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Tempo per lavorare, per curare, per sé

ATTRAVERSO I CONFINI DIFFERENZE DI GENERE, TRA LAVORO REMUNERATO E RESTO DELLA VITA

2. Tempo per lavorare, per curare, per sé

Alla crisi del lavoro, intesa come indebolimento del mercato, diminuzione delle possibilità occupazionali, percorsi lavorativi discontinui e insoddisfacenti, dal punto di vista della realizzazione personale, professionale o economica (Savickas et al., 2009), non ha fatto seguito una riduzione della centralità del lavoro nei pensieri, nelle preoccupazioni, nella vita delle persone. L’insicurezza percepita rispetto alla propria condizione occupazionale si associa persino a un’intensificazione del lavoro, una sorta strategia di rassicurazione dall’efficacia non provata, che spesso viene messa in atto per contrastare la paura o il rischio di perdere l’occupazione oppure il timore di vedere ridimensionato il proprio ruolo (Molino et al., 2016): si tratta dello sforzo di fare di più e meglio anche quando non è direttamente ed esplicitamente richiesto dall’organizzazione. Accanto a questo meccanismo, la crisi del lavoro ha portato con sé un aumento del carico effettivo di lavoro, inteso come richieste da parte dell’organizzazioni di un elevato impegno fisico, cognitivo ed emotivo, per le persone occupate in alcuni settori come una crescente intrusione del lavoro nel resto della vita (Ghislieri e Colombo, 2014). Nelle occupazioni non strettamente produttive, anche forme come il part-time (volontario o involontario) non sempre corrispondono a un effettivo ridimensionamento del carico di lavoro (si pensi, in particolare, ai lavori intellettuali).

In questa cornice, il tema della conciliazione mantiene tutta la sua attualità con importanti risvolti applicativi, nell’intreccio tra lavoro remunerato e resto della vita (Naldini e Saraceno, 2011): si modificano le esigenze, le istanze, i comportamenti dei

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singoli, delle coppie, delle famiglie; non cambiano, invece, o cambiano lentamente e spesso in modo inadeguato, le politiche e gli strumenti disponibili.

Il tema della conciliazione mantiene, anzitutto, la sua centralità nella biografia di donne e di uomini:

«Questo tema… è il rapporto dell’uomo con la propria vita» (stralcio di intervista) 1; «La conciliazione…

è un tema trasversale, che riguarda uomini e donne» (stralcio di intervista).

La conciliazione è stata, in un primo tempo, affrontata negli studi psicologici soprattutto nella sua accezione problematica, utilizzando il costrutto di conflitto tra lavoro e famiglia, in termini di interferenza negativa (Greenhaus e Beutell, 1985) riconducibile al trasferimento di aspetti problematici dal lavoro alla famiglia (soprattutto in questa direzione):

«Il peso del lavoro capita di trasferirlo a casa, è una fatica mentale che misuro in termini di esaurimento di energie. Quando arrivi a casa e i tuoi figli ti chiedono di essere presente, ti rendi conto che hai esaurito tutte le energie sul lavoro» (stralcio di intervista).

Sebbene le ipotesi iniziali degli studiosi, basate sul lavoro di Pleck (1977), sostenessero una maggiore permeabilità dei confini per gli uomini nella direzione lavoro-famiglia (interferenze del lavoro nel ruolo e compito familiare) e per le donne nella direzione famiglia-lavoro (interferenze della famiglia rispetto a ruolo e compito lavorativo), gli studi successivi non hanno confermato questo andamento (Ghislieri e Colombo, 2015): i livelli di conflitto, in entrambe le direzioni, sono spesso simili per donne e uomini, sebbene l’impegno familiare e domestico sia ancora oggi superiore nelle donne.

Richieste eccedenti dal dominio lavorativo, vissuti emotivi dal tono negativo, ridotte risorse organizzative determinano, in un intreccio vizioso, un esaurimento di energie (Ten Brummelhuis e Bakker, 2012) che si traduce nella difficoltà, quando non nell’impossibilità, di vivere in modo soddisfacente la propria vita familiare, caratterizzata anch’essa da richieste e risorse potenziali. Per contro, in alcuni casi, quando le risorse consentono l’attivarsi di processi di arricchimento (Carlson et al.,

1 Gli stralci di intervista sono tratti da uno studio qualitativo realizzato nell’ambito della formazione

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2006), il lavoro rappresenta anche un’opportunità di benessere che ha risvolti positivi anche nella vita personale e familiare.

«Io riporto a casa anche il fatto che comunque sono soddisfatto» (stralcio di intervista).

Sebbene questo elemento positivo sia messo in luce nelle biografie di donne e uomini, l’elemento di problematicità della conciliazione spesso prevale negli studi: esso è sia l’esito di processi disfunzionali di interazione tra eccessive richieste e scarse risorse, sia un predittore di altre conseguenze negative, di malessere, sul piano personale e organizzativo (Ghislieri e Colombo, 2015). Vissuti di conflitto e arricchimento, intesi in questa accezione di permeabilità dei confini tra lavoro remunerato e resto della vita, in positivo e in negativo, sembrano riguardare in egual misura donne e uomini, oggi, sfidati dalla complessità del presente a cercare continuamente un punto di equilibrio nelle loro vite. La transizione in corso è evidente, da questo punto di vista: i modelli di partecipazione al lavoro remunerato e di cura, di donne e uomini, si sono gradualmente avvicinati, come evidenziato da diversi autori (Ford, Heinen e Langkamer, 2007; Halpern, 2005), anche se con tempi diversi in contesti culturali differenti. In Italia assistiamo a vissuti che sono simili, quanto a interferenza positiva e negativa del lavoro rispetto alla famiglia, sebbene diverso sia l’effettivo impegno messo in campo per conciliare che vede ancora le donne assumersi in prevalenza i compiti di cura (Mcelwain, Korabik e Rosin, 2005) e gli uomini offrire un supporto in termini di affiancamento più che non di piena condivisione (Ghislieri e Colombo, 2015).

Sono, inoltre, le donne ad avere meno occasioni di «recupero»: dagli studi sui rischi psicosociali, emerge il ruolo fondamentale delle strategie di recupero per limitare gli effetti negativi degli stress lavorativi (Sonnentag e Fritz, 2007).

«Il lavoro non si può trascurare e la vita famigliare nemmeno e alla fine io credo che ne risenta quella privata, più personale (…) per sé, l’unico che si può sacrificare anche se sarebbe prezioso» (stralcio di intervista).

Il recupero può avvenire attraverso due processi principali: una interruzione delle richieste provenienti dal dominio lavorativo, in base all’effort-recovery model (Meijman e Mulder, 1998), consente al sistema di funzionamento personale di essere

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temporaneamente non sollecitato e di ripristinare le risorse personali; seguendo la

conservation of resources theory (Hobfoll, 1998), inoltre, un altro possibile processo di

ripristino delle risorse prevede il coinvolgimento in attività alternative a quelle distintive del ruolo lavorativo, che possono portare nuove risorse alla persona (es. energia, auto- efficacia o emozioni positive; Sonnentag e Fritz, 2007; Molino et al., 2015).

Un recente studio, realizzato in collaborazione con il gruppo di ricerca in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino2, ha messo in luce come, in un campione di 724 rispondenti, bilanciati per distribuzione di genere, i livelli di recupero sono significativamente diversi tra donne e uomini. Sono stati presi in esame i costrutti di distacco psicologico, rilassamento, potenziamento (impegno in altre attività che generano risorse) e controllo sul tempo libero, rilevati attraverso l’adattamento italiano della scala di recovery di Sonnentag e Fritz (2007; Molino et al., 2016).

In particolare gli uomini presentano livelli superiori alle donne di distacco psicologico (uomini M = 9.8, DS = 3.46; donne M = 8.82, DS = 3.46; F = 15.23, p < .001), rilassamento (uomini M = 11.22, DS = 2,96; donne M = 10.67, DS = 3.26; F = 5.63, p < .01), potenziamento (uomini M = 11.13, DS = 2.61; donne M = 10.55 DS = 3.00; F = 7.62, p < .001). Questi dati portano l’attenzione su come sia difficile soprattutto per le donne preservare uno spazio di vita personale, oltre il lavoro e la famiglia, che rappresenta però una necessità per il benessere, in presenza di richieste molteplici, provenienti dai diversi domini di vita.