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L'internazionalizzazione e le sue forme

CAPITOLO II: L'internazionalizzazione e il nuovo ruolo

2.2 L'internazionalizzazione e le sue forme

Le modalità attraverso cui un impresa può cimentarsi nella competizione internazionale sono naturalmente molteplici

e ciascuna di esse, oltre alle innumerevoli ripercussioni a livello strutturale/reddituale, produce importanti conseguenze in termini di relazione con il mercato o di percezione del brand/prodotto da parte del consumatore.

Nonostante sia in atto un trend volto all'omogenizzazione dei sistemi produttivi e di consumo, i diversi mercati nazionali presentano ancora molte delle proprie specificità. I sistemi infrastrutturali, l'assetto delle istituzioni politico-legislative, le condizioni climatiche, o gli stessi tratti della cultura, differenziano ancor oggi le varie aree geografiche del pianeta, costringendo l'impresa ad elaborare un apposito sistema di offerta che risulti coerente con tale mix di fattori.

Questi ultimi agiscono infatti sul processo di internazionalizzazione secondo una duplice natura:

– come un input, nel senso che il contesto ambientale in cui un'azienda nasce e cresce condiziona in maniera diretta e palpabile le modalità con cui verrà poi gestita una sua possibile transizione oltre confine. Cultura, procedure e, quindi, l'intero modus operandi aziendale scaturiscono infatti dalle persone, e queste ultime sono necessariamente lo specchio dell'ambiente e del contesto in cui crescono;

– come insieme delle caratteristiche del paese obiettivo, e cioè, come mix di fattori da analizzare nel processo di elaborazione strategica operato dall'azienda in fase di ingresso in un nuovo mercato straniero.

In altre parole, da un lato le imprese giapponesi e quelle statunitensi, così come quelle italiane, hanno adottato percorsi di espansione internazionale che, per quanto tutti orientati allo stesso paese-obiettivo, ad esempio la Cina, risultano estremamente differenti tra loro in virtù del diverso contesto ambientale in cui queste si sono sviluppate. Porter espone

l'insieme di tali fattori nel suo celebre trattato “Il vantaggio competitivo delle nazioni”, evidenziando come questi fattori abbiano poi una forte influenza sulla capacità dell'impresa di sostenere un vantaggio competitivo nei mercati internazionali.

I quattro fattori individuati da Porter, che però per mantenere la coerenza della trattazione non saranno ulteriormente approfonditi, sono:

1) le caratteristiche dei fattori di produzione; 2) le caratteristiche della domanda;

3) le capacità delle imprese fornitrici e di altre imprese collegate;

4) la strategia d'impresa, la sua struttura organizzativa e la natura della concorrenza domestica;

Dall'altro lato, una stessa azienda tra quelle di cui sopra, si comporta poi in maniera differente a seconda del paese in cui intende entrare, ed in particolare, elaborerà delle strategie mirate in relazione alle caratteristiche di quest'ultimo.

Ne consegue un insieme di scelte estremamente articolate, ognuna delle quali presenta un elevato numero di variabili, determinati vantaggi/svantaggi e produce diversi effetti per l'azienda e per gli attori successivamente “toccati” dal suo sistema d'offerta.

É tuttavia opportuno sottolineare come il processo di internazionalizzazione non coinvolga necessariamente solo il sistema di offerta dell'azienda e il collocamento all'estero dei prodotti finiti, nel cui caso si parla di internazionalizzazione commerciale, ma al contrario, occorre tenere a mente come esso possa riguardare una qualunque delle molteplici attività che compongono la catena del valore di un impresa, rendendo quindi possibile distinguere, oltre alla forma sopracitata, anche (Valdani 2010):

1) l'internazionalizzazione degli approvvigionamenti, che si riferisce al reperimento di materie prime, semilavorati o componenti a prezzi più competitivi rispetto a quelli negoziabili nel mercato domestico;

2) l'internazionalizzazione della produzione, che riguarda la localizzazione oltre confine dell'attività manifatturiera e che viene in genere adottata in presenza di incentivi all'investimento da parte del paese ospitante, in caso di disponibilità di fattori di produzione a basso costo, o ancora per ridurre l'incidenza dei costi di trasporto all'interno dei bilanci d'esercizio;

3) l'internazionalizzazione della funzione ricerca e sviluppo, che come visto nel capitolo precedente (cfr. par. 1.2.1), fondandosi sulla condivisione delle conoscenza, richiede investimenti sempre più ingenti e trasversali.

Come già riportato in precedenza, il ruolo rivestito per decenni dai paesi emergenti è stato, agli occhi dei paesi industrializzati, proprio quello di fonte primaria di materie prime (1) e di fattori di produzione a basso costo (2). Mosse dalla volontà di ridurre i costi, molte grandi aziende occidentali hanno infatti delocalizzato le proprie lavorazioni nelle aree periferiche del pianeta, preferendo mantenere i centri di ricerca e gli organi di gestione e di controllo finanziario all'interno del paese d'origine. Questo fenomeno, come nel più classico dei casi di contrappasso, si sta però oggi ripresentando secondo delle dinamiche e dei flussi direzionali opposti, che vedono le imprese dei paesi emergenti e in primis quelle cinesi, forti della loro consolidata struttura produttiva a basso costo e del sostegno dei loro governi, muovere nei mercati internazionali a caccia di nuove competenze, tecnologie innovative e risorse qualificate (3), nel tentativo di colmare quel gap di conoscenza che in molti

casi ancora le separa dalle loro concorrenti occidentali. In ragione delle prospettive di crescita (economica, demografica, industriale, reddituale) che li riguarderanno nel prossimo futuro, tali paesi si stanno inoltre concentrando fortemente sulle forme di internazionalizzazione degli approvvigionamenti (1) orientate al reperimento di quelle materie prime (carbone, petrolio, gas ma anche acqua e generi alimentari13) necessarie a soddisfare un fabbisogno destinato a raddoppiare nel corso di qualche anno.

Come vedremo nel dettaglio nei capitoli successivi, molte grandi aziende del continente asiatico, e soprattutto della Cina, che oggi scelgono di avventurarsi in occidente, oltre a perseguire i più classici obiettivi di crescita della propria quota di mercato, intendono rafforzare quelle attività della catena del valore che presentano un elevato valore aggiunto. Tra queste troviamo ad esempio la ricerca e lo sviluppo, le attività di marketing e di vendita, la logistica esterna, i servizi post-vendita e lo sviluppo di infrastrutture. Al contempo, le attività di approvvigionamento e quelle produttive vengono soventemente mantenute nel paese d'origine, dove possono cioè beneficiare dei bassi costi dei diversi fattori di produzione quali lavoro e materie prime. Questo tipo di strategia può però arrivare a raggiungere anche connotazioni più estreme e radicali e, come dimostrerà il caso Haier, non sono poche le imprese cinesi che hanno scelto di collocare l'intero processo produttivo- commerciale nel Vecchio Continente o negli USA, così da poter sfruttare al massimo le potenzialità offerte da una presenza diretta ed integrata nel tessuto sociale prescelto, traendone, nonostante i maggiori costi, enormi benefici dal punto di vista dell'immagine e dell'approvazione da parte della comunità, così come sotto l'aspetto della gestione della qualità dei prodotti e del controllo dei canali di vendita.