Antonella Milano (Ecostistema Urbano)
LA PINK STREET
G.Z.: Nell’ambito della ricerca ho selezionato il tuo noto progetto Pink Street a Lisbona come caso studio e l’ho classificato sotto la categoria Superficialità piana, intendendolo come un progetto sullo spazio urbano che formalmente prescinde dal contesto costruito e che attraverso il solo uso del colore della superficie stradale riesce a dare forma e significato ad uno spazio della città cambiandone radicalmente il volto.
Sei d’accordo con questa prima classificazione ed interpretazione del tuo progetto?
J.A.: Si, sono d’accordo con questa classificazione che hai fatto, il progetto è tanto semplice quanto efficace, è una superficie di colore rosa, un progetto effimero, che ha però stravolto l’identità del luogo.
G.Z.: Puoi spigare un po’ la storia di questo interessante progetto e del
luogo in cui è collocato?
J.A.: Questa Strada non è una strada qualunque a Lisbona, dagli anni ‘60 era nota come “strada delle prostitute” in cui i marinai usavano andare in cerca di donne. Era una strada piena di vita con attività per lo svago e bar con nomi di luoghi esteri come: Giamaiaca, Tokyo, Amsterdam ecc. Col passare del tempo, per vari motivi queste attività, che avevano reso la strada tanto vivace, hanno conosciuto un periodo di decadenza e la strada aveva perso la sua peculiarità, aspettando qualcosa che la risollevasse, in uno stato si sospensione. Poi dopo gli anni ‘90 iniziarono ad essere aperti nuovi Bar per la vita notturna giovanile attirando nuove persone e trasformando la strada in uno dei ritrovi della vita notturna più noti di Lisbona.
circa cinque anni fa un gruppo di imprenditori del settore ha deciso di investire nella strada aprendo locali vari come ristoranti e tapas-bar, tentando di mutare la vocazione ricettiva dell’area e trasformandola in un polo importante.
G.Z.: è questo il momento in cui si è pensato all›audace trasformazione nella Pink Street?
J.A.: Si ma la storia è un po’ più articolata. Una volta ero lì in un bar e un importante imprenditore della zona mi disse avrebbe voluto assieme ad un gruppo di gestori dei locali fare qualcosa per rinnovare la strada con una nuova pavimentazione ma non avevano molti soldi. così io dissi: «Perché non la dipingete? Magari di rosa!». infatti dopo un paio di mesi senza comunicazioni ufficiali dipinsero la strada di rosa in maniera autonoma che quindi cominciò ad essere conosciuta come Pink street acquisendo
Seci Conversazioni sul vuoto
un›identità molto forte che attirava un numero sempre maggiore di persone. Dopo pochi mesi, data la bassa qualità della vernice, non adatta all›opera, e l›estemporaneità dell›operazione, la strada perse gran parte del suo colore, ma nonostante tutto continuava ad essere conosciuta come Pink street. Così a distanza di qualche mese un›associazione di proprietari dei bar e locali dell›area dal nome «Associação Cais do Sodré» pensarono ad una competizione invitando circa sei studi per dare proposte per rivalutare la strada. Noi fummo invitati e iniziammo a lavorare al progetto studiando la strada nelle varie ore del giorno e della notte, individuando le sue potenzialità e provando a definire l›eventuale strategia principale. Una cosa che spesso succedeva era vedere delle persone che camminavano per la strada rimanendo delusi del fatto che la famosa Pink street non fosse più rosa. Così la nostra strategia fu semplicemente quella di far tornare la strada colorata come prima attraverso un progetto che prevede una superficie rosa con strisce bianche, e con questa abbiamo vinto la competizione. Bisogna inoltre dire che la strada in un primo tempo fu pavimentata con uno strato di materiale simile a quello usato per le piste ciclabili, ma aveva il problema di assorbire troppo lo sporco senza essere in grado di essere pulita a dovere, così assieme all›associazione promotrice del progetto abbiamo deciso di verniciarla con una pittura adatta all›uso e che fosse maggiormente impermeabile allo sporco.
G.Z.: Oltre alla superficie rosa, il vostro progetto ha previsto anche
altro: una serie di elementi verticali, una sorta ti tabelloni luminosi per la pubblicità disposti su un lato della strada. Puoi spiegarci cosa sono? E come mai li avete collocati li?
J.A.: Il bando prevedeva un costo massimo di 50000,00 € di cui 30000,00 per la sistemazione della pavimentazione e 20000,00 per istallazioni di arte urbana. Noi non intendevamo invadere lo spazio con elementi ulteriori che sminuissero l’importanza della pavimentazione e del suo colore che dovevano rimanere protagonisti. Per questo abbiamo disposto lungo la strada 8 MUPPIS, una sorta di contenitori di manifesti pubblicitari usati in maniera flessibile nei vernissage di rassegne artistiche. All’interno possono essere collocate foto, disegni e istallazioni di ogni tipo, e quando non ospitano eventi artistici fungono da semplici elementi di illuminazione della strada. Questi MUPPIS somigliando proprio a dei tabelloni pubblicitari rappresentando un’immagine molto normale e comune nella città, non saltando quindi troppo nell’occhio lasciano la scena alla pavimentazione e al suo colore famoso.
G.Z.: Direi che quasi in contrapposizione con la semplicità dell’idea compositiva la scelta del colore rosa è talmente inusuale e radicale da rappresentare una volontà di cambiamento, di stravolgere i paradigmi
costitutivi e tradizionali della città. Un’idea tanto forte da aver conferito ad una delle tante strade della zona di Cais do Sondrè, Rua Nova do Carvalho, un’identità precisa legata per l’appunto al suo colore.
J.A.: è infatti incredibile. La forza dell›intervento è tale che ormai nessuno ricorda il vero nome della strada Rua Nova do Carvhallo. La strada come ho detto era già conosciuta per i locali, i bar e i ristoranti, ma da quando è stato attuato il progetto, si può dire che la strada e i suoi locali sono diventati un tutt›uno, un unico sistema, non esistono più una serie di locali accostati lungo una strada, ma un unico grande spazio composto tanto da quello interno dei bar quanto da quello esterno della strada chiamato col nome unico Pink steet, e tutto tramite la semplicità unificante ed identitaria della superficie rosa.
LA DENUNCIA DEL VUOTO: L’ISTALLAZIONE VAZIO-EMPTY G.Z.:Parlando di vuoto, che è il tema centrale della mia ricerca di dottorato, mi è sembrato interessante accennare ad una tua installazione a Chiado del 1999 dal nome Vazio Empty, quindi un lavoro sul concetto del vuoto attraverso la luce rossa che inonda gli ambienti disabitati dei negozi fronte strada su Rua Garrett a seguito del famoso incendio che ha interessato l’intera area.
Puoi spiegare le matrici compositive alla base dell’idea di questa installazione tra arte e architettura?
J.A.: Dopo il grande incendio accaduto a Chiado alla fine degli anni ‘80, per lungo tempo questa zona ha vissuto un periodo di abbandono, molti locali per negozi erano vuoti, e l’atmosfera era davvero desolante. L’istallazione infatti è del ‘99, circa dieci anni dopo l’incendio e ancora si respirava un’aria di abbandono, di attesa che succedesse qualcosa. Le strade con circa la metà dei negozi vuoti offrivano un’immagine aberrata della città, in cui i cittadini perdono la relazione con la strada commerciale, lo spazio a piano terra si svuota e dalle vetrine non riescono a vedere nulla. Ho deciso di fare un lavoro di critica che allo stesso tempo tenesse conto dell’esperienza urbana, cosi ho pensato di disporre in tutti i negozi vuoti delle luci rosse che inondassero lo spazio lasciato libero e che in qualche modo anche se in maniera astratta lo riempissero, in modo da mostrare e mettere in evidenza criticamente lo stato d’abbandono di Chiado a chi avrebbe passeggiato per la strada. . Fu una istallazione temporanea che durò circa tre mesi, e rientrava in un vasto programma di intervento organizzato da Diogo Teixera e il gruppo chiamato “Cidade e As Terras” che riunì circa dieci figure afferenti a discipline differenti come arte, architettura e danza a fare interventi, istallazioni e esibizioni a Chiado.
LO SVUOTAMENTO DELLA SCATOLA: CASA DA SEVERA