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Dipendenti e collaboratori «qualificati»

3. L’oggetto sociale quale unico, reale, criterio di selezione dell’impresa innovativa

3.6. Dipendenti e collaboratori «qualificati»

Un accenno merita, infine, il terzo fra i requisiti positivi e alternativi indicati

dall’art. 25 d.l. n. 179/2012, ossia quello consistente nell’avere come «dipendenti o

collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza

lavoro complessiva, personale che sia in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che

iscrizione. È interessante notare che «più della metà (866, 62,7%) delle startup innovative costituite con la nuova procedura hanno indicato come requisito di innovatività la soglia abilitante di spese previste in R&S, a fronte di 382 (27,6%) che hanno selezionato il criterio relativo alle qualifiche accademiche del team imprenditoriale; altre 90 hanno optato per il requisito riguardante la proprietà intellettuale (6,5%, proporzione significativamente inferiore alla media registrata tra tutte le startup). 36 startup, infine, hanno dichiarato il possesso di più di un requisito: 12 hanno il primo e il secondo, 4 il primo e il terzo, 6 il secondo e il terzo, e 14 tutti i requisiti» (dati InfoCamere, settimo rapporto trimestrale aggiornato al 31 marzo 2018, 3, reperibile su www.sviluppoeconomico.gov.it).

(171) Sul controllo notarile concernente gli atti societari ai sensi dell’art. 2536, c.c., si rinvia per tutti a MORERA, Dall’«omologazione» del tribunale all’«omologazione» del notaio. Prime riflessioni sull’art. 32, legge 340/2000, in Il controllo notarile sugli atti societari (a cura di Paciello), Milano, 2001, 21, nonché a MALTONI, Il controllo notarile sugli atti societari ex art. 2436 alla luce di una recente sentenza della Corte di Cassazione, in Riv. not., 2016, 6, 1177.

stia svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in

possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata

presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale

uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, personale in possesso di

laurea magistrale» (

172

).

Si ricorderà certamente come tale requisito non sia stato inserito in precedenza tra

gli indizi normativi utili alla ricostruzione del concetto di innovazione tecnologica e ciò

non per mera dimenticanza, ma per la precisa ragione che esso sembrerebbe prestarsi

più degli altri ad essere strumentalizzato al fine di ottenere un indebito ampliamento del

perimetro applicativo della normativa.

In altre parole, esso rischia di porsi quale «surrogato» degli altri e ben più

pregnanti requisiti alternativi consistenti nell’investire in ricerca e sviluppo e

nell’utilizzare in concreto una data privativa industriale di cui la società sia titolare, e

ciò in quanto non sembrerebbe potersi revocare in dubbio che il mero fatto di

annoverare tra i propri dipendenti un certo quantitativo minimo di soggetti in possesso

di (più o meno: non è dato stabilirlo dal tenore della norma) elevati titoli di studio nulla

apporti di per sé, se non sul piano meramente indiziario, alla pretesa innovatività

dell’attività costituente l’oggetto sociale della società, specialmente considerando il

fatto che detto requisito consente di aggirare proprio quello relativo agli investimenti in

ricerca e sviluppo.

(172) V. COSSU,Le start-up innovative, cit., 1706. L’A. evidenzia come all’interno della categoria generale delle start-up sia possibile isolare la start-up innovativa «accademica», che tale si qualifica in quanto attesti l’impiego in quantità «rilevante» di personale dedito istituzionalmente ad attività di ricerca. L’A. richiama in nota la Assonime del 7 maggio 2013, nella quale viene precisato che fra i «dipendenti o collaboratori» della start-up innovativa «accademica» (su cui v. infra, nel testo) devono essere ricompresi anche gli amministratori. In quest’ultimo senso si è espresso altresì il Ministero dello Sviluppo Economico con la Circolare 14 febbraio 2017, n. 2696/C, 6, ove viene precisato che «l’analisi condotta da codesti uffici deve essere di carattere sostanziale (riferibilità cioè alla declaratoria della norma), quantitativa (verifica della rispondenza della percentuale) e qualitativa (verifica della rispondenza della percentuale alle specializzazioni del personale)». In relazione al primo aspetto, la circolare richiama precedenti chiarimenti già forniti dal ministero in merito al punto, ovvero il fatto che «[l]a norma consente, in armonia con l’attuale disciplina giuslavoristica, che l’impiego del personale qualificato possa avvenire sia in forma di lavoro dipendente che a titolo di parasubordinazione o comunque “a qualunque titolo”. Sicuramente rientra nel novero anche la figura del socio amministratore. Tuttavia la locuzione “collaboratore a qualsiasi titolo” non può scindersi dall’altra “impiego”».

Con ciò, si badi, non si vuole certo negare il fatto che il legislatore abbia voluto

introdurre una presunzione juris et de jure che dalla presenza di ricercatori, secondo l’id

quod plerumque accidit, derivi attività di ricerca, ma si vuole piuttosto significare come

detta presunzione rischi di provare troppo (

173

).

Occorre infine evidenziare come la norma in questione nulla precisi in relazione al

nesso qualitativo tra il titolo di studio di cui devono essere in possesso i «dipendenti o

collaboratori a qualsiasi titolo» della società e la specifica attività d’impresa innovativa

di quest’ultima.

In altri termini, il legislatore non ha chiarito se — per integrare il requisito di

legge — la società debba annoverare tra i propri dipendenti o collaboratori soggetti in

possesso di titoli di studio in materie afferenti al progetto innovativo o se, invece, possa

dirsi rilevare di per sé il valore legale del titolo di studio (laurea magistrale, dottorato di

ricerca).

Alla luce di quanto già osservato a proposito della natura di «requisito di fatto»

dell’innovazione tecnologica appare decisamente preferibile la prima impostazione.

D’altra parte, quella meno rigorosa sembrerebbe porsi in palese contrasto con l’esigenza

che l’apporto dei dipendenti e dei collaboratori debba necessariamente caratterizzare il

ciclo produttivo, e dunque l’attività d’impresa, e non invece lo statuto sociale: il

legislatore, infatti, non ha richiesto il possesso di particolari qualità soggettive per le

persone dei soci, fermo restando naturalmente che anch’essi potranno essere annoverati

fra i dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo della società qualora prestino

(173) Del resto, secondo l’attuale normativa, lo svolgimento di mera attività di ricerca e sviluppo non sarebbe sufficiente ad integrare la fattispecie «impresa innovativa», dovendo l’attività di ricerca essere strumentale alla produzione di beni o servizi innovativi. Nella prassi è possibile notare il trend positivo concernente la nascita di numerose start-up, che sono (anche) spin off di istituti universitari o enti di ricerca, le quali, annoverando tra i propri dipendenti i soggetti di cui all’art. 25, comma 2, lett. h), n. 2, si attribuiscono la qualifica di impresa innovativa ai sensi del d.l. n. 179/2012. Pur non mancando esempi assolutamente virtuosi (si vedano ad esempio i dati registrati da EmiliaRomagnaStartup reperibili su www.emiliaromagnastartup.it), resta comunque importante ridurre al minimo i rischi di cui meglio nel testo. Per un approfondimento sulla distinzione tra spin-off universitari in senso stretto, spin-off accademici e modelli spuri e sui connotati di “specialità debole” che li caratterizzano si rinvia a COSSU, Gli spin-off universitari e accademici in forma di società a responsabilità limitata, in Munus, II, 2013, 371, pubblicato anche in AA.VV., Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini (a cura di Di Cataldo - Meli - Pennisi), I, Milano, 2015, 119. V. anche COLOMBO M.G. PIVA E., Le start-ups accademiche: teoria ed evidenza empirica sul caso italiano, in Industria, 2008, 2, p. 289.

effettivamente la loro attività lavorativa nei confronti di quest’ultima (anche, si ritiene, a

fronte del conferimento di una prestazione d’opera nei casi e nei modi consentiti dalla

legge).