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M ONDIALIZZAZIONE E MARGINALIZZAZIONE D INAMICHE CONTRAPPOSTE SU ITINERARI CONGIUNTI – L’influenza crescente del neoliberalismo nel Maghreb,

UNA QUESTIONE APERTA

M ONDIALIZZAZIONE E MARGINALIZZAZIONE D INAMICHE CONTRAPPOSTE SU ITINERARI CONGIUNTI – L’influenza crescente del neoliberalismo nel Maghreb,

insieme all’intensificarsi dell’azione del Fmi e della Banca mondiale, indubbia- mente accelera, e per contrasto, il ruolo chiave di questa problematica, volta a sot- tolineare l’importanza fondamentale del sapere. E proprio mentre, attraverso una rete complessa di legami assai fluidi, ma al contempo assai concreti, rende acuti e sofferti i percorsi di inserimento dell’area nel sistema mondiale. E si fa sempre piú strada la constatazione che: “A parte le abilità matematiche alle quali ha dato luogo, il modello dell’equilibrio generale è il piú povero che l’economia scientifica abbia mai generato”.68E tuttavia – paradigma essenziale del pensiero economico oggi dominante – penetra cosí in profondità le dinamiche nazionali e internazionali da trovarsi, suo malgrado, a diretto confronto con l’ampliarsi nelle popolazioni del desiderio piú profondo, ma anche piú inquietante, di modernità, verso richieste sempre piú ampie di giustizia e di libertà. Tanto che nessun elemento delle attuali debolezze strutturali e congiunturali nel Maghreb, e dei multiformi significati delle aspettative di rinnovamento può essere compreso, se non si considera la pressione «prepotente» che i Pas esercitano sull’aspetto politico, economico e sociale dell’a- rea. Cosí pressante, che accentua le contraddizioni e le fragilità legate alle stesse forme e modalità di legittimazione del potere – già ampiamente eroso dal raffor- zarsi della frattura profonda con le società. E facendo emergere, sul dilatarsi del- l’aspetto multidimensionale della crisi, come i modelli neoliberali, non riuscendo a stabilizzare la situazione, si associano ad una crescente fragilità dell’intero sistema.

67Béatrice Hibou, “Les marges de manœuvre d’un «bon élève» économique: la Tunisie de Ben

Ali”, in Les Études du CERI, n. 60, décembre 1999, pp. 36-37.

Fino a «stringere» la regione nel suo complesso – anche se a livelli e significati diversi in riferimento alle diverse realtà – sulla problematica comune e in esten- sione del rischio crescente di dipendenza e di aggravata marginalità.

Acquista allora tutto il suo significato la questione irrisolta del debito estero che, ad eccezione della Libia (ed ora con risvolti nuovi per l’Algeria), rimane un grave e pesante ostacolo allo sviluppo dell’area.69 Un’«imposta» evidente sugli eventuali benefici delle riforme e sull’investimento. Confermandosi, innanzitutto, quale fattore chiave dell’ineguaglianza dei rapporti Nord-Sud, e in questo senso vero “meccanismo di coercizione”,70attraverso il quale si esprime bene il radica- lizzarsi di un quadro di rapporti di dipendenza dei paesi maghrebini dal Fmi e dalla Banca mondiale. Perché il fatto irremovibile è che la crisi nel Maghreb si è innanzitutto manifestata sotto la forma finanziaria della crisi del debito estero. E in questo contesto il Fmi e la Banca mondiale esprimono l’indiscusso vantaggio di fornire le divise necessarie per far fronte all’aggravarsi dei problemi economici e sociali, mentre al contempo aprono la strada alla possibilità di nuovi crediti. La conseguenza è una spinta obbligata e inarrestabile dei governi ad allinearsi alla logica dei grandi attori dell’economia mondiale, che si impongono come unica via di uscita dalla crisi. Ma vi è anche l’altro risvolto del problema: a sottolineare come, di fronte all’urgenza assoluta del bisogno finanziario, le possibilità di dia- logo e di negoziazione sono destinate a scomparire. Con la conseguenza che le politiche di sviluppo si trovano irrigidite nei vincoli di un meccanismo finanziario internazionale che, proiettato sull’obiettivo prioritario di assicurare il rimborso del debito, entra in evidente «conflitto» con l’elasticità necessaria al rinnovamento dei sistemi economici interni, ma anche del sistema economico mondiale. Contri- buendo, di conseguenza, all’accelerarsi delle dinamiche di instabilità. Mentre si contraggono le capacità di promuovere nuove soluzioni sulla base di un’analisi approfondita delle cause e dei meccanismi del debito estero. Il significato piú

69Per le economie del Maghreb il peso del debito estero (anche se classificato «sostenibile» per

Algeria, Marocco e Tunisia) rimane in realtà un problema fondamentale per lo sviluppo della regione. In Algeria, il suo valore totale è di 21.987 milioni di dollari (nel 2004), e il servizio del debito assorbe il 25,4% delle esportazioni [valutazione del 1999]. (È tuttavia qui importante segna- lare che, grazie al notevole incremento degli introiti petroliferi, il debito del paese sta sensibilmente diminuendo, e non costituisce piú un ostacolo. La Banque d’Algérie dà la cifra di 16,4 miliardi di dollari alla fine del 2005, valutazione che rapidamente scende a 7,7 miliardi di dollari nel settembre 2006). In Marocco il debito estero, che rimane indubbiamente importante, è di 17.672 milioni di dollari (nel 2004), con un servizio del debito pari al 20,5% del valore delle esportazioni [nel periodo 2002-2004]. E cosí in Tunisia, il suo ammontare (nel 2004) è ancora valutato a 18.700 milioni di dol- lari, e il servizio del debito rappresenta il 13,5% delle esportazioni [nel periodo 2002-2004]. La Mauritania ha un debito estero totale di 2.297 milioni di dollari (nel 2004), e il servizio del debito rappresenta il 24,9% del valore delle esportazioni [nel periodo 2002-2003]. In ogni caso, il pro- blema principale non è tanto sapere quanto ogni Stato deve rimborsare, ma ciò che è in grado di rimborsare, tenendo conto delle sue esigenze di sviluppo e soprattutto delle politiche necessarie per promuovere uno sviluppo durevole. (Fonte: Bertrand Badie e Béatrice Didiot [a cura di], L’état du

monde 2007, La Découverte, Paris, 2006).

immediato è la permanenza sulla scena maghrebina del «circolo vizioso» del debito, che frena lo sviluppo, alimenta la corruzione,71 e riflette perfettamente l’imprevedibilità e l’incertezza del sistema economico e finanziario internazionale. Nel momento stesso in cui la mondializzazione esaspera la concorrenza, e il dina- mismo accelerato dei flussi finanziari internazionali apre nuovi rischi e nuove instabilità. Tanto che la domanda diffusa sui percorsi incerti dello sviluppo – come afferma Lester Thurow – è se il capitalismo ha un avvenire, dato che in assenza di avversari avrà difficoltà a correggere i suoi difetti.72 Una sfida e un interrogativo che appaiono sempre piú evidenti, se fra l’altro consideriamo che – anche per quanto riguarda il Maghreb – non vi è ancora nessuna azione concreta verso l’apertura di un fronte unito che possa rafforzare le capacità di negoziazione dell’area, e promuovere strategie alternative comuni al problema del debito estero e dello sviluppo. Cosicché, sulla scena della mondializzazione, la realtà ampia- mente dominante è la ferma chiusura verso ogni possibilità di inglobare, su un piú ampio progetto di avvenire, i diversi punti di osservazione e le diverse ragioni. Confermando, quindi, una situazione che rafforza e privilegia nettamente le nego- ziazioni caso per caso. E in questo modo anche frantumando, almeno per il momento, gli spazi di autonomia e di creazione all’interno del nuovo mondo glo- bale; tanto che non si può ignorare come effettivamente, “dalla seconda metà degli anni ’80 nessuna vera alternativa di sviluppo si è disegnata per dare il cam- bio alla dinamica escludente dei programmi di aggiustamento strutturale”.73Con la conseguenza che all’inizio di questo millennio, è la ricerca di alternative di svi- luppo che si afferma quale problematica chiave, e risponde ad un’esigenza cru- ciale delle società poste di fronte a nuove e gravi minacce. Inclusa la constatazione che il peso del debito estero ha oramai assunto un carattere fondante ed essenziale nelle relazioni Nord-Sud, cosí da mettere innanzitutto in rilievo come: “i paesi del Maghreb, sottomessi ad una implacabile logica finanziaria, non hanno fatto che trasferire ai loro creditori e clienti una parte regolare del valore aggiunto prodotto localmente, saldando il servizio del debito e venendo a patti con il degrado dei ter- mini di scambio”.74E in questo senso offrendo un numero esteso di riferimenti, a

71Come sostiene Bichara Khader: “Al di là delle cifre, ciò che appare piú allarmante, è che il

debito ha alimentato la corruzione, favorito la «fuga dei capitali», generato «una nuova classe sociale» le cui basi economiche riposano sui capitali collegati alla cooperazione internazionale e sugli introiti dell’esportazione delle materie prime, e che tutto sommato il sistema de «l’aiuto» e del debito ha contaminato il campo politico che, irrorato dall’esterno, può fare a meno delle sue basi sociali per sopravvivere” (Bichara Khader “Le partenariat euro-méditerranéen: le processus de Bar- celone, une synthèse de la problématique”, in Bichara Khader (a cura di), Alternatives Sud [Le par- tenariat euro-méditerranéen vu du Sud], 2001, p. 30).

72John R. McIntyre (intervista a Lester Thurow), “Le capitalisme a-t-il un avenir?”, in Politique

internationale, n. 81, automne 1998, p. 103.

73Mohamed Benlahcen Tlemçani e Patrick Mairet, “Quelle stratégie d’insertion internationale

pour les pays du Maghreb?”, in Les Cahiers de l’Orient, n. 58, 2000, p. 90.

conferma di come i programmi di aggiustamento strutturale “sono pensati e sot- tomessi a un obiettivo unico: garantire il servizio del debito estero. Vale a dire dare la priorità assoluta e esclusiva agli interessi finanziari che sono legati al ser- vizio di questo debito. E questo, ad ogni prezzo”.75

Ad emergere è una dinamica effettivamente radicata, volta a frazionare le pro- blematiche dello sviluppo, tanto da esprimere, sui percorsi della mondializza- zione, l’offuscarsi della prospettiva verso un piú ampio quadro d’insieme. E dove ad imporsi sono programmi di aggiustamento privi di «interesse» e di «tensione» – in riferimento agli orizzonti delle attese di modernità – che si affermano piutto- sto per la loro incapacità di superare una situazione di sostanziale stasi. E quindi, come osserva il rapporto dell’Undp, l’affermarsi “di una situazione di quasi sta- gnazione”.76 Da cui emerge l’eccessivo ritardo, nel Maghreb, a modernizzare le sue strutture e le sue istituzioni. Sottolineando, pertanto, la permanenza di un tes- suto economico disarticolato; caratterizzato dall’assenza di un nuovo modello di modernizzazione, e i cui soli vantaggi continuano a risiedere nella disponibilità di fattori naturali (manodopera, risorse naturali, etc.). A cui si aggiunge il preoccu- pante rischio – in riferimento alle materie prime – di essere trascinato in gravi situazioni di conflittualità. Perché “i conflitti per l’accesso a queste risorse sono lontani dall’aver perso la loro ragione di essere”.77E da qui anche il riaffermarsi – mediante un «gioco» dinamico di percorsi incrociati – del contrasto fra promesse e realtà. Perché volgendo lo sguardo all’intera scena mondiale, “l’inserzione delle economie maghrebine appare, a dir poco, come una «inserzione passiva», legata essenzialmente a poli di specializzazione declassati e in perdita di velocità”.78La questione cruciale – ancora una volta – è il sofferto problema della dipendenza che – allargandosi e connettendosi con le problematiche complesse del processo di mondializzazione, incluso il delinearsi di nuovi e preoccupanti rapporti di forza – si impone e si svela quale veicolo fondamentale di una nuova e accresciuta ten- sione. Rivelando un percorso carico di tensioni, che innanzitutto esprime la ferma delusione dell’area nel costatare come “in definitiva, il modo di inserzione inter- nazionale delle economie maghrebine resta nel suo insieme ampiamente tradizio- nale (ad eccezione di certe attività di produzione di materiale elettrico che diven- gono competitive), caratterizzato da una grande isteresi e dipendente dai rimbalzi

75 Mohamed Yessoufou Saliou (intervista a Samir Amin), “Comment les économistes jugent

l’ajustement”, in Jeune Afrique économie, n. 262, 13 avril - 3 mai 1998, p. 33.

76Undp, Arab Human Development Report 2002, op. cit., p. 88.

77Samir Amin e Ali El Kenz, Le monde arabe. Enjeux sociaux - Perspectives méditerranéennes,

L’Harmattan, Paris, 2003, p. 74.

78Mohamed Benlahcen Tlemçani e Patrick Mairet, cit., p. 89.

In questo contesto, il rapporto del Femise osserva che “le esportazioni dei paesi mediterranei sono sempre piú specializzate su prodotti a forte intensità di manodopera, fenomeno ancora piú evidente nei confronti dell’UE dove piú della metà delle esportazioni verte sullo sfruttamento di lavoro non qualificato e di risorse naturali” (Femise, Rapport Femise 2004 sur le partenariat euro-

congiunturali del settore primario esportatore. Gli introiti ricavati dalle esporta- zioni di idrocarburi, di fosfato e di manufatti a debole contenuto tecnologico, ven- gono sottratti dal fondo di accumulazione, secondo proporzioni variabili, per andare ad alimentare il fondo di rimborso del debito”.79

Il risultato è che, se i Pas portano il segno delle acute contraddizioni dell’e- poca, i punti determinanti dello sviluppo continuano a rimanere esterni alla regione. A sottolineare come la straordinaria preponderanza che l’economia ha preso nell’analisi della crisi e nella vita sociale, esprime in realtà e innanzitutto quanto è nella sfera dell’economico che si riflettono e si cristallizzano le tante chiusure e le contraddittorie aperture che ostacolano la comprensione e la gestione della modernità. Mettendo in risalto quanto effettivamente “l’economia mondiale è un motore sempre piú potente e incontrollato”.80

La stessa mentalità di rendita, il cui superamento doveva essere alla base del- l’efficienza economica (un aspetto indicato come indispensabile dalle riforme neoliberali), non ha subito reali modificazioni, lasciando debole e privo di quali- ficazione il tessuto produttivo. L’esempio dell’Algeria, a questo proposito, è par- ticolarmente rilevante, con le sue problematiche aperte sulla fragilità di una “tran- sizione incompiuta”81che, attraverso le vie della liberalizzazione, si era proposta di promuovere il passaggio da una società di rendita – basata sullo sfruttamento degli idrocarburi – a una società produttiva e democratica. Il risultato deludente è uno scenario di grave fragilità economica e sociale; e senza essere neppure riu- sciti a eliminare le costrizioni di un sistema fondato sulla rendita che, in realtà, continua cosí ad alimentare le sue diffuse e persistenti opacità. Perché, attraver- sando il percorso complesso delle riforme in Algeria, tra ricerca di modernità e forti freni alla modernità, a riconfermarsi ancora una volta è “la vulnerabilità di un’economia sempre piú in balia dell’alta volatilità del corso del greggio”.82 A conferma di quanto effettivamente “il livello degli introiti petroliferi determina in modo fondamentale lo stato dei rapporti tra la società e il potere da una parte e tra i gruppi di interesse e i clan all’interno del potere”.83 Tanto che il rischio di veder emergere, sull’espansione di un tale processo, nuove e piú complesse costri- zioni per la società e per il paese nel suo insieme, è un argomento ampiamente dibattuto. E ora ulteriormente aggravato dal radicarsi, in Algeria, di “un apparato di Stato «sclerotizzato»”,84per il quale “i redditi derivanti dagli idrocarburi sono

79Mohamed Benlahcen Tlemçani e Patrick Mairet, cit., p. 90.

80 Eric J. Hobsbawm, Age of Extremes: The Short Twentieth Century, 1914-1991, Michael Joseph

Ltd, Penguin Group, London, 1994 (tr. fr., L’Âge des extrêmes, Complexe, Bruxelles, 2003, p. 733).

81Smaïl Goumeziane, Le mal algérien. Économie politique d’une transition inachevée 1962-1994,

Fayard, Paris, 1994.

82Abdelkader Sid Ahmed, Le dévelopment asiatique: Quels enseignements pour les économies

arabes?, Publisud, Paris, 2004, p. 13.

83Omar Benderra, “Pétrole et pouvoir en Algérie”, in Confluences Méditerranée, n. 53, 2005, p. 56. 84Abdelkader Sid Ahmed, Le développement asiatique…, op. cit., p. 30.

il carburante fondamentale”.85E quindi un’ulteriore conferma dell’approfondirsi delle difficoltà nel trovare soluzioni nuove e soddisfacenti in materia di sviluppo. Considerato, anche e innanzitutto, che dopo l’11 settembre le questioni legate al petrolio sono diventate piú acute e al contempo politicamente piú importanti. Con effetti assai preoccupanti, se teniamo presente che le ricchezze petrolifere nel mondo arabo hanno in realtà frenato lo sviluppo, tanto che anche “il boom petro- lifero ha giocato il suo ruolo nell’erosione di un numero di valori e di incentivi sociali che sarebbero stati utili nel promuovere la creatività e nell’acquisizione e diffusione del sapere”.86Non c’è allora da meravigliarsi se, sullo scenario algerino, il tempo presente apre una realtà di grandi inquietudini – verso questa popola- zione già duramente provata dalla guerra civile e dalle tante incertezze e soffe- renze della vita quotidiana – e cosí ben espressa, nelle contraddizioni dei suoi per- corsi economici, da quanto afferma Omar Benderra: “gli idrocarburi continuano ad assicurare la loro funzione politica fondamentale: salvaguardare la perennità del regime”.87

Allargando in via piú generale la visione all’insieme della regione maghrebina, ciò che ovunque emerge è come il neoliberalismo, per estendere le basi della sua penetrazione, sembra aver bisogno di confondersi con strutture sostanzialmente «inerti» al cambiamento, per non dover penetrare le nuove problematiche poste dalla lacerazione del reale, e correre il rischio di diventare esso stesso marginale rispetto alla grande varietà dei nuovi orizzonti ai quali sta comunque aprendo la strada. Da qui anche il rafforzarsi della rendita (nelle sue diverse forme, e quindi non solo in riferimento alla rendita degli idrocarburi), quale dimensione intima- mente collegata alle difficoltà del neoliberalismo di interrogarsi sui limiti e sulle fragilità strutturali al cambiamento. Perché ciò che si osserva, con sempre piú evi- denza, e su cui occorre con piú insistenza approfondire la riflessione, è quanto effettivamente “le economie dei paesi del sud e dell’est del Mediterraneo restano radicate in una cultura economica dove dominano i comportamenti di rendita e dove la logica di ricerca di rendita prevale sulla logica di ricerca di investimento in vista del profitto (...); i comportamenti tradizionali sono stati considerevol- mente rafforzati dall’esistenza di risorse naturali generatrici di rendita nel senso abituale (idrocarburi, fosfato, turismo, se non addirittura «rendita politica» legata agli aiuti internazionali durante il periodo della guerra fredda o anche «rendita di trasferimento» legata al rimpatrio di una parte dei redditi dei lavoratori immi- grati)”.88

Sulla base di queste osservazioni, e riportando ancora l’analisi sulla ricca ren- dita derivante dagli idrocarburi – con particolare attenzione alla Libia: l’altro

85Omar Benderra, “Pétrole et pouvoir en Algérie”, cit., p. 57. 86Undp, Arab Human Development Report 2003, op. cit., p. 10. 87Omar Benderra, “Pétrole et pouvoir en Algérie”, cit., p. 58.

88Gérard Kébabdjian, “Réformes économiques sans projet réformateur”, in Confluences Médi-

paese del Maghreb profondamente marcato dai meccanismi della rendita petroli- fera – è lo stesso progetto di riforme annunciato da Gheddafi (nell’ottica di aper- tura dell’economia e di rafforzamento del settore privato) che apre tante e com- plesse problematiche. Innanzitutto imponendo all’attenzione la questione fonda- mentale che nessun paese può oggi isolarsi dal movimento di scenari sempre piú interdipendenti, ma anche assai conflittuali che, tra dinamiche di conservazione e di innovazione, lacerano e al contempo accelerano la rete delle nuove connessioni a livello mondiale. Per la Libia l’obiettivo è ora di proseguire e consolidare la poli- tica d’inserimento del paese nella scena internazionale, rafforzando la nuova immagine di sé: da rogue state a partner economico e politico. E in tale contesto promuove al suo interno (insieme al rilancio dell’industria petrolifera) anche lo sviluppo di altri settori economici nel tentativo di ristrutturare l’economia libica e superare la fragilità di un sistema totalmente dipendente dal petrolio.89Ma la que- stione che resta sempre aperta è se basteranno queste riforme per incoraggiare un nuovo dinamismo che ridia significato alle attese delle popolazioni verso un avve- nire migliore. Considerato, fra l’altro, che ogni passo di questo processo inevita- bilmente esprime e riflette come sulla scena internazionale è ancora il petrolio che continua ad occupare un ruolo chiave nel sistema energetico globale, tanto da orientare con ferma determinazione le strategie di sicurezza energetica. Ed in effetti, i bandi di gara internazionali promossi in Libia nel 2005, per l’esplorazione e lo sfruttamento del petrolio, hanno avuto un grande successo, svelando una realtà dove la produzione degli idrocarburi, ora in notevole crescita, rappresenta la quasi totalità delle esportazioni del paese,90e la valutazione delle riserve petro- lifere libiche non cessa di aumentare. Il che innanzitutto significa quanto ardua e complessa è la sfida del cambiamento in una «società di idrocarburi», nel tenta- tivo di superare le innumerevoli dinamiche della dipendenza che attraversano il paese, e opprimono la società.

Su questo tema oggi particolarmente acceso: idrocarburi e sviluppo, l’espe- rienza dell’Algeria si riconferma in tutta la sua complessità, e con un ampio riflesso sulle ambiguità e fragilità del tempo attuale. Perché al di là delle sue evi- denti specificità, ciò che in primo luogo dimostra è che – malgrado le riforme avviate e i tanti discorsi pronunciati – l’economia del paese in realtà non riesce a

89Subito dopo la sospensione dell’embargo (1999), Il governo libico ha valutato a 35 miliardi di

dollari gli investimenti da promuovere (tra il 2002 e il 2005) in settori altri che gli idrocarburi: tra- sporti, turismo, acqua, elettricità sembrano prioritari. La speranza è il ritorno degli investimenti diretti esteri in questi comparti. Nell’ambito del programma di privatizzazione, si prevede inoltre, tra il 2003 e il 2008, di privatizzare circa 360 società che appartengono ai settori piú diversi (agroa- limentare, energia, tessile, automobile, prodotti chimici).

90In Libia la produzione è passata da 1410 milioni di barili al giorno nel 2002 a 1947 milioni al