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18) Violazione ex art. 606 c.1 lett. e) c.p.p. - vizio di motivazione per mancanza, illogicità e manifesta contraddittorietà in punto di rinnovazione del dibattimento disponendo perizia genetica.

Evidente violazione dell’art. 6 comma 1 e 3 lett. b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

La consulenza tecnica extraperitale, la necessità della perizia per affrontare temi non esplorati, il contraddittorio quale strumento di verifica della prova scientifica ( pag 163) .

Il codice di procedura penale del 1930, relegava l’apporto del consulente tecnico in un ambito endoperitale ed inquadrava la perizia tra i mezzi di valutazione della prova piuttosto che tra i mezzi di prova ed il perito tra i collaboratori diretti del giudice nella formazione della decisione, in un ruolo ancillare rispetto al giudice.

La legge delega 16 febbraio 1987 n. 81 nel predisporre le linee guida del codice vigente all’art. 2 n.10 prevedeva espressamente: ”un riordinamento dell’istituto della perizia, assicurando la più idonea competenza tecnica e scientifica dei periti, ciò in linea con il passaggio da un codice ad impronta prevalentemente inquisitoria ad un sistema tendenzialmente accusatorio. Nel codice vigente è mutato in radice il rapporto tra perizia e consulenza tecnica, in precedenza la consulenza tecnica aveva il suo necessario presupposto nella previa nomina di un perito, l’attuale codice ha delineato accanto alla consulenza tecnica endoperitale, quella extra peritale, svincolata dalla perizia. Nel processo emanato nel 1988 il legislatore ha riconosciuto alle parti pubbliche e private un ruolo centrale nella formazione della prova. Alla valorizzazione complessiva del ruolo delle parti in ambito probatorio corrisponde l’analoga valorizzazione dei consulenti tecnici. Il legislatore ha espressamente consentito alle parti di usufruire dell’apporto tecnico dei propri consulenti indipendentemente dall’esperimento di una perizia ed in via del tutto autonoma rispetto ad essa.. L’art. 233 c.p.p.” quando non è stata disposta perizia” legittima questa conclusione e l’ampiezza dell’ambito di operatività della consulenza tecnica

18 Ad adiuvandum: l’Enfsi ha raccomandato di innalzare i 7 loci dell’Ess (Risoluzione del Cons. europeo 2001/C, 187/01 e 2009/C 296/01) con altri 5 e perciò prevedendo l’utilizzo di 12 loci (con Raccomandazione del Consiglio UE alle aziende di kit produttrici). Si consideri che tali linee-guida sono stilate principalmente per l’immissione dei profili in database ove la percentuale di errore è più alta poiché ho un numero elevato di profili inseriti:

- l’FBI negli Usa ha deciso l’incremento a 13 loci;

- l’Inghilterra ha stabilito 10 loci;

-l’Italia nella banca dati DNA ha deciso che: “I profili di DNA sono inseriti al primo livello a partire da un numero di loci pari a sette. Solo i profili del DNA che hanno un numero di loci uguale o superiore a dieci sono inserti al secondo livello” (così l’art. 10, regolamento di attuazione della banca dati) - in ambito forense si ritengono necessari 15-16 marcatori;

- anche le nuove linee guida Ge.fi parlano di numero di loci uguale o superiore a 10;

- sul mach: Portera (all. 12, pag. 31) afferma che nel 31-G20 e 31- G1 Est sono confermate ventuno regioni STR. Ciò significa compatibilità di 10 alla meno ventisette.

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extra peritale, che garantisce l’effettività del diritto alla prova con riferimento a materie che richiedono peculiari competenze specialistiche.

Il codice vigente ha dunque inteso rimarcare il valore estremamente significativo della consulenza tecnica nella consapevolezza che nelle materie caratterizzate da un elevato tecnicismo il difensore ed il pubblico ministero possano esercitare correttamente il loro impegno dialettico solo ove supportati dall’indispensabile contributo degli esperti. Al patrimonio isolato del perito alla sua primazia rispetto ai consulenti si è preferita la gestione partecipata del contributo tecnico scientifico che non consente alcuna gerarchia tra perizia e consulenza. La previsione della consulenza tecnica extra peritale ha realizzato un importante presupposto- in aderenza al modello accusatorio- per l’attuazione del diritto alla prova in ordine a materie che per loro natura potrebbero anche dare luogo a perizia, essendo conferita alle parti la facoltà di avvalersi dell’ausilio di un organo tecnico e soprattutto di sottoporre i contributi al giudice, anche quando quest’ultimo non abbia ritenuto necessario nominare un perito. Peraltro mentre i quesiti formulati dal giudice delimitano l’attività peritale, l’apporto del consulente può invece snodarsi senza soluzione di continuità, lungo l’intero arco del procedimento.

Tali conclusioni hanno ricevuto l’avallo della Corte costituzionale -sentenza 19 febbraio 1999 nr.

33- che nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 4 comma 2 primo periodo della L. 30/7/1990 nr. 217, in tema di patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, ha affermato come debba ritenersi ormai perfettamente compenetrato nello spirito dell’attuale modello processuale il principio in base al quale la consulenza tecnica extraperitale :” è suscettibile di assumere pieno valore probatorio” ( pag.256) aggiungendo che il giudice, senza necessità di disporre perizia, può legittimamente desumere elementi di prova dall’esame dei consulenti tecnici dei quali le parti si siano avvalse, non essendo vincolato a nominare un perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti. Per mezzo della consulenza tecnica le parti possono fornire autonomamente al giudice, a prescindere dalla nomina o meno di un perito, i dati ed i contributi di carattere tecnico scientifico ritenuti idonei a supportare le rispettive tesi. Esse nell’ambito dei loro poteri dispositivi, godono di una assoluta libertà di scelta circa la convenienza o meno di ricorrere all’apporto di consulenti tecnici. Peraltro, il consulente nominato sin dalla fase delle indagini preliminari, è portatore di un bagaglio conoscitivo già acquisito di cui il giudice può disporre per formare il proprio libero convincimento”.

In linea di continuità si colloca la più recente sentenza della Corte Costituzionale n.239/2017, sopra richiamata, tesa a superare l’obiezione relativa alla presunta maggiore complessità di rilievi tecnici derivante dalla necessità di rispettare “sofisticati” protocolli cautelari, ha affermato: “…l’esistenza – alla quale ha fatto riferimento il giudice rimettente – di protocolli per la ricerca e il prelievo di tracce di materiale biologico può, da un lato, rendere routinaria l’operazione e, dall’altro lato, consentirne il controllo attraverso l’esame critico della prescritta documentazione. E non è privo di rilevanza che nel dibattimento l’imputato abbia la possibilità di verificare e contestare la correttezza dell’operazione anche attraverso l’esame del personale che l’ha eseguita, oltre che dei consulenti tecnici e dell’eventuale perito nominato dal giudice”.

Si afferma, dunque, l’eventualità dell’accertamento peritale e si ribadisce che ciò che rileva è il contraddittorio.

Anche la legge 85/2009, istitutiva della banca nazionale del DNA, parifica ai fini dell’inserimento in banca dati, i profili tipizzati nel corso di accertamenti tecnici, consulenza o perizia (art.10: Se, nel corso del procedimento penale, a cura dei laboratori delle Forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializzazione, sono tipizzati profili del DNA da reperti biologici a mezzo di accertamento tecnico, consulenza tecnica o perizia, l'autorità giudiziaria procedente dispone la trasmissione degli stessi alla banca dati nazionale del DNA, per la raccolta e i confronti.)

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Il mutato approccio del legislatore e l’intervento del giudice delle leggi sono a base del diverso orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo cui il giudice può fondare la propria decisione anche sui soli pareri dei consulenti delle parti .(cfr. in tal senso Cass. sez. IV, 3 febbraio 2004, Micucci, e Cass., Sez.I, 17 marzo 1999, Loiacono.

Non appare dunque in linea con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale ed è dissonante rispetto alla stessa giurisprudenza costituzionale, l’atteggiamento di sfiducia e di diffidenza manifestato dalla difesa nei confronti delle consulenze pubbliche e private e dell’apporto degli esperti, operando nel corso di tutto il processo e nei motivi di ricorso, il sistematico declassamento dell’apporto dei consulenti in termini di affidabilità perché ritenuto funzionale ai soli interessi dell’accusa.

Peraltro, come evidenziato in sentenza, la difesa ha liberamente ritenuto di non depositare relazioni di consulenza o memorie a firma dei propri esperti, limitando in tal modo l’apporto degli stessi.

La necessità della perizia postula l’insanabile contrasto tra tesi contrapposte, l’omessa acquisizione di prova decisiva, una grave violazione nell’assunzione della prova nel contraddittorio delle parti, ma per far ciò occorre rinvenire nel processo l’evidenza dell’ utilizzo di una metodica errata o superata e dell’esistenza di un metodo più recente e più affidabile di lettura delle informazioni acquisite al processo, la best evidence.

Nulla di tutto questo emerge dagli atti.

In seicento (ed oltre) pagine di ricorso, ci si sofferma per confutarli su ripetizioni, controlli positivi e negativi e quanto già esaminato senza riuscire mai efficacemente a contrastare la prova cardine del DNA, si frazionano, si parcellizzano, si valorizzano elementi non dotati di propria forza contrappositiva, e allora dove non si può contrastare diviene necessario esplorare, senza riuscire neanche ad indicare la direzione di questa esplorazione. E’ quanto emerge dalla richiesta di visionare i reperti, “ma quali reperti” chiede alla difesa il presidente della Corte?

Non lo si precisa , si dice non i dati grezzi, qualunque altra cosa possa servire ad una ipotetica perizia esplorativa …

Anche in relazione alla componente, quel 3% di DNA mitocondriale umano nessuno dei consulenti è stato in grado di indicare quale ulteriore accertamento possa essere utile.

La mancanza di capacità identificativa, anche a fini di mera esclusione, del DNA mitocondriale estrapolato da tracce miste, condivisa da tutti gli esperti, è tranciante della necessità di una nuova perizia. La stessa consulente della difesa prof. Gino, come già riportato, ha ammesso l’estrema complessità della ricerca del DNA mitocondriale sulle tracce miste e, richiesta di indicare quali approfondimenti ulteriori sarebbero praticabili ai fini della ricerca del DNA mitocondriale, ha segnalato che lo studio del mt RNA, per sua stessa ammissione era ancora in fase sperimentale ed utilizzato per la datazione delle tracce più che per l'identificazione di profili, e il sequenziamento mediante NGS 150, già tentato invano, oltretutto sui campioni più ricchi di DNA, dal prof. Casari, arresosi dopo svariati tentativi, appurato che nei vari campioni il DNA umano era il 3% del totale (mentre il resto era DNA di muffe, batteri e murino) e misto.

L’inutilità della perizia, valutata conformemente da entrambi i giudici, relega sul piano della non rilevanza la questione dei campioni.

Si è già detto sul tema richiamando le dichiarazioni di Casari e le affermazioni di Lago.

Non intendo cercare sul punto un commodus discessus. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in questo stesso processo, è sempre possibile l’analisi dei raw data e la verifica degli elettroferogrammi, effettuata dal CT di parte civile. Verifica che il CT della difesa ha ritenuto di non effettuare.

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Il livello elevatissimo e non comune delle tecniche investigative e delle competenze scientifiche messe in campo, l’ampio approfondimento del thema probandum, la garanzia del contraddittorio assicurata con l’esame dei consulenti, la proiezione e l’analisi dei risultati delle tipizzazioni genetiche, l’esplorazione di tutti gli aspetti critici e le evidenze in tema di DNA nucleare e mitocondriale hanno reso non necessaria la nomina di un ulteriore esperto. L’espletamento della perizia nulla avrebbe potuto aggiungere al tema di prova.