La morte e i sepolcri: una realtà composita
I. 2.2 – Il dibattito Stato Chiesa a proposito di inumazione e cremazione
È noto che la cremazione, adottata in epoca romana e abbandonata con l’avvento del cristianesimo,24 fu reintrodotta in Europa nel Secolo
dei Lumi e, precisamente, nella Francia rivoluzionaria della fine del Settecento. In epoca cristiana la legislazione carolingia del Sacro Romano Impero si allineò alle disposizioni ecclesiastiche: il Capitulare Paderbrunnense del 785 comminava la pena capitale a chiunque avesse
osato procedere alla cremazione di una salma.25 Durante le Crociate le
salme dei nobili caduti in battaglia venivano sezionate e bollite, al fine di trasportarne in patria i resti. Bonifacio VIII disciplinò, finalmente, la sepoltura dei caduti in Terrasanta: nel 1299 emanò, infatti, la bolla
De sepulturis, nota anche come Detestandae feritatis, che vietava
perentoriamente detto sistema, pena la scomunica.Fu poi precisato che la citata bolla pontificia era finalizzata sia ad impedire la macabra usanza di mutilare le salme, sia a vietarne la cremazione.26
La prima cremazione eseguita in Italia in epoca moderna fu quella, nel 1822, dell’inquieto ed ateo trentenne Percy Bysshe Shelley, esponente della lirica romantica inglese.27 La sua produzione afferisce
al ricco patrimonio della poesia sepolcrale, nata negli ultimi anni del Settecento.28 Esule in Italia con la moglie Mary Godwin, nei pressi di
Viareggio, durante una tempesta egli naufragò con la propria goletta nel golfo di Lerici, ove annegò l’8 luglio 1822: il mare ne restituì il corpo alcuni giorni dopo e questo fu cremato, in ottemperanza alle sue volontà. Mancando le strutture idonee alla cremazione, la salma fu deposta sopra una pira e combusta sulla spiaggia.29 In Italia la
fondazione delle prime società di cremazione, istituite quali enti morali, avvenne intorno al 1888, anno nel quale il Parlamento, con legge 5849, ingiunse ai Comuni di concedere gratuitamente a dette società i terreni, al fine di edificare i forni all’interno dei cimiteri. Tuttavia lo Stato non stanziò i fondi necessari, per cui le società di cremazione edificarono gli impianti, nelle rispettive città, finanziate esclusivamente dalla generosità dei benefattori sensibili all’argomento.30
La problematica della cremazione va intesa all’interno di un quadro più ampio, costituito dallo scontro tra una cultura che si riconosceva nei valori legati al binomio trono-altare, e la cultura dell’Italia post- unitaria, che propugnava i principi della democrazia liberale. All’interno di questo scenario “si sviluppò sulla questione della incinerazione” un conflitto tra chiesa cattolica, ancorata a posizioni tradizionali e
25 Si veda Società GenoveSedi creMazione, Note di Storia, in «Il Notiziario», II,
2014, Genova 2014. 26 Ibidem.
27 GuGlielMino, GroSSer, Il sistema letterario, cit., p. 575.
28 Ibidem, p. 196.
29 Evidentissima l’analogia con il rito in uso presso i Romani: cfr. paragrafo I.1.1. 30 Società GenoveSedi creMazione, Note di Storia, cit.
massoneria, proiettata su posizioni di avanguardia culturale derivate dal protestantesimo, basata sul liberalismo e sul socialismo, su libertà di pensiero e morale laica, razionalismo e ricerca scientifica.31 Erano
favorevoli alla cremazione i liberi pensatori, fautori di un progetto di laicizzazione della società, mentre vi si opponevano i cattolici, i quali la consideravano contraria alla fede. Come ricordato sopra, le prime leggi organiche in materia funebre, valide nella Italia post-unitaria, furono il R.D. 10.01.1891 n. 42 Regolazione di Polizia Mortuaria ed il R.D. 25.07.1892 n. 442 Regolamento speciale di Polizia Mortuaria. A tali disposizioni legislative, fondate sull’Editto napoleonico, si ascrive la prescrizione, per i cimiteri comunali, di accogliere i cadaveri di tutte le persone decedute nel comune, senza alcun riguardo al domicilio, alla origine, alla nazionalità, alla causa della morte. Inoltre, si prescrive che i defunti debbano essere inumati in luoghi separati giusta i culti tollerati (ex articolo XV dell’Editto) e si inserisce, quale nuova disposizione, la prescrizione che i bambini non battezzati debbano essere inumati in una zona a loro dedicata.
Concentrando il focus sul conflitto nella Capitale,32 Anna Maria
Isastia approfondisce le questioni sorte tra autorità ecclesiastica e amministrazione comunale. La tradizionale forma di sepoltura medioevale ad sanctos ed apud ecclesiam aveva favorito, nel corso dei secoli, la nascita di un legame indissolubile tra sepoltura e funerale religioso che si tenevano, entrambi, nella parrocchiale, rendendo i parroci direttamente responsabili delle pratiche relative alla morte e alla sepoltura dei cattolici. Inoltre, la studiosa sottolinea che a Roma l’ultima sepoltura in chiesa si ebbe nel tardo 1870, a dispetto dell’Editto napoleonico. La tumulazione, continua la Isastia, era progressivamente divenuta una fonte di profitto: diritti di stola, tasse di sepoltura, oblazioni per concessioni di spazi nei sacri luoghi, costituivano parte degli introiti che il clero ricavava dalla gestione delle inumazioni. Per tale motivo, la Chiesa intendeva conservare il proprio appannaggio: la gestione della morte e della sepoltura veniva tenacemente rivendicata dal clero, il quale affermava l’esclusivo carattere religioso della fine della vita e, dunque,
31 Anna Maria iSaStia, La laicizzazione della morte a Roma: cremazionisti e massoni
tra Ottocento e Novecento, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», II,
1998, Carocci, Roma 1998, pp. 55-97. 32 Ibidem, p. 55 e sg.
il proprio incontestabile diritto a gestire l’intero settore, osteggiando l’ipotesi che tali prerogative potessero essere attribuite agli ufficiali sanitari dipendenti dal Comune, come da tempo accadeva in Francia. Nonostante la Chiesa avesse gradualmente visto venir meno il proprio potere temporale, questa continuò ad intervenire nella gestione del settore: negli anni Settanta e Ottanta, infatti, Roma vide numerosi conflitti innescati dalle autorità religiose, ancorate alle normative ecclesiastiche sul seppellimento. L’amministrazione comunale della Capitale dovette fronteggiare, inoltre, il delicato problema della confessionalità del Campo Verano, poiché la Chiesa non gradiva che il cimitero allestisse spazi riservati agli atei, agli acattolici, ai liberi pensatori e a confessioni religiose differenti dal Cattolicesimo, che avrebbero profanato, a suo avviso, un luogo religioso. L’opera di trasformazione durò, continua la Isastia, ben 40 anni e fu completata soltanto nel 1911, quando la Giunta Nathan approvò il primo regolamento per il cimitero Verano, in vigore a partire dal 1 marzo, dopo 62 anni di gestazione. La competenza in materia di polizia mortuaria passò definitivamente al Comune il 20 settembre 1870: la secolarizzazione della morte vide allora piena affermazione e l’amministrazione comunale romana dovette fronteggiare problemi igienici e sanitari, cui si sommarono i suddetti principi religiosi e la difesa di consolidati vantaggi economici. Il Comune di Roma si era così appropriato del monopolio sulla morte, sottraendolo gradualmente al clero e intraprendendo una politica volta alla creazione di un sistema di inumazione comunale, specializzato e decentrato. Meno di due mesi dopo l’entrata degli Italiani a Roma, infatti, la nuova amministrazione comunale istituì il servizio medico per la verifica dei decessi. Le disposizioni approvate, più o meno coincidenti con quelle contenute nei due regolamenti già discussi, respinti nel 1849 e nel 1856 dalla Chiesa, sancirono definitivamente il passaggio della gestione dell’intero settore dai parroci alle istituzioni amministrative civili. Fu il primo atto di un lungo processo volto a trasformare il camposanto, luogo consacrato al fine di accogliere esclusivamente le spoglie dei defunti cattolici, in un cimitero aperto a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione di credo religioso. Tale laicizzazione e secolarizzazione dei cimiteri fu sostenuta da alcuni gruppi minoritari di progressisti e liberi pensatori.33 Questi
ultimi, guidati da Ulisse Bacci, cominciarono nel 1875 a trattare il tema della laicizzazione dei cimiteri, con il progetto di rendere assolutamente
civili questi sacri luoghi, ove debbono riposare tranquille e venerate le ceneri dei defunti. E bisogna renderli assolutamente civili, perché, se il prete ne tiene in mano le chiavi, rifiuterà con cristiano amore di aprirne le porte a coloro che non sieno trapassati con tutti i sacramenti della religione ortodossa.34 La polemica nacque in seguito al verificarsi
di alcune circostanze incresciose, tra le quali l’epilogo della morte di Giuseppe Libertini, noto mazziniano: il clero aveva infatti, per la prima volta, rifiutato il Crocefisso ad un defunto, mentre il vescovo aveva comminato interdetto alle chiese che ne ricevessero il corpo e sospensione alle Confraternite che si fossero prestate ad accompagnarne il feretro. Una situazione analoga si era verificata inoltre a Firenze, alla morte del mazziniano Giuseppe Dolfi. Dal momento che Libertini e Dolfi non erano stati ricevuti nei pubblici campisanti, era stata formulata la proposta di istituire cimiteri civili privati, accantonata quasi immediatamente a favore della cremazione, un nuovo sistema di conservazione dei corpi connesso ad una nuova ritualità. Tale inedito paradigma cremazionista, reso possibile dalla ricerca tecnologica, era oggetto di discussione negli anni in cui lo Stato italiano imponeva, per mezzo dei prefetti, la costruzione dei cimiteri lontano dagli abitati.35 Il Verano subì una trasformazione parallela all’evoluzione dei
modelli sociali, religiosi e politici, mutamento che evidenziò i limiti dell’amministrazione comunale nella gestione del Campo, formalmente cimitero centrale e comunale della città di Roma e, dunque, aperto a tutti, indipendentemente dal credo religioso ma, in concreto, affidato ai padri Cappuccini della contigua canonica della Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura. In seguito alla richiesta, da parte dell’erede di un libero pensatore, di sepoltura al Verano accompagnata da una iscrizione che inneggiava a Mazzini e al deismo, istanza non accolta dal Comune, la Giunta Municipale stabilì di realizzare nel cimitero comunale un ulteriore settore, destinato agli atei e ai liberi pensatori.36
Nel processo di secolarizzazione dei cimiteri e della morte svolse un
34 uliSSe Bacci, «Rivista della massoneria italiana», anno VI, Roma 1875, citata in
iSaStia, La laicizzazione, cit., p. 58.
35 Ibidem, p. 58 e sg. 36 Ibidem, p. 59.
ruolo determinante la diffusione della cremazione. Il dibattito contro i pregiudizi e le tradizioni funebri era stato avviato in Francia nel 1856 da personaggi come da personaggi come Honoré de Balzac, Théophile Gautier, George Sand. Ad essi seguirono gli Italiani, tra i quali il medico Ferdinando Coletti, il quale nel 1857 all’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Padova trattò il tema, argomentando sui seguenti punti, che avrebbero dato avvio alla diffusione, nell’opinione pubblica, del sostegno a favore della cremazione. Primariamente, il fattore igienico, seguito dalla constatazione che la Chiesa non potesse essere contraria all’incinerazione, dal momento che il cristianesimo non professava un culto superstizioso del cadavere e non pensava che si dovesse conservarlo, ma soltanto proteggerlo dalla profanazione. A tal proposito, Coletti aggiunse che la riduzione del corpo umano in cenere dovesse considerarsi simbolo della fragilità umana, descritta nella frase
pulvis es et in pulverem reverteris, appartenente a Genesi, 3, 19. Egli
attaccava, al contrario, la profanazione, che riteneva legata piuttosto alle quotidiane esumazioni in corso nei cimiteri, indispensabili per lasciare posto ad altri cadaveri. Sosteneva che la cremazione avrebbe spogliato la morte di tutte le immagini ripugnanti che la avevano sempre accompagnata. Le urne, conservate eventualmente anche in casa, avrebbero rafforzato i legami familiari ed esercitato una benefica influenza sulla morale degli individui. Gli emigranti avrebbero potuto condurre con sé le spoglie dei propri cari e la religione delle tombe, di foscoliana memoria, si sarebbe estesa a tutte le fasce della popolazione. I campi di battaglia di Custoza e di Sadowa, continua Coletti, erano coperti di cadaveri di soldati e di animali, le cui esalazioni infestavano l’aria a grandi distanze, a causa del caldo e dello scirocco. Serpeggiava il colera e mancavano le braccia per dare ai corpi una rapida sepoltura. Questioni morali, igieniche, economiche e religiose, spinsero Coletti a proporre l’incinerazione di quei cadaveri e, più in generale, a sostituire la cremazione all’inumazione, contraria all’igiene per le esalazioni che corrompono l’aria e le infiltrazioni che infettano l’acqua e i terreni.37
Nel 1867 il deputato repubblicano e libero pensatore Salvatore Morelli, appena eletto alla Camera, presentò una proposta di legge Per
circoscrivere il culto cattolico nella Chiesa e sostituire ai Campisanti
il sistema della Cremazione. In nome del rispetto di tutti i culti religiosi
e dei nuovi principi igienisti, Salvatore Morelli chiedeva di instaurare in Italia il sistema della cremazione, detto dai latini cremandi vel
comburendi, sanzionato da Numa, dalle leggi delle dodici tavole, e conservato fino al quarto secolo della chiesa cristiana, la quale poi lo invertì nel rovinoso sistema dei sepolcri in chiesa e dei campisanti, chi dice perché erasi perduto il modo di lavorare l’amianto, entro cui raccoglievansi dal rogo le ceneri dei trapassati e si presentavano, sacre reliquie, ai parenti, ed i più severi poi giudicano essere stata una delle arti questa del clericato per mantenere nelle città, nei villaggi e nelle borgate quel fomite di malessere che ha generato tante nuove epidemie.38 Nella prima metà degli anni Settanta la posizione
cremazionista, formulata in ambiente medico e transitata nel mondo dei liberi pensatori, si diffuse progressivamente. Il 22 gennaio 1876 a Milano avvenne la prima cremazione dell’età moderna, evento che pose l’Italia all’avanguardia nel contesto europeo: fu pertanto necessario, sia pure «per casi e per motivi eccezionali», modificare l’articolo 67 del regolamento sanitario del 6 settembre 1874. Si trattava di un evento che poneva l’Italia all’avanguardia nel contesto europeo: come fu ricordato nel 1882, al primo congresso delle società italiane di cremazione, le nazioni europee non erano ancora pervenute ad introdurre nella loro legislazione sanitaria norme adatte a dare un concreto sviluppo a questa pratica. Dal 1876 a Milano si intensificò la posizione cremazionista, che aveva in animo di costituire la prima società per la cremazione, nata, infatti, a Milano in data 8 febbraio; ad essa sarebbero seguite tutte le altre. Tra i primi soci della Socrem milanese figura Giuseppe Garibaldi, che il 25 gennaio 1876 scrisse a Cavallotti, pregandolo di pubblicare ch’io aderisco alla Società
per la cremazione dei cadaveri.39 Il plauso di Bacci e dei liberi pensatori
romani alla concretizzazione delle succitate istanze da parte dei fratelli milanesi fu, naturalmente, immediato. Bacci lodava, inoltre, il medico igienista toscano e garibaldino Gaetano Pini, il quale divenne presto l’anima dell’organizzazione cremazionista italiana. Di conseguenza, a Roma ci si mobilitò immediatamente, fino a pervenire alla costituzione di una società per la cremazione e alla erezione del Tempio crematorio
38 Ibidem, p. 64. Si veda, inoltre, il paragrafo I.1.1. 39 Ibidem, p. 65.
del Verano. La società per la cremazione romana fu costituita il 23 dicembre 1879 da Francesco Ratti, Felice Giammarioli, Luigi Mostardi, Filippo Del Frate. Ne fu nominato presidente Ratti, patriota e consigliere comunale, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, professore di Chimica all’Università di Roma e deputato per due legislature.40 Come
era già avvenuto nelle altre città, la prima iniziativa della società per la cremazione romana, nel gennaio 1880, fu la presentazione alla prefettura di Roma della istanza di costruzione di un forno crematorio, accettata nell’arco di un solo mese in virtù dell’intervento del ministro Agostino Depretis.41 Al Campo Verano il 5 luglio 1883, di fronte al reparto dei
nati morti e presso il reparto acattolico, fu inaugurato, con la cremazione del corpo del senatore Emilio Cipriani, il tempio crematorio.42 Nel 1890
erano quasi compiuti i reparti civile, acattolico e il cimitero israelitico, che entrò in attività nel 1895. Nel 1900 si ultimò il colombario atto ad accogliere le urne dei cremati.
Il crematoio del tipo Gorini, dalla forma pesante e severa, è opera di stile egizio dell’architetto senatore Salvatore Rosa, il quale ha saputo mascherare il camino con una copertura di zinco che conferisce l’aspetto di una alta pira, in cima alla quale arde una fiamma.43 Il motivo della
fiaccola, antico simbolo misterico della vita eterna, compare sui templi crematori e sulle tombe di coloro che hanno scelto di essere cremati. Simbolismo e positivismo si fondono nel paradigma cremazionista, nella terminologia ottocentesca del quale lo strumento materialmente usato per bruciare i cadaveri viene definito altare crematorio, mentre l’edificio, nel suo insieme, è detto tempio, parola che compare già nel primo disegno di legge sulla cremazione, presentato da Salvatore Morelli alla Camera nel 1867.
La cremazione avviene alla presenza di un membro del consiglio della società per la cremazione, che rappresenta simbolicamente la comunità umana, giunta a rendere l’ultimo saluto a chi si è spento, le cui ceneri si raccolgono con un bacile e una cazzuola d’argento.
40 Ibidem, p. 66. 41 Ibidem, p. 68. 42 Ibidem, p. 76.
43 Ibidem, p. 77 e sg. Paolo Gorini fu un celebre vulcanologo cremazionista, inventore del forno crematorio e imbalsamatore del corpo di Giuseppe Mazzini.
Il tempio crematorio romano fu costruito in stile egizio: la riscoperta della simbologia egizia risaliva alla cultura settecentesca e la scelta di costruire l’edificio in stile rimandava ad un modello di sapere e di mistero legato a quella cultura.44
La diffidenza del mondo cattolico nei confronti della cremazione mutò, poi, in aperta ostilità e in condanna senza appello, nonostante gli innumerevoli tentativi di rassicurazione dei credenti da parte dei sostenitori della nuova pratica, i quali affermarono più volte di porsi su una linea di continuità con i precetti cristiani, ricordando il rito cattolico nel quale, il primo giorno di Quaresima, il sacerdote pone sulla fronte dei fedeli la cenere, pronunziando il citato versetto di Genesi 3, 19. Si ripeteva, inoltre, che l’immortalità dell’anima non può essere inficiata dalla cremazione, in quanto nel trascorrere del tempo tutti i corpi vanno incontro a disfacimento. Anche tra i cattolici, infatti, erano coloro che ritenevano corretta l’ipotesi cremazionista, tra i quali il sacerdote Antonio Buccellati, professore di Diritto penale all’Università di Pavia e membro dell’Istituto lombardo di Scienze e Lettere. Egli affermava che la Chiesa non avrebbe mai potuto prevedere, in passato, quanto le nuove scoperte scientifiche avrebbero poi suggerito per motivi igienici e civili, ossia l’opportunità della cremazione del corpo; ribadiva, inoltre, che il fedele disponeva della libertà di scegliere il tipo di sepoltura.45 Buccellati ricordava che nel passato la Chiesa non
avesse mai palesato opposizione quando, in occasione di pestilenze o di guerre, i cadaveri furono bruciati, sepolti con calce, mummificati o imbalsamati. Affermava, inoltre, che il corpo, in quanto materia, si volatilizza, alimentando altri corpi in natura e che si tratta di un dato di fatto, che avviene, a prescindere dalla cremazione, con lo scorrere del tempo. L’idea cremazionista si stava pertanto affermando anche nel mondo cattolico, sposata da alcuni ministri del culto. La Civiltà Cattolica gesuita innescò invece, nelle proprie pagine, una violenta offensiva contro la cremazione e il gesuita milanese Giacomo Scurati avviò uno studio teologico, che fornì la documentazione sulla quale, successivamente, con si fonderanno le motivazioni della scomunica.46 Il
44 Ibidem, p. 87.
45 Ibidem, p. 81.
suo scritto intendeva dimostrare il carattere aberrante della cremazione e renderla impossibile a laici e cattolici, negando ai notai la possibilità di accogliere tale disposizione testamentaria, e chiudendo ai cremati le porte dei cimiteri; concludeva, infine, con la richiesta di un intervento risolutivo da parte della Santa Sede. Scurati ribadiva che Dio è il padrone del corpo umano e che, quindi, l’atto del seppellimento è un atto religioso e i luoghi del seppellimento sono sacri. Riteneva pertanto la chiesa l’unica autorizzata a stabilire le modalità di conservazione dei defunti.
Il 19 maggio 1886 fu emanato il decreto della Congregazione del Santo Ufficio che condannava la cremazione, risoluzione che papa Leone XIII approvò e confermò, dando mandato di diffonderne l’assunto.47
Nonostante ciò, la pratica della cremazione a Roma continuava con regolarità. Era allora in discussione alla Camera il codice sanitario, che fu, poi, votato nel 1888 e che all’art. 59 disponeva l’obbligo, per i Comuni, di concedere l’area necessaria per la costruzione dei forni crematori. Un segnale molto forte a favore della cremazione venne, nel 1911, inaspettatamente, dal mondo ebraico di Roma, dove nel 1907 l’amministrazione comunale cominciò a valutare l’ipotesi di un nuovo edificio crematorio, dal momento che quello in uso era fatiscente e la sua ubicazione era la meno adatta. Ogni volta che ha luogo una cremazione, scriveva il direttore del cimitero all’ufficio di sanità, in tempo di scirocco
o d’aria pesante, il fumo denso e grasso che si sprigiona dal fumaiuolo invade tanto la parte bassa del cimitero quanto quella alta, trovandosi il detto fumaiuolo a livello del Pincetto.48 Per tale motivo, infatti, la
Società aveva proposto, a suo tempo, di realizzare l’edificio nella parte