DEL MONDO GIOVANILE
N ELLA DINAMICA INTENSA DELLE ESPERIENZE L A T RADIZIONE NELLA MODER NITÀ – Probabilmente l’area maghrebina doveva giungere a un tale livello di cris
per mettere direttamente e violentemente a confronto tradizione e modernità, nel tentativo disperato di ricercarne i significati in una interpretazione e costruzione dall’interno stesso delle proprie culture. Con l’obiettivo di spiegare e soprattutto cercare di risolvere le complesse tematiche degli esclusi dalla modernità, dove nuove forme di avvenire si ricercano, e se ne rincorrono anche di «antiche». Tanto che su questi percorsi – indubbiamente pervasi da traiettorie ricche di variazioni e incessantemente riflessi sulla vitalità della «strada araba» – ciò che con forza emerge è come «tradizione» e «modernità» – affermandosi quali elementi fonda- mentali nell’evoluzione del discorso dei giovani maghrebini e nella dinamica della realtà sociale – di fatto non convergono su un piano uniforme di connessioni sta- bili, e non possono dunque neppure definirsi in un’immagine lineare di nette con- trapposizioni concettuali. Dispiegandosi piuttosto all’interno di un meccanismo dinamico di interdipendenze reciproche che – sottoposto a sollecitazioni continue – evolve e acquista significato sull’orizzonte acceso di una disperata ricerca verso un avvenire migliore. Con il risultato che ambedue le «traiettorie» (tradizione e modernità), alimentate dall’estendersi di queste medesime attese di cambiamento, si trovano inevitabilmente immerse negli stessi spazi di lacerazioni, di vuoti, di speranze e di lacune che caratterizzano il tempo attuale, e al contempo permeate e proiettate sugli ampi percorsi dell’immaginario giovanile, dal quale sono decisa- mente indissociabili. E qui caratterizzandosi, piú per la loro frattura con il reale che per la loro capacità di penetrare e trasformare il reale. Almeno per quanto riguarda il tempo piú breve dell’attualità. Svelando piuttosto – su questa «strut- tura» di interdipendenze crescenti – il ruolo sempre piú importante che assume l’immaginario dei giovani nella comprensione delle tendenze in atto. Tanto da porre in rilievo come le forze dell’immaginario, evolvendo sulle piú profonde aspirazioni del divenire sociale, si rivelano assai piú ricche di significati della realtà stessa. In definitiva a sottolineare un aspetto che qui acquista tutta la sua rile- vanza, se consideriamo – come sostiene Cornelius Castoriadis – che “il mondo moderno si presenta, superficialmente, come quello che ha spinto, che tende a spingere la razionalizzazione al suo limite (…). Ma paradossalmente, malgrado o forse in ragione di questa «razionalizzazione» estrema, la vita del mondo moderno
dipende tanto dall’immaginario quanto nessun’altra cultura arcaica o storica”.96Ed è un’osservazione che apre nuovi punti di analisi nel rapporto fra i giovani magh- rebini e la rottura sociale in corso. Riportando ancora una volta l’attenzione sul- l’importanza di comprendere in profondità l’evolversi delle sensibilità giovanili che bene esprimono come “la preoccupazione di lavorare sulla tradizione è dettata dalla necessità di elevare il nostro approccio della tradizione a livello della Moder- nità, per servire la modernità e darle un fondamento nella nostra «autenticità»”.97 È sempre piú evidente – del resto – che di fronte all’ampliarsi delle incertezze e l’e- stendersi della tematica dell’identità con tutte le sue contraddizioni, ora esplode il problema particolarmente sofferto di una regione che “non ha conosciuto un’evo- luzione endogena e spontanea”.98Tanto che sul riemergere del bisogno di interro- gare il proprio tempo vissuto, può “sorgere dall’interno stesso della coscienza araba una volontà di ristrutturazione totale”.99Sono domande aperte, al contempo difficili e fragili, ma che si estendono con notevole forza d’impatto, richiedendo che se ne sveli il fondamento profondo. E ciò che piú si afferma è che, a questo livello di incertezze, accompagnate da acute tensioni, i giovani maghrebini veico- lano le concrete esigenze del mondo arabo-musulmano di accedere alla modernità. E in effetti niente è piú reale dei forti limiti che impone la realtà presente.
Sul piano interno il confronto è sempre con un quadro di vita dove “l’incapa- cità dello Stato di soddisfare i bisogni materiali o dare nuove ragioni di vita alle popolazioni urbane è flagrante. Per gli esclusi dalla modernità lo Stato-nazione è allogeno, illegittimo, poco portatore di sogni e di speranze”.100E poi la proiezione sulla scena internazionale, alla ricerca di nuovi orizzonti, non riesce neanch’essa a fornire risposte valide al senso diffuso di malessere. Perché qui – nel quadro mon- diale – altre fratture appaiono, a segnalare una situazione estesa di «non-senso», che sembra il prezzo dovuto all’incontro con le nuove sfide della mondializza- zione.101Da cui emerge – e con particolare virulenza – l’approfondirsi della frat- tura Nord-Sud, sulla quale imprimono i loro significati gli stessi avvenimenti
96Cornelius Castoriadis, L’institution imaginaire de la société, Le Seuil, Paris, 1975, p. 235. 97Mohammed Abed al-Jabri, Introduction à la critique de la raison arabe, La Découverte, Paris,
1994, p. 30.
98Hichem Djaït, La personnalité et le devenir arabo-islamiques, Le Seuil, Paris, 1974, p. 127. 99Ibidem.
100Rémy Leveau, Le sabre et le turban. L’avenir du Maghreb, François Bourin, Paris, 1993, p. 38. 101A questo riguardo, cosí scrive il rapporto dell’Ilo (International Labour Office): “Il dibattito
pubblico sulla mondializzazione è a un’ impasse. L’opinione è congelata nelle certezze ideologiche di posizioni radicate e frammentate in una varietà di interessi particolari. Il voler ottenere il con- sensus è debole. Le negoziazioni internazionali chiave sono a un punto morto e gli impegni inter- nazionali sullo sviluppo sono ampiamente disattesi. (…) L’attuale percorso della mondializzazione deve cambiare. Pochissimi godono dei suoi benefici, moltissimi non hanno voce nel suo disegno e nessuna influenza sul suo corso” (Ilo, A Fair Globalisation. Creating Opportunities for All, Geneva, 2004, pp. IX, 2).
dell’11 settembre 2001 che, con “la marginalizzazione accresciuta del Magh- reb”,102hanno provocato ulteriore sconcerto nell’area. E al contempo rafforzato la percezione di un’Europa che – per quanto vicina geograficamente, e cosí inten- samente percepita sul piano dell’evoluzione culturale, economica e sociale – in realtà si dimostra incapace di assumersi la responsabilità del suo ruolo politico, e promuovere la pace e lo sviluppo nel Mediterraneo. Tanto che l’impressione nel Maghreb è che essa “cerca di comperare la sua tranquillità e la sua sicurezza a basso prezzo. (…) L’Europa si presenta come un nuovo impero, meschino e pusil- lanime, che impone dall’esterno le sue norme e i suoi valori rifiutando di condivi- dere le sue speranze e le sue risorse”.103 E ancora, su un medesimo e crescente tono di delusione: “Sfiducie incrociate, protezioni discriminatorie, chiusura all’al- tro, si sono forse riuniti tutti gli elementi di una rottura destinati ad approfon- dirsi? Occorre essere attenti ai segnali che indicano che la trappola è già armata”.104Osservazioni e denunce che diventano particolarmente acute dopo la guerra d’Iraq e sulla crisi irachena: “Unione europea: una volontà assente (…), appare come un nano politico, una potenza irrilevante in riferimento a problemi che richiedono interventi forti”;105in breve un “partner evasivo (…), incapace di proporre modelli politici affidabili ai suoi vicini arabi”.106E tuttavia – sul dilatarsi di questi ampi spazi di sfiducia e gravi fragilità dove si producono accese tensioni – l’Europa rappresenta al contempo, per i tanti giovani maghrebini, la possibilità di irruzione verso l’«Altrove», la presenza costante di un’apertura sull’esterno. E in questo senso fattore essenziale di alimentazione di energie nuove e di confronto per la ricerca di piú profondi significati di innovazione e di creazione. Significa- tivo a questo riguardo è l’ampliarsi fra i giovani maghrebini di interrogativi e pro- blematiche che si definiscono e ridefiniscono sul fermo diffondersi delle antenne paraboliche; e in netta contrapposizione agli immobilismi locali: l’estendersi di acute tensioni di fronte alle difficoltà di procurarsi i visti per l’Europa. Non è un caso se nelle strade di Algeri e di Oran, in occasione della visita di Stato di J. Chi-
102 Rémy Leveau, “Perspective maghrébine et nouveaux rapports avec l’Europe”, in Rémy
Leveau e Khadija Mohsen-Finan (a cura di), Les notes de l’Ifri (Le Maghreb après le 11 septembre), n. 44, octobre 2002, p. 128.
In riferimento alla marginalizzazione accresciuta del Maghreb dopo gli attentati dell’11 settem- bre, Rémy Leveau osserva che la delusione delle élite maghrebine è ancora “piú grande quando esse si accorgono che la conseguenza reale dell’avvenimento le marginalizza ancora di piú che la caduta del muro di Berlino in rapporto alla ricentralizzazione della zona di crisi in Afghanistan, Pakistan e penisola Arabica” (ivi, p. 127).
103Ivi, p. 129.
104Robert Bistolfi, “Après le 11 septembre: bloquer l’engrenage”, in Confluences Méditerranée,
n. 40, hiver 2001-2002, p. 65.
105Robert Bistolfi, “Europe, Méditerranée, monde arabe: une nouvelle donne?”, in Confluences
Méditerranée, n. 49, printemps 2004, pp. 17-18.
106 Dorothée Schmid, “L’Europe au Moyen-Orient: une présence en mal de politique”, in
Thierry de Montbrial e Philippe Moreau Defarges (a cura di), Ramses 2007, Ifri/Dunod, Paris 2006, p. 136.
rac (marzo 2003), folle di giovani manifestavano chiedendo a voce alta e forte i visti per la Francia; ed ora, in Algeria, è l’emigrazione clandestina – attraverso le difficili vie del mare – ad imporsi e svilupparsi, scoprendo un fenomeno in realtà inesistente solo pochi anni fa.107
Si tratta, certamente, di percorsi assai contraddittori sull’affollarsi di incontri, scontri, attese e rifiuti. E tuttavia, non si può ignorare quanto effettivamente essi evolvono in un contesto di legami intensi sull’asse dei rapporti Nord-Sud del Mediterraneo. Al contempo desiderati e contrastati. In effetti, cosí incisivi da per- meare di sé il divenire della personalità dei giovani maghrebini. Con la conse- guente formazione di un nuovo discorso. La cui configurazione, nonostante le tante ambiguità, va ampiamente organizzandosi sullo svolgersi dello scambio dei significati tra il «qui» e l’«altrove», e l’evolversi delle loro interpretazioni. Dove ciò che ampiamente emerge, e in modo sempre piú rilevante, è che anche il con- fronto con gli Stati Uniti è ora decisamente avviato nel Maghreb. Esso stesso attra- verso l’estendersi di piani assai contraddittori e su uno scenario dove “alla deter- minazione imperiale degli Stati Uniti e all’indecisione persistente dell’Unione euro- pea, occorre aggiungere la fragilità del mondo arabo”.108 Da un lato, l’effettivo diffondersi della lingua inglese quale lingua della mondializzazione: con tutte le sue ambiguità aperte, certo; ma anche l’affermarsi delle sue ampie sfide. Dall’altro l’im- porsi del “paradosso: il ruolo e l’influenza degli Stati Uniti non sono mai stati cosí grandi e mai l’antiamericanismo si è cosí tanto espresso nell’opinione di tutti i paesi (…), e piú ancora (dopo l’11 settembre) nel mondo musulmano”.109 “Perché ci odiano tanto?” – si domandava George Bush. E di rimando, su uno scenario di preoccupazioni crescenti, l’osservazione è che “le prime vittime della guerra sono i diritti dell’uomo”.110 Di fronte a questa alta tensione, che si determina e si svi- luppa tra mutamenti, attese e turbolenze internazionali, ciò che piú si afferma (al di là delle tante fratture e incertezze, che ora si aprono nel dialogo fra i popoli offu- scandone il ruolo chiave in termini di pace e di sviluppo) è il carattere fondamen- tale di queste esperienze che, proprio per la loro incisività e intensa drammaticità, penetrano il discorso dei giovani maghrebini imponendo loro di percorrere le strade della comparazione e del confronto, e qui conferendo nuova «sostanza» al pensiero nella difficile ricerca di nuove idee-guida per l’avvenire.
La questione fondamentale: l’integrazione-marginalizzazione dei giovani maghrebini, cosí sofferta nella regione, acquista allora tutto il suo spessore. E si innesta – attraverso le problematiche della guerra, ma anche oltre l’esperienza della guerra – nel processo, attualmente molto discusso, di un «universalismo»
107V. Mohamed Benrabah, “Voyage en Algérie...”, cit., pp. 63-65. 108Robert Bistolfi, “Europe, Méditerranée, monde arabe…”, cit., p. 11.
109Yves Lacoste, “Pour une approche géopolitique de la diffusion de l’anglais”, in Hérodote, n.
115, quatrième trimestre 2004, pp. 8-9.
110N. Lefkir-Laffitte & R. Laffitte (intervista a Haytham Manna), “Les premières victimes de la
rappresentato dall’Occidente (quale espressione di programmi e progetti a voca- zione universale) che minaccia di travolgere ogni espressione di diversità. Tanto che la risposta piú immediata – sull’accelerarsi della mondializzazione e su una scena internazionale cosí incerta e vulnerabile di fronte all’acuirsi degli spazi di emarginazione – è l’esigenza pressante delle popolazioni di esprimere con lin- guaggi propri le attese di sviluppo e libertà. E far dunque emergere l’importanza della diversità nelle multiple esperienze di vita. Ne conseguono possibilità di nuove aperture, certamente. Nel senso che si ripropone in tutta la sua ampiezza la que- stione dei significati. Ma soprattutto ne emergono – almeno nell’immediato – vin- coli contraddittori, che alimentano ulteriormente nei giovani il senso di insicurezza e quindi le tensioni, ora sempre piú difficili da gestire, su uno scenario dove l’in- cremento delle aspirazioni muove in stretta connessione con l’accrescersi delle dimensioni di scarsità in termini di libertà, di giustizia, di desiderio di vivere, di piú equo accesso ai multipli aspetti della modernità. E si tratta di un’intensa «dialettica delle attese» che – sviluppandosi attraverso le lacerazioni del tessuto sociale – esprime innanzitutto la necessità dei giovani di ricongiungersi alla società. Atte- stando – sull’acuirsi di un grave malessere – il desiderio profondo di libertà. Per- ché è la libertà, nei suoi significati piú ampi e piú incisivi, che continua ad imporsi quale “valore che preoccupa di piú i giovani e che si trova di conseguenza al cen- tro dei conflitti”.111 Tanto che penetrando attraverso la problematica complessa della libertà nella difficile costruzione di modernità (e a confronto costante con gli sviluppi di un «universalismo» espresso e diffuso dall’Occidente), acquista tutto il suo significato – per l’ampiezza delle tematiche chiamate in causa, ma anche per le gravi tensioni che ne conseguono – quanto sostiene Jean Baudrillard nell’osservare che “vi è tra i termini «mondiale» e «universale» un’analogia ingannevole. L’uni- versalità è quella dei diritti dell’uomo, delle libertà, della cultura, della democrazia. La mondializzazione è quella delle tecniche, del mercato, del turismo, dell’infor- mazione. La mondializzazione sembra irreversibile, mentre l’universale sarebbe piuttosto in via di sparizione. Almeno come si è costituito in sistema di valori sulla scala della modernità occidentale, senza equivalente in nessun’altra cultura. (…) In effetti, l’universale perisce nella mondializzazione”.112E tuttavia l’esperienza quo- tidianamente vissuta di queste contraddizioni, da sola ancora non basta a indivi- duare le «prove», e muovere rapidamente verso una sintesi definita di nuovi orien- tamenti. Mentre è il «contrasto» che, costantemente messo in opera sul rifiuto della realtà presente, si riconferma quale fenomeno maggiore capace di imprimere nuova forza unificatrice. Tanto che allargandosi oltre i confini interni per penetrare il terreno piú ampio dell’«universale» nel confronto con la mondializzazione – dove aumentano sensibilmente i livelli di rischio sull’accrescersi delle insicurezze e l’incremento delle inquietudini sociali – la posta in gioco che incessantemente si
111Mekki Bentahar, op. cit., p. 73.
riconferma, e a tutti i livelli, è la riorganizzazione delle società del ventunesimo secolo. La traduzione nell’area maghrebina sono i caratteri esasperati della transi- zione, dove emergono le gravi difficoltà a colmare un crescente tessuto di disagi, e si spiega quanto effettivamente ancora oggi “i giovani si attendono molto dall’avve- nire, anche se il pessimismo domina presso gli uni e il fatalismo presso gli altri”.113
È a questo punto, che diventa particolarmente complesso ma estremamente significativo riuscire a cogliere cosa significa, nell’evolversi delle personalità dei giovani, la realtà di un vissuto troppo sofferto, in un’attesa eccessivamente lunga, fonte di diffusi sentimenti di inquietudine e di frustrazione. Perché penetrare que- sti spazi di impotenza e di solitudini vuol dire esplorare un campo aperto di potenzialità creative dove maturano, con maggiore forza d’impatto, nuove possi- bilità e nuove capacità per le fasce giovanili. E soprattutto significa inoltrarsi nei profondissimi contrasti dell’epoca, che trascina con sé i giovani maghrebini in un susseguirsi di relazioni emotive quasi illimitate, nonostante l’evidente crisi delle ideologie e proprio attraverso la crisi delle ideologie. E quindi in assenza, almeno per ora, di conflittualità definite su basi programmatiche.
L’epoca in cui i giovani hanno lottato accanto agli adulti nelle lotte di libera- zione contro il colonialismo, ha definitivamente lasciato il posto a nuove forme di disagio e di conflittualità, insieme a nuove possibilità di azione e di creazione. E ora sono i giovani, che al centro della crisi nei difficili percorsi di costruzione della modernità, vengono direttamente chiamati in causa per l’elaborazione di una nuova dinamica di società, sull’arduo vissuto di un continuo vanificarsi delle loro aspirazioni di rinnovamento, e il confronto sempre piú evidente con i multipli incontri fra le diverse culture del pianeta e le sue tante incertezze. Ed è attraverso queste dinamiche di ricerche incessanti, che continuamente e velocemente scor- rono – e in forme diverse – gli scambi materiali e immateriali con l’«Altrove», accentuando e accelerando il meccanismo delle influenze reciproche. E si esten- dono le nuove incognite nell’affollarsi degli «sguardi incrociati». Del resto tutti e cinque i paesi dell’area (Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Mauritania), senza ecce- zioni, hanno già posto le premesse per un nuovo e piú ampio terreno d’incontro con le diverse visioni del mondo, attraverso una modernizzazione evidente delle loro infrastrutture economiche e sociali – avviata sin dall’indipendenza – che, per quanto presenti pesanti situazioni di insufficienza e inefficienza, in un quadro di grave ritardo, ha comunque già dato inizio agli evidenti cambiamenti culturali fra le generazioni, e sottolineato come la generazione emergente, sempre piú urba- nizzata, piú istruita, desiderosa anche di studiare all’estero e comunque inserita in un sistema di istruzione prolungato, ha un tale peso demografico da definire nella regione temi e forme del discorso culturale, politico e sociale negli anni a venire. E dunque imporsi con un volto nuovo alle sfide della mondializzazione, sull’arti- colarsi delle diverse forme di trasformazione.
I quadri socio-culturali della conoscenza nel mondo arabo-musulmano sono intanto già sottoposti a forti pressioni che schiudono nuove problematiche ai per- corsi del sapere. E su questi orizzonti, i cui contenuti e le cui direzioni sono ancora da tracciare, ciò che piú si afferma è che a confronto con la modernità emergente “il mondo dell’islam non può che essere impegnato in un immenso movimento che prende in considerazione tutte le forme di culture con strumenti nuovi e condizioni di azione concrete, offerte e da conquistare”.114
FRAGILITÀ E DISIMPEGNO DEI SISTEMI EDUCATIVI. – Le gravi difficoltà che
attraversa il sistema educativo nella regione, acquistano allora tutto il loro aspetto di questioni fondamentali nello svelare le tante fragilità dei giovani maghrebini, rivelandosi al contempo fra le cause prime del profondo senso di «vuoto», sull’e- vidente incapacità – nonostante le riforme avviate – di penetrare lo spirito nuovo dell’epoca e mettere i giovani nelle possibilità di parteciparvi. Pesa effettivamente il crescente degrado qualitativo dell’insegnamento,115nonostante gli indiscutibili risultati quantitativi ottenuti nell’area dagli anni dell’indipendenza, che hanno visto un notevole e rapido incremento della popolazione scolarizzata. E soprat- tutto grava la costante squalificazione dei titoli di studio e la dequalificazione del lavoro, quali fenomeni che minano in profondità la coesione sociale e i meccani- smi dello sviluppo. Nella stessa Algeria, dove si era fatta la scelta di industrializ- zarsi, e quindi l’istruzione giocava un ruolo particolarmente importante, oggi “davanti alla proporzione considerevole di esclusi e il numero crescente di diplômés-chômeurs (diplomati-disoccupati), il sistema educativo ha perso ogni carattere attrattivo (…) e la riuscita sociale non passa piú dalla scuola le cui riforme sono tutte fallite”.116 E cosí anche in Tunisia, dove si svela un grave “divorzio tra la società e la sua scuola”,117 emergono “eserciti di diplômés-chô-
meurs”118 che costituiscono una minaccia per il regime. Confermando e amplifi- cando il carattere fondamentale di una problematica troppo a lungo irrisolta, che ora spinge con forza ad approfondire la riflessione su costumi e su idee che stanno alla base dei sistemi educativi. La stessa Università tunisina è svalutata e banaliz- zata.119 Mentre le autorità politiche, poco interessate alla qualità dell’insegna-
114Mohamed Arkoun, “Raison émergente et modernités dans le contexte arabo-musulman”, in
Mars, n. 10-11, 1999, p. 108.
115Come sottolinea il rapporto dell’Undp: “Il problema piú serio che pone l’istruzione araba è
il deteriorarsi della sua qualità (…), ciò che mina alla base un obiettivo fondamentale dello sviluppo umano, volto a promuovere la qualità di vita delle persone e arricchire le capacità delle società” (Undp, Arab Human Development Report 2003, New York, 2003, p. 52).
116Kamel Kateb, “Démographie et démocratisation de l’école…”, cit., pp. 80, 88.