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CAPITOLO III: Il nuovo ruolo della Cina nello scenario

3.2 La transizione capitalista

Un tempo gigante isolato e solitario, spesso al di fuori delle belligeranti prove di forze tra Stati Uniti e resto del mondo, la Cina costituisce oggi un tema di discussione quasi banale, tanto se ne parla nei telegiornali, nei summit d'economia o semplicemente nel proprio quartiere, dove, quasi quotidianamente, l'ennesima attività viene acquistata da una numerosa e riservata famiglia dagli occhi a mandorla.

Offuscata per decenni nello scenario dell'Estremo Oriente dal miracolo economico rappresentato dalla resurrezione post bellica giapponese, la Repubblica Popolare Cinese dà una svolta alla propria storia a partire dal 1976, anno della scomparsa di Mao e della contemporanea ascesa del suo successore, Deng Xiaping. É infatti sotto la sua ala che si cominciano a porre le basi per quella transizione economico- politica che permetterà al paese della Grande Muraglia di aprirsi al resto del mondo, fino ad arrivare, in tempi recenti, ad occupare la posizione di colui che sarà in grado di condizionarne gli sviluppi e gli assetti futuri.

Il riformismo avviato con la politica della “Open Door” nel 1978 e proseguito incessantemente fino ad oggi a suon di piani quinquennali, ha saputo toccare i punti nevralgici dell'ascesa cinese concretizzandosi in un socialismo di mercato che, tramite una politica economica pragmatica, è stato in grado di attrarre gli investimenti stranieri, intensificare le proprie esportazioni, mantenere la centralità del ruolo dello Stato, attuando al contempo profonde riforme in alcuni settori chiave quali l'agricoltura e la ricerca energetica. L'entrata della Cina nel WTO (2001) rappresenta sicuramente uno dei segnali più chiari della volontà di Pechino di confrontarsi con le altre economie del pianeta e di cominciare a competere con esse aderendo alle più strette regole del commercio internazionale. La riduzione dei dazi doganali, del controllo dei prezzi e delle barriere tariffarie e non tariffarie che ostacolavano l'entrata dei prodotti e delle imprese straniere nel territorio cinese hanno portato un ampio afflusso di imprenditorialità ed imprese. Queste, in pochi anni hanno assicurato un costante ingresso di capitali nel paese, garantendogli il più alto tasso di sviluppo al mondo, il ruolo di primo esportatore del pianeta (2008) e quello di primo importatore (2010)22.

Oltre a crescere molto rapidamente, il fatto nuovo che coinvolge la Cina dell'ultimo decennio è però un altro: si sta difatti assistendo ad una sua emersione come principale esportatore di capitale verso l’esterno (vedi Figura 2, pagina seguente), con un ruolo attivo svolto da parte del suo governo centrale nel sostenere le imprese multinazionali locali. Come dimostrato da numerosi studi (von Keller and Zhou, 2003) le ragioni di tale proiezione oltre confine sono essenzialmente tre: ricerca di nuovi mercati, presidio di risorse strategiche, assorbimento di nuove tecnologie/competenze (quelle che Buckley e altri nel 2006 definiranno come strategie market seeking, resources/asset seeking, efficiency seeking). Le grandi 22 Fonte: CIA Factbook 2011

imprese cinesi, sostenute dalle politiche espansive nazionali e dalla progressiva liberalizzazione delle propria economia, stanno quindi assumendo un ruolo sempre più rilevante come investitori internazionali, non solo in altri paesi in via di sviluppo, ma anche verso i paesi occidentali, attirando una forte attenzione sia a livello mediatico che nel dibattito economico per via dei frequenti casi di investimenti, di fusioni e di acquisizioni di imprese all’estero.

Figura 2: INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI CINA 2009

FONTE: Ministero del commercio cinese, “2009 Statistical Bulletin of China’ s

Outward Foreign Direct Investment”.

In Cina, così come nella gran parte dei paesi emergenti, le strategie di queste grandi imprese sono in genere legate a doppio filo con l’ambiente politico nazionale. Alcuni paesi, e fra tutti la Cina è quella che primeggia in tale ambito, utilizzano infatti proprio le imprese nazionali, e soprattutto quelle pubbliche (o a partecipazione statale), come leva per accrescere la propria influenza internazionale.

La crescente partecipazione cinese alla definizione della struttura politico-economica internazionale del terzo millennio,

sta però generando forti squilibri in tutti quei fattori un tempo specchio delle sole dinamiche sociali ed economiche occidentali: inflazione, tassi di interesse, affitti, prezzi dei beni, salari, profitti e prezzi delle materie prime dipendono sempre più da quel che avviene in Cina, secondo un fenomeno che vede la convergenza degli indicatori standard cinesi verso quelli occidentali, con questi ultimi trainati però al ribasso in virtù della spinta competitiva proveniente dalla stessa Cina.

L'ingresso di centinaia di milioni di lavoratori cinesi a basso costo nel sistema economico cinese ed internazionale ha difatti ridotto il potere di negoziazione dei lavoratori negli stessi paesi industrializzati, inasprendo i sentimenti dell'opinione pubblica nei confronti della Cina e quindi, spesso, anche rispetto ai suoi prodotti e alle sue imprese. L'impatto di maggior portata che si accompagna all'avvento dell'economia cinese riguarda senz'ombra di dubbio i prezzi: i prezzi di tutto ciò che la Cina esporta sono infatti in generale diminuiti, vedi l'hi-tech o il tessile, mentre i prezzi dei prodotti che importa sono tendenzialmente aumentati, basti pensare al prezzo del petrolio e o a quello di altre materie prime.

Volendo riassumere, l’ascesa cinese ha oramai assunto una dimensione tale che i suoi effetti possono essere valutati solo prendendo in considerazione un'analisi a carattere globale.

Ciò risulta particolarmente evidente se si guarda al suo impatto sui mutamenti in corso in praticamente tutte le aree del pianeta, tanto su quelli più facilmente osservabili (l’impatto sull’occupazione e sui sistemi produttivi, sui prezzi dei manufatti e delle materie prime, sull'inquinamento), quanto su quelli dalle conseguenze più incerte. In particolare, la Cina è oramai univocamente ritenuta “responsabile” dei cambiamenti globali che occorrono (Pellicelli 2010):

– nella quantità e nella direzione degli scambi commerciali (che ha contribuito ad un’alterazione delle ragioni di scambio

internazionali);

– nell’organizzazione della produzione (che ha causato una riorganizzazione delle attività produttive ai diversi livelli di valore aggiunto su scala globale);

– nell’arena politica internazionale (conducendo cioè ad un sistema multipolare più instabile caratterizzato da palpabili tensioni politico economiche).

Inoltre, un altro ambito in cui il paese riveste un ruolo sempre più significativo, e i cui risvolti in termini di internazionalizzazione delle aziende cinesi si stanno rivelando fondamentali, è rappresentato da quel mondo finanziario che tanto oggi tiene sotto scacco le economie occidentali. Forte dei circa 3.300 miliardi di dollari in valuta estera detenuti dalla propria banca centrale, la Cina infatti costituisce ad oggi una fonte sicura di flussi di capitale a breve periodo (ancora parzialmente regolamentati) e a lungo periodo (sotto forma di crescenti investimenti diretti esteri), capitali con cui, approfittando dei deficit delle partite correnti di molti paesi occidentali, il gigante orientale si sta letteralmente comprando intere fette dell'economia dei paesi europei e degli USA. Infatti, dopo essere stato per decenni il paese con uno dei più alti tassi di IDE in entrata (dal 1978 al 2006 circa un terzo degli IDE mondiali prendeva infatti la via della Cina) oggi, al contrario, è il Dragone ad essersi affermato come loro principale promotore internazionale.

Al di là degli inevitabili effetti macroeconomici e politici di tale situazione, analizzando la questione delle riserve valutarie cinesi sotto il profilo aziendale è possibile scorgere immense opportunità per le imprese della Cina, soprattutto ora che l'attenzione del governo di Pechino sembra essersi spostata

dall'accumulo dei debiti sovrani statunitensi e dell'Eurozona, al tentavo di dominare gli asset nazionali strategici e le public utilities degli stessi paesi, in modo tale da garantirsi flussi di reddito costanti e a basso rischio.

Diversamente da quanto avviene per le imprese dei paesi industrializzati, gran parte della missione imprenditoriale estera cinese è figlia di una precisa e studiata strategia messa in atto dal governo centrale al fine di affermare la propria economia internazionalmente. I primi flussi di investimento cinese all’estero (quasi insignificanti in valore, come visibile nel grafico precedente) sono serviti difatti per stabilire piccole attività commerciali e, così, incrementare la presenza delle comunità cinesi all’esterno o, ancora più importante, sono stati guidati da motivazioni puramente politiche, come nel caso degli investimenti verso Hong Kong negli anni ottanta23. Sono state quindi le stesse imprese a controllo statale, operanti nei diversi settori chiave dell'economia cinese quali risorse naturali, finanza e infrastrutture, le protagoniste di questa prima tranche espansionistica. È però a partire dal 2000, in corrispondenza al lancio del decimo piano quinquennale e della strategia del Going Out, che le operazioni delle imprese cinesi all'estero sono divenute molto più frequenti nei numeri e consistenti nei flussi, coinvolgendo maggiormente anche le imprese private (non solo quelle di grande dimensione, ma anche alcune piccole e medie imprese) che hanno beneficiato di un netto rilassamento delle procedure di approvazione degli investimenti da parte delle autorità centrali.

Tale approccio tutto proiettato verso l'esterno, necessitava però di alcuni interventi anche a livello domestico.

Infatti, sul fronte interno, l'avvento dei dettami del libero mercato e l'apertura dei confini nazionali cinesi allo scambio con 23 Fonte: Globalization Strategies of Chinese Companies: Current Developments and Future Prospects (Taylor, Asian Business & Management, 2002, 1, (209–225) ).

l'estero, hanno determinato, in un processo tutt'ora in corso, una seconda tipologia di transizione che prevede il passaggio da un sistema economico il cui funzionamento si basava sulle relazioni interpersonali, ad un sistema che al contrario si fonda esclusivamente sulle regole e sui principi dettati dall'apparato burocratico (Alon, 2003).

Gli effetti di tale transizione sono importanti per numerosi aspetti, aspetti che incidono in maniera diretta sullo sviluppo dei processi di internazionalizzazione in uscita e in entrata messi in atto dal gigante rosso. Infatti, in carenza di regole chiare, trasparenti, imparziali ed efficienti, le persone, e di conseguenza l'intera attività economica, tendono a compensare tale mancanza attraverso l'implementazione di un sistema relazionale, basato sulla conoscenza reciproca, sul favoritismo e quindi sul clientelismo. Un sistema quindi raramente in grado di premiare l'efficienza ed il merito delle persone così come delle aziende. Tale struttura, se paragonata a quello legale fondata sulle regole, presenta bassi costi fissi per arrivare a consolidarsi a livello nazionale ma d'altro canto presenta alti costi marginali nello stabilire relazioni addizionali, specie quando si cerca di attivarle in contesti differenti da quello domestico o quando, è questo il caso degli investimenti in entrata, un terzo soggetto estraneo al sistema prova ad accedervi dall'esterno. Di contro, un sistema basato sulle regole richiede alti costi fissi per la costituzione di un'infrastruttura legale diffusa fra tutti gli attori che caratterizzano l'attività economica nazionale, ma d'altra parte, presenta costi marginali molto bassi nel momento in cui si richiede l'inclusione di un soggetto terzo all'interno del sistema stesso, o nel momento in cui si intenda accedere ad un omologo sistema al di fuori dei propri confini nazionali. L'inefficienza di tale struttura interna, congiuntamente alla scarsa disponibilità concessa dall'apparato politico di un tempo, ha penalizzato a lungo i processi di internazionalizzazione della Cina, allontanando o sancendo il

fallimento di numerosi tentativi di investimento straniero nel territorio nazionale. Al contempo, tale sistema ha colpito le stesse imprese cinesi desiderose di cimentarsi nella sfida estera, evidenziandone l'incapacità di operare secondo le regole affermatesi nel panorama internazionale.

I progressi dell'apparato burocratico e lo sviluppo delle procedure intra ed interaziendali avvenuti negli ultimi due decenni hanno però consentito alla Cina di superare in parte tale ostacolo, (r)assicurando l'investitore straniero e facilitando l'operato delle imprese nazionali all'estero, garantendo quindi al paese la possibilità di affermarsi, tra i paesi in via di sviluppo, come quello più affidabile sotto il profilo della sicurezza dell'investimento.