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Il diritto all’autodeterminazione nei principali documenti internazionali ed europe

LA TUTELA DELLE MINORANZE E I DIRITTI COLLETTIVI.

2. Il diritto all’autodeterminazione nei principali documenti internazionali ed europe

In via preliminare pare doveroso precisare che in tale sede non si intende offrire una trattazione approfondita del principio di autodeterminazione quanto piuttosto provvedere ad un’analisi sintetica dello stesso al fine di verificarne la possibilità di una sua invocazione da parte delle minoranze.

Riconosciuta la necessità di garantire una dimensione collettiva della tutela minoritaria, il diritto all’autodeterminazione è apparso il più idoneo strumento ai fini della realizzazione di tale garanzia.

Il diritto in esame sarà analizzato alla luce degli strumenti elaborati nell’ambito delle Nazioni Unite, indagando in particolare sul contenuto dello stesso e sui relativi possibili beneficiari.

Il principio di autodeterminazione è sicuramente tra i punti più controversi e meno facilmente definibili nell’ambito del diritto internazionale.

88 B.MELLO, Recasting the Right to Self-Determination: Group Rights and Political Participation, in Social Theory and Practice, 2004, p.193.

Le prime enunciazioni del principio risalgono a quelle rivoluzioni del XVIII secolo dirette alla realizzazione dei principali diritti di libertà degli individui e dei popoli, in particolare quella americana e quella francese.

La specificazione del diritto di autodeterminazione è avvenuta principalmente ad opera delle Nazioni Unite che lo hanno introdotto sia nel proprio atto fondatore che in successivi documenti.

La linea direttrice dei testi che hanno maggiormente esplicitato il contenuto del diritto ruota attorno al concetto originario di libertà nonostante gli adattamenti richiesti dalle particolari epoche storiche nelle quali è stato invocato e dalle situazioni alle quali andava concretamente applicato.

L’introduzione del principio nella Carta delle Nazioni Unite è dovuto alla volontà degli Stati di contrapporsi fermamente a quei regimi e a quelle ideologie che, nell’esaltare il potere dello Stato sugli individui, non soltanto negavano qualsiasi ruolo ai propri cittadini ed in particolare a quelli che per motivi etnici o addirittura per ragioni ideologiche venivano ritenuti diversi rispetto al gruppo che deteneva il potere, ma erano all’origine della politica aggressiva nei confronti degli altri Stati con la conseguente violazione del diritto di autodeterminazione nei confronti delle popolazioni di volta in

volta sottomessi.89

Il concetto è in più parti ripreso nella Carta delle Nazioni Unite: tra i compiti fondamentali della neonata organizzazione è elencato quello di “sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni, fondate sul rispetto dell’uguaglianza dei popoli e del loro diritto all’autodeterminazione” (art. 1§2), che viene poi meglio definito nei suoi aspetti economici, sociali e culturali (art. 55) e ribadito come scopo ultimo del regime di amministrazione fiduciaria (art. 76).

89 F. LATTANZI , Autodeterminazione dei popoli, in Digesto, IV edizione, Utet, Torino, 1987,

Nell’elencarlo tra le finalità fondamentali delle Nazioni Unite, si ravvisa però un’incongruenza di fondo: ci si rende conto che non viene stabilita nessuna procedura specifica a cui i singoli stati firmatari siano tenuti ad attenersi, a differenza di come è stato regolato un altro compito importante, cioè il mantenimento della pace e la sicurezza internazionale, a cui sono dedicati ben due capitoli di procedura.

Di conseguenza, gli stati si trovano vincolati ad un mero obbligo di risultato, che perseguiranno in maniera autonoma secondo procedure non definite; il che ovviamente attenua la portata del principio, contribuendone ad accentuare la vaghezza e perciò la difficoltà di attuazione.

Non sembra che si possa dubitare circa la sua cogenza nei confronti degli stati e della comunità internazionale della sua effettiva realizzazione:

di altri precetti della Carta che prescrivono obblighi programmatici non è

stata contestata la forza vincolante e la stessa prassi successiva è a favore dell’esistenza di una norma entrata ormai a far parte del diritto internazionale generale.

Inoltre, il principio di autodeterminazione è stato anche oggetto specifico di documenti internazionali che, pur non vincolanti, con il loro effetto di soft law hanno comunque contribuito al suo consolidamento e alla sua evoluzione.

Tra gli atti non vincolanti di particolare rilevanza è da annoverare la Risoluzione 1514 del 1960 sui popoli coloniali che ha dato un impulso decisivo allo smantellamento del sistema coloniale nella parte in cui proclama la necessità di tutelare l’integrità territoriale delle popolazioni non indipendenti.

La Risoluzione contiene la “Dichiarazione per l’indipendenza dei Paesi e dei popoli coloniali” al cui paragrafo 2 si afferma :

“ All peoples have the right to self determination; by virtue of that right they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural development”.

Tuttavia, risulta evidente come nel periodo tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine della guerra fredda il concetto di autodeterminazione sia stato applicato in senso restrittivo rispetto alle prescrizioni della Carta, che ne fa un precetto generale, diritto di tutti i popoli.

L’assunto di base che si può dedurre è che i confini ad occidente erano da considerarsi stabiliti e che gli storici stati-nazione erano le uniche entità titolate a possedere lo status di soggetti di diritto internazionale; di conseguenza, il diritto di autodeterminazione era ad appannaggio solo di quelle popolazioni in determinate aree del pianeta.

Un’applicazione così selettiva di un principio così universale ne ha impedito per lungo tempo la possibilità di poterlo utilizzare da parte delle minoranze per ottenere il soddisfacimento del loro diritto alla differenza.

Una nuova fase di elaborazione del concetto di autodeterminazione si inaugura con l’adozione dei Patti delle nazioni unite relativi l’uno ai diritti civili e politici e l’latro sui diritti economico e sociali adottati nel 1966.

Sia il Patto sui diritti civili e politici che quello sui diritti economici,

sociali e culturali affermano – all’art. 1 – che “tutti i popoli hanno il diritto di disporre di se stessi. In virtù di questo diritto, essi determinano liberamente il proprio regime politico e assicurano il proprio sviluppo economico, sociale e culturale”.

L’autodeterminazione è in questo contesto considerata alla stregua di un diritto umano e ne viene ribadita la portata universale, essendo diretta a tutti i popoli e non soltanto a quelli coloniali.

La ricostruzione del diritto all’autodeterminazione cosi come sancito nei patti esprime un principio politico ai sensi del quale gli individui

appartenenti ad un dato popolo fruiscono pienamente dei diritti umani solo

se quel popolo è libero e indipendente. 90

Se nella dichiarazione coloniale del 1960 il contenuto del diritto, dato l’oggetto della stessa, non poteva che essere limitato al raggiungimento dell’indipendenza dei popoli coloniali, nei patti delle Nazioni unite del 1966 esso assume un significato più ampio che si concreta principalmente nella scelta da parte del popolo delle varie modalità di organizzazione politica e delle istituzioni atte a rappresentarlo e che siano dunque espressione dell’identità del popolo.

Ne deriva che accanto una dimensione esterna o indipendentistica del principio, è presente anche una valenza interna che impone ai centri di potere di rispettare la volontà di tutti i popoli presenti sul territorio dello Stato nella scelta delle istituzioni politiche e delle forme organizzative che

meglio consentono di fare emergere la loro individualità.91

L’universalità del principio e la specificazione del suo contenuto è ribadita nella Dichiarazione sulle relazioni amichevoli tra gli stati del 1970 approvata dall’Assemblea Generale con la Risoluzione 2625/1970 come appendice alla Dichiarazione sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra stati .

La dichiarazione nel confermare l’esistenza del diritto, ne ribadisce innanzitutto l’universalità affermando che tutti i popoli hanno il diritto di determinare liberamente, senza interferenze esterne, il loro status politico e perseguire il loro sviluppo economico, sociale e culturale cui corrisponde il dovere di ogni Stato di rispettare questo diritto conformemente alle previsioni della Carta delle Nazioni Unite.

In relazione al contenuto è particolarmente interessante la distinzione che vi è tracciata tra “autodeterminazione esterna” ed “autodeterminazione

90 M. CERMEL , Le minoranze etnico linguistiche, Cedam, Padova, 2010, p.68.

91 G. PALMISANO, “L’autodeterminazione interna nel sistema dei Patti sui diritti dell’uomo” in Rivista di Diritto Internazionale, 1996, 76, p.365.

interna”, identificando la prima nel diritto dei popoli di liberarsi dalla dominazione coloniale e razzista o dall’occupazione straniera e a costituirsi come entità statale indipendente e sovrana; e la seconda nel diritto dei popoli e delle minoranze che vivano in stati sovrani di essere governati da un governo rappresentativo dell’intera cittadinanza, senza distinzioni di etnia, sesso, religione.

Il diritto di autodeterminazione dei popoli è accolto anche in quegli atti che delineano il sistema delle relazioni fra gli Stati Europei a cominciare dall’Atto Finale della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Helsinki,1975) secondo cui gli stati firmatari, ovvero la maggior parte degli stati europei e correlative garanzie trasversali incrociate, si impegnano a riconoscere l’uguaglianza dei diritti dei popoli ed il loro diritto all’autodeterminazione, ribadendo l’ambito di integrità territoriale in cui la stessa autodeterminazione deve essere, nei limiti del possibile, esercitata (parte VIII).

In questa sede viene inoltre ribadito il diritto di stabilire nella forma di loro preferenza e nel momento in cui desiderino il proprio regime politico interno ed esterno, senza ingerenze esterne, e il diritto a perseguire uno

sviluppo economico, culturale e sociale autonomo .92

L’elemento di novità che salta agli occhi è il fattore temporale: l’esercizio del diritto – in quanto fondamentale – non è vincolato a limiti di tempo e può essere fatto valere in qualsiasi momento.

Nonostante l’apprezzabile approfondimento della portata del principio, neanche in questo contesto si riesce a predisporre strumenti procedurali atti a garantirne l’effettiva realizzazione; gli stati continuano a vedersi perciò vincolati ad un mero obbligo di risultato.

92 G. IOVANE, “L’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e la tutela del

Il documento internazionale che senza dubbio si spinge molto lontano nella definizione del concetto di autodeterminazione è la Carta di Algeri (1976), frutto di una riunione di esperti e politici nell’ambito di un consesso non ufficiale.

Proprio per quest’ultima ragione, il testo risulta piuttosto esplicito e dota l’esercizio del diritto di un sistema di garanzie piuttosto significativo. Certamente, il fatto di non costituire un compromesso tra stati non lo rende suscettibile neanche di una coercitività a livello meramente morale – il famoso “rispetto per la parola data” -; tuttavia, rappresenta un punto di arrivo importante per l’evoluzione del diritto stesso e contribuisce a far chiarezza su alcuni aspetti che risultavano ancora oscuri.

L’autodeterminazione è considerata come l’espressione collettiva più sofisticata dei diritti individuali basici, quando si configura come il diritto ad un governo democratico rappresentativo, senza nessuna distinzione di sesso, razza, colore ed in grado di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 7); viene ribadito con forza anche l’imprescrittibilità e l’inalienabilità dell’esercizio del diritto (art. 5); e il diritto ad un’autodeterminazione esterna in caso di dominazione coloniale, straniera o razzista (art. 6).

Il sistema di garanzie e sanzioni che la Carta elenca agli artt. 22 ss., pur non costituendo un obbligo di carattere vincolante, rappresenta un tentativo originale di collegare il rispetto del diritto di autodeterminazione ai principi generali del diritto internazionale, configurando la violazione del primo come una trasgressione di obblighi nei confronti dell’intera comunità internazionale (art. 22) e, in casi estremi, addirittura un crimine internazionale (art. 27).

3. I beneficiari del diritto di autodeterminazione: la difficile distinzione