UNA QUESTIONE APERTA
L’ ISTRUZIONE E IL LAVORO «T RACCE » PROFONDE DI UN DISCORSO SULLA MODERNITÀ – Al centro della problematica di avvenire, delusioni e sentimenti dif-
fusi di apatia politica e di impotenza accompagnano i programmi delle istituzioni finanziarie di Bretton Woods, rendendo assai fragili i percorsi dello sviluppo. Al cui interno si apre ora anche la preoccupante questione del degrado del sistema educativo dei paesi maghrebini, con particolare riferimento all’indebolirsi della qualità dell’istruzione, e il conseguente frammentarsi dell’articolazione tra il sistema educativo e il mercato del lavoro. E non si tratta di una questione che verrà facilmente risolta nel quadro degli equilibri di bilancio. Perché se la dimi- nuzione della spesa pubblica per l’istruzione è il risultato delle politiche di aggiu- stamento volte a ristabilire gli equilibri macroeconomici178 – con il conseguente «ritiro» dello Stato e la promessa di un miglior funzionamento dell’economia – non vi è nulla di naturale nell’assistere oggi, fra l’imporsi di tante difficoltà, anche al riemergere di questa grave crisi del sistema educativo che contrae vertiginosa- mente i successi ottenuti nel dopo indipendenza. E sul quale si imprime anche il preoccupante diffondersi delle scuole private che obnubilano il ruolo chiave del sapere nei percorsi dello sviluppo e dividono in due società già profondamente lacerate.179La conseguenza immediatamente visibile è il dilatarsi, nella gran parte della popolazione, di una insopportabile politica di attesa, che in molti casi tra- sforma l’istruzione scolastica in uno spazio «vuoto», con effetti particolarmente gravi di instabilità per l’economia e per la società. Tanto che “l’aspetto piú preoc- cupante della crisi dell’istruzione è la sua incapacità di provvedere ai bisogni dello
178In riferimento ai paesi arabi, considerati nella loro globalità, il rapporto dell’Undp osserva:
“Mentre i paesi arabi hanno continuato a spendere di piú per l’istruzione pro-capite che i paesi in via di sviluppo nel loro insieme, il loro vantaggio relativo è stato eroso sin dalla metà degli anni 1980. La spesa pro-capite per l’istruzione nei paesi arabi si è contratta dal 20% di quella dei paesi indu- strializzati nel 1980 al 10% nella metà degli anni ‘90. La riduzione del tasso di crescita della spesa per l’istruzione si è avuta nel contesto delle difficoltà macroeconomiche nelle quali molti paesi arabi si sono trovati dopo la metà degli anni ‘70, insieme con l’adozione dei programmi di aggiustamento strutturale, che imprimono una pressione sostanziale sulla spesa, inclusi i tassi di crescita della spesa per l’istruzione” (Undp, Arab Human Development Report 2002, op. cit., p. 53).
179Significativo è quanto scrive su questo argomento il rapporto dell’Undp: “Purtroppo l’istru-
zione privata è diventata indispensabile al fine di ottenere una votazione alta negli esami pubblici di ammissione ai corsi superiori, specialmente in riferimento alle discipline considerate piú adatte a conseguire migliori prospettive professionali e di carriera. Il risultato è che queste discipline stanno diventando quasi unicamente interesse esclusivo di gruppi finanziariamente privilegiati. Tanto che l’istruzione ha iniziato a perdere il suo significato chiave quale mezzo per conseguire l’avanzamento sociale nei paesi arabi, trasformandosi piuttosto in uno strumento di perpetuazione della stratifica- zione sociale e della povertà” (Undp, Arab Human Development Report 2002, op. cit., p. 54).
E ancora: l’istruzione privata nei paesi arabi “è spesso legata al conseguimento di curricula stra- nieri o alla frequentazione di istituti stranieri ove le lezioni sono svolte in una lingua straniera. Que- sto tipo di istruzione è sempre manchevole perché istilla negli studenti una condizione di distacco dalle proprie società, e specialmente dalla propria cultura (…). In molti casi tale distacco può impe- dire agli studenti di comunicare effettivamente con le proprie società e di trasferire ad esse qualsiasi conoscenza e competenza che essi acquisiscono” (Undp, Arab Human Development Report 2004,
sviluppo delle società arabe”.180E questo spiega anche perché, nella misura in cui i meccanismi dell’istruzione si indeboliscono, acquistano forza e si impongono i tanti rischi della globalizzazione. Ora tanto piú gravi, se consideriamo che sullo scenario mondiale sono i sistemi di formazione che vanno acquisendo un ruolo sempre piú centrale per lo sviluppo delle società e delle economie, imprimendo nuovi e accelerati percorsi agli orizzonti del sapere. Perché ciò che piú emerge – in quest’epoca caratterizzata dal rapido sviluppo delle nuove tecnologie del- l’informazione e delle comunicazioni – è che l’economia mondiale indiscutibil- mente apre su una nuova era dominata dall’immateriale, quale forza principale di trasformazione del mondo. E qui richiamando all’attenzione il ruolo crescente del sapere nel suo collegamento chiave con il percorso di valorizzazione dell’intelli- genza umana. Ed è a questo punto della nostra analisi che il contrasto fra pro- messe e limiti della liberalizzazione acquista una traiettoria particolarmente accesa e al contempo assai opaca. Dal momento che i paesi maghrebini, sottoposti all’au- sterità del Fmi, in realtà accrescono la loro fragilità nel campo del sapere, aumen- tando cosí la loro dipendenza sulle dinamiche della nuova economia della cono- scenza, dove per contro si riflette e si dilata il senso esteso di un grave «ritardo». E dove, tuttavia, occorre anche osservare come sulle linee di questa pesante «morsa» – che scorre attraverso un flusso di modificazioni incessanti in riferi- mento al ruolo prioritario assunto dall’immateriale – vanno sviluppandosi i nuovi rapporti di forza, certo, ma anche i nuovi incontri e i nuovi amalgami fra culture, sul divenire delle civiltà. Non è allora un caso se nel mondo arabo, dove la que- stione della crisi sociale è accompagnata dall’estendersi della frattura tra Stato e società, sono “gli ostacoli politici all’acquisizione del sapere, perfino piú gravi di quelli posti dalle loro strutture socio-economiche (…)”.181 A ulteriore conferma che il tessuto sociale maghrebino è sottoposto a una tale pressione che rende sem- pre piú acuta l’assenza di una base stabile. Del resto, pur volendo restringere l’a- nalisi attraverso la sola lente della produzione materiale, l’osservazione piú imme- diata – sempre in stretta connessione con i programmi di aggiustamento struttu- rale – è la gravità di questa situazione di preoccupante degrado dei sistemi edu- cativi che “porta ad una bassa produttività, ad una struttura distorta del salario, e ad un magro ritorno economico e sociale dell’istruzione. La prevalenza della disoccupazione, tra coloro che hanno studiato e il deteriorarsi, per la maggior parte di loro, dei salari reali, evidenzia questo problema”.182Tanto che sul ritardo a gestire questioni cosí essenziali come la formazione, acquista di intensità anche la problematica del legame strutturale tra il lavoro e la complessità dell’evoluzione sociale e culturale in cui il lavoro è inserito. Dal momento che ora è questa pro- blematica stessa a trovarsi totalmente «scoperta», senza piú punti di riferimento,
180Undp, Arab Human Development Report 2002, op. cit., p. 54. 181Undp, Arab Human Development Report 2003, op. cit., p. 10. 182Undp, Arab Human Development Report 2002, op. cit., p. 54.
incapace di gestire una situazione di crescente penuria; dove acquista tutta la sua gravità la permanenza di forti costrizioni ad una migliore qualificazione della manodopera, cosí come anche alla possibilità di acquisire una capacità di produ- zione competitiva autonoma. Perché la constatazione piú evidente è che, sin dai primi anni di applicazione, i programmi di aggiustamento strutturale hanno rive- lato preoccupanti effetti, che sul piano sociale si dispiegano, con grave acuità, nel- l’aumento della disoccupazione, l’estendersi del lavoro informale, l’ampliarsi della realtà dei bassi salari. E al contempo aprono uno scenario dove è la visione stessa del sistema salariale che si indebolisce, quale strumento equilibratore dei rapporti sociali e di produzione, rivelando cosí una drastica riduzione nella capacità di gestire l’insieme delle relazioni dei sistemi sociali.183L’esperienza dell’Algeria evi- denzia, sotto questo profilo, aspetti particolarmente esasperati. Questo paese – che caratterizzato da un clima politico deliberatamente opaco – ora esprime, con il diffondersi delle riforme suggerite dal Fmi, una realtà contraddistinta dal rapido contrarsi dei successi sociali ottenuti nel dopo-indipendenza; e uno scenario dove “l’erosione del potere di acquisto e la disoccupazione hanno raggiunto propor- zioni allarmanti. I redditi sono diminuiti della metà in dieci anni. Oggi un terzo dei salariati riceve meno di 600 franchi al mese”.184Né la situazione è migliorata in seguito al notevole incremento degli introiti petroliferi che dal 2003 hanno per- messo buoni risultati macroeconomici, ma di cui “non si avvantaggia la metà della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Pensionati, impiegati del settore pubblico, disoccupati non sopravvivono che grazie alla solidarietà familiare”;185i salari della funzione pubblica e del settore privato restano di fatto disperatamente bloccati.186Con la preoccupante conseguenza che la società si scopre priva di rife- rimenti concreti nel processo di ristrutturazione e riorganizzazione del settore produttivo, e con esso del settore politico e sociale. Costretta a confrontarsi con una realtà che diventa sempre piú «altro» rispetto a quanto promesso o a quanto atteso. E dove effettivamente vanno definendosi gravi incognite, anche perché “la fine del pieno impiego ha avuto effetti economici, sociali e psicologici corrosivi. (…) Il lavoro non è piú garantito, il diritto al lavoro è rivisitato. La precarietà diventa la regola, mentre il lavoro non è piú un valore sicuro per la riuscita sociale”.187
183Con riferimento alla politica dei bassi salari del Fmi, Stiglitz sottolinea che questa strategia
“forse condurrà certe imprese ad assumere qualche lavoratore in piú, ma il numero di questi nuovi assunti rischia di essere assai limitato, e la miseria creata dal ribasso dei salari di tutti gli altri potrà essere considerevole” (Joseph E. Stiglitz, Globalization…, op. cit. [tr. fr., p. 122]).
184Smaïl Goumeziane, “Algérie-Europe: au delà de la sécurité et du commerce”, in Confluences
Méditerranée, n. 35, automne 2000, pp. 115-116.
185Lyes Si Zoubir, “Difficile transition pour une Algérie meurtrie”, in Le Monde diplomatique,
mars 2004, p. 5.
186Khadija Mohsen-Finan, “Algérie. Les grandes options du président Bouteflika”, cit., p. 177. 187Mahmad Saïb Musette, “La situation sociale en Algérie”, cit., pp. 96-97.
Certo, la flessibilità del lavoro raccomandata dal Fmi è diventata una parola alla moda sulla scena della globalizzazione. Ma è anche vero che “una maggiore flessibilità da sola non può sopportare l’intero peso di una politica del lavoro generazionale, e può avere conseguenze avverse, non previste, sottoponendo a tensione le relazioni nel mondo del lavoro, mentre difficilmente portano le eco- nomie arabe piú vicine al pieno impiego”.188Per rendersi chiaramente conto della gravità dei conflitti che lacerano le società occorre, tuttavia, anche ricordare che la disoccupazione colpisce in modo sproporzionato i giovani e in particolare coloro che hanno una migliore formazione. Nella stessa Tunisia il tasso di disoc- cupazione giovanile è del 25-30%, e in Marocco, nelle zone urbane, raggiunge il 31%.189 In tutto il Nord Africa, del resto, la disoccupazione giovanile è aumen- tata nel corso degli anni novanta.190Cosicché sul ritardo nel gestire le difficoltà che emergono in tutta la regione maghrebina, a confronto con l’estendersi dei programmi di aggiustamento strutturale, piú importanti di tutti si impongono i problemi durevoli di dissoluzione sociale che esprimono il persistente «vacilla- mento» della nozione di capacità politica, insieme all’impoverimento dei modelli di sviluppo. E in una dimensione cosí vistosa che lascia senza soluzioni la que- stione della sicurezza collettiva, nell’accezione piú ampia del termine. E nello stesso tempo sottolinea che la nuova logica relativa alla sicurezza, caratterizzata sul piano interno e internazionale, dall’intensificarsi della lotta al terrorismo, ha in realtà creato nei paesi arabi “una situazione ostile allo sviluppo umano”,191 e quindi ulteriormente leso le possibilità di sviluppo delle società.
Con le note piú profonde di una malinconica nostalgia, acquista allora tutto il suo significato sui percorsi della mondializzazione, quanto scrive al-Jabiri nel- l’osservare che “il mondo di oggi è caratterizzato dalla corsa per la conquista del futuro, non solo a livello del globo terrestre, ma anche dello spazio illimitato, non solo sul piano degli atomi e delle cellule, ma anche dei cervelli. In questa operazione di conquista globale, noi [arabi] sentiamo che non occupiamo la nostra posizione naturale, noi sentiamo che probabilmente scivoliamo rapida- mente per divenire l’oggetto e il luogo di questa conquista e non i suoi attori e i suoi partecipanti”.192
Su queste realtà «ferite» dove le dinamiche della marginalità – ma anche della modernità – muovono decisamente verso scenari assai vasti, si ripropone e si
188Undp, Arab Human Development Report 2002, op. cit., p. 93.
189Femise, Rapport Femise 2004 sur le partenariat euro-méditerranéen, op. cit., p. 27. 190Ilo, Global Employment Trends, Geneva, 2003, p. 65, < www.ilo.org >.
191Undp, Arab Human Development Report 2003, op. cit., p. 22.
192Mohamad ‘Abid al-Jabiri, Problématiques de la pensée arabe contemporaine, citato in Samir
Bouzid, Mythes, utopie et messianisme dans le discours politique arabe moderne et contemporain, L’Harmattan, Paris, 1997, p. 199.
afferma il problema irrisolto del ritardo scientifico e tecnologico del Maghreb193 che, ora a confronto con una realtà internazionale sempre piú segnata dallo svi- luppo rapido dell’innovazione tecnologica, scopre la dimensione della dipen- denza in significati cosí estesi che scuotono le fondamenta degli equilibri econo- mici e finanziari voluti dall’aggiustamento strutturale,194 fino a rivelarne una dimensione ampia e profonda di rottura con la modernità. Perché se l’ideologia neoliberale “dice unicamente: passate al piú presto all’economia di mercato”,195 ciò che per contro piú emerge, in riferimento all’avvenire economico, è che “il progresso tecnico è al cuore del problema, non la concorrenza tra paesi”.196Rive- lando cosí – attraverso l’acuirsi di questo piano di traiettorie diverse e contrastanti – un percorso talmente accidentato, che scopre e dilata una problematica com- plessa in rapporto all’«ancoramento» dei paesi maghrebini al sistema mondiale. Ponendo in risalto come effettivamente il futuro dell’area appare ora tanto piú carico di incognite, a confronto con il rapido accelerarsi del progresso tecnologico e l’estendersi delle sue ampie sfide. Perché sulle «aperture» comunque avviate, la regione continua a mostrare una debole capacità di innovazione, e la permanenza di un ambiente che non incoraggia lo sviluppo scientifico e tecnologico. Svelando, sull’imprimersi di questi preoccupanti punti di arresto, le pesanti chiusure del neoliberalismo che – in assenza di un confronto aperto di fronte alla problematica crescente del ritardo tecnologico dei paesi del Sud – disgregano dall’interno i col- legamenti necessari per promuovere percorsi coerenti di avvenire. Considerato anche e soprattutto che la competitività e la produttività sono sempre piú date dalle nuove tecnologie. Ed è proprio l’innovazione tecnologica, con particolare riferimento alle nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, con i loro settori a forte densità di ricerca, a caratterizzare e accelerare il processo di mondializzazione, inteso da un punto di vista economico e finanziario, oltre che culturale. Fino a svelare che, qualunque soluzione volta alla ricomposizione degli
193Nei paesi del Maghreb del dopo-indipendenza, dove l’industrializzazione è stata condotta
senza progresso tecnico, Daguzan nota che: “Le somme assorbite nell’industrializzazione furono, tuttavia, considerevoli. Esse si accompagnarono a politiche di trasferimenti di tecnologia i cui effetti si rivelarono spesso inappropriati. Spesso mal valutate e sovradimensionate, queste politiche (…) hanno impedito l’emergenza di un sistema locale di ricerca-sviluppo e, nonostante gli sforzi di for- mazione effettuati, l’avvento di una classe di tecnici di medio e alto livello” (Jean-François Daguzan, “État, science, recherche et développement technologique au Maghreb”, in Annuaire de l’Afrique
du Nord, tome XXXV, Cnrs, Paris, 1998, p. 90).
194Il rapporto dell’Unesco rivela che i paesi arabi hanno fra i piú bassi livelli di finanziamento
per la ricerca nel mondo, segnalando pertanto una situazione che nel suo insieme si rivela ancora assai preoccupante, e con conseguenze particolarmente gravi per lo sviluppo dell’intera regione. In particolare: la spesa in R&S – espressa in percentuale rispetto al pil – è appena dello 0,2% per i paesi arabi dell’Africa, paragonata all’1,2% della Cina (la Cina si avvia verso l’obiettivo dell’1,5%), al 3,1% del Giappone, al 4,9% di Israele. I dati si riferiscono al 2002 (Unesco, Science Report 2005, Paris, 2005).
195Joseph E. Stiglitz, Globalization…, op. cit. (tr. fr., p. 110). 196Paul R. Krugman, Pop Internationalism, op. cit. (tr. fr., p. 13).
equilibri, a livello interno cosí come internazionale, è allora irraggiungibile se non si riorientano le connessioni verso un’inversione di tendenza. Considerato sempre che sul crescente divario tecnologico – che inevitabilmente disorienta – si dilatano percorsi cosí carichi di incertezze e di tensioni da imprimere una frattura fonda- mentale nei significati di fragilità e di isolamento di un’area rimasta senza rispo- ste. E la conseguente constatazione che “la regione araba ha il piú basso livello di accesso alla tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni, di tutte le regioni del mondo persino piú basso dell’Africa sub-sahariana”.197
Sullo scenario si riaccendono allora le problematiche del degrado dei sistemi educativi, con i loro pesanti effetti in termini di contrazione della conoscenza e delle capacità professionali. E si chiude anche l’esperienza dell’Algeria: l’unico paese del Maghreb che aveva avviato politiche di sviluppo tecnologico. E ora, tra- scinato nelle problematiche della crisi e della dipendenza, porta con sé un senso esteso di disillusione che si allarga a tutta la regione maghrebina: in un collage di nostalgie, di rabbia e di profondi rifiuti; ad esprimere – con grave inquietudine – la delusione immensa nel constatare come ancora oggi, e da troppo tempo ormai, “si è messo un termine alle speranze del mondo arabo nel settore tecnologico come negli altri”.198
NEL CONTESTO DEL MERCATO GLOBALE. METAMORFOSI E INSTABILITÀ DEI