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Diritto e riconoscimento

Hegel introduce il diritto all’interno della sezione della Volontà, dopo aver per la prima volta mostrato l’emergere della dimensione intersoggettiva, la quale deve essere individuata pertanto quale preludio della relazione giuridica. In questa prospettiva si può innanzitutto sottolineare che la genesi del diritto è collocata nell’ambito in cui il filosofo ricostruisce i presupposti necessari alla formazione dell’identità pratica del soggetto e pertanto la sua comparsa coincide con l’esplicita tematizzazione della nozione di riconoscimento. Si può dunque fin da subito individuare una sovrapposizione fra i due concetti, riconoscimento da un lato e diritto dall’altro, che, sebbene non esaurisca la portata teorica e la valenza di nessuno dei due termini, i quali hanno infatti un significato e una funzione che tracimano la sfera della volontà, indica la necessità di considerare questi due aspetti indissolubilmente intrecciati. Come dunque il riconoscimento non si riduce alla relazione giuridica, perché, come è noto, ha implicazioni morali, politiche e cognitive che esulano dalla sfera del diritto119, così il diritto non può essere ridotto per Hegel alla

118 Hegel scrive in una nota a margine che l’irrequietudine dell’io «deve diventare il consolidarsi, il

movimento che toglie sé come irrequietudine, toglie sé come puro movimento. Questo è il lavoro; la sua irrequietudine diviene oggetto, in quanto molteplicità consolidata, in quanto ordine; la irrequietudine diviene ordine proprio perché diviene oggetto». L’autore prosegue in una successiva nota: «il lavoro, il fare è singolarità, ordine, altrettanto il Sé. L’io è a sé oggettivo come molteplicità, giacché il suo fare è movimento, differenziazione...l’essenza è la spiritualizzazione» (Ivi, pp. 191 e 194; tr. it., pp. 77-80). Vedi a tal proposito D. Borso, op. cit., 1976, pp. 118-119.

119 Il tema del riconoscimento in Hegel è ampiamente affrontato e discusso nell’ambito della letteratura

hegeliana. Emerso inizialmente nel panorama francese grazie all’interpretazione di Kojève della Fenomenologia (A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, cit.), è stato sviluppato all’interno del dibattito tedesco relativo alla Rehabilitierung della filosofia pratica di Hegel soprattutto ad opera di Siep, Habermas e Honneth, i quali si sono principalmente occupati del periodo jenese e prefenomenologico (L. Siep, Il riconoscimento, cit.; J. Habermas, Lavoro e interazione, cit.; A. Honneth, La lotta per il riconoscimento, cit.; Id., Leiden an Unbestimmtheit, tr. it. Una attualizzazione della filosofia politica di Hegel, a cura di A. Carnevale, Manifestolibri, Roma 2003; N. Fraser-A. Honneth, Umverteilung oder Anerkennung, tr. it. Redistibuzione o riconoscimento, a cura di E. Morelli, M. Bocchiola, Meltemi, Roma 2007; A. Honneth, Capitalismo e riconoscimento, a cura di M. Solinas, Firenze University Press, Firenze 2010). Negli ultimi anni il riconoscimento è stato oggetto di un rinnovato interesse tra gli studiosi angloamericani, inizialmente in relazione alle questioni inerenti il multiculturalismo, come risulta dal noto saggio di Taylor relativo ad una «politica del riconoscimento» (C. Taylor, The politics of recognition, tr. it. La politica del riconoscimento, in C. Taylor-J. Habermas, Multiculturalismo, a cura di L. Ceppa e G. Rigamonti, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 9-28) e in secondo luogo nella prospettiva di una lettura pragmatista, normativa e antimetafisica dello spirito, all’interno della quale si segnalano, fra gli altri, Pippin e Pinkard (R. Pippin, «What is the Question for which Hegel’s Theory of recognition is the Answer?», in European Journal of Philosophy, 8, 2000, pp. 155-172; T. Pinkard, Hegel’s Phenomenology. The sociality of reason, tr. it parz. La Fenomenologia di Hegel, a cura di A. Sartori e I. Testa, Mimesis, Milano-Udine 2013). Ancora più recente è il dibattito relativo alla convergenza fra questioni di riconoscimento e ontologia sociale, sul

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relazione riconoscitiva, implicando una dimensione oggettiva e istituzionale che non può essere limitata ad un rapporto duale. In generale si rileva come il nesso di coappartenenza tra Recht e Anerkennung venga instaurato da Hegel in maniera così stretta e in termini così espliciti solo nella Filosofia dello spirito del 1805-06, poiché, mentre negli scritti precedenti il riconoscimento non era ancora stato formulato in maniera compiuta ed era in ogni caso limitato alla determinazione del possesso, in quelli successivi il suo ruolo e la sua collocazione saranno progressivamente separati da quelli del diritto. In questo contesto diritto e riconoscimento si incontrano sul terreno della costituzione della soggettività, mostrandone le implicazioni a livello sociale e istituzionale, ed è per questo che compaiono entrambi nel paragrafo dedicato alla volontà, ma determinano il passaggio alla sfera seguente, ovvero a ciò che viene definito Spirito reale120.

In primo luogo è necessario rilevare che, nella Filosofia dello spirito, il diritto si presenta nel momento in cui la relazione non concerne più un soggetto che si rapporta ad un oggetto naturale, bensì chiama in causa l’interazione fra due soggetti ed in modo particolare un’interazione che presenta una dinamica agonistica e conflittuale. Se la relazione riconoscitiva emerge come sintesi di amore e lotta, è solo il secondo momento, ovvero la lotta, ad essere rilevante per il sorgere della dimensione giuridica: mentre l’amore rappresenta infatti, come è stato ampiamente affermato, il primo momento del riconoscimento, che coincide con un movimento in base al quale il Sé intuisce se stesso nell’altro, la lotta costituisce il momento inverso, in cui l’io si afferma come indipendenza e negazione dall’alterità. Quando Hegel scrive che l’amore conduce all’“esser riconosciuto senza opposizione del volere, in cui ognuno sarebbe l’intero sillogismo, in cui essi sono presenti soltanto in quanto caratteri”121, intende sottolineare che la relazione amorosa rappresenta un’esperienza simbiotica e fusionale in cui il soggetto riconosce l’altro come identico a se stesso, poiché si instaura una relazione basata sul sentimento, nella quale ognuno rinuncia alla propria indipendenza. Il sillogismo, che sovrintende all’amore, prevede che “ogni estremo è riempito dall’io; così è immediatamente nell’altro e solo questo essere nell’altro si separa dall’io e diviene a lui oggetto”122: se in tal modo il soggetto resta ancorato alla dimensione naturale, dal momento che è riconosciuto come

quale vedi H. Ikäheimo-A. Laitinen, edited by, Recognition and social ontology, Brill, Boston 2001; L. Ruggiu-I. Testa, Lo spazio sociale della ragione, Mimesis, Milano-Udine 2009. Infine nel panorama italiano, tale tema è oggetto di studi in particolare di P. Vinci, R. Finelli, L. Ruggiu, L. Cortella e I. Testa. Sul riconoscimento in generale vedi i seguenti volumi di riviste: Postfilosofie, 1-6, 2005-2008; Archivio di filosofia, 77, 2009; Quaderni di teoria sociale, 8, 2008; Giornale di Metafisica, 25, 2003.

120 Si rimanda a G. Göhler, Dialektik und Politik in Hegels frühen politischen Systemen, Suhrkamp, Frankfurt

a. M. 1974, p. 440.

121 JS III, p. 218; tr. it., p. 102 122 JS III, p. 210; tr. it., p. 94.

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singolarità per le sue caratteristiche specifiche, ovvero come volontà determinata, non si può ancora parlare di un’eticità, che compare solo come presentimento, come qualcosa che è in nuce, ma che richiede una dimensione universale a cui l’amore non permette di accedere, poiché identifica il sé come natürliches e ungebildetes. Al contrario la lotta permette all’individuo di costituirsi nella forma dell’esser per sé, poiché produce un movimento di astrazione dalla determinatezza particolare e dalla naturalità immediata, grazie al quale si instaura quella dimensione di uguaglianza che appartiene al diritto, in cui ogni soggetto è libero e universale in quanto si vede attribuito lo status di persona. Per questo la lotta per il riconoscimento costituisce allo stesso tempo il movimento conclusivo, attraverso il quale il soggetto giunge a sapere se stesso come autocoscienza e come volontà libera, e il momento aurorale del diritto, esibendone la genesi riconoscitiva a partire dalla dinamica che investe le coscienze.

La sovrapposizione fra il concetto di riconoscimento e la dimensione del diritto si evidenza dalla sfera semantica e dall’evoluzione lessicale del verbo anerkennen, il quale si distingue da termini afferenti alla stessa famiglia, come erkennen o wiedererkennen, proprio in virtù della valenza giuridica a cui esso implicitamente rimanda. Come è stato messo in luce, il significato di tale parola fa riferimento infatti all’espressione etwas als

bindend betrachten, ovvero trattare qualcosa come vincolante, mostrando così la sua

provenienza dal vocabolario giuridico: il prefisso an consente così al termine Anerkennung di guadagnare un’accezione specifica in cui riconoscere indica gelten lassen, lasciar valere nel senso di conferire una pretesa di validità123. In questa prospettiva la parentela fra il riconoscimento e il diritto emerge dunque proprio a partire dalla storia del termine

anerkennen, il quale esprime l’assunzione di legittimità di un principio o di una norma,

nonché il consenso in essa implicito sul contenuto della norma stessa. Nella ricostruzione dell’evoluzione lessicale operata da Testa, l’accento è posto sul fatto che progressivamente, come d’altronde attesta Adelung, il termine anerkennen diviene sinonimo di zustimmen, ovvero di acconsentire, esser d’accordo. Da questo punto di vista tale indagine integra e parzialmente modifica quella presentata da Ricoeur, secondo la quale la valenza giuridica del termine Anerkennung dovrebbe essere ricondotta all’idea

123 Vedi a tal proposito I. Testa, La natura del riconoscimento, cit., pp. 87-90. L’indagine dell’autore mette in

evidenza l’origine del termine anerkennen, spiegando che si registra per la prima volta nel 1525 in un testo giuridico e solo nel 1774 viene per la prima volta introdotto all’interno di un vocabolario tedesco. In generale la parola rimane comunque estranea dal linguaggio popolare, restando circoscritta all’uso dotto o essendo utilizzata in linguaggi settoriali, come quello del campo commerciale. E’ la filosofia, con Goethe prima che con Fichte, l’ambito in cui l’espressione raggiungerà la sua fortuna. Vedi Adelung, Grammatisch-kritisch Worterbuch der Hochdeutsche, 1807, Erster Teil, p. 285 e ss.; J. Grimm und W. Grimm, Deutsche Worterbuch, Leipzig 1854, p. 320 e ss; O. Burmann, Hochdeutsch-plattedeutsches Wörterbuch, Karl Wachholtz Verlag, Neumünster, Bd. I, 1962-1969, p. 285 e ss.

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principale di “accettare, ritenere come vero (o ritenere come tale)”. In tal modo viene sottolineato come l’atto di anerkennen consista non solo nel considerare qualcosa come valido, e quindi conferirgli un diritto, ma anche nel reputare qualcosa come un valore legittimo, in quanto riconoscere un’autorità o una norma vuol dire esprimere il proprio consenso al riguardo124. In senso più generale è possibile individuare una relazione semantica tra Anerkennung, Geltung e Wirken, quale costellazione di significati afferenti al diritto. Quest’ultimo si genera pertanto a partire dalla lotta per il riconoscimento, ma deve compiere un lungo percorso al fine di diventare effettuale, cioè sviluppato nella sua potenzialità, e di divenire valido, cioè vigente, rispettato ed osservato, giacché ciò avviene unicamente all’interno della sfera etica e dello stato, in quanto elemento proprio della costituzione125.

In realtà ancor prima di descrivere la dinamica del Kampf um Anerkennung, Hegel si preoccupa di definire il concetto del diritto per poi mostrare successivamente in quali modalità si manifesta e si sviluppa la relazione giuridica e in che modo essa si genera dall’esperienza stessa della coscienza. La definizione offerta dall’autore prevede pertanto che il diritto sia “la relazione della persona nel suo comportarsi verso l’altra persona, l’elemento universale del suo essere libero – ovvero la determinazione, la limitazione della vuota libertà”126. Se in questo modo viene innanzitutto circoscritto l’ambito di pertinenza del diritto, distinto dall’etica e dalla morale, in quanto da un punto di vista giuridico risulta irrilevante il cosiddetto foro interno, in secondo luogo esso viene presentato come una soglia, al di là della quale l’individuo è identificato come soggetto giuridico, e allo stesso tempo una forma, la quale è vuota dal momento che il diritto di per sé non ha un contenuto proprio, ma si riempie di volta in volta di contenuti differenti, rappresentando così esclusivamente la struttura che organizza le relazioni sociali e i rapporti fra gli individui.

E’ bene tuttavia sottolineare che l’aspetto più rilevante di questo passo risiede nel fatto che Hegel si preoccupa di mettere subito in chiaro che è possibile parlare di diritto solo nel caso sia in gioco una relazione intersoggettiva: conditio per quam del fenomeno giuridico è dunque la presenza di una dimensione plurale e sociale, mentre, per negazione, non si può parlare di diritto a proposito di un singolo soggetto, perché per sua natura il diritto si contrappone a ciò che è solamente individuale. A questo punto l’autore specifica

124 P. Ricoeur, Parcours de la reconnaissance, tr. it. Percorsi del riconoscimento, a cura di F. Polidori,

Cortina Editore, Milano 2005, pp. 17-19. Vedi E. Littrée, Dictionnaire de la langue française e Grand Robert de la langue française, dizionari ai quali il filosofo fa riferimento per distinguere i significati del verbo reconnaître. Per quanto concerne la discussione da parte di Testa della posizione di Ricoeur, vedi Testa, La natura del riconoscimento, cit., pp. 89-90 n.

125 La relazione semantica tra Geltung, Anerkennung e Wirken si rileva in Das deutsche Wörterbuch, Knaur,

Lexigrafisches Institut, München, 1985, p. 416.

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che la relazione di cui è oggetto il diritto è proprio la relazione riconoscente, dal momento che “nel riconoscere il Sé cessa di essere questo singolo sé”, poiché “nel riconoscere esso esiste giuridicamente, cioè non è più nel suo esserci immediato”127. Ciò indica una cooriginarietà fra la genesi della dimensione giuridica e il compimento della relazione riconoscitiva che si innesta sul terreno di formazione dell’individuo come autocoscienza libera, tale per cui, se il diritto è costituito da relazioni riconoscitive, il riconoscimento non può allo stesso tempo che comportare l’emergere di una dimensione istituzionale e normativa. L’argomentazione hegeliana si fonda su un circolo vizioso, in quanto la natura della relazione fra soggetti diventa il criterio per determinare il diritto, in modo tale che per risalire alla deduzione del concetto di diritto si è costretti a introdurre il tema del riconoscimento. Da questo punto di vista il diritto non riceve una fondazione autonoma, in quanto la sua fonte è la relazione riconoscitiva: come l’emergere della dimensione giuridica è misura dell’avvenuto riconoscimento, così la relazione riconoscitiva non può dirsi tale se non in quanto conduce alla genesi del diritto. La ragione di questa argomentazione deve essere individuata nell’obiettivo polemico che implicitamente è oggetto del discorso hegeliano, vale a dire il giusnaturalismo. Se la domanda retorica che il filosofo si pone consiste dunque nel chiedersi cosa è diritto per l’individuo nello stato di natura, la risposta consiste nel rifiuto della dottrina del natürliches Recht, cosicché la teoria del riconoscimento si presenta come l’alternativa grazie alla quale privare il diritto del suo fondamento naturale. Sebbene infatti il Saggio sul diritto naturale avesse sancito la rottura con le posizioni giuridiche precedenti, è in realtà solo ora che Hegel si confronta con il compito di presentare una teoria autonoma del diritto. In questa prospettiva è possibile individuare, nella tesi che definisce il diritto come riconoscimento, la convergenza e la rielaborazione di temi propri della tradizione, cosicché si può asserire che tale posizione è il risultato dell’eredità del pensiero politico di Hobbes da una parte e dell’influenza della filosofia della coscienza di Fichte dall’altra.

Come è noto infatti la nozione di riconoscimento ha origini anteriori al pensiero hegeliano: sebbene sia ampiamente condivisa l’opinione secondo la quale è per merito del filosofo tedesco che l’Anerkennung è divenuto un concetto centrale della filosofia, in modo particolare di quella pratica, è altrettanto noto che Hegel ha fatto proprio un tema di cui è possibile individuare tracce già in autori precedenti, come Rousseau o Smith, e che soprattutto è stato oggetto di una trattazione autonoma proprio in Fichte, il quale ha per

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primo messo in evidenza la relazione fra diritto e riconoscimento128. Nell’ambito della produzione fichtiana è la Grundlage des Naturrechts il testo che mette in luce tale nesso a partire da una concezione secondo la quale la coscienza della libertà soggettiva richiede una relazione duale, in modo tale che sia proprio l’interazione intersoggettiva a rappresentare la condizione necessaria della coscienza dell’io. Fichte definisce come propria di un essere razionale la capacità di attribuirsi un’attività causale, poiché la soggettività richiede un atto riflessivo grazie al quale porre se stesso come oggetto e maturare così la consapevolezza della propria libertà. In questa prospettiva ad esser presa in considerazione è l’autocoscienza pratica, poiché l’io è considerato in quanto agente, che può identificare se stesso come soggetto solo attraverso una relazione con un oggetto, visto che unicamente così può avere la possibilità di esercitare la propria attività causale e quindi manifestare la propria libertà nel mondo sensibile129.

La dimostrazione incorre tuttavia in un ragionamento circolare per ammissione dello stesso autore: se per essere libero il soggetto razionale deve esercitare un’attività causale su un oggetto, deve ammettere un oggetto come presupposto della sua stessa libertà; in questo modo però ogni attività causale è condizionata da un oggetto il quale a sua volta può darsi solo in quanto è stato precedentemente posto dallo stesso soggetto. Per sottrarsi a tale paradosso ed evitare di incappare in un regresso infinito è necessario dunque ammettere, come condizione per la libertà, un oggetto che non sia semplicemente oggetto, ma allo stesso tempo soggetto: la libertà del soggetto richiede dunque una relazione intersoggettiva, poiché è grazie ad un urto esterno da parte di un secondo soggetto attivo che egli si scopre agente libero, è cioè solo ammettendo una dimensione plurale che si giunge all’esistenza della libertà singolare. In questo ragionamento l’intersoggettività è mostrata a partire dalla nozione di Aufforderung che costituisce l’elemento di raccordo tra la coscienza della libertà e la molteplicità delle coscienze: dal momento che è solo grazie ad una sollecitazione esterna che il soggetto è spinto ad autodeterminarsi e a riconoscersi come agente in funzione di un fine, tale esortazione non può che essere compiuta da un altro soggetto analogamente libero e razionale. Pertanto, afferma Fichte, “il fondamento dell’attività causale del soggetto si trova allo stesso tempo secondo la forma o per il fatto che in generale si agisca, nell’essere fuori di lui e in lui stesso. Se quello non avesse

128 Per quanto concerne l’origine rousseauiana della nozione di riconoscimento, vedi, tra gli altri, C. Taylor,

La politica del riconoscimento, cit.; Id., Hegel and the modern society, tr. it. Hegel e la società moderna, a cura di A. La porta, Il Mulino, Bologna 1984; M. Bienenstock, op. cit., p. 194 e ss; F. Neuhouser, Foundations of Hegel’s social theory, Harvard University Press, Cambridge 2000. Per quanto concerne ascendenze smithiane, vedi D. Borso, op. cit.

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operato e non avesse così esortato il soggetto all’attività causale, anche il soggetto non avrebbe operato”130.

La deduzione trascendentale conduce quindi ad individuare come originaria l’intersoggettività, in quanto l’alterità è condizione della coscienza della libertà da parte dell’io ed è quindi requisito necessario dell’autocoscienza stessa, la quale, ponendo l’oggetto, pone contemporaneamente se stessa. Tale impostazione ha ricadute ben precise anche sul piano della coscienza finita: l’uomo non può essere tale che tra altri uomini, ovvero “se in generale devono esistere uomini, allora ne devono esistere molti”131, perché l’umanità consiste nella libera azione reciproca. La nozione di esortazione rappresenta quindi il principio a partire dal quale far derivare il concetto di riconoscimento, poiché, se l’individuo diventa libero e autocosciente solo all’interno di una relazione intersoggettiva, ciò dipende da un urto esterno che costituisce l’esortazione all’autodeterminazione. Da questo punto di vista si genera sin dall’inizio una dinamica reciproca, dal momento che ciascuno dei due soggetti coinvolti nella relazione devono potersi considerare come liberi: colui che esorta, esorta un altro agente, il quale è a sua volta esortato da un soggetto uguale a lui, parimenti libero, in modo tale che entrambi siano destinatari e mittenti di quell’analogo urto che rende possibile l’esperienza della libertà. Si manifesta così una relazione riconoscitiva bidirezionale, la cui struttura prevede che riconoscere qualcuno come agente libero significhi allo stesso tempo esser riconosciuto come tale132. Il concetto di riconoscimento emerge dunque dalle stesse parole fichtiane, secondo le quali “il rapporto degli esseri liberi tra loro è quindi il rapporto di un’azione reciproca mediante intelligenza e libertà. Nessuno dei due può riconoscere l’altro, se tutti e due non si