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La filosofia dello spirito del 1805-06 e la struttura sillogistica dell’io

E’ all’interno del contesto generale appena delineato che deve essere collocata la

Realphilosophie del 1805-1806, la quale si presenta come lo sviluppo delle riflessioni degli

anni immediatamente precedenti, venendo a sancire il compimento definitivo di una filosofia dello spirito e l’abbandono della nozione di natura etica a vantaggio di una teoria dell’eticità sviluppata a partire dalla figura della coscienza82. Non a caso, secondo la periodizzazione condotta da Riedel, tali lezioni aprono la seconda fase della filosofia hegeliana, circoscritta agli anni che intercorrono tra il 1805 e il 1807, durante i quali il filosofo si occupa di chiarire i fondamenti della propria filosofia con una particolare attenzione rivolta alla sfera pratica. L’importanza di queste pagine risiede dunque non solo nel fatto che in esse si consuma in maniera irrevocabile il passaggio dalla sostanza al

81 Ivi, p. 317; tr. it., p. 54.

82 Scrive a tal proposito Siep che «soltanto nel Systementwurf del 1803-04 Hegel possiede i mezzi per la

realizzazione di una filosofia pratica che corrisponde alle intenzioni dei primi anni jenesi. Ma questa realizzazione ha luogo solo nella Realphilosophie del 1805-06» (L. Siep, Il riconoscimento, cit., p. 217). Dello stesso autore vedi anche Id., Zum Freiheitsbegriff in der praktischen Philosophie Hegels in Jena, in D. Henrich und K. Düsing, hrsg. von, Hegel in Jena, Hegel-Studien Beiheft, 1980, pp. 217-228.

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soggetto, ma anche in quanto possono essere considerate una sorta di anticipazione dei

Lineamenti, laddove concorrono alla prefigurazione dello spirito oggettivo, tanto che si

può rimarcare come per Hegel la filosofia pratica sia filosofia dello spirito83.

Dal punto di vista della nostra trattazione le lezioni del 1805-06 ricoprono un interesse nettamente maggiore rispetto a quelle del 1803-04 non tanto per ragioni legate all’articolazione e allo sviluppo del sistema, quanto piuttosto perché in queste ultime non si rileva alcuna occorrenza del termine diritto. Sebbene si è portati a ricondurre tale lacuna alla frammentarietà del testo così come ci è pervenuto più che a motivazioni intrinseche, nel Systementwurf il diritto non emerge come ambito specifico, in quanto le potenze del linguaggio, della famiglia e dello strumento sono immediatamente seguite dalle pagine dedicate allo spirito del popolo84. Come vedremo, le lezioni più tarde presentano una struttura che dal punto di vista dei contenuti ripropone temi analoghi, riorganizzati e ridefiniti secondo uno sviluppo consequenziale, tuttavia esse si distinguono per lo spazio consacrato ad individuare forme di mediazione tra la coscienza e l’eticità: se la novità delle lezioni del 1805-06 consiste dunque nell’approfondimento e nell’ampliamento di una vera e propria sfera intermedia tra la dimensione prettamente individuale e l’ambito universale dello stato, è bene sottolineare sin da subito che è esattamente questo il luogo in cui viene collocato il diritto, il quale assume così per la prima volta un ruolo essenziale. Da un punto di vista generale la Filosofia dello spirito del 1805-06 presenta alcuni elementi di novità importanti, come l’introduzione della nozione di volontà e l’emergere del fenomeno di

Entäusserung, che permettono di mettere sotto una nuova luce altri elementi invece già

presenti nelle versioni precedenti del sistema, come l’ambito del lavoro e soprattutto il

83 Vedi M. Riedel, Fra tradizione e rivoluzione, cit., p. 56; L. Siep, Il riconoscimento, cit., p. 218 e J.

Taminiaux, op. cit., p. 155 e ss., il quale pone l’accento sul passaggio da una filosofia della natura alla filosofia dell’io. Di parere differente è M. Bienenstock che individua già nella filosofia dello spirito del 1803- 04 un punto di svolta rispetto al Sistema dell’Eticità, vedi M. Bienenstock, La politique du jeune Hegel, cit., pp. 175-176, mentre T. Pinkard sostiene che la filosofia dello spirito del 1803-04 presenti molti aspetti di continuità con il Sistema dell’eticità, vedi T. Pinkard, Hegel. A biography, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p. 172. Secondo D. Borso, Hegel politico dell’esperienza, Feltrinelli, Milano 1976, p. 120, le lezioni del 1803-04 costituirebbero un progetto incompiuto. Infine per quanto concerne la tesi secondo cui, con il passare degli anni, la filosofia hegeliana perde il carattere di intersoggettività che distingue i primi scritti jenesi a vantaggio di un’impostazione monologica e coscienziale, vedi J. Habermas, Arbeit und Interaktion. Bemerkungen zu Hegels ‘Jenenser philosophisches Geistes’, in F.K. Löwith, hrsg. von, Natur und Geschichte, tr. it., Lavoro e interazione, a cura di M.G. Meriggi, Feltrinelli, Milano 1975 e A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, cit.

84 A tal proposito si rimanda a F. Livigni, op. cit., pp. 161-183 e F. Rosenzweig, op. cit., pp. 192 e 195. Di

Carlo si sofferma sulla filosofia dello spirito del 1803-04 per mettere in evidenza come il diritto rappresenti il medio dell’interazione fra i differenti sottosistemi sociali e sia condizione di possibilità di ogni interazione. Il diritto svolge pertanto secondo l’autore una duplice funzione, in base alla quale costituisce l’intersoggettività e corregge le deviazione degli altri sottosistemi interni, e si struttura intorno alla duplice coppia di riconoscimento e consenso politico, vedi L. Di Carlo, Sistema giuridico e interazione sociale, Edizioni Ets, Pisa 2006, pp. 17-44.

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concetto di Anerkennung, i quali ricevono una più ampia trattazione e guadagnano così una nuova centralità.

L’opera si apre con la sezione Lo spirito secondo il suo concetto che si distingue in

Intelligenza e Volontà: l’intento hegeliano è mostrare la dimensione teoretica e quella

pratica come un processo unitario, rintracciando una linea di sviluppo fra due modi di porsi del soggetto, in cui l’attività epistemica e l’attitudine alla conoscenza concorrono, insieme alla capacità di fare e agire, ad esaurire l’ambito esperienziale dell’individuo. La parte centrale del testo, Spirito reale, è dedicata all’illustrazione di quell’ambito di relazioni intersoggettive che si dipanano principalmente nella sfera economica e costituiscono il terreno concreto entro cui la coscienza prende forma; infine la parte conclusiva ha come tema la Costituzione, vale a dire le istituzioni sociali e politiche in cui si oggettiva la volontà universale, la quale si incarna nell’organizzazione statale. Tale scansione si colloca all’interno di una concezione dello spirito che prevede, da un lato, la capacità di scindersi e farsi altro, tanto da permettere il pieno dispiegamento della dimensione individuale e da assicurare l’emergere della soggettività, dall’altro la forza per riunificarsi e ricondurre l’immediatezza all’universalità. In questo senso lo sviluppo del piano coscienziale viene inscritto nell’ambito del Geist quale orizzonte ultimo che sottende il processo singolare: se in questo modo si ribadisce il legame tra esperienza dell’individuo finito e divenire dello spirito assoluto, poiché la prima non può che essere compresa nel processo del secondo, è importante sottolineare che Hegel definisce per la prima volta esplicitamente lo spirito come un Selbst, poiché esso è “il Sé, di fronte a se stesso”85. Mentre nel 1803-04 l’accento è posto sulla coscienza, che come abbiamo visto Hegel considera già concetto dello spirito, in questa seconda versione della Geistesphilosophie il punto di vista che il filosofo assume è quello dello spirito, come dimensione socializzata di cui le diverse figure assunte dalla coscienza costituiscono la trama. L’assenza di una trattazione esplicita della coscienza che si rileva rispetto al testo precedente, laddove essa rappresentava il filo conduttore dell’intera trattazione, deve essere motivata allora esclusivamente dalla volontà di mettere in evidenza il nesso tra la coscienza e lo spirito, mostrando l’emergere dell’io all’interno di quella struttura di automovimento e di quel principio di autonegazione rappresentati dallo spirito.

L’incipit del testo è dunque costituito dallo spirito come Anschauung di un contenuto, poiché attraverso tale intuire lo spirito esce fuori di sé, toglie la propria immediatezza e riconosce l’oggetto che ha davanti come oggetto del proprio sapere, come suo. L’Intelligenza presenta dunque diversi momenti, l’immagine, il ricordo, il segno e il

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linguaggio, tappe attraverso le quali progressivamente l’oggettività perde il suo carattere di estraneità e il soggetto si appropria di ciò che ha davanti. Particolarmente interessante risulta la descrizione che Hegel compie dell’uomo, il quale è “notte”, un “puro nulla, che tutto racchiude nella sua semplicità”: da una dimensione inconscia latente e naturale, oscura nella sua impenetrabilità, tanto da esser definita come “notte del mondo”, emerge dunque l’uomo come “puro Sé”, “ricchezza senza fine di innumerevoli rappresentazioni ed immagini”, che si contraddistingue per essere assoluta possibilità, puro potere, libertà come arbitrio e facoltà di instaurare relazioni e stabilire collegamenti, componendo e scomponendo immagini a proprio piacimento86. In questo processo l’io è “la forma non solo in quanto semplice Sé, bensì in quanto movimento” cosicché dall’originaria indeterminatezza primordiale esso si mostra come coscienza, come soggetto che identifica se stesso e ciò che esperisce; si costituisce per mezzo del dare forma all’oggetto e del porre la determinazione, Bestimmung, nella misura in cui l’autoriferimento si genera attraverso la relazione con un oggetto riconosciuto come proprio. Pertanto afferma Hegel: “questo esser-per-me, che aggiungo all’oggetto, è quella notte, quel Sé in cui lo sprofondavo, che ora è emerso, è oggetto per me – e ciò che mi sta davanti è la sintesi di entrambi, contenuto ed io”87.

L’intelligenza si distingue come attività di creare una forma intellegibile per un contenuto, poiché, per conoscere, il soggetto imprime una specifica forma a ciò che è altro da lui, affermando così la propria signoria sul mondo e compiendo un atto di libertà. Ciò implica un processo di astrazione rispetto al dato percettivo che trova nel linguaggio un momento fondamentale, in quanto il potere adamitico di dar nomi esprime il momento massimo di appropriazione dell’oggetto e l’espressione più forte della forza creativa propria dello spirito. Infatti “nel nome per la prima volta vengono propriamente superati l’intuire, l’elemento animale, ed anche spazio e tempo; l’intuito è un che di volatilizzato…l’individualità sollevata dalla sensibilità in un più alto senso spirituale”88. L’aspetto specifico del linguaggio, che nell’economia della nostra trattazione risulta di particolare interesse, deve essere individuato nel fatto che esso non si limita ad un rapporto tra soggetto ed oggetto, ma richiede una relazione tra soggetti. Si profila in questo modo la comparsa di una dimensione comunitaria che abbia nella comunicazione e nella comprensione intersoggettiva il suo tratto proprio, che si uniformi ai codici linguistici stabiliti e ne rispetti le regole, perché ciò che contraddistingue il linguaggio è che il riferimento del nome alla cosa sia invariabile e stabilito in modo universale, valga cioè per

86 Ivi, pp. 186-187; tr. it., pp. 70-71. 87 Ivi, p. 188 ; tr. it., p. 72.

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tutti e per sempre89. Scrive Hegel che “l’io è la forza di questo libero ordine, non ancora posto come necessario, e tuttavia ordine. Esso è il libero sostegno, l’ordine libero e non oggettivo – è l’io che per la prima volta si coglie come forza; esso stesso è la necessità, è libero dalla rappresentazione, l’ordine che fissa e insieme è fissato”90.

In questo modo la dimensione spirituale perde il legame diretto con l’oggetto, perché non è più importante l’aderenza o la conformità della rappresentazione alla cosa, ma si tratta di rapporti fra nomi, di relazione fra concetti. In tal modo si è giunti ad “un’attività completamente non sensibile”, che permette la “libera elevazione dello spirito” il quale ha quindi se stesso come oggetto”: lo spirito si rivela freie Kraft, attività che consiste nel fissare, astrarre, trarre fuori, superare91. La sezione dell’Intelligenza presenta pertanto il lato teoretico dell’attività della coscienza che coincide con una progressiva interiorizzazione dell’oggetto. L’esito di tale dinamica conduce al Verstand, apice del processo di astrazione, il quale è identificato come “puro movimento dell’universalità”, visto che “l’intelligenza non ha più come suo contenuto un altro oggetto, ma ha colto se stessa ed è a sé oggetto; la cosa, la cosa universale è per l’intelligenza come essa è in sé, essere tolto, e questo positivamente, ovvero come io”92. La libertà che il soggetto guadagna è tuttavia una libertà formale, che si manifesta come arbitrio in quanto l’io diviene un contenitore vuoto, privo di contenuti, perché la sua liberazione consiste nell’affrancarsi dalla determinatezza. Nelle lezioni di Logica e Metafisica si trovano alcune interessanti osservazioni che Hegel esprime a tal proposito, quando scrive che “il movimento del conoscere è perciò sì l’universale, ma ciò che si muove è un particolare; poiché esso è un

questo, un singolo; ovvero esso è formale, e non eguale al suo contenuto, che non è

assolutamente universale”93. Egli prosegue spiegando che la formalità del conoscere dipende dal fatto che “la singolarità è contemporaneamente il contrario di se stessa, universalità; ma quella singolarità è una singolarità determinata, la quale esclude da sé altro determinato; essa è come pura singolarità, punto, semplice, ma proprio per ciò opposta alla sua molteplicità delle determinatezze, le quali sono in quanto escludono le loro opposte qualità”94.

89 Ivi, pp. 192-193; tr. it., p. 77. Vedi I. Testa, La natura del riconoscimento, cit., pp. 334-335. 90 Ivi, p. 193; tr. it., p. 78.

91 Ivi, p. 194; tr. it., p. 79. 92 Ivi, p. 201 ; tr. it., p. 85. 93 LMJ, p. 117; tr. it., p. 114.

94 Ivi, p. 165; tr. it., p. 160. «Il conoscere, come riflessione assoluta per sé ed uguaglianza del rapporto

semplice – e di entrambe le relazioni, ha quindi in sé questa ineguaglianza…nella sua ripetizione nelle differenti sfere alle quali trapassa, il conoscere è il medesimo, ma il contenuto è un diverso e diventa diseguale a se stesso; il su ritorno in sé stesso è piuttosto il volversi in altro, in quanto la sua negatività muta i momenti, dei quali essa è unità negativa» (Ivi, p. 120; tr. it., p. 117).

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Se dunque emerge la parzialità di un io limitato a pura forma, ciò implica la necessità di riempire questa forma vuota: mentre la libertà dell’intelligenza è umgekehrt, rovesciata, perché risultato della perdita della determinatezza, si tratta ora di mettere in atto un movimento opposto, che Hegel indica appunto nell’Erfüllung, grazie al quale il soggetto si scopre come capace di porre i propri contenuti, di mettere se stesso come contenuto. Questo momento sancisce così il passaggio dall’Intelligenza alla Volontà, poiché l’ambito in cui il soggetto si costituisce non si limita ad una dimensione cognitiva, ma richiede l’esperienza che si conquista attraverso il fare, quando l’io si confronta con l’azione concreta e la relazione pratica e si affranca dall’estraneità del contenuto e si fa oggetto a se stesso. E’ bene mettere in evidenzia dunque che il passaggio tra le due sfere è individuato nella nozione di libertà, in quanto il limite dell’intelligenza risiede nell’accezione di libertà che presenta, riducendola a libero arbitrio e ad emancipazione dal determinato. La libertà si rivela dunque motore interno dell’attività dello spirito, poiché, come vedremo, concerne non solo la singola soggettività, ma tocca il punto nevralgico della relazione tra volontà singola e volontà universale: la sezione dedicata al Willen rivela infatti la necessità per la costituzione dell’io di una dimensione intersoggettiva, nella quale la libertà coincide con la genesi di un ambito sociale, poiché il movimento di soggettivazione richiede un analogo processo di oggettivazione del sé.

Al fine di cogliere meglio questo aspetto, che risulta decisivo perché conduce alla genesi del diritto, è opportuno fare una precisazione circa quella che Hegel definisce la struttura sillogistica dell’io, la quale può esser considerata uno sviluppo della teoria della coscienza come medio e sostituisce il sistema delle potenze, in base al quale era articolata la filosofia dell’eticità negli scritti precedenti. La forma sillogistica contraddistingue sia il soggetto singolo che lo spirito ed indica tanto il modo di procedere della scienza quanto la struttura propria del reale. Definita il contrario di se stessa95, la coscienza deve essere pensata quale unità di universalità e particolarità, o meglio come il termine medio tra i due estremi di un sillogismo. In Logica e Metafisica Hegel descrive il sillogismo all’interno della sezione dedicata alla relazione definendolo come un “giudizio raddoppiato”, che è “il semplice essere uno dell’universale e del particolare, poiché lo sviluppo si mantiene nell’unità; e i suoi momenti sono allo stesso tempo posti l’uno fuori dell’altro in quanto estremi e sono determinati l’uno nei confronti dell’altro”96. La specificità del sillogismo sta

95 Siep sottolinea che tale concetto è a partire dalla metà del periodo jenese il concetto centrale della filosofia

dello spirito e della coscienza (L. Siep, Il riconoscimento, cit., p. 173).

96 LMJ, p. 95; tr. it., p. 93. Scrive Hegel che «il soggetto e il predicato si conservano nella realizzazione del

giudizio come ciò che essi sono nella determinatezza reciproca, e nello stesso tempo, in quanto ognuno si realizza in se stesso, si costituisce in se stesso quale totalità della relazione, così coincidono entrambi, ognuno esprime in sé lo sviluppo dell’universalità in sé, tanto il particolare quanto l’universale, poiché si tratta

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nel fatto che ogni estremo è tale solo in quanto instaura una relazione con l’altro, cosicché la relazione a sé è mediata dalla relazione con l’altro e il sillogismo nella sua interezza consiste nella mediazione tra universale e particolare e non nella loro separazione. Questo passo è collocato all’interno della Logica, prima parte dell’opera, la cui funzione è mostrare la dissoluzione del finito e permettere l’abbandono della conoscenza intellettualistica per accedere al sapere della ragione. In questo contesto il sillogismo si rivela principium idealismi, nella misura in cui mostra l’inadeguatezza dell’indipendenza del finito, così come gli estremi non possono essere disgiunti ma confluiscono nel termine medio97. Proprio per il fatto che consiste nel “rapporto del singolare all’universale mediante il particolare”, il sillogismo presenta un punto di vista superiore, poiché “è in generale la relazione ritornata in sé, l’identità della relazione dell’essere e del pensare”98. Pertanto il medio diviene “il punto di passaggio nell’ascendere del singolare all’universale o nel discendere dell’universale al singolare” e sussume sotto di sé entrambi gli estremi, dal momento che è grazie ad esso che si instaura la loro relazione reciproca99.

Da questo punto di vista la coscienza è dunque unione di universalità e singolarità, le quali sono tali solo in quanto costituiscono i termini di una reciproca opposizione: nella

Filosofia dello spirito Hegel descrive dunque l’universale “in quanto distinto da sé”

contrapposto alla singolarità che è “negatività nella forma dell’universalità”. Pertanto “i due termini sono completamente indifferenti l’uno all’altro, giacché ognuno è l’universale, ovvero il riferire a sé” tanto che in quanto due estremi “sono altrettanto semplicemente riferiti l’uno all’altro”, poiché ognuno “è quello che è soltanto nell’opposizione”100. Come è stato ben illustrato da Siep, il sillogismo si rivela “la forma essenziale del movimento della Realphilosophie”, la cui esposizione è scandita da una successione di sillogismi: l’io teoretico e l’io pratico sono entrambi determinati come sillogismi, poiché consistono nella

ugualmente di una determinatezza riflessa in se stessa». Per un commento di tale parte, vedi il commento di F. Chiereghin, «La relazione del pensare», in F. Chiereghin, a cura di, Logica e Metafisica di Jena (1804/1805), Verifiche, Trento 1982, pp. 340-383, in particolare pp. 373-383.

97 G. Gerard, op. cit., p. 325.

98 LMJ, pp. 105 e 95; tr. it., pp. 102 e 93.

99 Ivi, p. 97; tr. it., p. 94. Hegel afferma che «il medio è ciò che è comune agli estremi sia per il fatto che è

sussunto sotto entrambi in modo opposto negativo e positivo, sia per il fatto che esso li sussume entrambi; in quello gli estremi si comportano allo stesso tempo come i sussumenti l’un l’altro in modo opposto e come sussunti»

100 JS III, p. 197; tr. it., p. 82. «Quelli, la cui infinità è l’io, sono essi stessi infiniti, riflessioni in se stessi; non

meri circoli, bensì circoli che hanno essi stessi come loro momenti circoli, e sono i circoli di questi circoli…La singolarità, riunendosi con l’universale mediante l’unità sintetica del particolare, è proprio questo movimento del salire, il quale, come universale, è immediatamente di nuovo singolare, in quanto come universale, ha opposto la singolarità alla particolarità, come al sintetico, quella come alla sostanza, questo come al concetto determinato, pone ambedue come ideali, ed è l’unità negativa o singolarità, ed è così ritornata al punto di partenza. L’universale, che si oppone al singolo, lo è esso stesso, e viceversa, e in questa riflessione l’estraneo è questo: entrambi hanno questa determinatezza l’uno contro l’altro, e questa è unità