La morte e i sepolcri: una realtà composita
I. 4 – La morte negli spazi: la letteratura sui grandi cimiteri Sepoltura e città, un dialogo lungo millenni:
la nascita e lo sviluppo dell’architettura cimiteriale
Nella città moderna, parallelamente a un allontanamento culturale dell’idea di morte, è avvenuto un fenomeno di rimozione della stessa anche sotto il profilo spaziale.1 Il luogo consacrato alla morte,
che un tempo si trovava all’interno della città occidentale grazie al sistema capillare degli edifici religiosi, dalla fine del XVIII secolo, quale effetto della cultura illuministica, è stato collocato in posizione marginale rispetto al nucleo urbano. Nella rimozione della morte dalla vita quotidiana e dai relativi spazi si esprime il tentativo di trovare un nuovo equilibrio, realizzando luoghi deputati a liberare la città da una presenza problematica sotto il profilo igienico.2 L’architettura
cimiteriale si sviluppa dopo la Rivoluzione francese, quando cessa la suddivisione dei poteri che aveva visto nella chiesa uno degli elementi fondamentali di raccordo tra il potere statale e il potere civico. Il cimitero si delinea, quindi, sia quale luogo di invenzione architettonica sia, soprattutto, quale fenomeno urbano, nei legami che intreccia con i tessuti preesistenti e nei rapporti di analogia con le altre strutture della città. La cultura illuminista ha individuato in alcuni monumenti della tradizione i precedenti utili alla formulazione del nuovo organismo cimiteriale: un ruolo fondamentale è svolto dal Camposanto di Pisa,
unicum che si colloca in prossimità dell’area sacra della città ma
che ha una totale autonomia di recinto (Fig. 1), atto a suddividere nettamente il cimitero dalla chiesa. Il rapporto tra chiesa e cimitero, che nel villaggio poteva realizzarsi mediante un recinto che circondava il camposanto, nella città doveva necessariamente vedere coincidere l’area delle sepolture con il sedime della chiesa, dando origine a una sorta di stratificazione, che vedeva la chiesa dei morti sotto la chiesa dei vivi, tra le quali non esisteva una distinzione tale da impedire che la realtà problematica della chiesa dei morti interferisse con la chiesa dei vivi. Nel cristianesimo la loro unificazione risiede, dal punto di vista ideologico, nella consapevolezza che la ecclesia è il luogo della
1 Si veda il paragrafo I.3.2.
comunità e che i trapassati sono anch’essi viventi, benché in una forma ulteriore di vita, in attesa della resurrezione della carne. Alla fine del secolo XVIII tale identificazione inizia progressivamente a vacillare dal punto di vista ideologico, poiché la cultura occidentale matura la scissione tra la concezione laica del mondo e la fede religiosa, percependo, di conseguenza, la urgenza di risoluzione dei problemi sanitari e igienici che riguardano la intera comunità, determinati dalla convivenza dei due mondi nei medesimi spazi. Si inizia a pianificare ed attuare soluzioni, che pervengono alla ideazione di un organismo progettato ad hoc per i trapassati all’interno della città, nella quale si ripropone la separazione che esisteva nella città antica. Nella Grecia antica, infatti, la necropoli si situava accanto alla polis, mentre nel mondo etrusco la città dei morti era estesa il doppio della città dei vivi, con caratteristiche che, come si è detto nel paragrafo precedente, assimilavano le necropoli alla città e i sepolcri alle case.3
Dal punto di vista della storia dell’architettura, la progettazione cimiteriale d’epoca moderna è il risultato di una lunga fase di sperimentazione che ha condotto, nell’arco di tempo compreso tra il Neoclassicismo e la Restaurazione, alla prima codificazione del cimitero moderno, quale risposta razionale e universale alle nuove esigenze espresse dalle società e dalle città più avanzate.4 Dalla fine del Sei alla fine del Settecento, ha
notato Jacques Le Goff, la commemorazione dei morti va declinando. Le tombe, comprese quelle dei re, si fanno semplicissime. Le sepolture sono abbandonate alla natura e i cimiteri deserti e mal curati...All’indomani della rivoluzione francese, ha luogo un ritorno della memoria dei morti, sia in Francia sia in altri paesi europei. Si apre la grande epoca dei cimiteri, con nuovi tipi di monumenti e di iscrizioni funerarie, con il rito della visita al cimitero. La tomba staccata dalla chiesa è tornata ad essere centro di ricordo. Il romanticismo accentua l’attrazione del cimitero legato alla memoria.5 I primi progetti cimiteriali sono il prodotto
delle invenzioni monumentali dei maestri della architettura francese rivoluzionaria e napoleonica. I moderni cimiteri devono sembrare immuni dalle insidie del tempo, ragion per cui sono concepiti quali
3 Si veda il paragrafo I.1.
4 Enrico Guidoni, Prefazione, in Bertolaccini, Città e cimiteri, cit.
5 Jacques le GoFF, Storia e memoria, Einaudi, Torino 1977, citato in Scalvini, Voce
organismi geometricamente chiusi e perfetti; sono inoltre improntati al criterio illuminista della funzionalità. La architettura cimiteriale dimostrerà, nel suo ulteriore sviluppo, la perdurante efficacia nel tempo di alcune formule, tra le quali il cimitero di impronta paesaggistica e romantica.6 L’architettura cimiteriale costituisce uno degli argomenti più
ampiamente sviluppati dalla pratica architettonica negli anni di passaggio tra Settecento e Ottocento. La sistematicità del fenomeno è determinata da vari fattori: il progresso scientifico, filosofico, matematico e il mito della ragione del Secolo dei Lumi portano ad una lettura laica degli eventi terreni e conducono al rifiuto, alla critica culturale e religiosa, della antica concezione della morte, dei riti e dei culti funebri. Appaiono, inoltre, sempre più pressanti le problematiche legate alla igiene pubblica urbana: si decreta la espulsione dei luoghi infetti dalla città e si attiva un processo di isolamento, che porterà negli anni, e attraverso opposizioni e dissensi, alla creazione dei moderni cimiteri collettivi extraurbani. Alla fine del Settecento i progettisti dei primi impianti cimiteriali trasferirono in campi aperti immagini già sperimentate, molto semplificate in una prima fase, più elaborate e codificate in seguito.7 La
città è il nucleo primigenio, donde ha origine l’idea architettonica del cimitero quale organismo disciplinato, insieme di parti poste in relazione a formare un intero indivisibile di singoli elementi, collegati tra loro da precise leggi. Le nuove necropoli nate nel tardo Settecento sono concepite quale parallelo della città dei vivi, cui costantemente rimandano come metamorfosi della struttura urbana e dei singoli elementi che la costituiscono. La città di metà Settecento, corrotta, malata e rovinata, come nelle incisioni di Piranesi, non più adatta nella sua struttura alle mutate esigenze della società del progresso e della industrializzazione, genera il cimitero quale prodotto particolare e unico, dotato di propria individualità, mediante una trasformazione operata dall’interno della identità urbana e lo proietta lontano da sé, al di fuori delle proprie mura, al fine di tutelare la vita dei suoi abitanti.8
6 Guidoni, Prefazione, cit.
7 Bertolaccini, Città e cimiteri, cit., p. 9.
8 Ibidem, ove il riferimento al mondo visionario di Giovanni Battista Piranesi proposto dalla studiosa è estremamente interessante. Rimando, inoltre, alle lezioni del Corso di Storia della Architettura II tenute nell’anno accademico 2014-2015 dal Prof. Alessandro Fonti, il quale ha indugiato a lungo sulla figura piranesiana. Si veda, infine, il paragrafo I.1 del presente lavoro.
Lo spazio urbano viene pertanto risanato, attraverso una sistematica operazione di allontanamento, segregazione e chiusura di tutto ciò che è impuro. I Lumi auspicano che una città ideale, perfettamente governata, presenti una normalizzazione e gerarchizzazione degli spazi e degli edifici: l’organismo urbano viene pertanto scompartito, geometrizzato e misurato, secondo un desiderio di disciplina che diventa legge, atta ad evitare ogni incidente ed imprevisto.9
La qualità, obiettivo primario per tutti gli uomini di progresso, deve essere espressa mediante modelli matematici e pertanto quantificabili, parametri commensurabili, ripetibili e immutabili, ai quali è improntata la progettazione cimiteriale. Rifiutata la concezione del sapere quale deduzione da principi di ordine superiore, la visione empirica dei fenomeni diventa la chiave d’accesso alle connessioni reciproche tra i dati di realtà e il linguaggio matematico che li traduce.
La città moderna è anch’essa un prodotto del sapere scientifico, progettata e pianificata in ogni sua componente muovendo dalla definizione matematica, poiché commensurabile, iterabile e immutabile, dei suoi elementi più semplici, che potremmo definire moduli. Nelle città di fine Settecento si originano spazialità pure, strutturate mediante moduli determinati dalla conoscenza del reale condotta con metodo empirico, attraverso indagini di uomini di scienza volte a rilevare, nel sorgere di nuove esigenze collettive, la necessità di progettare ulteriori luoghi urbani disciplinati quali macchine perfette, modelli matematici e trasmissibili, nei quali consentire lo svolgimento regolamentato di particolari attività.10 La matrice è, evidentemente, la
filosofia illuminista e positivista, con il suo pensiero empirico e la sua struttura logico-matematica.
Alla fine del Settecento gli architetti concepiscono i nuovi organismi architettonici cimiteriali quali tipi,11 temi costanti della sperimentazione
e della innovazione. È il momento in cui le magistrature della sanità, in nome della salubrità ambientale e della igiene pubblica (intesa anche quale operazione di risanamento sociale), chiariscono in termini
9 Bertolaccini, Città e cimiteri, cit., p. 11.
10 Ibidem.
quantitativi le relazioni tra densità di popolazione urbana e mortalità, tra condizioni igieniche e malattie, tra ampiezza delle strade e possibilità di far circolare l’aria, tra forma del recinto cimiteriale e salubrità, tra una quantità misurabile e una qualità raggiungibile attraverso un globale progetto di riforma della città. Vi è pertanto un approccio razionale agli spazi che l’Illuminismo aveva progettato per i luoghi deputati ad accogliere le altre istituzioni totali, quali il manicomio, il carcere e l’ospedale. Per il valore assunto e per il ruolo svolto nel disegno della città moderna, la descrizione degli impianti cimiteriali divenne allora un importante capitolo della letteratura architettonica.12
Due imperativi sintetizzano il pensiero borghese, basato sui principi di tutela, salubrità e sicurezza: far vivere e respingere la
morte.13 L’organismo urbano isola i focolai di infezione e li recinge,
raggiungendo il fine etico attraverso una architettura capace, con la sua stessa forma, di esercitare un ruolo morale. La città è così costantemente soggetta a regolamenti e controlli, al fine di prevenire e sanare qualsiasi forma di instabilità e di disordine. Il cimitero assume così, nella sua posizione isolata, una precisa definizione architettonica frutto della nuova cultura illuminista.
È drasticamente respinta la pratica medioevale della sepoltura ad
sanctos o apud ecclesiam fondata sulla cultura cattolica, che auspicava
una prossimità fisica ai luoghi del divino, ma che aveva condotto alla saturazione dello spazio di chiese e sepolcreti urbani. Il trasferimento dei cadaveri da luoghi di sepoltura interni alla città a spazi lontani dai recinti urbani è parte fondante della trasformazione delle antiche usanze di inumazione in città, iniziata ai primi del Settecento e conclusasi con la collocazione extra moenia dei campi cimiteriali racchiusi, igienicamente deputati ad accogliere quanto è profano, infetto e impuro. Secondo la medicina ippocratica, su cui si basano le scelte urbanistiche
12 Laura Bertolaccini, Primi atti nella definizione dei moderni impianti cimiteriali,
in Maria GiuFFrè, Fabio ManGone, Sergio Pace, Ornella SelvaFolta (a cura di),
L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri, monumenti e città. 1750-1939,
Skira, Milano 2007, p. 21. Si veda, inoltre, il paragrafo I.5 del presente lavoro. 13 Secondo la definizione di Manlio BruSatin, Spazio e potere assistenziale. Il
muro della peste, in «Controspazio. Bimestrale di Architettura e Urbanistica diretto
da Paolo Portoghesi», a. XI, n. 1-2, gennaio-aprile 1979, pp. 72-73, e a. XI, n. 3, maggio-giugno 1979, pp. 50-59, Edizioni Dedalo, Bari 1979.
tardo-settecentesche, l’aria è contemporaneamente causa e rimedio per le malattie. Liberata da qualsiasi implicazione magica e religiosa, la dottrina medica greca inquadra entro termini esclusivamente razionali il problema della diagnosi e della terapia, così che la salute del corpo è il risultato della armonia organica, derivante dall’equilibrio dei quattro umori che costituiscono l’organismo.14 È infatti l’aria il vettore
attraverso il quale si propagano le mortifere esalazioni che provengono da rebus et corporibus putridis et corruptis,15 ma è anche la cura per
sanare le situazioni corrotte. La medicina razionale introduce un nuovo corollario, per cui la corruptione et infectione dell’aria non è imputabile esclusivamente a fattori esterni, ma può risiedere anche all’interno dell’organismo umano: a quel tempo le sepolture saturavano, infatti, le navate delle chiese e le aree circostanti i luoghi di culto, determinando decessi di massa.16
Quale unico metodo per evitarli si attuò la chiusura dei sepolcreti urbani, la separazione e l’allontanamento dei cimiteri, progettati ad una consistente distanza fisica dalle città. La medicina vide intensificarsi allora lo studio delle fasi della decomposizione, delle modalità e della tempistica di smaltimento dei resti umani e vagliò, conseguentemente, forme alternative alla inumazione, quali cremazione, essiccazione, vetrificazione.17 Tali studi costituirono la premessa alla progettazione
architettonica e alla amministrazione delle strutture cimiteriali.
Laura Bertolaccini sottolinea, infatti, che nei progetti settecenteschi per i cimiteri extraurbani, nati per offrire una risposta concreta alle istanze igieniche, più che la architettura dell’impianto, è importante la messa a punto delle parti sotterranee, delle camere sepolcrali ove deporre i cadaveri, dei canali di smaltimento dei liquami, del disegno dettagliato dei tombini, delle macchine per calare le salme attraverso le bocche di fossa, dei forni, alte ciminiere o piramidi, ove effettuare le cremazioni. I cimiteri affermeranno allora, con contrasti nel Settecento
14 Ippocrate, in Enciclopedia Garzanti di Filosofia e Epistemologia, Logica formale,
Linguistica, Psicologia, Psicoanalisi, Pedagogia, Antropologia culturale, Teologia, Religioni, Sociologia, Garzanti, Milano 1988, p. 458.
15 Bertolaccini, Città e cimiteri, cit., p. 12.
16 Ibidem.
17 Si veda in proposito il paragrafo I.3.1, relativo alla realtà fisica e biologica della morte, nonché quello I.1.1, relativo alla fonte letteraria e iconografica cinquecentesca.
e con fermezza nell’Ottocento, la propria totale autonomia rispetto alla sepoltura ad sanctos o apud ecclesiam, che li aveva generati. Con il progressivo venire meno della supremazia del Cattolicesimo e con l’affermazione del culto laico del progresso scientifico, le pratiche di inumazione intra muros saranno ufficialmente bandite, ma i piani di realizzazione dei cimiteri extraurbani proposti nel Settecento urteranno contro una ferrea resistenza, che sarà superata soltanto nei primi anni dell’Ottocento.18
L’ostacolo sarà posto dal clero e dal popolo: gli ecclesiastici temono infatti la perdita dei diritti parrocchiali e dei lasciti relativi alle sepolture, mentre il popolo ritiene un atto di terribile crudeltà la separazione del corpo umano dalle spoglie martiriali e dalla realtà fisica dei luoghi religiosi, alla luce del fatto che allora venivano sepolti in campo aperto gli infedeli, i suicidi, gli uomini e le donne di malaffare.
La inumazione entro l’impianto urbano originava dalla fede nel dogma della resurrezione del corpo, associata al culto dei martiri e delle loro tombe, che aveva decretato il passaggio dalla negazione alla familiarità della morte, intesa quale sonno eterno. Su tale presupposto i defunti erano infatti comunemente definiti dormienti19
e avevano diritto ad essere sepolti all’interno delle mura cittadine nel
coemeterium, latinizzazione del termine greco che indica il luogo del
riposo eterno.20
In Italiano l’etimo cimitero compare nel linguaggio comune nel Trecento, mentre nella lingua francese la parola cimetière verrà adottata soltanto alla fine del Seicento. Nel Latino ecclesiastico il cimitero è spesso definito asilus circum ecclesiam, cioè rifugio e asilo. Il concetto di protezione insito nella idea di asilus conduce alla definizione architettonica di uno spazio recintato, un luogo pubblico, benché chiuso da mura, accanto alla chiesa.
La locuzione campus sanctus fa invece riferimento, nella doppia accezione etimologica del termine sanctus, sia ad uno spazio sacro
18 Bertolaccini, Città e cimiteri, cit., p. 13.
19 Si veda la accezione del termine nella cultura contemporanea e, in particolare, nell’arte di Domenico Paladino. Cfr. Pittau, Generati dall’acqua, cit.
e inviolabile sia a un luogo sancito, stabilito, confermato e, dunque, concluso, perimetrato e cinto da mura. Nel Dizionario della lingua italiana, redatto nel 1820, Dal punto di vista artistico il camposanto
sembra potersi distinguere dal cimitero per certi caratteri di monumentalità, mentre nel Dizionario della lingua italiana redatto nel
1865 Il Cimitero può essere Poche sepolture intorno a una chiesa;
l’altro è Edifizio religioso e civile, e richiedente il culto dell’arte.
Il camposanto, edificio religioso e civile caratterizzato dal pregio artistico e dalla monumentalità, assume quale prototipo il Camposanto di Pisa, distinguendosi nettamente dal cimitero.21