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8 per dire l’ovvio: se possiamo parlare di «desiderio di genitorialità», è perché conosciamo il materno

La regola generale che vieta la surrogazione di maternità è stata del resto tante volte mitigata, dando la prevalenza al rapporto tra il bambino e i committenti con cui abbia ormai formato una famiglia34. Queste soluzioni non segnalano disordine, o bisogno di nuove regole legislative; al contrario, sono la riprova di come il divieto di surrogazione sia l’espressione di un principio del diritto e fondamentale della convivenza; capace come tale di quella flessibilità, adattabilità e capacità di mediazione, che sono caratteristiche proprie delle grandi forze della ragione e che sono altrettante risorse trasformative.

Il mutamento che potrebbe emergere da una coltivazione esplicita ed accurata del valore del principio mater semper certa quale guida nella ponderazione delle domande di giustizia che si originano da casi di surrogazione di maternità potrebbe essere una

ripresenta un problema costante della nostra cultura giuridica, dove il giudice fa l’equità, cioè risponde in termini di giustizia del caso concreto al problema in causa, ma la traveste come applicazione di stretto diritto – finendo così con l’inventare diritti inesistenti (nel nostro caso, per esempio, il diritto delle coppie alla genitorialità) col ridurre i principi a una lettura monodimensionale (come avviene, nel nostro caso, quando il best interest del bambino viene reso coincidente col diritto alla bi-genitorialità) – anziché approfondire le risorse dell’argomentazione sistematica, dell’analogia argomentativa e del richiamo alla natura della cosa, che tengono in connessione l’equità con i principi generali e evitano la supplenza creativa e analoghe patologie. Col richiamare il ruolo orientativo che il principio mater semper certa può assumere intendo dunque segnalare l’esigenza, e la possibilità concreta, per la giurisdizione, di adempiere in modo più congruo al senso della sua funzione, con la quale l’equità classica non contraddice, mentre vi va contro il volontarismo soggettivistico; il tema delle nuove forme di genitorialità e di famiglia può essere solo frainteso se considerato isolatamente e non nel complesso dei caratteri, dei problemi, ma anche delle potenzialità, della nostra esperienza giuridica (e per i quali v. almeno Giuliani, 1979, V ss.).

33 Che è diritto umano del bambino, ai termini della Dichiarazione Onu sui diritti dei bambini, entrata in

vigore nel 1989, principio 6: «nessun infante, salvo eccezionali circostanze, sarà separato da sua madre».

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grande diffusione di un nuovo senso del materno, dove alla fine lo vedremmo tutti e tutte per quel che già sappiamo che è: ciò che rende possibile, che autorizza, che promuove libertà, e che fa queste cose in chiave femminile e universale, nel senso che ho sviluppato all’inizio. Del resto, la capacità conciliativa che la giurisprudenza esprime quando risponde a un caso concreto mitigando una regola generale che potrebbe avere un esito ingiusto risale a una funzione della giustizia, che in passato era restituita con un’immagine materna (Simone, 2016, 35 ss.)35.

Finiremo così per capire – ne sono certa – quel che già oggi è sotto gli occhi di tutti: se noi non avessimo dentro di noi la relazione materna, non sapremmo neppure decifrare i beni che questi bambini e questi genitori domandano: cura, riconoscimento, affetto. È il materno dentro di noi il motivo per cui diamo credito alle richieste dei genitori surrogati. Sappiamo che col bambino, e grandemente grazie all’opera di quest’ultimo, essi hanno ri-costituito una relazione (Muraro, 2016). Se la vediamo, la rispettiamo e la consideriamo importante, è perché ci richiama l’opera della madre, che ci rende capaci di reciprocità.

Cambiando sguardo vedremmo, a poco a poco, che tutte le chances che le relazioni nate da surrogazione di maternità hanno di venire riconosciute, sono dovute al materno, consustanziale alla sociabilitas umana; a un principio giuridico che della madre presuppone l’anteriorità e la primazia; a un’attitudine conciliativa – materna – della giustizia che sa usare il diritto in modo equitativo, e cioè come restituzione e ricostituzione di senso, e non come mero esercizio di potere.

Capiremmo così che le nostre relazioni sociali sono un prodotto del materno, e non il contrario; e che senza il materno, forse saremmo capaci di produrre nuove leggi e sempre nuovi costrutti coercitivi; difficilmente di sapere la giustizia.

A quel punto, non sarà più tanto difficile riconoscere che cosa fa ordine, e produce libertà, nella generazione, quindi è primario, fondamentale, e, come è stato detto, indisponibile (Muraro, 2016).

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