• Non ci sono risultati.

Tendere al mutamento qualitativo, decostruire l’antidiscriminazione

LA RIPRODUZIONE AL CENTRO DELLA QUESTIONE DI GENERE PREMESSE PER UN INQUADRAMENTO COSTITUZIONALMENTE ORIENTATO DALL’ANALISI D

4. Tendere al mutamento qualitativo, decostruire l’antidiscriminazione

4. Tendere al mutamento qualitativo, decostruire l’antidiscriminazione

In termini antidiscriminatori, la surrogazione di maternità viene argomentata sia come un modo per riconoscere il diritto alla genitorialità delle persone omosessuali, decostruendo così il paradigma eterosessuale della famiglia, sia come modo di affermare un diritto delle donne a liberarsi dallo «stereotipo» espresso dal costrutto materno fatto di amorevolezza e disinteresse.

Come sempre avviene nel campo antidiscriminatorio, la retorica del cambiamento e del

progresso copre l’assenza del mutamento qualitativo, cioè nell’ordine dei valori.

Il primo argomento, per esempio, sovrastima il significato di un avvicendamento nell’utenza della surrogacy che, di per sé, non ne modifica affatto il senso: fin da quando si dava per scontato che a ricorrere alla surrogazione fossero solo coppie etero è apparso chiaro che si trattava di un nuovo avvento del «diritto paterno» (Pateman, 1997, 47). Alle «nuove frontiere della genitorialità», altrettanti congegni di distribuzione dei diritti genitoriali, non è difficile obiettare che da sempre «affinché gli uomini possano appropriarsi dei figli in quanto padri, sono stati necessari elaborati meccanismi istituzionali» (Pateman, 1997, 274)12. Non cambiando in alcun modo il senso di

dinamiche antichissime, e limitandosi a fare come quelle dinamiche non ci fossero, l’argomentazione anti-discriminatoria della surrogazione di maternità non produce

nuovo senso, rappresentando solo la conquista di nuovi spazi da parte di meccanismi di

mercato che costringono «tutti i rapporti inter-personali dentro lo schema autoreferenziale delle preferenze individuali» (Habermas, 2010, 107, cit. in Praetorius 2016, 49), ciò che per definizione lotta contro la proposizione collettiva, sociale, di domande trasformative intorno al significato e al valore dell’esperienza.

Più significativo ancora, quanto a incapacità della prospettiva anti-discriminatoria a allearsi a reali mutamenti di senso, è l’altro argomento, secondo cui la surrogazione di maternità emancipa le donne dallo «stereotipo materno» (argomento cui mi pare Barbara Pezzini conceda qualche credibilità, come del resto al primo).

12 E ancora: «con l’invenzione del contratto di sostituzione [grazie al quale il bambino è di proprietà

dell’uomo che ha ottenuto per contratto l’uso di questi servizi], è tornato un aspetto del patriarcato classico» (Pateman, 1997, 276).

115

L’attività, o il lavoro, che le donne svolgono nella riproduzione della vita è stato a lungo confuso con un atto naturale, ossia della natura, vale a dire è stato reso coincidente con ciò – la natura, appunto – il cui ruolo era essere sfruttato e dominato da parte della sfera «superiore» (cultura – legge – denaro – sfera pubblica); oggi – con la maternità surrogata – il lavoro delle donne nella riproduzione della vita diventa a sua volta sfruttamento della natura, ossia attività traducibile e misurabile in termini economico- monetari e nei corrispondenti istituti legali. Con la maternità surrogata e l’abbattimento del discriminatorio «stereotipo materno», le donne, dal ruolo di parte indistinta della natura sfruttata, sono invitate a coronare il loro ingresso nella sfera di coloro che sfruttano la natura: resta tagliato fuori, in entrambi i casi, il fatto, e la possibilità di pensare, che il lavoro delle donne nella riproduzione non è natura (sfruttata o da sfruttare) ma l’espressione di «un particolare rapporto con la natura» (Praetorius 2016, 41)13, un rapporto che non è di dominio o sfruttamento. Rimane tagliata fuori la pensabilità stessa di un mutamento qualitativo, ed emerge la convergenza funzionale di analisi di «genere» e anti-discriminazione.

Il fatto che l’argomentazione antidiscriminatoria applicata alla surrogazione di maternità produca l’effetto di presentare come una innovazione progressiva (e pertanto intrinsecamente giusta) qualcosa che sta invece, sotto ogni profilo, in profonda continuità coi tradizionali modi gerarchizzati e dicotomici di intendere l’esperienza (e di governarla), non sorprende affatto, perché questo è il modo tipico di operare dell’antidiscriminazione, che sempre si avvale di concetti costruttivistici, e del linguaggio dei diritti, di grande rilievo strategico14, per compiere la sua opera che, ormai

13 L’anti-discriminazione realizza il processo continuo di ridefinizione del confine tra produzione e

riproduzione (processo nel quale è nevralgica la «naturalizzazione» di sempre più attività ed esperienze, nella direzione della progressiva estensione dell’area della «riproduzione»), in cui può essere vista la chiave della attuale sconfinata «presa» del capitalismo sulla vita (cfr. Giardini e Simone, 2015). Del «paradigma riproduttivo» la surrogacy è certamente un esempio nitidissimo, si pensi a come la sua legalizzazione sia accompagnata da pratiche discorsive di costruzione del naturale (così avviene quando si dice che la surrogazione permette alle donne sterili di soddisfare il «naturale» desiderio di essere madri; alle coppie gay di realizzare il sogno «naturale» di crescere bambini), in cui rientra anche un significativo slittamento del momento monetario del pagamento dal «commerciale al domestico e del potere del denaro dallo strutturale al personale», compresa la sua funzione di comprovare l’appropriato spirito di sacrificio materno (o «genitoriale») da parte dei committenti, (cfr. l’interessante analisi delle retoriche che hanno accompagnato la legalizzazione della surrogacy in Australia di Millbank, 2012).

14 Specialmente nella surrogazione, e particolarmente nel nostro ordinamento, dove gli avvocati della surrogacy sanno bene che meritevolezza dell’interesse perseguito dalla surrogazione (soddisfare il

desiderio di genitorialità) varrebbe a rendere coercibile ogni patto o accordo, pur permettendo di qualificare come «non patrimoniale» un eventuale contratto atipico di surrogazione introdotto dalla legge,

116

è ampiamente riconosciuto, consiste nella costruzione/ricostruzione del «tipo umano» e delle forme di relazione utili al modello di produzione e accumulazione vigente (Somek, 2012).

È un’opera cui risulta utilissima l’intonazione anti-caste del divieto di discriminazioni, atta a rappresentare il particolare rapporto delle donne con la procreazione come un privilegio ingiusto perché «sessista». Gemella della visione antistorica propria dell’analisi di genere, che rende «storia» equivalente a «passato»15, la retorica anti-caste ostacola sempre una lettura del presente che altrimenti, nel caso della surrogazione di maternità, non fatica a cogliere come la rinascita del diritto paterno, sotto le spoglie del diritto alla genitorialità, si presenta oggi alleata con una nuova riconfigurazione dell’intreccio tra capitalismo – e le sue tecnologie, tra cui quella medica (Duden, 2008) – e la capacità generativa delle donne (Pateman, 1977, 47) e risponde al problema del controllo di un materno che è diventato libero e che esprime una asimmetria favorevole alle donne, tanto più in quanto i tradizionali contrappesi di questa asimmetria (l’ideologia della naturale vocazione delle donne per la vita domestica o del loro istinto innato per la cura dei figli o della loro stessa naturale vocazione a fare figli) sono certamente decaduti, mentre il matrimonio, modo tradizionale di garantire il controllo sulla procreazione e di funzionalizzare la ri-produzione ai bisogni dell’assetto produttivo, soffre ormai, divenuto same-sex, importanti limiti strutturali. Il linguaggio codificato, che correda il diritto antidiscriminatorio, fatto di parole burocratizzate (Zamboni, 1997, 47) come «desiderio di genitorialità», sopprime interrogativi, che pur potrebbero essere esplorati16.

Si è invitati così a dimenticare che, se vi sono costrutti sociali che opprimono qualcuno, e specialmente le donne, questi non sono né la maternità, né la differenza sessuale ma i modi storici del loro sfruttamento, materiali e simbolici (Federici e Fortunati, 1984, 2016 ss.).

per non offendere, così, la sensibilità di chi associa alla surrogazione di maternità il commercio dei bambini.

15 V. esemplarmente l’argomentazione della fondatrice del concetto di genere G. Rubin, 1984.

16 «Might the disconfort over the exclusion of gay males, after centuries of excluding all women, simply

reflect the abitual assumption taht, when the law provides privileges, men expect to enjoy them – while women, more accustomed to unfavorable treatment, more readily tolerate such disadvantages?» (Appleton, 2006, 64). La costruzione dei gay come una classe svantaggiata nell’ambito dei diritti riproduttivi, collocando le donne nel ruolo di detentrici di un ingiusto privilegio, ne fa il potenziale oggetto di politiche pubbliche «equitative»; sulle tensioni che ne derivano, anche con riguardo al conflitto tra diritti dei gay e diritti delle lesbiche nella riproduzione v. Craig, 2010, e Niccolai, 2015.

117

Tra questi modi colloco sia il concetto di genere sia l’anti-discriminazione, che dietro l’ideologia del cambiamento, militano contro il mutamento qualitativo, e, nel caso della surrogazione di maternità, lo fanno riproponendo alle donne l’imperativo, cui hanno sottostato per millenni, e da cui oggi si sono rese libere, a fare figli «per gli altri».