La morte e i sepolcri: una realtà composita
I. 3 – Il fenomeno morte: realtà e dati tecnici 3.1 – La realtà biologica, fisica e chimica
Ai fini della redazione del presente paragrafo è stata necessaria una attenta lettura e analisi del fenomeno sotto gli aspetti biologici, fisici e chimici, realizzata mediante manuali e pubblicazioni di medicina legale, storia della medicina e tanatologia forense. In particolare, sono stati analizzati i lavori di Jutta Maria Birkhoff,51 di Davide Torri52 e di
Vincenza Liviero53 e, nello specifico, la seguente disamina è tratta dal
lavoro degli studiosi Liviero e Torri.
La tanatologia studia il fenomeno della morte e le conseguenti modificazioni, cui va incontro il corpo umano, ormai cadavere: nella legge 578 del 1993 la morte si identifica con la cessazione irreversibile
50 Ibidem, p. 91.
51 Jutta Maria BirkhoFF, Nozioni di medicina legale. Uno strumento per le professioni
medico-sanitarie e giuridiche, Franco Angeli Editore, Milano 2011.
52 Davide torri, Elementi di tanatologia forense, p. 403.
53 Vincenza liviero, Nozioni di tanatologia, Ministero della Salute, Roma 2013. Si
veda, inoltre, il lavoro di Elena Ferioli, Ilaria Gorini, Alcaloidi cadaverici e ptomaine. La
tanatologia negli studi di medicina legale di italiani e tedeschi a fine ottocento, in Storia della Medicina e della Croce Rossa in onore di Loris Premuda. Relazioni, a cura di
Giuseppe Armocida e Paolo Vanni, Atti del Primo Convegno Nazionale Italia ed Europa (Trieste, 27-28 giugno 2008), Società italiana Storia Medicina e Comitato Regionale della Toscana Ufficio Storico CRI, Edizioni Tassinari, Firenze 2010, pp. 134-141.
di tutte le funzioni dell’encefalo.54
Per approfondire la conoscenza della realtà oggetto del presente studio, è interessante considerare che, dopo la morte, prende avvio una serie di processi i quali, progressivamente, modificano il cadavere.55 Tali
mutamenti sono complessi e polimorfi, dal momento che con la cessazione dell’attività cardiaca non si ha il decesso immediato e concomitante di tutte le cellule, mentre differenti cambiamenti intervengono nei vari tessuti in fasi successive. In relazione alla loro evoluzione nel tempo, tali fenomeni cadaverici si distinguono in fenomeni non trasformativi (fenomeni abiotici immediati e fenomeni abiotici consecutivi) e fenomeni trasformativi (conservativi e non conservativi).56
I fenomeni abiotici immediati, o fenomeni di vita residua, sono le prime manifestazioni esteriori della morte: la cessazione definitiva delle funzioni respiratoria, cardiocircolatoria e nervosa, costitutive del cosiddetto Tripode vitale del Bichat. Tale interruzione determina la perdita della coscienza, della sensibilità, della motilità e del tono muscolare. Rimangono invece in atto, fra gli altri, la attività secretoria delle ghiandole digerenti, la peristalsi intestinale, la vasocostrizione arteriolare dell’adrenalina, nonché, per alcune ore, i movimenti vibratili degli epiteli ciliati delle vie respiratorie. Ogni forma di vita residua cessa all’esaurimento delle riserve di ossigeno, con progressiva acidificazione dei tessuti cadaverici.
I fenomeni abiotici consecutivi sono manifestazioni la cui comparsa dà la certezza della morte, poiché sono conseguenti alla cessazione delle funzioni vitali: si tratta di algor, rigor e livor mortis.
Il decremento della temperatura corporea (algor mortis) si verifica secondo una curva di dispersione della temperatura del cadavere, date condizioni intrinseche ed estrinseche note. In condizioni standard, cioè con valori di temperatura ambientale costanti intorno a 18 gradi centigradi, la temperatura presenta un decremento orario da quella iniziale di 37 gradi centigradi, corrispondente a quella teorica del corpo umano, sino al raggiungimento della temperatura ambientale, entro un periodo oscillante
54 torri, Elementi, cit., p. 403.
55 Ibidem, p. 404. 56 liviero, Nozioni, cit.
tra le 20 e le 30 ore. A questo punto, per un breve periodo di tempo, si osserva un ulteriore decremento lieve determinato dalla evaporazione cutanea e, quindi, dopo ulteriori quattro ore, il livellamento definitivo. Immediatamente dopo la morte interviene un totale rilasciamento muscolare, che conferisce al corpo una flaccidità particolarmente evidenziabile a livello articolare. Tale condizione precede di qualche ora l’instaurarsi del rigor mortis, fenomeno che, con andamento progressivo e intensità crescente, determina nei muscoli uno stato di contrattura e conferisce rigidità alle articolazioni. Tale comportamento cadaverico, indice della cronologia della morte, è oggetto di studio da parte della medicina legale sin dal 1900: nello scorso secolo si giunse, finalmente, ad individuarne la sede e la natura. Non si trattava di un blocco primitivo delle articolazioni, ma di una particolare condizione della muscolatura consistente in uno stato di retrazione e di compattezza, che subentrava gradualmente, entro due-tre ore, alla iniziale flaccidità. L’arco di tempo in cui persiste la rigidità non è esattamente definibile, poiché può oscillare dalle 24 ore ai quattro giorni. La insorgenza e risoluzione del rigor non avvengono simultaneamente in tutti i distretti corporei, ma seguono un andamento cranio-caudale secondo la Legge di Nysten. Lo studioso osservò, infatti, come la rigidità interessasse inizialmente le palpebre, per estendersi successivamente alla muscolatura del capo e del collo, degli arti superiori, del tronco, dell’addome e, da ultimo, degli arti inferiori. Sulla evoluzione cronologica di raffreddamento, ipostasi e rigidità, svolgono un ruolo significativo due ordini di fattori: uno intrinseco, relativo alle peculiarità fisiche del cadavere, uno estrinseco, legato alle condizioni ambientali in cui esso viene a trovarsi. La evoluzione è infatti più lenta nei climi freddi, umidi, poco ventilati, mentre è più rapida in quelli caldi, secchi e ventilati. Compare prima nei soggetti gracili e più tardi, ma con maggiore intensità, in quelli muscolosi. La insorgenza e la scomparsa della rigidità prevedono una fase di comparsa, ove l’interessamento dei muscoli del volto è evidente già due o tre ore dopo la morte, per estendersi, quindi, all’intero corpo secondo andamento cranio-caudale, completandosi tra le 12 e le 24 ore dal decesso. Segue una fase di stabilizzazione, ove la rigidità cadaverica si mantiene costante sino a 36 o 48 ore dalla morte. Nella fase di risoluzione, secondo il medesimo andamento, la rigidità
cadaverica inizia a scomparire, per vedere il completo ritorno allo stato di flaccidità intorno al terzo o quarto giorno dalla morte. Se la rigidità articolare viene forzata, i ponti acto-miosinici rotti non saranno più in grado di riformarsi, mentre il rigor potrà nuovamente insorgere, grazie alla successiva gelificazione delle fibre non ancora interessate, al momento della rottura, da tale processo. È possibile, pertanto, la ricostituzione della rigidità dopo la rottura meccanica, solo sino a che una quota importante di fibre muscolari non è ancora andata incontro a irrigidimento, cioè entro le 12 o le 14 ore dal decesso.
Tra i fenomeni abiotici consecutivi è, inoltre, il livor mortis o ipostasi. Cessata la funzione circolatoria, infatti, la formazione delle ipostasi è determinata dai seguenti fenomeni: lo svuotamento dei vasi arteriosi per la combinata azione della persistente attività contrattile arteriosa, la rigidità della tunica muscolare liscia delle arterie e dei muscoli striati e l’accumulo del sangue, a causa della forza di gravità, nelle zone declivi del sistema vasale. Le ipostasi dorsali, se il cadavere giace in posizione supina, possono estendersi anche alle zone laterali del tronco, determinando la risalita delle ipostasi contro gravità, in virtù del fenomeno dei vasi comunicanti. Le macchie ipostatiche assumono un colore rosso vinoso, che dipende dalla emoglobina ridotta ancora presente. In condizioni ordinarie il livor diventa visibile dopo circa due-tre ore in corrispondenza delle regioni dorsali del soma, data la alta frequenza con cui il decesso si realizza in decubito supino. Ma già nei primi 30 minuti le ipostasi possono visualizzarsi nei lobi delle orecchie, nella nuca e nel collo (specialmente se il capo non è sollevato rispetto al tronco), nel dorso e nella regione sacrale. Successivamente, fino alla dodicesima ora, esse si estendono e si intensificano, risparmiando le sedi anatomiche che, per il peso del corpo, gravano sul piano d’appoggio, poiché in queste regioni la compressione dei vasi sanguigni corrispondenti impedisce l’accumularsi del sangue, così come si rileva l’assenza delle macchie nelle zone che risultano compresse da mezzi costrittori. La colorazione rosso vinosa, o rosso violaceo, contrasta con l’aspetto pallido e con il colorito grigio-cereo che caratterizza, invece, le parti più elevate del corpo, dalle quali il sangue è refluito per gravità.
diagnosi tanatocronologica accettabile entro un intervallo post
mortem di 48 ore circa. Dopo tale periodo, infatti, la fenomenologia
tanatologica inizia un andamento rapidamente evolutivo, sia per l’esaurimento totale o parziale della triade algor, livor e rigor mortis, sia per il sovrapporsi di altri processi, detti trasformativi, distinti da una evoluzione meno correlata con il tempo.
I fenomeni post mortali trasformativi conservativi si distinguono in mummificazione, corificazione e saponificazione, mentre i fenomeni trasformativi non conservativi sono putrefazione e macerazione.57
I fenomeni trasformativi si manifestano in una fase più tarda rispetto ai non trasformativi. Ad eccezione della autolisi, fenomeno iniziale comune, essi sono notevolmente influenzati dai parametri ambientali, tanto da essere definiti in base alle diverse evoluzioni che l’ambiente determina sul cadavere nella fase trasformativa. La classificazione enumera la autolisi e la putrefazione, cui seguono i fenomeni trasformativi speciali, quali la macerazione, la saponificazione, la mummificazione e la corificazione, determinati dalle condizioni fisiche e chimiche dell’ambiente in cui permane il cadavere. Una diversa classificazione distingue i fenomeni trasformativi dai conservativi, che mantengono il cadavere in condizioni tali da consentirne un agevole esame obiettivo.
Tra i fenomeni trasformativi non conservativi è la putrefazione. I processi di decomposizione delle componenti organiche dei tessuti umani sono dovuti allo sviluppo post mortale di microrganismi dalla attività saprofitica, che concretizza il fenomeno della putrefazione. I microrganismi appartengono a specie diverse: sono ospiti saprofiti delle vie digerenti e respiratorie nell’organismo vivente oppure patogeni che continuano a proliferare nel cadavere, oppure microrganismi che si insediano per inquinamento post mortale dall’esterno. La azione fermentativa dei microrganismi anaerobi e aerobi della putrefazione si somma alla azione autolitica, portando a una progressiva denaturazione proteica, glucidica e lipidica. Le sostanze proteiche, già decomposte dalla autolisi, vengono degradate fino a completa
scissione aminoacidica, da cui deriva la produzione di acido carbonico, in condizioni di aerobiosi, o di amine, ammoniaca, azoto e idrogeno solforato, in carenza di ossigeno. L’acido lattico, che deriva dalla degradazione autolitica degli zuccheri, è ulteriormente scisso fino ai prodotti terminali della glicolisi cadaverica, cioè anidride carbonica e acqua. La degradazione dei lipidi e la conseguente ossidazione degli acidi grassi determina la produzione di acidi grassi inferiori e di sostanze volatili. Progredendo la putrefazione, i gruppi aminici aumentano, in parallelo al progressivo esaurimento dell’ossigeno, sino a risultarne sostanze basiche, quali le ptomaine, comprendenti la cadaverina e la putrescina. La comparsa di basi putrefattive nel cadavere può rappresentare un indicatore cronologico dei fenomeni putrefattivi avanzati. Nella putrefazione si distinguono fase colorativa, fase gassosa, fase colliquativa. Tali fasi possono manifestarsi senza precisa successione cronologica, in quanto spesso sovrapposte tra loro in una ininterrotta progressione di eventi, che portano alla completa scissione della componente organica.
I cadaveri estratti dall’ambiente liquido presentano rapidissimi fenomeni putrefattivi, mentre se vi rimangono immersi, permangono in migliori condizioni di conservazione, ma vanno comunque incontro, in periodi più o meno lunghi, a processi trasformativi quali la macerazione e la saponificazione. La putrefazione è frenata, nella sua evoluzione, se la conservazione si avvale di casse metalliche, generalmente in zinco, come avviene nelle sepolture attuali, ove il corpo viene inviato alla tumulazione conservato in doppio involucro, ligneo e zincato. Tale stato di conservazione determina una diversa evoluzione dei fenomeni trasformativi, che tendono ad assumere la forma della corificazione. Lo stato colliquativo della putrefazione può perdurare molti mesi, prima di dare luogo alla ultima fase, cioè alla scheletrizzazione, che costituisce l’epilogo del processo putrefattivo. Essa può essere decisamente accelerata dalla azione distruttiva di macro e micro fauna e, in particolare, di larve nate da uova depositate da insetti, detti travailleurs de la mort, attivi fin dai primi momenti successivi alla morte o addirittura nel periodo agonico, sulla cute e in corrispondenza delle cavità naturali del cadavere. Il completamento della scheletrizzazione, cioè la perdita di tutte le residue parti molli che aderiscono allo scheletro, può richiedere un periodo di tre o quattro
anni, che varia in rapporto all’intervento dei fattori menzionati e alle condizioni di conservazione del cadavere. Se rinchiuso in casse metalliche a tenuta stagna, infatti, va incontro più lentamente ai fenomeni putrefattivi, raggiungendo tale fase definitiva in un periodo considerevolmente più lungo. La scheletrizzazione potrebbe, persino, non verificarsi mai.