• Non ci sono risultati.

Il dibattito giuridico negli anni jenesi

Al fine di inquadrare la posizione hegeliana nel dibattito di quegli anni risulta proficuo presentare, sia pure in forma sintetica, uno schema delle correnti maggioritarie che caratterizzavano il pensiero giuridico nella Germania a cavallo dei due secoli e individuare, senza la pretesa di esaustività, le linee di tendenza che all’epoca stavano maturando nell’ambito della riflessione sul diritto. Ciò risulta di particolare interesse non solo in quanto il Saggio sul diritto naturale ha come scopo principale la critica agli approcci più comuni e diffusi del diritto, ma anche perché in quel periodo il diritto si afferma come ambito privilegiato dell’indagine filosofica e si registra una vera e propria rivoluzione nel modo di considerare e valutare le sue origini e i suoi caratteri. Si consuma infatti un progressivo slittamento attraverso il quale, nel giro di qualche decennio, la fisionomia del diritto sarà profondamente mutata, poiché la tradizione giusnaturalistica dominante lascerà il posto ad un’impostazione di carattere storico, la quale a sua volta

29Ms, pp. 169-170. A tal proposito si rimanda a C. Sabbatini, Una piramide di pietre tonde, Emil, Bologna

2012, in particolare p. 39 e ss. e Id., Lo spirito nelle leggi, Emil, Bologna 2012.

33

concorrerà in un certo modo all’affermazione del paradigma che in senso lato si è soliti chiamare giuspositivista, la cui fortuna è proporzionale alle molteplici versioni che di esso si sono sviluppate. Se allora Hegel si inserisce in questo processo esercitando indubbiamente un ruolo attivo, dal momento che la sua riflessione contribuisce in maniera decisiva alla crisi del giusnaturalismo, allo stesso tempo si può considerare il suo pensiero quale espressione di un’epoca, in quanto ne assorbe lo spirito e ne subisce le tendenze culturali.

Nel corso di tutto il secolo diciottesimo la scuola tedesca del diritto naturale aveva visto come protagonista assoluto Wolff, professore di Halle e allievo di Leibniz. Il carattere distintivo del suo pensiero emerge nella tesi secondo la quale il diritto è una scienza che deve seguire un metodo logico-aprioristico: come Cartesio ha riformato la filosofia teoretica, così la filosofia pratica deve rinnovarsi in maniera analoga, secondo un approccio che per via deduttiva dimostri i fenomeni giuridici a partire da principi fondamentali; in questo modo campi di indagine distinti adottano lo stesso modus operandi di matrice razionalistica e, ricalcando il procedimento matematico, raggiungono entrambi lo statuto di sapere esatto31. I tratti salienti del giusnaturalismo wolffiano sono dunque l’origine naturale dell’uomo e della legge che lo obbliga, la quale ha come destinazione la perfezione del singolo, è eterna, necessaria e universale e pertanto valida sempre e indipendente dall’autorità che la emana, in quanto tutte le leggi positive dipendono dalla legge naturale. Ne deriva un’impostazione che si riflette nella teoria dello stato propugnandone una concezione contrattualista, in quanto lo stato è fondato sulla base di un unico patto e a seguito di un reciproco accordo, con l’obiettivo di porre fine allo stato di natura, insicuro circa i pericoli e insufficiente a garantire una vita felice. Si presenta così una concezione gerarchica del diritto, il quale è comunque ricondotto, nonostante la sua molteplicità, alla legge di natura, in modo tale che viene chiaramente esclusa una separazione tra morale e diritto, in quanto entrambi attingono ad un'unica fonte: sebbene essi si distinguano per l’ambito di applicazione, privato la prima e pubblico il secondo, e per il carattere dell’obbligazione, laddove la prima si basa sull’intenzione e il secondo sulla legalità, la motivazione del dovere è in entrambi i casi il raggiungimento della perfezione.

Alcuni aspetti wolffiani risultano pertanto in continuità con quei pensatori stranieri che avevano fatto dello schema contrattualistico il nucleo delle loro teorie, come è evidente dalla rivendicazione di un diritto che appartiene all’uomo in quanto tale dalla sua nascita e

31 Tale tema è affrontato già nella tesi di dottorato del 1703 De philosophia pratica universali metodo

matematica conscripta nonché nelle sue opere maggiori, Philosophia practica universalis metodo scientifica pertractata del 1738-39 e Ius naturae metodo scientifica pertractatum, scritta tra il 1740 e il 1748. Vedi Ius naturae § 2. Vedi N. Bobbio, Il diritto naturale nel secolo XVIII, Giappichelli, Torino 1947, pp. 139-151.

34

dalla tensione verso lo Stato non solo come semplice assetto costituito, ma in quanto soggetto giuridico, riflesso di un modello ideale che per questo deve essere. La scuola tedesca del diritto naturale accoglieva e rielaborava dunque all’interno della cultura germanica i topoi classici della tradizione giusnaturalistica nel suo complesso, risultando in alcuni casi una nuova edizione di un pensiero che si era nel frattempo ampiamente diffuso nel resto dell’Europa, in Inghilterra e in Francia in modo particolare. Tuttavia il contesto determinato di nascita di tali filosofie germaniche comporta l’affermazione di alcune differenze nella recezione del diritto naturale, le quali consistono nel diverso accento posto su alcuni aspetti piuttosto che su altri e soprattutto nella comparsa di elementi particolari assenti nel resto del continente, come per esempio la famiglia, le corporazioni e molteplici forme di pluralismo sociale che giocano un ruolo decisivo nello sviluppo della teoria del diritto tedesco32. La distinzione fondamentale tra il panorama europeo e la realtà della Germania può essere tuttavia individuata nella funzione che il pensiero giusnaturalista assolve rispetto allo status quo, poiché, mentre nel primo caso le teorie del diritto naturale contengono una forza eversiva e di rottura rispetto all’ordine costituito, tanto da essere considerate il focolaio ideologico e culturale in cui nacquero le rivoluzioni inglesi e francesi del XVII e XVIII secolo, le versioni tedesche avevano completamente perso tale potenziale, diventando spesso espressione di posizioni conservatrici. Nel caso di Wolff infatti l’etica dell’obbedienza sostiene una concezione paternalistica dello stato, che mira all’educazione degli uomini e alla loro perfezione, la cui ripercussione sul piano strettamente storico-politico è la difesa dell’assolutismo illuminato, dove il sovrano è una figura protettiva a cui affidarsi e da rispettare e non certo da sovvertire33. Sebbene quindi conservi una componente individualista, la versione tedesca del diritto naturale finisce per smorzarne i tratti più radicali, giungendo a valorizzare la socievolezza dell’uomo, le

32 Vedi P. Honigsheim, « La doctrine allemande du droit naturel au XVII et XVIII siècles », in Archives de

Philosophie du droit et de sociologie juridique, 1-2, 1939, pp. 216-237, in particolare pp.227-236. Per quanto riguarda l’evoluzione giuridica della cultura europea moderna, vedi G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, Il Mulino, Bologna, vol. II e M. Villey, La formation de la pensée juridique moderne, tr. it., La formazione del pensiero giuridico moderno, a cura di F. D'Agostino, Jacabook, Milano 1984; in riferimento invece alla realtà tedesca si rimanda a E. Landsberg, Geschichte der deutschen Rechtswissenschaft, Oldenbourg, München 1910 e a H. Thieme, «Die Zeit des späten Naturrechts», in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, LVI, 1936, pp. 203-263.

33 Per una sintetica esposizione della situazione europea del diritto da Pufendorf a Hegel con una particolare

attenzione all’illuminismo vedi P. Becchi, Da Pufendorf a Hegel, Aracne, Roma 2007, in particolare p. 50 e ss. Vedi inoltre G. Marini, Savigny, Guida Editori, Napoli 1977, in particolare pp. 11-71. Più in generale per una riflessione tematica sull’evoluzione della filosofia del diritto e sui problemi che implica, vedi Hofmann H., Einführung in die Rechts- und Staatsphilosophie, tr. it., Introduzione alla filosofia del diritto e della politica, a cura di G. Duso, Laterza, Roma-Bari 2007.

35

strutture intermedie e volontarie in seno al corpo collettivo e assumendo così un carattere essenzialmente eudaimonista e moralistico34.

Mentre il profilo del giusnaturalismo in Germania non eguaglia quello degli altri paesi per innovazione e originalità, la situazione tedesca risulta un caso molto più interessante in relazione agli esiti a cui la dottrina del diritto naturale conduce, in quanto pone le basi per ciò che si può chiamare una riforma giuridica che ha come fine l’elaborazione di un codice. Infatti quando nella Germania del Settecento il diritto dominante era ancora quello romano, secondo una lunga tradizione incentrata sulla recezione del Corpus iuris civilis, si afferma progressivamente l’esigenza di un corpo di leggi tedesco modellato sulla realtà sociale contemporanea, che rappresenti una sorta di aggiornamento del diritto e che abbia come obiettivo la stesura di un testo unitario, chiaro e onnicomprensivo, che si sostituisca alla varietà di situazioni e di fattispecie diffuse in tutto il territorio. In questa prospettiva l’illuminismo tedesco ha dal punto di vista giuridico, quale suo elemento decisivo, la battaglia in vista di una codificazione tesa ad uniformare la giurisprudenza, che si inserisce nella più ampia prospettiva concernente il destino politico dell’impero e il futuro della Germania come nazione. La riforma del diritto avrà una gestazione molto lunga e darà luogo a un dibattito acceso tra varie linee di pensiero, che attraversa il paese dalla metà del XVIII secolo per circa cento anni, essendo ancora vivo all’epoca in cui Hegel scrive i Lineamenti di filosofia del diritto. Un primo tentativo di stesura risale infatti al 1746, quando Federico II incarica Samuel von Cocceji di elaborare un corpo di leggi secondo un’indicazione chiara che stabilisce che “deve essere ripudiato il diritto romano latino e deve essere approntato su base prussiana un diritto territoriale tedesco che deve fondarsi direttamente sulla ragione naturale e sulle costituzioni dei territori”35, ma il progetto fallisce in primo luogo a causa delle forti resistenze incontrate da interessi di corporazione e dalla difficoltà di individuare un unico soggetto titolare di diritti, l’individuo, all’interno di una società ancora divisa in Stände; tuttavia nel 1794 si giunge alla promulgazione dell’Allgemeines Landrecht für die Königlich-Preussischen

Staaten, codice prussiano che risulta a tutti gli effetti come un compromesso tra l’istanza

riformatrice e le forti resistenze da parte di poteri privati, ma la cui incisività nel rinnovamento è minata dall’incapacità di attuare una vera e propria semplificazione e razionalizzazione delle materie giuridiche: in questo senso si può affermare che esso si presenta come un codice moderno in quanto sostituisce il diritto romano comune e

34H. Thieme, op. cit., pp. 207-208). Vedi anche A. Negri, Stato e diritto nel giovane Hegel, Cedam, Padova

1958, pp. 25-26.

35 I documenti a cui si fa riferimento si trovano in Jahrbücher für die preussische Gesetzgebung,

36

riconduce il diritto ad un’unica fonte sovrana, ma allo stesso tempo conserva situazioni giuridiche antiche e mantiene valido il diritto particolare e i diritti privati feudatari, mescolando diritto pubblico e rapporti negoziali e riconoscendo come titolari del diritto una pluralità di classi e di soggetti collettivi36. Al di là delle caratteristiche specifiche del codice prussiano, sembra opportuno porre l’accento sul rapporto di reciprocità che si instaura in Germania fra diritto naturale e diritto positivo sulla base della convinzione che si possa arrivare ad elaborare un sistema onnicomprensivo del diritto: seguendo infatti un procedimento deduttivo, ogni forma di diritto viene ricondotta allo stesso fondamento naturale-razionale, cosicché il diritto positivo non solo non può contraddire quello naturale, ma è ad esso conforme e sua diretta emanazione.

Se la scuola di Wolff domina il panorama tedesco lungo tutto il Settecento, nel corso del quale epigoni ed allievi si richiamano alle tesi del suo fondatore, riproponendone nella sostanza lo stesso orientamento senza decisive innovazioni37, è nell’ultimo ventennio del XVIII secolo che il diritto riceve una nuova spinta propulsiva, che metterà in discussione l’impostazione fino a quel momento dominante. In particolare si può affermare che tale periodo sancisca la definitiva crisi del paradigma giusnaturalistico e l’abbandono della nozione di diritto naturale intesa sic et simpliciter. L’origine di questo processo innovativo deve essere individuata nel pensiero critico kantiano che aveva rinnovato le basi della filosofia pratica, in quanto, concentrando l’attenzione sul concetto di libertà come autodeterminazione e sul ruolo della Vernunft quale nozione costruttiva, aveva scalfito la solidità dell’impostazione metafisica di stampo cartesiano e lasciato emergere tutta la complessità del rapporto fra ragione ed molteplicità. Senza poter entrare nel merito della ricca riflessione kantiana sul diritto, che ci allontanerebbe dallo scopo del nostro studio, è sufficiente sottolineare come l’indagine critica, nonostante si inserisca ancora all’interno della scuola del diritto naturale, avesse creato lo spazio per l’insorgenza di nuovi problemi. Orientato a interrogare le condizioni di possibilità del diritto e a costruire una scienza giuridica sulla base di principi puri, il pensiero di Kant aveva posto l’accento sul rapporto

36 Per quanto riguarda il codice prussiano vedi G. Solari, Individualismo e diritto privato, H. Thieme, op. cit.,

R. Koselleck, Preussen zwischen Reform und Revolution, tr. it. La Prussia tra riforma e rivoluzione, a cura di M. Cupellaro, Il Mulino, Bologna 1988 e G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, Il Mulino, Bologna 1976; D. Canale, La costituzione delle differenze, Giappichelli, Torino 2000. Il codice prussiano è diviso in due libri anticipati da un’introduzione che risulta interessante in quanto presenta principi generali che indicano l’ideologia implicita a cui il Landrecht si ispira. A tal proposito particolarmente significativo è il § 83, il quale afferma che i diritti degli uomini sono fondati sulla libertà naturale di ciascuno di perseguire il proprio bene senza nuocere al diritto altrui: sebbene questa frase possa sembrare una chiara derivazione di un’impostazione giusnaturalistica, tuttavia è bene sottolineare come i limiti alla libertà naturale comprendano non solo altri diritti naturali, come sosterebbe una dottrina del diritto naturale «pura», ma altri diritti in generale, ivi compresi quelli positivi. Vedi a tal proposito G. Tarello, op. cit., pp. 496-497.

37 Si fa riferimento tra i tanti a Johann Ulrich Cramer, Johann Adam Ickstatt, Joachim Georg Darjes, Daniel

Nettelbladt, vedi G. Marini, L’opera di Gustav Hugo nella crisi del giusnaturalismo, Giuffrè, Milano 1969, p. 86.

37

fra costruzione razionale e realtà empirica: distinguendo obbligazione interna ed esterna aveva sancito la separazione tra moralità e legalità, formulando una nozione di libertà allo stesso tempo come autonomia e indipendenza, aveva sottolineato il conflitto tra ragion pura ed esperienza, dover essere ed essere. In questo modo il concetto di diritto viene compreso alla luce della tensione tra una forma costante e un contenuto variabile e si apre alla relazione con la storia e la contingenza. Se la rivoluzione kantiana pone le basi per la crisi della scuola classica del diritto naturale, è solo a partire dai suoi molteplici sviluppi che l’approccio giusnaturalistico verrà definitivamente superato, come mostra la diffusione del criticismo nell’ambito del dibattito giuridico. A partire dalla pubblicazione della

Metafisica dei costumi del 1797 la maggior parte dei filosofi si richiama esplicitamente a

Kant, presentandosi come suoi prosecutori; da Königsberg a Berlino passando per Halle, da Lipsia a Bonn attraversando Marburgo emergono gruppi di studio e circoli culturali di ispirazione kantiana ed in particolare nel panorama tedesco notevole rilievo assumono Jena e Gottingen. Se a Jena si tratta della corrente più radicale del kantismo, che sfocerà nell’idealismo e di cui è sufficiente ricordare gli attori principali, quali Reinhold, Fichte, Schelling e lo stesso Hegel, la città di Gottingen si distingue proprio per la riflessione circa il diritto, grazie soprattutto agli scambi con la Francia e l’Inghilterra che permettevano la circolazione del pensiero tanto di Voltaire e Montesquieu che di Hume, Gibbon e Burke38.

Nonostante la crisi attraversata dalla scuola del diritto giusnaturalista, le cui cause storiche sono da rinvenire principalmente nella permanenza in vita di vecchi istituti giuridici e nell’impotenza a cui si era ridotta la teoria del diritto naturale, il diritto assurgeva a tema privilegiato di dibattito e le cattedre di insegnamento della materia continuavano a riscuotere un certo seguito. Tuttavia si era consumata una rottura evidente nell’approccio al diritto, la quale si traduce nell’emergenza di un nuovo paradigma, le cui parole d’ordine sono la sostituzione dell’empiria alla deduzione: il diritto scopre così come ambito di investigazione il rapporto fra ragione e storia e fra libertà individuale e libertà universale, attribuisce una considerazione sempre maggiore all’analisi di istituti storici, si dedica allo studio del diritto positivo e della pratiche consuetudinarie e infine, attraverso un metodo induttivo, mira a individuare un criterio onnicomprensivo e unificante39. Alla concezione razionalistica del diritto si affianca, in maniera sempre più significativa, una posizione volontaristica, che pone l’accento sul comando quale atto di un soggetto competente e quindi sul diritto quale esito di un’azione deliberata: in questo modo, da un

38 A tal proposito si rimanda a A. Negri, Stato e diritto nel giovane Hegel, cit., pp. 93-115. In particolare in

merito al ruolo ricoperto dall’Università di Gottingen, vedi L. Marino, I maestri della Germania – Gottingen 1770-1820, Torino 1975.

38

lato, viene sancito una volta per tutte il nesso tra stato e diritto e, dall’altro, quest’ultimo perde i caratteri eterni e inviolabili, allorché il suo valore normativo dipende esclusivamente in quanto è posto, a prescindere dalla sua razionalità. Come è stato sottolineato da Negri, il proposito dell’editore della rivista Philosophisches Journal einer

Gesellschaft Teutscher Gelehrten, uno dei maggiori organi di diffusione della filosofia

kantiana, non è più di difendere il pensiero critico, bensì di applicarlo e ciò si traduce nell’intendere la riflessione filosofica come schema operativo di indagine della positività40. Con la filosofia critica il diritto assurge dunque a tema privilegiato nella misura in cui esso costituisce il banco di prova dell’antinomia tra ragione e storia, cartina al tornasole che permette di mettere alla prova la relazione tra particolarità e universalità; allo stesso tempo il nesso di complementarità tra diritto naturale e diritto positivo sostenuto da Kant cede il passo a una teoria che, abbandonando gradualmente la nozione di diritto naturale, determina il progressivo allontanamento dal suo fondatore. La partita si gioca allora tutta all’interno della idea di ragione, in quanto la sfida del pensiero critico consiste nella definizione di un concetto di ragione nuovo, capace di smarcarsi dalla dicotomia astratto- concreto, di presentarsi come sintesi fra idealità e storicità e di sanare la distanza con la natura. Nonostante le pessime condizioni in cui versava la scuola giusnaturalistica, le università prevedevano ancora corsi di Naturrecht, proprio in quanto il dibattito sul tema era in quegli anni più vivo che mai; tuttavia l’insegnamento andava diversificandosi a seconda delle cattedre, comprendendo sotto la stessa etichetta metodi e contenuti differenti e si affacciava nel panorama accademico una nuova disciplina denominata

Rechtsphilosophie. Mentre l’assenza del riferimento esplicito al diritto naturale era un

chiaro segno del processo in corso nella cultura tedesca, la relazione con la dottrina classica è più complessa, in quanto, da un lato, l’avvento della filosofia del diritto contribuisce allo scioglimento della vecchia scuola, ma, dall’altro, per un lungo periodo le due espressioni convivranno in una relazione di influenza reciproca, fino a quando la

Rechtsphilosophie non finirà per presentarsi come erede di quella stessa tradizione con

un’esplicita funzione polemica nei confronti della scuola storica41. La compresenza tra

Naturrecht e Rechtsphilosophie si registra dunque per un lungo periodo, tanto che l’opera

principale di Hegel dedicata al diritto, Grundlinien der Philosophie des Rechts, pubblicata nel 1820, presenta come sottotitolo Naturrecht und Staatwissenschaft im Grundrisse, utilizzando dunque entrambe le formule, a riprova di come la produzione hegeliana si

40 A. Negri, Stato e diritto nel giovane Hegel, cit., pp. 107-115.

41 D. Klippel, «Naturrecht und Rechtsphilosophie in der ersten Hälften des 19 Jahrhunderts», in O. Dann-D.

Klippel, Naturrecht-Spätaufklärung-Revolution, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1995, pp. 270-292, in particolare pp. 271-277 e pp. 290-292.

39

inserisca in pieno nel solco di quel processo di cambiamento che attraversava la riflessione sul diritto, ne assuma la complessità teorica e ne costituisca al contempo un elemento di amplificazione42.

Tuttavia all’epoca della stesura del Saggio sul diritto naturale, quando lo sviluppo del criticismo viveva il suo periodo di maggior gloria, prolificano diverse scuole – ciascuna a suo modo annunciandosi come epigono del pensiero kantiano e sua prosecutrice – che si costituiscono nell’ultimo decennio del Settecento, ma che continueranno a vivere per gran