• Non ci sono risultati.

La lotta per il riconoscimento e la genesi della relazione giuridica

Il terreno su cui si incontrano la riflessione hobbesiana e la teoria dell’Anerkennung hegeliana deve essere individuato innanzitutto nella celebre formulazione del riconoscimento come lotta elaborata dal pensatore tedesco. Il confronto fra il pensiero di Hegel e quello di Hobbes è stato oggetto di numerosi studi, i quali hanno messo in luce analogie e differenze tra i due autori: da Strauss fino a Honneth per quanto concerne la recezione tedesca, da Kojève fino a Ricoeur per quanto riguarda le letture francesi. Sebbene con accenti e rilievo differenti, è opinione convinta di un certo filone di studi contemporanei che la concezione hegeliana abbia un forte debito nei confronti del teorico del Leviatano153. In primo luogo occorre rilevare che la nozione di riconoscimento subisce, attraverso l’influenza hobbesiana, una torsione agonistica e violenta del tutto assente nella formulazione fichtiana, che spinge ad individuare come decisivo il tema del conflitto. La convergenza di aspetti hobbesiani tuttavia non solo non mette in discussione l’afferenza della teoria del riconoscimento all’ambito giuridico, ma per certi versi permette di

153 Sul rapporto fra Hegel e Hobbes, si rimanda a L. Strauss, Che cos’è la filosofia politica? Scritti su Hobbes

e altri saggi, Argalia, Urbino 1977; L. Siep, «Der Kampf um Anerkennung. Zu Hegels Auseinandersetzung mit Hobbes in der Jenaer Schriften», in Hegel-Studien, 13, 1974, pp. 155-207; A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit.; A. Kojève-L. Strauss, Sulla tirannide, Adelphi, Milano 2010, P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, cit., pp. 185-209; J. Taminiaux, op. cit., pp. 33-39 e 133-158; A. Wildt, op. cit., pp. 337-338. Per una rassegna di una certa interpretazione del dibattito sul riconoscimento vedi R. R. Williams, Hegel’s Ethics of recognition, cit., pp. 4-22; per una discussione complessiva del rapporto fra i due pensatori si rimanda a C. Senigaglia, Il gioco delle assonanze, La Nuova Italia, Firenze 1982 e G. Preterossi, La politica negata, Laterza, Roma-Bari 2011, in particolare pp. 3-54; infine per un’analisi del tema del riconoscimento in Hobbes, vedi B. Carnevali, «Potere e riconoscimento: il modello hobbesiano», in Iride, 46, 2005, pp. 515- 540. A tal proposito Ilting afferma che l’inizio della filosofia del diritto deve esser fatta risalire al diritto naturale da Hobbes a Fichte: Hegel ha infatti fatto dialogare la deduzione trascendentale del diritto come condizione dell’autocoscienza di matrice fichtiana con il superamento dello stato di naturale secondo l’esposizione hobbesiana. Il risultato è che «das Rechtsverhältnis ist ein Anerkennungsverhältnis» (K. H. Ilting, Rechtsphilosophie als Phänomenologie des Bewußtseins der Freiheit, in R.P. Horstmann-D.Henrich, hrsg. von, Hegels Philosophie des Rechts. Die Theorie der Rechtsformen und ihre Logik, Klett-Cotta, Stuttgart 1982, p. 258 e ss).

173

focalizzare ancora meglio in che modo tale teoria abbia come primo e naturale ambito di applicazione proprio il diritto. Sebbene sia possibile sostenere che, in una certa misura, Hegel riprenda i termini e il rigore del filosofo inglese, ponendosi nel solco della continuità154, il paradosso dell’operazione hegeliana consiste tuttavia nel fatto che è proprio attraverso il recupero di aspetti del pensiero hobbesiano che Hegel sancisce il distacco dalla dottrina giusnaturalistica: la formulazione della lotta non significa cioè un ritorno sulle proprie posizioni nell’ottica di una nuova adesione alla teoria del diritto naturale, in quanto il riconoscimento deve essere considerato come quel concetto operativo che contiene già al suo interno la critica del principio del diritto inteso secondo la concezione tradizionale, attraverso il quale abbandonare la teoria dello stato di natura155. La posta in gioco della teoria del riconoscimento è infatti individuare un diverso fondamento del diritto, che non ricorra all’espediente del contratto e non si costruisca sul principio di autoconservazione, in quanto il diritto emerge grazie al riconoscimento come modalità che consente alla coscienza di pervenire al sapere di se stessa, momento necessario del passaggio dalla volontà singola a quella universale.

E’ bene chiarire che il concetto di riconoscimento in Hobbes è del tutto assente: pertanto il confronto tra Hegel e Hobbes non deve essere compreso come se Hegel facesse propria una formulazione di riconoscimento originariamente teorizzata da Hobbes, come invece avviene nel caso di Fichte. Si tratta per Hegel al contrario di includere nella propria elaborazione della teoria del riconoscimento elementi hobbesiani di natura diversa, di cui l’autore tedesco si serve per sviluppare una concezione autonoma, nella quale i contenuti del filosofo inglese vengono fatti propri ma rielaborati, riadattati e trasfigurati in un contesto e con uno scopo differente. In generale gli studi critici hanno indicato come punto di maggior contatto tra i due pensatori non la concezione dello stato, ma al contrario proprio quella dello stato di natura, sostenendo la tesi per cui la lotta a morte sarebbe profondamente influenzata dalla concezione del Naturzustand e ne sarebbe in qualche misura una sorta di rivisitazione156. Se questa posizione è assolutamente condivisibile, si intende però mettere in luce come la lotta per il riconoscimento, in quanto esibisce il movimento genetico che conduce al diritto, abbia come termine di riferimento nell’ambito della filosofia hobbesiana non solo la rappresentazione dello stato di natura, ma anche la teoria delle passioni e la relazione tra diritto e legge. Pertanto si cercherà di ricostruire la teoria hegeliana sulla genesi del diritto nella Filosofia dello spirito jenese del 1805-06,

154 Questa è ad esempio la tesi di Taminiaux, op. cit., pp. 33-39 e 133-145.

155 A tal proposito si rimanda a L. Siep, «Zur Dialektik del Anerkennung bei Hegel», in Id., Praktische

Philosophie im deutschen Idealismus, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992, pp. 172-181, in particolare p. 180.

174

mostrando in quale misura e in che modo la posizione dell’autore tedesco nasconda un’influenza da parte del teorico inglese157.

Il diritto emerge nel passaggio dall’amore alla lotta, quando il processo di formazione dell’individualità descritto nell’Intelligenza e nella Volontà ha condotto alla costituzione della famiglia, nella quale il singolo è ricompreso come membro di un intero ed ha per questo superato il piano della mera naturalità: poiché infatti la sua attività è al servizio del nucleo familiare, egli ha guadagnato la dimensione spirituale, in quanto il bene di famiglia e il figlio rappresentano l’oggettivazione del soggetto e l’educazione il momento della sua formazione e individuazione. Ciò permette di indicare tale passaggio come l’avvento di quello che Hegel definisce quale das geistige Anerkennen: da carattere il Sé è divenuto infatti essente per sé, cioè autocosciente, cosciente dell’unità fra sé e l’amato, dal momento che il figlio permette ai genitori di riflettersi in un terzo, in modo tale che dalla relazione duale sorta dall’amore naturale si intuisca quell’unità collettiva propria del noi158. Quando Hegel introduce il diritto, la famiglia viene presentata con uno sguardo esterno, non più come punto di arrivo del cammino di formazione della coscienza, ma come un intero, descritta come un’individualità chiusa in se stessa, che si trova davanti ad altre unità familiari ed instaura con esse una relazione di opposizione159. Questo rapporto, specifica l’autore, “è ciò che comunemente si chiama stato di natura”, ma l’unico rapporto che interessa gli individui in quanto autocoscienze indipendenti è quello “di togliere appunto questo rapporto: exeundum e statu naturae. In questi rapporti essi non hanno alcun diritto ed alcun dovere l’uno per l’altro, ma li acquistano solo mediante l’abbandono di questi rapporti”160. Hegel è ben consapevole che parlare della genesi del diritto non può non richiedere un riferimento allo stato di natura, tuttavia egli chiama in causa tale topos della filosofia del diritto contemporanea per esautorarlo del potere fondativo, giacché l’origine del diritto deve essere ricondotta alla relazione riconoscitiva e

157 Nella letteratura critica il confronto tra Hegel e Hobbes ha riguardato principalmente gli anni jenesi, ma

anche la formulazione dello stato di natura presente nell’Enciclopedia: per quanto concerne l’intero periodo jenese vedi L. Siep, Der Kampf um Anerkennung, cit., il quale espone analogie e differenze delle diverse elaborazioni della teoria del riconoscimento dal Sistema dell’eticità alla Fenomenologia; per quanto riguarda i testi precedenti alla Fenomenologia si rimanda in modo particolare a A. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, cit.; J. Taminiaux, op. cit. e A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit. Per ciò che concerne in modo particolare la Fenomenologia e l’Enciclopedia, vedi L. Strauss, op. cit. e S. Landucci, Hegel: la coscienza e la storia. Approssimazione alla Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, Firenze 1976.

158 JS III, pp. 211-213; tr. it., pp. 95-98. Vedi L. Siep, Il riconoscimento, cit., pp. 95-101 e I. Testa, op. cit.,

pp. 374-377.

159 Ivi, p. 214; tr. it., p. 98.

160 Ivi, p. 214; tr. it., pp. 98-99. Accogliamo la modifica di Testa rispetto alla traduzione di Cantillo: mentre

quest’ultimo traduce Verhaltnis come condizione, Testa preferisce il più letterale rapporto, che si dimostra più efficace in quanto è di una determinata relazione che si tratta (vedi I. Testa, La natura del riconoscimento, cit., p. 379).

175

non ad una fantomatica condizione naturale. Il ricorso allo stato di natura nasce dalla volontà di ancorare il diritto ad un momento precedente la dimensione statale, in modo tale da svincolarlo da ogni forma di istituzionalizzazione. Lo scopo di tale espediente deve essere individuato nell’intento di sottrarre il diritto alle contraddizioni in cui incorre nell’ambito della sua applicazione, in quanto collocarlo in uno stato astorico vuol dire istituire il diritto in un momento precedente la determinazione giuridica: se la tradizione del diritto naturale stabilisce un punto di partenza astratto da cui far discendere la serie delle categorie giuridiche, cosicché il diritto si contraddistingua come una regola di agire a

priori, per Hegel il diritto si presenta come il modo stesso di relazionarsi delle coscienze,

ovvero non quale determinazione imposta dall’esterno, ma in quanto immanente il rapporto intersoggettivo, tanto che il diritto coincide con il divenire della reciproca relazione, è la regola del loro reciproco rapportarsi.

Il problema sottolineato da Hegel consiste dunque nel fatto che è impossibile stabilire che cosa sia diritto e cosa sia dovere per un soggetto nello stato di natura, quali siano gli obblighi reciproci a cui sono tenuti gli individui e quale sia la necessità del loro comportamento. In realtà la questione di fondo concerne la relazione fra diritto e natura: infatti il diritto non è una proprietà naturale dell’individuo di cui questi disporrebbe al di fuori di un contesto socio-culturale, ma è costituito da relazioni riconoscitive, per cui esso diviene il modo attraverso cui la coscienza giunge al sapere di se stessa, a sapersi come coscienza. Da una parte abbiamo quindi una condizione naturale, nella quale vige “il libero, indifferente essere degli individui l’uno di fronte all’altro”, dall’altro abbiamo il diritto come riconoscimento in base al quale l’individuo diviene la pura persona, il puro essere riconosciuto161. In una nota infatti il filosofo afferma che “gli individui non sono così nello stato di natura, bensì immersi nell’esserci. – Trattandosi dell’uomo, egli è così nel suo concetto, ma nello stato-di-natura egli non è nel suo concetto, bensì, in quanto essere naturale, nel suo esserci. La questione si contraddice immediatamente: io considero l’uomo nel suo concetto, non nello stato di natura”162. Riprendendo l’argomentazione già esposta nel Saggio sul diritto naturale, il modus operandi dei teorici del giusnaturalismo consiste, secondo l’autore, nel presupporre ciò che si deve dimostrare, in modo tale che, attribuendogli il carattere di originario, si avvalori il suo statuto di necessità163. Al contrario Hegel intende mettere in evidenza il fatto che, secondo la sua concezione, il diritto non è qualcosa che è posto a prescindere dall’interazione fra gli individui, mentre la rappresentazione dello stato di natura implica che venga posto un concetto di individuo da

161 JS III, p. 214; tr. it., p. 98. 162 Ibidem.

176

cui poi derivare diritti e doveri. Infatti spiega “questa relazione o limitazione non devo escogitarla e produrla, per me; bensì l’oggetto stesso è questa produzione del diritto in generale, cioè della relazione riconoscente”164: se dunque lo stato di natura rappresenta un concetto del pensiero, in quanto è impossibile determinare in esso il movimento secondo il quale le autocoscienze si relazionano reciprocamente, esso costituisce una sorta di forzatura, laddove invece il diritto non può esservi presente in quanto parlare di stato di natura vuol dire astrarre dalle dinamiche intersoggettive.

Hegel introduce il concetto di stato di natura con il solo scopo di prenderne le distanze: mentre lo stato di natura prevede infatti la reciproca esclusione degli individui – in quanto in esso il soggetto si attribuisce il diritto indipendentemente dalla correlazione con il dovere e dalla sua effettiva vigenza – il concetto hegeliano si fonda non sull’opposizione, ma sulla relazione e sull’interazione reciproca, in modo tale che, mentre il diritto naturale stabilisce come giuridico un rapporto naturale, scopo del riconoscimento è sussumere la dimensione naturale mostrando il movimento che conduce al diritto, vale a dire il movimento di realizzazione del riconoscimento. Da questo punto di vista, come ha affermato Honneth, Hegel espone qui una “critica immanente della tradizione giusnaturalistica”165, in quanto mette in evidenza come la nascita delle relazioni giuridiche richieda implicitamente una sorta di assenso tra i soggetti: essi intraprendono infatti un percorso pratico che si conclude con l’assunzione di un impegno vincolante insito nel rapporto di riconoscimento ed è proprio questo aspetto che rende tale rapporto un rapporto giuridico.

Secondo la concezione hegeliana, il diritto presuppone la nozione di persona giuridica, ovvero il concetto di una soggettività titolare di diritti, la quale è allo stesso tempo l’esito della relazione riconoscitiva: il diritto è dunque quel tipo di riconoscimento in base al quale al Sé viene attribuita la capacità giuridica, cosicché si può sostenere che l’attributo di persona è qualcosa che esula dalla dimensione naturale, in quanto è uno status che gli individui si conferiscono reciprocamente all’interno di una dimensione intersoggettiva166. Se l’identificazione dell’autocoscienza come persona coincide quindi con l’avvenuto riconoscimento, allo stesso modo il diritto coincide con l’apertura di un orizzonte sociale e spirituale, in cui l’individuo non è più un Sé naturale, ma è soggetto di diritto in quanto è soggetto a impegni e obblighi insiti nella relazione riconoscitiva. Da questo punto di vista il riconoscimento diviene una teoria del consenso, in quanto ammette implicitamente l’accettazione da parte del soggetto dei vincoli insiti nel rapporto di

164 JS III, p. 215; tr. it., p. 99.

165 A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit., p. 56.

177

riconoscimento, in modo tale che la normatività del diritto si generi all’interno delle pratiche e delle interazioni e non debba essere collocata in un luogo trascendente. La dimostrazione del diritto in Hegel non ha pertanto bisogno di ricorrere a teorie naturalistiche, in quanto il suo fondamento viene posto nel riconoscimento: se è la relazione che pone e stabilisce il diritto, ciò significa che non è necessario salire a ritroso alla ricerca di un principio ultimo da cui far dipendere il giuridico, che esuli l’immanenza dell’interazione167. In questa prospettiva, come è stato messo in evidenza da Riedel, mentre il giusnaturalismo aveva come criterio ultimo una determinata rappresentazione della natura, il nuovo criterio giuridico per Hegel è “la capacità giuridica universale, la pura persona come puro concetto =io dell’uomo, la cui scoperta presuppone la rottura con tutto il preteso ordine della natura e della sua “legge””168.

L’Anerkennung si rivela quindi il movimento attraverso il quale togliere lo stato di natura, lo strumento concettuale con il quale prendere le distanze dalla tradizione del diritto naturale, in modo tale che la genesi riconoscitiva del diritto rappresenti il principio contrapposto e antitetico al paradigma del Naturzustand169. Hegel afferma in questo passaggio che “è posto il concetto di autocoscienze reciprocamente libere; ma appunto solo il concetto; questo, giacché è concetto, deve piuttosto realizzarsi, vale a dire deve togliere sé che nella forma del concetto è di fronte alla sua realtà”170. Ciò significa che la relazione riconoscitiva non si è ancora compiuta, in quanto per il momento il filosofo ha presentato la definizione del diritto, ma questo deve mostrarsi a partire dalla relazione che si instaura tra le coscienze. Per usare il linguaggio proprio della Fenomenologia si può affermare che si è ancora limitati al punto di vista del “per noi”, laddove invece è necessario che il movimento del riconoscimento divenga oggetto del “per sé”, si presenti come un’esperienza propria della coscienza: infatti è proprio a seguito della dinamica che si genera nell’interazione, che il Sé subisce quel processo grazie al quale si affranca dalla mera naturalità e dall’immediatezza e guadagna il piano dell’universalità e della libertà. E’ bene notare inoltre come il linguaggio hegeliano in questo passo anticipa quello più maturo che emergerà dalla Fenomenologia in poi, secondo il quale “concetto” corrisponde al primo momento, in qualità di enunciazione che richiede uno svolgimento, uno sviluppo che

167 A tal proposito B. Romano parla di ortonomia del diritto per distinguerla dall’eteronomia, sottolineando

come il fondamento del diritto debba essere individuato nell’uomo e non ricercato all’esterno. Allo stesso modo esso non può esser considerato autonomo, in quanto non è disponibile ad un soggetto, essendo generato dall’intersoggettività, nel momento in cui l’individuo si afferma come esser soggetto (B. Romano, Sull’ortonomia del diritto: nove tesi su riconoscimento e diritto, Bulzoni, Roma 1996). Dello stesso autore vedi Id., Riconoscimento e diritto, Bulzoni, Roma 1975, all’interno del quale sostiene come il diritto rappresenti l’elemento di terzietà nella relazione riconoscitiva.

168 M. Riedel, Fra tradizione e rivoluzione, cit., p. 53. 169 JS III, p. 215; tr. it., p. 100.

178

prenda le mosse dai contenuti stessi: la relazione che Hegel instaura tra Begriff e

Realisierung coinvolge il concetto in quanto determinazione di pensiero e il suo

riempimento, che non è altro che lo svolgimento in virtù del quale il concetto non è più solo un principio postulato, ma si realizza come effettuale. In questo caso il concetto che deve realizzarsi non è altro che il movimento del riconoscimento, il quale fino a questo momento è stato da Hegel presentato solo nella sua definizione e non illustrato nel suo divenire.

Pertanto dopo aver esposto il concetto di diritto, Hegel si preoccupa di mostrare per l’appunto le interazioni che gli individui instaurano, al fine di mettere in luce come la dimensione giuridica si instituisca all’interno del processo di riconoscimento. La costituzione dell’individuo come persona implica dunque in primo luogo una dinamica di natura conflittuale, che assume le caratteristiche di una lotta per la vita e per la morte, e in secondo luogo la risoluzione di tale scontro: il riconoscimento può dirsi tale solo in quanto la coscienza attraversa questo percorso nella sua interezza, in modo tale che l’esito della contesa coincida con l’instaurazione di un certo tipo di rapporti intersoggettivi. Se il diritto è un momento di sviluppo del riconoscimento spirituale, la sua nascita coincide con l’epilogo della lotta, in quanto la relazione giuridica è il riflesso di una determinata forma di riconoscimento, secondo la quale il soggetto guadagna uno status normativo. In questo modo l’esito della lotta esibisce in modo perspicuo il nesso tra diritto e riconoscimento, in quanto coincide, da una parte, con il momento in cui la coscienza giunge al sapere di se stessa come volontà libera grazie all’interazione con le altre coscienze e, dall’altra, con l’identificazione dell’individuo come persona, la quale instaura relazioni che possono definirsi giuridiche.

La lotta si sviluppa a partire da una situazione in cui è in gioco la presa di possesso da parte degli individui. In tale condizione di immediatezza e naturalità infatti vige il