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Il diktat cinese: impara e migliora

CAPITOLO III: Il nuovo ruolo della Cina nello scenario

3.3 Il diktat cinese: impara e migliora

Uno degli aspetti che più hanno contribuito a rendere la Cina, a seconda del punto di vista, una minaccia o un miracolo sotto il profilo economico e produttivo, è, a detta di molti, da ricercare anche nelle politiche e nell'atteggiamento adottato negli ultimi decenni dai paesi occidentali. A partire dagli anni '80, a seguito dell'impulso attivato dalla politica “Open Door“ di Deng Xiaping, si è infatti assistito alla delocalizzazione di capitali, persone e impianti dall'Europa o dagli Usa, verso le economiche lande della Repubblica Popolare Cinese. Tale trend, avviato in principio da pochi lungimiranti “pionieri”, sarebbe divenuto rapidamente un fenomeno di massa. Era quella la Cina dei 100 Euro all'anno, divenuta poi la Cina dei 100 Euro al mese, per diventare oggi la Cina del 30 per cento di costi in meno al netto di dazi e tariffe internazionali (Pellicelli 2010). Era anche la Cina della corruzione, dello sfruttamento e delle normative sul lavoro e sull'ambiente vergognosamente lasche e permissive. È un paese che oggi però è cambiato e continua a cambiare, un paese che vede crescere il proprio PIL pro capite di

anno in anno e che ora ammira le proprie realtà economiche andare a caccia di quelle imprese che sino a qualche anno addietro si limitavano ad emanare commesse, dettando le regole di funzionamento dei mercati.

Oggi non è più così. Il processo d'emersione cinese si sta affermando con tutta la sia dirompenza e in molti ancora sembrano sorprendersene nonostante tutto ciò sia avvenuto secondo dinamiche chiare, lineari e piuttosto prevedibili.

La Cina che va affermandosi in settori che vanno dal tessile alla metallurgica, dalle produzioni Hi-tech alla ricerca energetica, è infatti stata per molto tempo, come visto in più occasioni, semplice fornitore di lavoro. Non a caso si guadagnò l'appellativo di “fabbrica del mondo”. Molte imprese cinesi lavoravano infatti come fornitori, come sub-contractor o come semplici assemblatori per le compagnie straniere, ed in particolare per quelle occidentali. Attraverso queste loro posizioni intermedie, che consentivano un contatto diretto con i modelli di produzione e quindi con gli standard di consumo affermatisi nel panorama internazionale, molte di loro hanno poco a poco potuto risalire lungo la filiera del proprio settore, ampliando le attività all'interno della propria catena del valore, e diventando così a tutti gli effetti concorrenti dei loro stessi commissionari. Così facendo molte aziende cinesi hanno potuto assorbire e fare propri quei know-how introdotti dai numerosi investitori stranieri a caccia di risparmi, avvicinandosi in tal modo agli standard qualitativi accettati internazionalmente, e preparandosi di fatto alla competizione sul mercato globale in maniera ottimale.

Come già accennato in precedenza, la formalizzazione delle intenzioni della Cina di partire alla conquista dei mercati esteri si registra all'inizio del nuovo millennio sotto la guida dell'ex Presidente di Stato Jiang Zemin che, nel 2001, in occasione della presentazione del 10° piano quinquennale per lo sviluppo dell'economia cinese, avvia la cosiddetta Go Global

Policy (Zou Chu Qu), un piano con l'obiettivo di creare 500 world brand per aziende di media dimensione e 5000 per quelle di piccola dimensione. Ciò sarebbe avvenuto indipendentemente dalla natura della proprietà, quindi fosse essa statale, collettiva o privata. Tale piano, estesosi poi al quinquennio successivo, ha visto un impegno diretto da parte del governo cinese, volto a promuovere e a sostenere l'azione di più di 100 multinazionali cinesi con un export di prodotti hi-tech superiore al miliardo di US $, e di 1000 aziende di dimensioni medie aventi export superiori ai 100 milioni di US $24. Le motivazioni alla base di tale strategia sono molteplici: andando ad investire in diversi paesi e continenti, si cercò innanzitutto di diversificare la produzione e distribuire il rischio di internazionalizzazione.

Consapevoli delle enormi potenzialità in termini di consumo del proprio mercato interno, oltre a cercare di assicurarsi il presidio di risorse scarse e materie prime quali petrolio, carbone, gas, la Go Global Policy si proponeva anche l'obiettivo di ridurre la dipendenza dalle importazioni dall'estero (da Giappone, Taiwan, Sud Korea in primis) per quel che riguardava i prodotti high-tech. L'internazionalizzazione poteva quindi permettere a molte aziende del settore di apprendere quelle metodologie e quelle conoscenze necessarie al fine di rendere più produttivo il proprio comparto Ricerca & Sviluppo, e rendere così i propri brand maggiormente appetibili agli occhi del consumatore straniero ma anche, e soprattutto, di quello domestico.

Di fronte a consumatori sempre più esigenti ed attenti agli attributi di ogni genere di prodotto, l'acquisizione del know- how costituisce un elemento centrale per lo sviluppo, la crescita e l'affermazione di qualsiasi azienda. Ecco perché le aziende cinesi, gonfie di capitali e desiderose di competere con i grandi e più esperti colossi del mondo occidentale, sembrano puntare dritto su tale aspetto. Oltre alla creazione di network distributivi 24 Fonte: Italian trade commission, Shanghai Office

che permettano una copertura capillare dei territori su cui attualmente intendono operare (vedi gli ingenti investimenti in Europa centrale), l'oggetto principale della ricerca delle grandi aziende cinesi resta proprio quel capitale intellettuale in grado di condurre a migliori processi, metodi di management innovativi, strutture interne/esterne più efficienti, e allo sviluppo di tecnologie maggiormente all'avanguardia. Tale obiettivo di crescita qualitativa, sta avvenendo prevalentemente attraverso due tipi di strategie: innanzitutto tramite l'assunzione di dirigenti internazionali all'interno delle proprie aziende o associazioni.

É, ad esempio, ciò che avvenne con Phil Murtaugh, ex manager di General Motors, passato nel 2006 alla SAIC (Shanghai Automotive Industries Corporation) e “padre” della JV creata nel 2010 tra i due produttori, prima della successiva acquisizione della coreana Ssangyong Motors Co. È anche quel che è avvenuto e sta avvenendo in Lenovo a seguito dell'acquisizione del ramo PC di IBM (cfr. par. 5.4).

La seconda strategia assume invece spesso connotazioni strutturali più visibili e radicali, e consiste in una massiccia ed aggressiva campagna di acquisizioni volta all'appropriazione del controllo di settori e aree considerate strategicamente rilevanti, o o all'ottenimento di un trasferimento più rapido di conoscenze, canali distributivi e tecnologie (rientra in quest'ultima categoria ad esempio l'acquisizione del 100 per cento dell'italiana CIFA da parte del colosso dei macchinari edili Zoomlion).

La volontà da parte dell'industria cinese di accrescere il livello qualitativo dei propri prodotti, al fine di rimuovere quelle barriere cognitive che ancor oggi ne limitano la diffusione tra i consumatori dei paesi dell'occidente, è ravvisabile tracciando il flusso di investimenti cinesi all'estero.

Oltre agli USA, che come singola nazione rappresentano ancora il target primario degli investimenti cinesi in occidente, il secondo paese su cui si sono concentrate buona parte delle attenzioni del colosso asiatico è infatti la Germania. Le ragioni

sono chiare e semplici: la Germania è leader in diversi settori hi- tech, ha l'economia nazionale più forte del Vecchio Continente, rappresenta il più grande mercato di consumo europeo, è dotata di ottime infrastrutture e centri di ricerca, è considerata il paese trainante l'economia europea e rappresenta, infine, un'ottima porta verso i mercati dell'Europa dell'est, oggi particolarmente appetibili come banco di prova per molte aziende della Cina. La volontà è pertanto quella di assorbire le innovative tecnologie internazionali, così come i più efficienti canali distributivi europei, e porsi a stretto contatto con alcuni tra i brand più conosciuti nel vecchio continente e nel mondo in modo tale da eliminare o comunque ridurre le percezioni negative associate dall'immaginario collettivo al concetto di “Made in China”.