raggiunta sviluppandole in particolari direzioni, arrestandole, stabilizzandole, utilizzandole ecc. L’apparato è perciò sempre iscritto in un gioco di potere, ma è anche sempre legato ad alcune coordinate di sapere che nascono da esse sebbene, in ugual misura, lo condizionano.” (Michel Foucault)1 La ritrovata attenzione verso lo spazio aperto della città contemporanea, pone un problema tanto teorico quanto pratico nella definizione di paradigmi morfologici nuovi nella configurazione del vuoto, per il quale ormai è evidente non possano più sussistere tutte le regole formali della città storica.
Il lavoro di definizione e classificazione del progetto dello spazio aperto attraverso l’individuazione di dispositivi ha come obbiettivo quello di strutturare un campo di azioni possibili attraverso una ricerca di regole compositive ed invarianti formali che possano configurare nuove chiavi paradigmatiche per il progetto.
Attraverso la sua duplice anima di aggettivazione attraverso cui si ordina e si stabilisce una determinata condizione, da un lato, e di congegno utile a una funzione specifica, dall’altra, il termine dispositivo rappresenta al meglio lo strumento di ordinamento e attuazione di un meccanismo logico.
In questo senso si intende dare vita ad una sorta di modello/strumento capace da un lato, in quanto regola, di estendersi e generalizzarsi e dall’altro di calarsi nel caso specifico declinando così l’idea formante caso per caso.
La scelta della modalità tassonomica operata da questa ricerca attraverso l’individuazione dei dispositivi, a partire da casi studio emblematici scelti tra Spagna e Portogallo, intende proporre una chiara classificazione che a partire da una specifica strategia formante a cui di volta in volta si fa riferimento, apra il ragionamento a nuove modalità di configurazione dello spazio aperto con cui oggi possiamo confrontarci. I singoli dispositivi quindi, così come sono individuati e messi in sequenza, definiscono un campo limitato di possibili di modalità compositive che si possono mettere in atto nel caricare di significati il progetto architettonico del vuoto.
Il processo logico che guida le scelte della ricerca nasce da un metodo di tipo abduttivo (dal latino ab-ducere, condurre lontano da) che, attraverso l’approccio metodologico della Fenomenologia, guarda come punto di partenza all’evidenza empirica del risultato formale del caso studio analizzato, il quale contiene già in sé la regola da astrarre e con la quale dedurre le caratteristiche specifiche del caso che si sta indagando.
L›immagine formale dei casi studio individuati, rappresenta così lo strumento attraverso il quale è possibile leggere le regole e risalire così ai dispositivi che reggono la composizione geometrico-relazionale dello spazio architettonico.
In questo senso il dispositivo rappresenta la regola che, stando al centro del processo abduttivo, diviene la chiave di volta della ricerca, capace di trasformare le molteplici letture che si possono compiere sui casi studiati in un fatto architettonico chiaramente leggibile e distinguibile dagli altri. Questo studio attraverso lo strumento grafico del diagramma, inteso nella sua duplice anima analitico-generativa, intende astrarre le regole compositive e le linee di costruzione geometrica latenti nei progetti esaminati.
I casi presi a riferimento sono ordinati in sei dispositivi, corrispondenti a sei categorie elementari di gesti compositivi sul vuoto: Disposizione, Recinzione, Porosità, Superficialità piana, Superficialità Profonda e Densificazione. I sei dispositivi, a loro volta, definiscono due grandi gruppi di possibile lavoro nello spazio aperto. I Primi tre infatti, Disposizione, Recinzione e Porosità, rappresentano delle categorie spaziali in cui il vuoto, in modi differenti, entra in diretta relazione con il pieno che lo circonda. I secondi tre casi invece, Superficialità piana, Superficialità profonda e Densificazione, corrispondono a gesti progettuali che si collocano all›interno del vuoto conformandolo, quasi astraendolo dal pieno e quindi donandogli una certa autonomia formale.
Ogni dispositivo individuato viene analizzato attraverso due casi studio emblematici per differenti condizioni al contorno e soprattutto per una differente declinazione del dispositivo, in modo da evidenziare una possibile articolazione applicativa del metodo.
Nell’ambito di questa articolazione del progetto per dispositivi si possono riconoscere attraverso i disegni diagrammatici tutta una serie di azioni sullo spazio che rimandano ai temi teorici trattati nella prima parte della ricerca e che definiscono letture trasversali possibili. Quindi oltre al riconoscimento del «dispositivo formante» ed alla sua graficizzazione diagrammatica si riconoscono altri tre grandi ambiti concettuali determinanti rispetto al risultato spaziale del caso studio specifico e che definiscono un›applicazione dei temi teorici trattati. Per ogni singolo caso di studio si individuano quindi una o più «azioni
sul vuoto», ovvero idee preliminari ed elementari di configurazione dello spazio che riprendono le categorie di Astrazione, Costruzione interna, Calco e Disoccupazione, individuate nel primo capitolo della Ricerca Teorica, riferita alla categoria del «Vuoto».
Il secondo grado di analisi interessa invece le «operazioni compositive sullo spazio» e riguarda la forma del vuoto e del pieno che lo confina, strutturandosi attraverso le categorie e sottocategorie spaziali individuate nel secondo capitolo della ricerca teorica, e quindi relativo allo «Spazio». Gli esempi sono quindi messi a confronto con le categorie geometriche individuate di Regione, Linea e Frammento e con le loro rispettive declinazioni, descrivendo così la configurazione geometrico-formale della relazione pieno-vuoto.
Il terzo e ultimo passaggio analitico riferito al caso studio, che si ritrova nei «risultati spaziali», si popone invece, partendo dai temi di misura e densità che completano il terzo capitolo della prima parte ovvero «il Luogo», di restituire le regole, le misure e soprattutto i gradi di densificazione assunti dal vuoto attraverso il progetto.
Si delinea così una geometria di relazioni e rimandi tra le diverse parti della ricerca che ne chiarisce la complessità e l’articolazione e ne prefigura il carattere di implementazione possibile attraverso nuovi casi di studio, in un quadro estremamente aperto ad accogliere nuove forme possibili di relazioni entro gli spazi della città.
Parlare di dialettica vuoto-pieno significa innanzitutto mettere in relazione i due concetti e legarli in maniera biunivoca, immaginando il vuoto solo in contrapposizione con il pieno e viceversa. Una lettura positivo- negativo che, come nella cultura orientale dello yin e dello yang, intende pieno e vuoto come due figure incastrate l’una nell’altra e trova la sua espressione tra gli opposti a contatto. Proprio nella cultura orientale, come già detto nei capitoli precedenti, il vuoto esiste come materia alla pari del pieno, rispetto al quale è però inscindibile e dalla cui dialettica derivano le rispettive qualità.
Attraverso questo punto di vista, il vuoto consiste nella pausa tra due pieni, nello spazio “in between”, che nella stretta relazione con le parti piene trova una chiara e definita configurazione del suo limite e quindi della sua morfologia. Una relazione di continuità tra le due entità che diviene ritmo nella sequenza scandita dal pieno e dal vuoto, dal suono e dal silenzio, una visione che ricorda, per fare un esempio, quella della già citata Pianta per Roma del Nolli.
Questo approccio vede il vuoto quasi come cavato dal pieno, uno stato di sottrazione di materia che sottolinea ancora una volta la stretta relazione tra i due concetti, tanto che si può ribaltare il punto di vista ed immaginarlo in negativo considerando il vuoto come una massa spaziale attraverso una operazione di calco.
Il calco appunto rappresenta l’operazione più immediata di ragionamento in negativo che vede prendere forma materica al vuoto dal pieno utilizzato come stampo. Attraverso questa operazione è possibile applicare un’analisi sul vuoto come se fosse un pieno, apprezzandone in maniera volumetrica lo sviluppo formale e le differenti consistenze spaziali di dilatazione e compressione.
In questo senso è interessante citare una esperienza contemporanea per certi versi controversa sul tema del vuoto e del suo calco, ad opera dell’artista Anthill Art interessato ai formicai in quanto strutture organizzate di vuoti, che mette in luce nelle sue sculture in alluminio. Dopo aver fuso il metallo, l’artista lo versa direttamente nei formicai che utilizza come stampo e una volta che l’alluminio si solidifica ottiene un vero e proprio calco che mostra come pieno l’intricata e porosa struttura del formicaio.
La relazione tra vuoto e pieno, tra massa e spazio sottratto è essenzialmente ciò che conforma l’architettura a tutte le sue scale e la sua stessa rappresentazione diviene un problema espressivo fondamentale in quanto portatrice di un’intenzionalità precisa tanto analitica quanto progettuale. In questo modo, trasponendo tale ragionamento alla città letta in negativo, immaginandone un ipotetico calco che evidenzi il giustapporsi degli spazi aperti in relazione a quelli costruiti, è possibile «considerare l›architettura non come un oggetto in sé, ma nella relazione di accostamento con il tessuto esistente e il territorio più ampio. Ciò vuol dire considerare la relazione tra il vuoto e il pieno tra la figura e lo sfondo (suolo) come uno degli obbiettivi