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Se è permesso che subordina, e un divieto che autorizza

LA RIPRODUZIONE AL CENTRO DELLA QUESTIONE DI GENERE PREMESSE PER UN INQUADRAMENTO COSTITUZIONALMENTE ORIENTATO DALL’ANALISI D

6. Se è permesso che subordina, e un divieto che autorizza

È importante allora dire innanzitutto che il divieto di surrogazione, esplicitato nella legge n. 40 del 2004, non è il centro della questione, ma solo un’espressione in negativo del principio mater semper certa, e che è questo invece ad essere centrale, data anche la sua inequivoca rilevanza costituzionale, che ricordavo in apertura. L’immagine costituzionale della persona umana, quale coagulo di principi basilari della convivenza, è libera e anteriore all’ordinamento; in quanto tale presuppone la madre, e precisamente la sua libertà e asimmetria a ogni altro soggetto o interesse coinvolto nella generazione25. Si incornicia qui anche il diritto della donna di partorire anonimamente, costituzionalmente protetto sul presupposto che la madre (non dunque l’ordinamento) è l’unica portatrice delle scelte inerenti il miglior bene del bambino.

Poiché un contratto rappresenta per definizione l’accettazione di un obbligo nei confronti di altri, il principio mater semper certa si oppone alla surrogazione di

24 Sugli abusi della ragione tipici del ragionamento antidiscriminatorio, oltre che di quello di genere, v.

anche Niccolai, 2015.

25 Per la deduzione di precise conseguenze giuridiche in materia di filiazione, compresa la surrogacy, da

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maternità, la quale limita la libertà della donna nella procreazione, che è la prima garanzia, per il nascituro, di nascere a sua volta libero26.

Sfugge qualche volta che il contratto di surrogazione non assegna ai committenti diritti solo sul bambino, ma in primo luogo sulla donna (e non potrebbe essere altrimenti). E che il contratto – inevitabile compagno di ogni regolamentazione permissiva della surrogazione – menomi comunque la libertà della madre nel valutare il miglior bene per sé e quindi per il figlio, lo si vede anche nell’ipotesi di regolamentazione soft prospettata da Barbara: dove, una volta stipulato il contratto, la donna potrà solo consegnare o non consegnare il bambino, ma non potrà ripensare radicalmente la sua iniziale scelta, ovverosia dovrà per tutto il resto della sua vita fare i conti col padre27. Oggi qualunque donna che concepisca, intenda portare a termine la gravidanza, ma comprenda a un certo punto che non vuole vincolare al padre né se stessa, né il bambino28, può farlo, partorendo anonimamente.

Il principio mater semper certa vieta dunque i contratti di surrogazione, e proprio per

questo permette d’altro canto a donne e uomini di prendere qualsivoglia libero accordo

informale tra loro, che riguardi chi si assumerà cura e responsabilità di un nuovo nato, accordo nel quale possono trovare espressione le ragioni più varie che spingano a generare una nuova vita insieme a qualcun altro. Se una donna vede un senso in un accordo di questa natura, non è il principio mater semper certa a impedirle di assumerlo e portarlo a termine, anzi, è ciò che glielo rende possibile, per il preciso motivo che esso non guarda dentro al modo in cui la madre valuta l’interesse migliore del figlio cui dà la vita29. È un principio rispettoso (perché ne è implicitamente cosciente) del fatto che

«tutti gli esseri umani hanno sempre dei bisogni e sono parte della natura generosa, vulnerabile e limitata: e che essi allo stesso tempo, nella loro dipendenza relazionale,

26 Il contratto genera sempre «il diritto politico nella forma di rapporti di dominio e subordinazione»

(Pateman, 1997, 13). Sui contratti di surrogazione v. Danna, 2015 e Niccolai, 2015.

27Venendo così giuridicamente costretta a consentirgli di assumere quel ruolo sociale in cui

innegabilmente la paternità consiste e sulla cui base il padre acquisisce i suoi diritti: cfr. anche Spitko, 2006.

28 Per esempio, perché ha capito che ha fatto un grave sbaglio (contro di sé) a concepire con un certo

uomo, vivere col quale condannerebbe lei e il figlio a una esistenza gravemente infelice. Il padre ha diritto di riconoscere il figlio, ma non di essere messo dalla madre nelle condizioni di farlo, ciò su cui può incidere la semplice scelta della donna sul dove partorire. Sinora, il diritto del padre di riconoscere il figlio è un diritto verso il figlio e verso l’ordinamento, non nei confronti della madre.

29 Ogni imperativo di parità e antidiscriminazione nella procreazione è invece destinato ad accentuare il

carattere intrusivo del sindacato pubblico sulle scelte della donna (e della coppia), cfr. Appleton, 2006, 55.

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sono liberi di organizzare la loro vita in una maniera ragionevole» (Praetorius, 2016, 90).

Il principio mater semper certa crea problemi solo a chi ambisca ad ottenere la sicurezza, garantita dalla legge, di avere il potere di controllare una donna durante la sua gravidanza, e di ottenere la consegna della creatura che ne nasce; non crea alcun ostacolo a chi si rimetta con fiducia alle scelte autonome di una donna; nulla dice circa se e in quale «coppia» una donna possa avere un figlio ed è amico della maternità lesbica, che non lo contraddice in alcun modo e anzi e ne dimostra la capacità di sintonizzarsi con ogni manifestazione di senso indipendente della maternità30.

Uno spazio non normato, quale è quello aperto dal principio mater semper certa, consente esercizio di libertà, e di autonomia, invece espropriate dall’avvento della regolamentazione, proprio perché, sebbene non normato, non è uno spazio anomico, nichilista, ma è qualitativamente orientato dal principio che lo apre.

30 Esso milita, del resto, per una revisione in senso favorevole alle madri dei criteri di imputazione della

responsabilità genitoriale, cfr. Appleton, 2006. Molto interessante al riguardo Cass. Sez. I Civ., n. 19599/2016, che, nel dichiarare la non contrarietà all’ordine pubblico, e quindi la trascrivibilità in Italia, dell’atto di nascita di un bambino partorito da una delle partner di una coppia lesbica sposata all’estero, che aveva impiantato l’ovulo fecondato dall’altra, atto recante l’indicazione di entrambe come «madri», enuncia come punto di diritto che «la regola secondo cui è madre colei che ha partorito non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale [tale da opporsi alla trascrivibilità di un atto dal quale risulti che] un bambino è figlio di due madri», frase il cui senso diviene subito ben comprensibile se si pensa che la Cassazione replicava qui, per respingerlo, a un piuttosto capzioso motivo di impugnazione secondo cui dal principio mater semper certa sarebbe desumibile la necessaria l’eterosessualità della coppia genitoriale. Nel respingere questa interpretazione e con l’intento, d’altro canto, di mantenere al divieto di maternità surrogata il rango di principio di ordine pubblico (e dunque, nell’ordine di idee piuttosto innovativo sviluppato dalla sentenza in discorso, di principio costituzionalmente necessario e pertanto irrivedibile da parte del legislatore ordinario), la Cassazione propugna, con la frase che ho poco sopra riportata, un’interpretazione del principio mater semper certa che ne manifesti la compatibilità con la «bigenitorialità materna» (letterale). L’intento della sentenza è sgombrare campo dall’ipotesi che il principio mater semper certa possa ostacolare, in una coppia lesbica, l’affermazione dei diritti della madre genetica; essa si oppone cioè a un’interpretazione di quel principio come impedimento, nei confronti «colei che ha contribuito alla nascita, di rivendicare lo status di madre» e dimostra con ciò le potenzialità del principio mater semper certa di abbracciare favorevolmente la maternità lesbica, e le sue differenze rispetto alla genitorialità gay. È da notare che la sottolineatura della posizione della madre genetica non è, nella sentenza della Cassazione, limitata alle ipotesi in cui quest’ultima abbia partecipato «a un consapevole progetto di genitorialità», ma viene fatta valere in termini assoluti (estensibili cioè anche alle donne che partecipano a una surrogazione di maternità) e sessuati (è enunciata in termini, non automaticamente estensibili al donatore di sperma). La Cassazione contesta infatti che possa essere relegata «nel mondo dell’irrilevanza giuridica la trasmissione del patrimonio genetico racchiuso

nell’ovulo donato da una donna». Sono importanti le potenzialità di questi passaggi per caratterizzare il

principio mater semper certa come principio di riconoscimento della specialità della posizione materna nella filiazione.

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