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Le risorse della ragione equitativa

LA RIPRODUZIONE AL CENTRO DELLA QUESTIONE DI GENERE PREMESSE PER UN INQUADRAMENTO COSTITUZIONALMENTE ORIENTATO DALL’ANALISI D

5. Le risorse della ragione equitativa

Non dubito d’altro canto che la surrogazione di maternità, come esperienza individualmente vissuta, possa essere guardata come frammento di una situazione «tanto confusa quanto ispiratrice» (Preatorius, 2016, 56) che il presente ci apre, una situazione che certamente, sotto molti aspetti, può essere vista come l’emergere di domande su come è giusto vivere, capaci di movimentare, incrinandoli, i presupposti dicotomici e gerarchizzati che, pur antichissimi, sono l’essenza degli squilibri del «nuovo» capitalismo globale e delle sue istituzioni. In questo scenario, mi pare nel giusto chi avverte che non si tratta di, né è possibile, individuare soggettività che per definizione recitano la parte buona (siano esse le donne, siano i gay, nel campo che ci occupa)17, ma di cogliere le opportunità per tentare un’opera di ricostruzione di senso

(Preatorius, 2016, 91).

La questione sta nell’uscire dalle alternative forzate di un razionalismo sempre vittima dell’«illusione regolatrice», che ripropone continuamente la ricorsa alla conquista della sfera «superiore» del riconoscimento e dei diritti, confermando ciò che già è (Praetorius, 2016, 67 ss.); sta, dunque, nell’uscire proprio dai linguaggi forniti dall’analisi di genere e anti-discriminatoria, che, prodotto come sono della logica dicotomica, non possono compierne il superamento. Adottare questi linguaggi, io temo, ed è questo che vorrei dire a Barbara e al suo sforzo così sincero e così serio di salvaguardare la posizione delle donne nel dire un sì prudente alla surrogazione, è comunque un atto di «auto- moderazione», il «tentativo di parlare lo stesso linguaggio del sistema per farsi ascoltare», che non produce alcuna mediazione perché non apre alcuna frattura, è cioè una mediazione apparente (Maestro, 2016, 16). E lo stesso vorrei dire a chi aspira al

17 Praetorius, 2016, p. 62, parla di «conglomerati di dicotomie continuamente riadattati a differenti

circostanze» che si arruolano per l’inversione di quanto si è combattuto, inversione che è «illusoria» perché non ripropone che un ordine gerarchizzato.

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contrario a nuovi ulteriori divieti di surrogazione di maternità, che possono racchiudere la riproposizione dell’idea che vi siano modi giusti e sbagliati di avere figli e l’implicita riconferma di tradizionali modelli di comportamento.

Nelle analisi odierne di critica al modello economico e politico, e al simbolico, dominante, che è il modello di sfruttamento planetario della vita, da cui la surrogacy sgorga, ciò che più colpisce è la chiara consapevolezza che, per il mutamento qualitativo, occorre una forma della ragione corrispondente. Quale unica vera risorsa per nuovi paradigmi è avvertito il bisogno di modi di pensare che non si pretendano atti a offrire soluzioni a tutto campo, coese e strutturate, ma siano capaci di duttilità, porosità, e con-possibilità18.

I contorni di questa altra forma della ragione mi richiamano, perché vi si annodano, una concezione del diritto naturalmente svalutata nei tempi nostri, perché, in un’ottica programmatoria e pianificatrice, non può che apparire «inefficiente» (Maestro, 2016, 16), ma nobilissima, che lo vede quale forma di conoscenza animata da una logica controversiale e dialettica, capace di attingere conclusioni sempre rivedibili, perché ancorate a precise circostanze di tempo e di spazio19.

Questa funzione del diritto, opposta alla riduzione di esso a tecnica dogmatizzata di ingegneria sociale20, trae naturale alimento dai principi del diritto, che non offrono

soluzioni predeterminate, ma forniscono criteri di valutazione assiologicamente orientati21, coincidono con valori basilari della convivenza22, e per questo, a me pare,

non recidono i legami tra «la ragione umana e le “importanti risorse della fondazione del senso”»23.

18Lo fa Praetorius, 2016, 96, che parla di un «pensiero dialogico capace di una produttiva

incompiutezza»; lo fa Buttarelli, 2017, che rivaluta la prospettiva dell’anarké.

19 V. amplius Cerrone, 2012, 669, dove si sottolinea che auspicare la riscoperta di questa forma della

ragione comporta anche invocare un ripensamento della scienza giuridica, che «dovrebbe dismettere ogni pretesa di precettività e orientarsi invece sempre più verso un ruolo persuasivo, critico, valutativo».

20 Per quanto mite e ragionevole, come nella proposta di Barbara, anche considerato che è tipico delle

concezioni ingegneristiche del diritto trasferire l’equità sul legislatore, come politica dell’uguaglianza (arg. ex Luhmann, 2002, p. 254 ss.).

21 I principi del diritto richiamano l’equità come norma di riconoscimento fondamentale, in quanto

«luoghi specifici dell’argomentazione giuridica, […] concepiti essenzialmente come criteri di esclusione di soluzioni irragionevoli o ingiuste, fondati su un procedimento confutatorio e giustificativo» (Giuliani, 1982, 177 ss.; Giuliani,1974; sul punto, Cerrone, 2012, 671 e 645).

22 Perché si confrontano con le costanti dell’azione umana: Cerrone, 2012, p. 630 ss.

23 Maestro, 2016, 16, citando Muraro, 1997. I principi del diritto rimandano «a una ragione intuitiva e

sociale che suppone un atto di fiducia» nella capacità dell’essere umano di «comprendere le ragioni del vero e del giusto», «non astratta, individuale, calcolante, ma pratica, diffusa, dialettica, persuasiva» (Cerrone, 2012, 672).

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Vorrei dunque ribaltare l’idea del conflitto tra surrogazione di maternità e principio

mater semper certa, per sottolineare la possibilità di guardare la prima nel cono del

secondo. Si tratta, per far ciò, di lavorare col diritto altrimenti, ossia come forma della ragione, controversiale e dialettica, capace di prestazioni equitative, aperta a continue revisioni per effetto dell’emersione di nuovi e diversi punti di vista, cosciente dei limiti della conoscenza umana, e che chiama in causa la qualità della comunicazione, mettendo in guardia contro gli abusi della ragione, che tradiscono «l’esigenza della veracità» (Cerrone, 2012, 675)24.

È una scommessa, la mia, cui la stessa natura eclettica ed «impura» del diritto dà praticabilità: nel diritto convivono metodi e culture originate da tempi e mentalità differenti, e il cattivo storicismo (i metodi di oggi sono meglio di quelli di ieri) vi alligna, tutto sommato, limitatamente.