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La morte e i sepolcri: una realtà composita

I. 4.1 – Il prototipo medioevale: il Camposanto di Pisa

La costruzione del Camposanto, improntata ad un progetto ancora legato al Romanico, vede la luce in età gotica, ma viene ultimata nel Quattrocento in forme tardogotiche, con il posizionamento nel 1489 della ultima vetrata.1 Nel Breve del Comune di Pisa del 1275 si

menzionano gli orti dell’arcivescovo Federico Visconti e del Capitolo, quali terreni prescelti e destinati a camposanto. Una serie di atti del giugno 1277 sancisce la cessione da parte dell’arcivescovo di Pisa volta all’ampliamento, al miglioramento e all’ingrandimento del cimitero. Tali dati permettono di circoscrivere la data di fondazione del cimitero tra il 18 giugno e il 2 ottobre 1277.2 Le fonti attestano che a Pisa

dal 1277 si lavorava alacremente alla erezione della Ecclesia Sancte

Trinitatis Campi Sancti, che nel 1300 era già parzialmente compiuta

e in possesso di un altare, per essere conclusa nel 1310.3 Impiantato

tra il 1277 e il 1340 da Giovanni di Simone oppure, secondo alcuni, da Giovanni di Nicola,4 il Camposanto sorge dunque sul terreno

ortivo che nel giugno 1277 fu donato dall’arcivescovo al Comune, al fine di trasferirvi il cimitero della ecclesia maior, consistente in varie tombe e sepolcri disordinatamente sparsi intorno al Duomo.5

L’arcivescovo intendeva infatti proteggere, con una recinzione o

1 Per una documentazione esaustiva precedente l’intervento di restauro architettonico, rimando a Massimo carMaSSi, Antonino caleca, Giovanna PiancaStelli Politi

nencini, Il Camposanto di Pisa, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - Libreria dello

Stato, Roma 1993. La storia dell’edificio è puntualmente trattata in Clemente luPi,

Sulle origini del Camposanto di Pisa, in «Notizie d’Arte», II, 1910. Per lo studio del

monumento rimando, inoltre, a Emilio tolaini, Introduzione in Campo Santo di Pisa.

Progetto e cantiere. La forma architettonica e la decorazione plastica, ETS, Pisa 2008.

Per una ricca bibliografia e per una esaustiva storia degli studi sul celebre edificio rimando, fra gli altri, ai recenti contributi apportati da Mauro Ronzani e da Emilio Tolaini. Per la ricca decorazione scultorea e pittorica rimando, invece, a Roberto PaPini,

La collezione di sculture del Campo Santo di Pisa, in «Bollettino d’Arte del Ministero

della Pubblica Istruzione. Notizie delle gallerie, dei musei e dei monumenti», anno IX, fascicolo 6, giugno 1915, Calzone Editore, Roma 1915, pp. 169-178 e Roberto PaPini,

Il deperimento delle pitture murali nel Campo Santo di Pisa, ivi, pp. 441-457.

2 Antonino caleca, Il Camposanto di Pisa. Problemi di storia edilizia, in Massimo

carMaSSi, Antonino caleca, Giovanna PiancaStelli Politi nencini, Il Camposanto

di Pisa, cit., p. 5.

3 Mauro ronzani, Un’idea trecentesca di cimitero: la costruzione e l’uso del

Camposanto nella Pisa del secolo XIV, Plus Pisa University Press, Pisa 2005, p. 4.

4 Sembra più attendibile la identificazione con Giovanni di Simone piuttosto che con Giovanni di Nicola, benché i Pisano, di fatto, siano intervenuti nella fabbrica del Camposanto. Cfr. caleca, Il Camposanto di Pisa, cit., p. 9 e sg.

5 ronzani, Un’idea trecentesca, cit., p. 9.

Fig. 1. Pisa, veduta della piazza dei Miracoli dall’alto

(foto: tratta da Laura BERTOLACCINI,

Città e cimiteri. Dall’eredità medievale alla codificazione ottocentesca,

Edizioni Kappa, Roma 2004, p. 15)

Fig. 2. Pisa, chiostro del Camposanto (foto: tratta da Laura BERTOLACCINI,

Città e cimiteri. Dall’eredità medievale alla codificazione ottocentesca,

una cortina muraria, il cimitero a cielo aperto, che sarebbe stato impiantato a ridosso delle mura cittadine.6 La icnografia del primo

Camposanto della storia della architettura è del tutto inedita (Fig. 1): la struttura si compone di una parte a cielo aperto, la più antica (Figg. 2, 6), e di una parte edificata, costituita da quattro gallerie (Figg. 6, 9,11) coperte, internamente, da capriate lignee ed esternamente da tetto plumbeo7 (Fig. 5), formanti un chiostro rettangolare e

destinate ad accogliere sub tecto sepolture terragne.8 La regolare

pavimentazione dei quattro corridoi con le tombe terragne risale, tuttavia, al quarto decennio del Trecento: soltanto a partire da quella data, e non in epoca antecedente, i defunti venivano tumulati dentro le camere sepolcrali o avelli, scavate sotto il pavimento e coperte da lastre marmoree fornite di botola e chiusino. Coeva è la decorazione ad affresco delle pareti delle gallerie.9

6 Ibidem, p. 10.

7 Sulle problematiche determinate dalla fusione del piombo in seguito agli eventi bellici, rinvio a Giovanna PiancaStelli Politi nencini, La storia dei restauri del

camposanto, in carMaSSi, caleca, PiancaStelli Politi nencini, Il Camposanto di

Pisa, cit., p. 17.

8 ronzani, Un’idea trecentesca, cit., p. 22.

9 Ibidem, p. 3. Fig. 5. Pisa, tetto plumbeo dei bracci

del Camposanto (foto: tratta dal web)

Fig. 4. Pisa, interno di uno dei bracci del Camposanto: tombe terragne, monumenti funerari e pitture parietali (foto: tratta dal web)

La eccezionale epidemia di peste del 1348 provocò una intensificazione delle richieste di sepoltura all’interno del Duomo attiguo, che conferma il perdurante desiderio di riposare eternamente a contatto con il Sacro e la costante predilezione per una inumazione apud ecclesiam, che determinò nel 1349 un provvedimento degli Anziani atto ad imporre obbligatoriamente, senza alcuna eccezione, la sepoltura nel Camposanto, prassi evidentemente trascurata e non abituale.10 Risale al 1359 la prima

autorizzazione alla costruzione di un tempietto funerario, una cappella curata architettonicamente, a favore di chi avesse disposto delle risorse finanziarie necessarie a realizzarla e a decorarla,11 mentre il Camposanto

assume, nel tardo Trecento, la facies di una chiesa provvista di due navate laterali e di coro, costituiti, rispettivamente, dai bracci lunghi della costruzione rettangolare e dal braccio corto.12 Accanto alle numerose

richieste di sepoltura relative al coro, ne compaiono alcune indirizzate al recinto centrale a cielo aperto, che costituiva la parte più antica del

10 Ibidem, p. 37 e sg. 11 Ibidem, p. 49. 12 Ibidem, p. 58. Fig. 6. Pisa, chiostro del Camposanto

Camposanto, ove campeggiavano gli alberi di olivo. Tale campo era stato benedetto dall’arcivescovo Ubaldo, con la terra che i Pisani avevano prelevato da Gerusalemme nel 1189 durante la Terza Crociata e che aveva reso santo il campo, originando la definizione di Camposanto13

che indicherà,14 da quel momento in avanti, come dimostrano i dizionari

ottocenteschi precedentemente citati, la importante distinzione rispetto al cimitero, per il pregio artistico e la monumentalità che caratterizzano il camposanto.15 Nel Medioevo sotto le arcate quadrifore perimetrali

si svolgevano normalmente varj e diversi giochi, divenuti frequenti al punto che numerose ordinanze tentarono di proibirli, come dimostrano alcuni provvedimenti emanati nel 1359, finalizzati ad impedire il gioco delle piastrelle e delle tessere, mentre si manterrà per secoli la antica usanza di porvi ad asciugare la lana per la tessitura e di raccogliervi la cera delle api, preziosa per realizzare le candele votive.La imponente costruzione fu purtroppo danneggiata durante gli eventi bellici del 1944, come mostrano le foto dei bracci del cimitero scattate prima (Fig. 8) e dopo (Fig. 7) i bombardamenti.

Antoine-Chrysostome de Quatremère de Quincy, dopo avere considerato la storia delle antiche forme di inumazione, propone quale modello tipologico il Camposanto di Pisa, le plus beau monument que

le siècles modernes aient réalisé dans ce genre, quale esempio cui

guardare nella ideazione dei nuovi cimiteri. A suo avviso il carattere gotico (Fig. 10) interpreta meglio di qualunque altro il senso di dolce e profonda malinconia, che accompagna l’idea del trapasso. Egli commenta, infatti, affermando che il cimitero di Pisa invera l’idea grande, semplice e funebre del Camposanto, sottolineata dalla architettura gotica che lo caratterizza, ispirando la dolce e profonda malinconia connessa all’idea della morte e conferita dagli antichi dipinti, dai monumenti moderni, dalle tombe e dalle iscrizioni antiche.16

Il Camposanto pisano, esposizione permanente di statue e sarcofagi, è al contempo una struttura capace di offrire una risposta adeguata ai problemi di igiene, salubrità pubblica e decoro delle sepolture, incarnando l’ideale laico degli intellettuali ottocenteschi, i quali

13 Ibidem, pp. 11, 58 e sg.

14 Bertolaccini, Città e cimiteri, cit., p. 16 e ronzani, Un’idea trecentesca, cit., p. 51.

15 Si veda il paragrafo I.1.

16 Bertolaccini, Città e cimiteri, cit., p. 50.

Fig. 8. Pisa, uno dei bracci

del Camposanto in una foto d’epoca precedente la distruzione del 1944 (foto: tratta dal web)

Fig. 7. Pisa, uno dei bracci

del Camposanto in una foto d’epoca successiva agli eventi bellici del 1944 (foto: tratta dal web)

Fig. 9. Pisa, veduta angolare dell’interno del Camposanto

all’incrocio dei bracci: tombe terragne, monumenti funerari e pitture parietali (foto: tratta dal web)

rifiutano gli aspetti macabri della tradizione cristiana e della cultura barocca. All’inizio dell’Ottocento il Camposanto abbandona il proprio ruolo di famedio cittadino, per diventare museo a cielo aperto.17 Dopo

aver individuato nel Camposanto pisano uno dei rari luoghi sepolcrali che possa vantare opere architettoniche di pregio, Quatremère de Quincy lo definisce uno dei primi monumenti della rinascita del buon gusto, ritenendolo l’unico esempio e modello che nei tempi moderni si possa proporre alle grandi città, chiamate ad erigere extra muros cimiteri pubblici. Egli ritiene, infatti, che ad imitazione del Camposanto pisano, dovrebbero essere costruiti su terreni fuori dal recinto delle grandi città uno o più luoghi pubblici di tumulazione, che possano offrire una progressione di pratiche e di monumenti, proporzionati ai diversi gradi di cui si compone il corpo sociale.18

17 ronzani, Un’idea trecentesca, cit., p. 64.

18 Bertolaccini, Città e cimiteri, cit., p. 50.

Fig. 11. Pisa, esterno del Camposanto (foto: tratta dal web)

I.4.2 – Certezze e pregiudizi nel Settecento italiano: