UNA QUESTIONE APERTA
I L PLURALISMO E LA DIVERSITÀ P ERCORSI ILLUMINATI E DINAMICHE OFFU SCATE – Le difficoltà a comprendere e gestire la mondializzazione, con le sue opa-
cità e le sue sfide aperte, sono concrete. Volgendo lo sguardo all’intera regione maghrebina, le rigidità e le inefficienze – cosí evidenti (all’interno dei singoli paesi) sul piano politico, istituzionale ed economico – occupano indubbiamente un ruolo di primo piano, ed esprimono anche la crescente perdita di legittimità dei regimi. Ma non si può comprendere l’ampiezza e la profondità degli elementi posti in gioco se non se ne considerano riflessi, urti, amalgami ed interconnessioni con la teoria economica dominante che – anche se muove sui rapidi percorsi della globalizzazione – tarda a misurarsi con l’evolversi e il dilatarsi di un’articolazione sempre piú complessa tra sviluppo economico e mutamenti sociali, dove l’emer- gere di un nuovo ruolo della società civile, per quanto ancora incerto e confuso possa apparire,97impone all’attenzione le problematiche del pluralismo e dell’in- terdisciplinarietà quali aspetti chiave, sull’ampliarsi di un nuovo «senso» di unità. Perché è proprio la spinta costante verso la realizzazione di un unico spazio aperto su scala globale – cosí insistentemente sollecitato dal neoliberalismo – che impone la questione, finora poco analizzata nei suoi molteplici effetti e conseguenze, di come aprire un ampio confronto con la diversità e la molteplicità. Dimensioni necessariamente complementari all’unità, oltre che fondamentali per rafforzare l’unità, sul diffondersi di ampie aspirazioni di libertà. È una sfida tutta aperta, e ovviamente di particolare importanza per l’evoluzione della scienza economica nel ventunesimo secolo. Non fosse altro che per la ricchezza delle problematiche che si impongono sugli orizzonti di avvenire dell’umanità; da cui altresí emerge la necessità – ora sempre piú impellente – di «governare» l’economia mondializzata, e quindi uscire dalle chiusure di modelli diventati «vaghi» – di fronte all’incapacità di cogliere l’evoluzione delle grandi tendenze economiche in corso.98E tuttavia per sopravvivere – in un territorio ora molto piú vasto e popolato da diverse culture – rischiano essi stessi di farsi portatori di nuove forme di «assolutismo», sotto la pres-
96Lahouari Addi, “En Algérie, du conflit armé à la violence sociale”, in Le Monde diplomatique,
avril 2006, p. 7.
97Come mette in luce Hermassi: “È essenziale notare che [nel Maghreb] l’emergenza di una
società civile e la nascita di un’opinione pubblica libera continuano a incontrare seri ostacoli. Ciò che può essere confermato è che diversi elementi nella società vedono se stessi sempre meno in ter- mini di un’organizzazione verticale, monolitica del partito-Stato” (Abdelbaki Hermassi, “State, Legitimacy…”, cit., p. 59).
98V. Paul Bairoch, Economics and World History – Myths and Paradoxes, Harvester Wheatsheaf,
sione costante dell’accelerarsi delle tensioni in corso. Che – in realtà – si rivelano assai preoccupanti, se con particolare attenzione osserviamo, sull’evoluzione della scena mondiale – dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e la guerra in Iraq – il rafforzarsi, nelle popolazioni, della percezione di nuove ed estese vulnerabilità; ine- vitabilmente accompagnate dall’offuscarsi di nuove possibilità per un piú ampio piano di confronto. Tanto che con un collage di immagini Nord–Sud svolto in tempo reale, il riflesso piú immediato, che si imprime su un tessuto esteso di letar- gie, è che nel mondo arabo “l’immobilismo degli ultimi trent’anni non è piú soste- nibile”.99E anche questo è un aspetto determinante della mondializzazione sull’e- mergere di gravi conflitti irrisolti. Che ora irrompono sulla scena mondiale, e al con- tempo aprono alle inquietudini del Medio Oriente, sottolineando una realtà di grave diffusione della violenza oltre i confini piú ristretti dell’area, e l’imporsi su scala mondiale del nuovo tema della «lotta al terrorismo», sul quale innanzitutto si pone il problema chiave del dialogo introvabile, e a diretto confronto – sulla conti- nuità della presenza americana in Iraq100 – l’inefficacia dell’uso della forza, quale strumento di democrazia, di sviluppo e di pace. Perché la questione sempre piú aperta, e che attende nuove ed efficaci risposte – davanti alle tante ambiguità della crisi irachena e le sue gravi conseguenze in tutta la regione, è che “se è vero che non è la povertà a provocare il terrorismo, è anche vero che la povertà e la disoccupa- zione costituiscono un terreno fertile per la sua diffusione”.101
Il progetto euro-mediterraneo di Barcellona, nel suo obiettivo di far evolvere l’insieme del bacino mediterraneo verso una «zona di prosperità condivisa», si era effettivamente imposto come espressione di speranze concrete per un nuovo avve- nire.102 Ma è poi anche vero che, nella realtà, si è rivelato solo un insieme di “riforme economiche senza progetto riformatore”.103In definitiva – e nonostante
99Olfa Lamloum, “La Tunisie après le 11 septembre”, in Confluences Méditerranée, n. 40, hiver
2001-2002, p. 177.
100 Cosí osserva il rapporto dell’Undp: “In seguito all’invasione del loro paese, il popolo ira-
cheno è riemerso dalla morsa di un regime dispotico che violava i loro diritti e le libertà fondamen- tali, solo per cadere sotto un’occupazione straniera che ha aumentato le sofferenze umane” (Undp,
Arab Human Development Report 2004, op. cit., p. 7).
101Joseph E. Stiglitz, The Roaring…, op. cit. (tr. it., p. 232).
102 “Nel novembre 1995, ventisette paesi euro-mediterranei hanno approvato un progetto di
dichiarazione a Barcellona che richiama l’instaurazione di un partenariato senza limiti tra i firmatari: il partenariato euro-mediterraneo. Le tre parti di questo partenariato sono precisate nella Dichiara- zione: rafforzamento del dialogo politico su di una base regolare, sviluppo della cooperazione eco- nomica e finanziaria, una migliore valorizzazione della dimensione sociale, culturale e umana. (…) Associandosi con l’Europa e tra di loro i paesi del Maghreb si sono cosí impegnati in un vasto can- tiere di ristrutturazione delle loro economie (…). Le implicazioni non riguardano solo i sistemi pro- duttivi di questi paesi ma le società nel loro intimo” (Abdelkader Sid Ahmed, “Le Maghreb, ren- contre avec le troisième millénaire: L’impératif de Barcelone”, in Annuaire de l’Afrique du Nord, tome XXXV, Cnrs, Paris, 1998, pp. 2-3).
le migliori intenzioni effettivamente espresse – un progetto “strettamente «eco- nomista» (…) che accompagna gli aggiustamenti imposti dalle forze del mercato mondiale a economie deboli e dipendenti”.104 Esprimendo cosí, tra inibizioni e compromessi, una dimensione di profonde carenze, irrigidimenti e lacerazioni. Ampiamente confermata dal fallimento del recente vertice di Barcellona (nov. 2005) che “ha ribadito il degrado del clima di fiducia euro-mediterraneo”.105 Risultato, tanto piú grave se consideriamo che ancora oggi “non esiste alcuna stra- tegia di sostituzione a quella che si è inaugurata” a Barcellona.106 Con l’evidente conseguenza che le diverse culture e identità del Mediterraneo – che avrebbero dovuto dare significato a un avvenire comune sulla base di una rete di relazioni piú ampie e di una migliore comprensione reciproca – non hanno in realtà avuto possibilità di esprimersi. Solo cinque anni dopo Barcellona la constatazione con- creta, e assai deludente, era che “la sola strategia di sviluppo che può essere presa in considerazione nel Mediterraneo è sostenuta dall’idea di apertura economica regionale e di liberalizzazione interna ed esterna delle economie dei paesi interes- sati”.107 Offuscando cosí l’interesse, che era stato invece chiaramente espresso, verso una strategia di lungo termine per l’insieme della regione. E riportando all’attenzione come ad affermarsi, e senza alcun approfondimento critico, è ancora una volta il parametro dell’aggiustamento strutturale, con l’appoggio espli- cito dato ai suoi programmi di riforme.108 E in questo senso anche la constata- zione che l’approccio europeo è accompagnato da una visione assai ristretta del libero scambio,109tanto che “la ragione fondamentale del suo slittamento risiede senza dubbio nell’incapacità degli europei di concepire un modello meno tribu-
104Robert Bistolfi, “Europe, Méditerranée, monde arabe: une nouvelle donne?”, in Confluences
Méditerranée, n. 49, 2004, pp. 19-20.
105 Dorothée Schmid, “L’Europe au Moyen-Orient: une présence en mal de politique”, in
Thierry de Montbrial e Philippe Moreau Defarges (a cura di), Ramses 2007, op. cit., p. 130. Il ver- tice euro-mediterraneo di Barcellona (27-28 novembre 2005), tenutosi in occasione del 10° anni- versario del partenariato euro-mediterraneo, è stato caratterizzato dall’assenza di numerosi dirigenti arabi. A conclusione dei lavori è stato firmato un «codice di condotta contro il terrorismo», ma non è stata adottata nessuna dichiarazione finale.
106Gérard Kébabdjian, “Réformes économiques sans projet réformateur”, cit., p. 40. 107Ivi, p. 25.
108Significativo è quanto scrivono a riguardo Samir Amin e Ali El Kenz, con riferimento speci-
fico al processo di Barcellona: “Dal punto di vista dell’insieme dei crediti consumati, si può rimar- care che quasi il 70% dei fondi sono legati ai programmi di aggiustamento strutturale o al sostegno alla transizione” (Samir Amin e Ali El Kenz, op. cit., p. 137).
109Fra gli obiettivi precisati nella Dichiarazione di Barcellona è sottolineata l’importanza della
creazione progressiva di una zona di libero scambio euro-mediterranea, nel rispetto degli obblighi della Nuova Organizzazione Mondiale del Commercio. A questo proposito Sid Ahmed rileva: “Il mondo attuale si caratterizza per una internazionalizzazione crescente e intensa degli affari e l’im- posizione sempre piú brutale di norme commerciali ed economiche in modo particolare. Cosí facendo i Pvs, si trovano sempre piú privati di strumenti importanti di politiche di sviluppo con le costrizioni imposte dall’Omc e l’Accordo di Barcellona con la zona euro-mediterranea di libero scambio” (Abdelkader Sid Ahmed, Le développement asiatique…, op. cit., p. 85).
tario dal libero scambio mondiale”.110 La conseguenza è che anche per quanto riguarda le relazioni tra l’Europa e i paesi della riva sud del Mediterraneo, osser- vate in termini di soli scambi commerciali, assistiamo di fatto ad una preoccu- pante situazione deficitaria che perdura.111 E che innanzitutto esprime come il meccanismo stesso degli scambi, elemento centrale dell’economia, diventa per i paesi del Sud, fonte di dipendenza e di alienazione, senza alcun rapporto con la realtà sociale. Cosicché, se il progetto euro-mediterraneo si caratterizza per l’as- senza di nuove e piú ampie aspirazioni di fronte a un mondo che cambia, esso si trova innanzitutto privato degli strumenti necessari per promuovere una nuova linea in difesa della pace e dello sviluppo. E il giudizio sul suo percorso acquista un tono particolarmente severo dopo gli avvenimenti dell’11 settembre, a sottoli- neare come “Il processo di Barcellona, già fortemente colpito dalle conseguenze del conflitto israelo-palestinese, è ora ridotto allo stato di incantesimi rituali”,112o ancora a “una routine burocratica. Un esempio per eccellenza del funzionamento automatico, di per sé, delle istanze europee, e piú in particolare delle istanze comunitarie”.113Confermando cosí, proprio sul rafforzarsi delle linee di tensione e di crisi sulla scena internazionale, la continua assenza, da parte dell’Europa, di soluzioni innovative ed efficaci per lo sviluppo dell’intera area mediterranea. Fino a dover considerare come l’approccio europeo, malgrado le sue pretese alla glo- balità, in realtà esprime una dinamica che frena il confronto con l’acuirsi dei pro- blemi politici, economici e sociali dei paesi del Sud. Con l’effetto immediato che essa “rischia di mancare di consistenza e di manifestarsi sotto la forma di costri- zioni senza che se ne colga a prima vista l’interesse maggiore. Per di piú presen- tandosi come globale, a livello dell’insieme del Mediterraneo, l’aiuto europeo si marginalizza rispetto alla presenza americana”;114 nel momento stesso in cui si acuisce lo scottante problema dell’instabilità dell’area, e si approfondiscono nel Maghreb, delusioni e tensioni sulla politica americana in Medio Oriente, che pro- voca crescenti reazioni popolari di malcontento e di ostilità. Perché ciò che occorre valutare attentamente è che “dopo diversi decenni, forze militari straniere sono riapparse nella regione. Questo provoca un livello estremamente alto di mal- contento (…)”,115e segna uno scenario di rabbia e di violenza, con richieste inces- santi di promuovere la ricomposizione dell’area regionale sui significati della giu- stizia. L’Europa, le istituzioni finanziarie internazionali, cosí come le altre forze dominanti sulla scena mondiale, non possono non considerare, e in via priorita-
110Robert Bistolfi, “Europe, Méditerranée…”, cit., p. 20.
111Femise, Rapport Femise 2004 sur le partenariat euro-méditerranéen, op. cit., p. 96.
112Rémy Leveau e Khadija Mohsen-Finan, “Introduction”, in Rémy Leveau e Khadija Mohsen-
Finan (a cura di), Les notes de l’Ifri (Le Maghreb après le 11 septembre), n. 44, octobre 2002, p. 9.
113Béatrice Hibou, “Le Partenariat en réanimation bureaucratique”, in Critique internationale,
n. 18, 2003, p. 122.
114Rémy Leveau, “La France, l’Europe et la Méditerranée”, in Politique étrangère, hiver 2002-
2003, pp. 1023-1024.
ria, che “la rabbia combinata alla disperazione è una mistura esplosiva che spinge alcuni verso la violenza, con conseguenze indesiderabili che minacciano la coe- sione sociale e debilitano le strutture e le istituzioni nazionali”.116
Indubbiamente l’Europa continua a rimanere un riferimento fondamentale – per il Maghreb – di confronto e di scambi. Ma ciò che piú preoccupa e scoraggia è come i suoi ampi progetti di rinnovamento nelle politiche di sviluppo – al momento della traduzione nella realtà – si trovano costretti su un piano di delu- dente «realismo», che non concede niente alle possibilità di muovere verso una visione piú ottimista di avvenire. “Il Maghreb e l’Europa: riforme bloccate e democrazia minata”,117 è il titolo di uno studio sul Maghreb. Con conseguenze che ora diventano sempre piú preoccupanti, se consideriamo che l’accelerarsi delle tensioni e dei rischi muove su uno scenario mondiale già ampiamente carat- terizzato da una grave tendenza all’«incomunicabilità», che indubbiamente scon- certa, ma innanzitutto «lavora» in profondità le sensibilità dell’epoca. E in questo senso sottolinea ulteriormente il grave ritardo dell’Europa nel rispondere alle nuove sfide. Da cui si esprime una situazione in estensione, dove del partenariato – come si è già visto – “non resta altro che il funzionamento burocratico (…) [che conduce alla] perversione della logica economico-politica innanzitutto. (…) [Ma] il rischio di perversione riguarda ugualmente, ed è certamente piú grave ancora, la logica democratica del processo di Barcellona. Dando la priorità alla gestione, le istanze comunitarie sostengono de facto i regimi autoritari”.118E si tratta di un allarme che viene oggi da piú parti insistentemente lanciato, di fronte all’esten- dersi delle nuove minacce sui percorsi dello sviluppo, sui diritti dell’uomo e sui tanti aspetti della dignità della vita umana.119Come allora poter spiegare una coe- renza nella visione europea di democrazia e di sviluppo, se la preoccupazione costante è che, dopo l’11 settembre 2001, “sembra che l’UE si comporti come se i dubbi crescenti sulla dottrina neoliberale non siano piú di attualità. Ormai un nuovo credo vi si sostituisce, la «lotta contro il terrorismo». Ma l’Europa può costruirsi sulla paura?”.120 La stessa politica europea di vicinato – strumento
116Ibidem.
117Djaafer Said, “Le Maghreb et l’Europe: réformes bloquées et démocratie piégée”, in Rémy
Leveau e Khadija Mohsen-Finan (a cura di), Les notes de l’Ifri (Le Maghreb après le 11 septembre), n. 44, octobre 2002, p. 123.
118Béatrice Hibou, “Le Partenariat en réanimation bureaucratique”, cit., pp. 122, 124-125. 119Solo per fare un esempio è significativo ricordare la visita ufficiale di Jacques Chirac a Tunisi
(dicembre 2003): “Egli ha dato un appoggio decisivo alla «nuova politica» di sicurezza del regime tunisino, schivando deliberatamente le «questioni che irritano», in modo particolare quelle relative ai Diritti dell’uomo e alle libertà pubbliche (…). [Il presidente francese] non ha tenuto a Tunisi un discorso semplicemente cinico o di pura circostanza. L’elogio che ha fatto del potere autoritario di Ben Ali si accorda con una concezione restrittiva della democrazia nei paesi in via di sviluppo” (Vin- cent Geisser e Éric Gobe, “Le président Ben Ali entre les jeux de coteries et l’échéance présiden- tielle de 2004”, in Annuaire de l’Afrique du Nord, tome XLI, Cnrs, Paris, 2005, pp. 313-314).
120Olfa Lamloum, “L’enjeu de l’islamisme au cœur du processus de Barcelone”, in Critique
nuovo e in via di puntualizzazione – se indubbiamente cambia la prospettiva muo- vendosi su un piano geografico assai ampio, non sembra – almeno per ora – capace di imprimere un nuovo impulso al dialogo euro-mediterraneo, e trovare soluzioni nuove e convincenti alle tante deficienze dell’azione europea in termini di sviluppo dell’area, verso un vero partenariato economico-politico; volto pertanto a promuo- vere – e con salda determinazione – un importante impegno anche in materia di pre- venzione dei conflitti e di gestione delle situazioni di crisi.121
È con amarezza che si ripropone allora la questione dei limiti dell’Unione europea e del frantumarsi della sua visione di un Mediterraneo quale «zona di prosperità condivisa». Mentre il dibattito insistentemente sottolinea che nel mondo arabo “l’onda di choc della terza guerra del Golfo non ha finito di essere risentita”.122E sull’acuirsi delle multiple tensioni, è il problema della ricomposi- zione della regione medio-orientale – con tutte le sue ripercussioni sull’intero mondo arabo e sulla scena internazionale – che acquista allora un ruolo fonda- mentale. Sottolineando che, se oramai è chiaro che il primo mondo non può vin- cere nessuna guerra contro il terzo mondo,123il problema chiave che resta aperto è chi saprà vincere la sfida dello sviluppo, della pace e della giustizia.
Nel frattempo, il punto di vista di Washington apre al nuovo progetto del «Grande Medio Oriente», con l’obiettivo di portare riforme e democrazia in tutta l’area.124 Ma non per questo appare capace di dare piú credibilità alla potenza
121Numerosi dubbi già si esprimono in riferimento alla nuova politica europea di vicinato che,
nel 2007, dovrà sostituire il partenariato euro-mediterraneo o molto piú probabilmente – secondo quanto sostiene la Commissione europea (anche se su linee e modalità che restano ancora da chia- rire) – dovrà completare il partenariato euro-mediterraneo, e in tal senso consolidarlo. In relazione a questa nuova strategia, cosí commenta Sophie Bessis: “Il programma di «vicinato» è ambizioso ma, prima ambiguità, sembra piuttosto tagliato per i vicini europei che per i paesi terzi mediterranei. (…) In questo enunciato il Mediterraneo sembra essere uno spazio di preoccupazione periferica per l’Europa allargata” ( Sophie Bessis, “Dix ans après Barcelone: état des lieux du partenariat euro- méditerranéen”, in La Revue internationale et stratégique, n. 59, automne 2005). E inoltre: “Come nel processo di Barcellona, [anche nella nuova politica di vicinato] la creazione di uno spazio di pro- sperità economica regionale è associata al progresso politico: modernizzazione e democratizzazione sono le nuove parole d’ordine, considerate essenzialmente attraverso l’esportazione di norme euro- pee. Di fatto, il posto dei paesi mediterranei nel «vicinato» è assai ambiguo, poiché l’iniziativa sem- bra mal posta nel loro contesto (…)” (Dorothée Schmid, “L’Europe au Moyen-Orient: une présence en mal de politique”, cit., p. 135).
122 Abderrahman Youssoufi, “Maroc: interrogations et inquiétudes”, in Confluences Méditer-
ranée, n. 46, été 2003, p. 53.
123 Eric J. Hobsbawm, op. cit. (tr. fr., p. 722). L’autore sottolinea inoltre: “se anche il primo
mondo vincesse delle guerre [contro il terzo mondo] la sua vittoria non potrà garantirgli il controllo di tali territori” (ibidem).
124Il progetto del Grande Medio Oriente, in realtà fluido negli obiettivi e nelle modalità del suo
disegno iniziale, è stato reso noto e pubblicato il 13 febbraio 2004 dal giornale saudita al-Hayat con base a Londra. In particolare prevede riforme strutturali per una regione che va dalla Mauritania all’Afghanistan; e in tal senso propone tre obiettivi: promuovere la democrazia e la buona gover-
nance, costruire la società del sapere, aprire opportunità economiche. Formalmente il progetto si
presenta come un «documento di lavoro» americano all’indirizzo degli sherpa della riunione del G8 del giugno 2004. (In riferimento al problema del Grande Medio Oriente e le sue acute incertezze,
oggi dominante nell’assicurare i grandi equilibri nella regione, che indubbiamente richiedono un’altra complessità, in termini di dialogo politico fra tutte le forze in campo. La presenza americana, del resto, numerosa e armata, richiama piuttosto all’attenzione il “declino del soft-power dell’America (…) [e quindi della] sua abi- lità ad attrarre gli altri attraverso la legittimità delle politiche americane e dei valori che le sottendono”.125 Cosicché il Maghreb – indubbiamente anche per questo – rimane, almeno per ora, “piú attento ai suoi legami con l’Europa che a un «Grande Medio Oriente» la cui evoluzione lo sconcerta”.126Anche perché la nuova presenza degli Stati Uniti nel Maghreb mette in luce l’estendersi di ulteriori incognite e di una realtà sempre piú difficile da gestire, se teniamo presente che, dall’11 settembre 2001, gli Stati Uniti mostrano un’attenzione particolare per que- sta zona strategica situata a sud dell’Europa, ricca di idrocarburi e dotata di un forte potenziale di crescita.127 Ma la domanda che resta sempre aperta, è per quanto tempo ancora e con quali risultati il Maghreb continuerà a guardare