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PROCESSO PENALE E MASS MEDIA

1. IL DIRITTO DI CRONACA

La pubblicità esterna - intesa come conoscibilità di ciò che accade nel procedimento da parte di qualunque soggetto, anche ad esso estraneo - nella sua accezioni di pubblicità c.d. mediata, è strettamente connessa al diritto di cronaca e, più in generale, alla libertà di manifestazione del pensiero, sancita dall’art. 21 Cost.

Tale norma, infatti, garantisce a tutti i soggetti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione; il principio è proclamato altresì nell’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, ove la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni viene definita uno dei diritti più preziosi dell’uomo.

La garanzia della libertà del pensiero e della sua manifestazione è, quindi, condizione imprescindibile per la stessa sopravvivenza di un regime democratico, in quanto

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assicura la formazione di un convincimento personale e di una opinione pubblica criticamente fondata; infatti, tra i presupposti che non possono mancare per un pieno, legittimo e corretto esercizio della sovranità popolare vi è, appunto, la formazione dell’opinione pubblica, senza alcuna limitazione o restrizione, su tutti gli eventi che sono di interesse pubblico.

Occorre precisare che la nostra Costituzione non contiene un espresso riconoscimento del diritto di cronaca, con la conseguenza che in dottrina si è cercato di darne una definizione osservando come esso costituisca una specificazione della libertà di manifestazione del pensiero. Tuttavia, quando si parla di cronaca ci si riferisce ormai comunemente a quella particolare attività del giornalista che consiste nella narrazione per mezzo di parola o fotografie, di fatti di cui viene a conoscenza nell'esercizio della sua professione183.

Il diritto di cronaca, quindi, applicabile in primis ai giornalisti, comporta che l’attività degli stessi non sia mai neutrale, dato che i dati che vengono riferiti sono sempre, in qualche modo, influenzati dalle opinioni dei cronisti. In particolare, è opportuno concentrarsi sulla cronaca c.d. giudiziaria, avente ad oggetto la narrazione di avvenimenti criminosi e le relative vicende giudiziarie da esse derivate.

183 Nuvolone P., voce Cronaca (libertà di), in Enc. dir., vol. XI, Giuffrè, Milano, 1964, p. 421.

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E’ necessario premettere che il diritto di cronaca si pone in potenziale conflitto con alcuni principi fondamentali posti all’interno della Costituzione, strettamente connessi al processo penale, tra cui la c.d. presunzione di non colpevolezza - secondo cui l’imputato non può essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva ai sensi del c. 2 dell’art. 27 Cost. - e il diritto alla riservatezza.

Con particolare riferimento a quest’ultimo diritto, si precisa che la divulgazione di notizie nello svolgimento dell’attività giornalistica comporta la raccolta di informazioni relative ai soggetti a cui le notizie si riferiscono; infatti, diversamente da ciò che accade per la maggior parte dei titolari dei trattamenti di dati personali, i giornalisti non devono acquisire il consenso delle persone a cui i dati si riferiscono, né essere autorizzati dal Garante per la protezione dei dati personali.

Ciò detto, il trattamento dei dati personali nell’ambito dell’attività giornalistica, non può considerarsi del tutto libero da vincoli; l’art. 137 c. 3 d.lgs. 196/2003 dispone infatti che il giornalista è tenuto al rispetto dei limiti del diritto di cronaca e, in particolare, deve rispettare il principio “dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico”.

Con riferimento al potenziale contrasto tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza, la giurisprudenza

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dominante ritiene che il diritto di cronaca debba essere riconosciuto prevalente sul diritto alla riservatezza, ove vengano ritenute sussistenti le specifiche condizioni previste nella sentenza della Corte di Cassazione del 18-10- 1984 n° 5259, meglio conosciuta come sentenza del “decalogo del giornalista”.

Secondo tale sentenza, dunque, affinché il diritto di cronaca sia legittimamente esercitato, è necessario il rispetto di tre condizioni essenziali: la verità dei fatti narrati o criticati, l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e, infine, la correttezza della forma espositiva.

Con riferimento alla prima condizione la giurisprudenza184

ha precisato come il criterio della verità oggettiva dei fatti non riguarda il fatto in sé oggetto della vicenda giudiziaria, bensì la situazione accaduta nell’ambito dell’attività

giudiziaria e, dunque, “l’effettiva sussistenza di

accertamenti ed indagini in ordine ai fatti rappresentati e la loro certa riferibilità a soggetti nei cui confronti risultano essere state indirizzate le indagini185”.

Ne deriva, quindi, la non sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca qualora si “attribuisca alla persona offesa una condotta sostanzialmente diversa

184 Trib. Venezia, Sez. III, 19-gennaio-2007 185 Trib. Milano, Sez. I, 21-maggio-2012 n° 5870.

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da quella avente riscontro negli atti giudiziari e nell’oggetto dell’imputazione186”.

In definitiva, la verità di una notizia derivante da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso.

Conseguentemente, la cronaca giudiziaria deve essere ritenuta lecita quando “diffonda la notizia di un provvedimento giudiziario, mentre non lo è quando le informazioni da esso desumibili siano utilizzate dal

giornalista per effettuare ricostruzioni o ipotesi

giornalistiche autonomamente offensive, giacché, in tal caso, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie, non potendosi utilizzare un

provvedimento giudiziario quale unica fonte di

informazione e di legittimazione dei fatti riferiti187”.

Inoltre, nella sentenza Corte di Cass. 21-ottobre-2008 n° 44522, la Corte di Cassazione ha precisato che “nel caso della cronaca giudiziaria, se il giornalista si limita a dare notizia dell’adozione del provvedimento giudiziario relativo ad un determinato fatto, la notizia che egli diffonde non è quella del fatto in sé e della verità storica di tale fatto, ma quella che concerne l’esistenza del provvedimento giudiziario, onde la condotta del giornalista è scriminata proprio perché si limita a porre il lettore di normale

186 Corte di Cass., Sez. V, 09-dicembre-2010 n° 4558. 187 Corte di Cass., Sez. V, 21 ottobre 2008 n° 44522.

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avvedutezza nella condizione di comprendere che la condotta avente rilevanza penale di cui si riferisce è

comunque soltanto l’oggetto di un determinato

provvedimento giudiziario (…). Mentre, se il giornalista riporta un fatto riguardato da un provvedimento giudiziario e lo rilancia come fatto realmente verificatosi va esente dal reato di diffamazione solo quando dia prova della verità dello stesso e, comunque, per potersi avvalere della scriminante in via putativa egli è tenuto ad effettuare e dimostrare di avere effettuato i necessari controlli di veridicità prima di pubblicare la notizia”.

Inoltre, un ulteriore arresto giurisprudenziale ha affermato che per veridicità dei fatti si intende la verità oggettiva della notizia, intesa da un lato come verità del fatto oggetto della notizia, e dall’altro come verità della notizia come fatto in sé, e quindi indipendentemente dalla verità del suo contenuto.

Secondo la Corte di Cassazione, dunque, “occorre che tale propalazione costituisca di per sé un fatto così rilevante nella vita pubblica che la stampa verrebbe certamente meno al suo compito informativo se lo tacesse, fermo restando che il cronista ha il dovere di mettere bene in evidenza che la verità non si estende al contenuto del racconto e di riferire le fonti per le doverose e conseguenti assunzioni di responsabilità. Questi doveri, inoltre, debbono

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essere adempiuti dal cronista consensualmente alla comunicazione in modo da garantire la fedeltà dell’informazione che nella specie consiste nella rappresentazione al lettore o all’ascoltatore dell’esatta percezione che egli ha avuto del fatto”188.

La seconda condizione prevista all’interno del “decalogo del giornalista” riguarda, come già detto, l’interesse sociale alla conoscenza del fatto il quale ricorre ogniqualvolta sussista un interesse collettivo alla conoscenza del fatto attinente, in qualche modo, ad interessi rilevanti della vita associata189.

Più precisamente, il requisito dell’utilità sociale

dell’informazione è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali di merito; in particolare, secondo un primo orientamento tale interesse attiene alla rilevanza di alcuni fatti ed avvenimenti rilevanti dal punto di vista politico, economico e sociale190, in relazione ai quali la collettività ha

interesse e diritto ad essere informata ed il giornalista ha un corrispondente diritto/dovere ad informare e a manifestare liberamente il proprio pensiero.

Altro orientamento giurisprudenziale, invece, ritiene che l’interesse della collettività si spinga fino alla conoscenza di alcuni fatti e notizie relativi alla vita privata di personaggi di spicco nella società al fine di fornire ai cittadini uno

188 Corte di Cass. 19-gennaio-2007 n° 1205.

189 Corte di Cassazione, Bocca - 12 gennaio 1982, in Cass. pen., 1983, p. 1089. 190 Trib. Lecce, 22-settembre-1993, in Foro it., 1994, II, p. 658.

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strumento di controllo sugli uomini pubblici e sulla loro coerenza e affidabilità anche sul piano privato191.

Inoltre, la Corte di Cassazione, più recentemente192, ha

osservato come il “il diritto di cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell’ambito della vita associata. È diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilievo nella vita sociale, politica o giudiziaria”.

La Corte prosegue affermando che “in pendenza di indagini di polizia giudiziaria e di accertamenti giudiziari nei confronti di un cittadino, non può essere a questi riconosciuto il diritto alla tutela della propria reputazione: ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la lesione perde il suo carattere antigiuridico”.

Infine, il requisito della correttezza della forma espositiva o continenza, è rispettato quando la notizia sia riportata dal giornalista con linguaggio corretto, senza trasmodare in apprezzamenti che rilevino più l’interesse ad aggredire la reputazione di un soggetto che ad informare l’opinione pubblica.

191 Trib. Roma, 28-settembre-1993, in Foro it., 1995, I, p. 1023. 192 Corte Cost. sent. del 01-febbraio-2011 n° 3674

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In particolare, la dottrina distingue tra continenza c.d. formale, riferita alla forma espressiva adoperata dal giornalista nella redazione dell’articolo, e continenza c.d. sostanziale riferita, invece, al contenuto dell’articolo.

Nello specifico, la continenza c.d. formale riguarda la forma espressiva della cronaca, poiché anche con un linguaggio colorito e allusivo si possono ledere i diritti della personalità del soggetto in relazione al quale è riportata la notizia193.

La continenza c.d. sostanziale, invece, si riferisce alla “moderatezza” del contenuto informativo non in rapporto alla sua verità, ma alla sua ridondanza rispetto alla finalità informativa che si assume essere la ragione dell’articolo194.

La violazione del criterio della continenza sostanziale, infatti, concerne l’uso smodato di particolari tanto scabrosi o curiosi, quanto inutili195, finalizzati essenzialmente a

colorire la cronaca nei suoi contenuti.

193 Chiarolla M., La diffamazione a messo Stampa – analisi critica della normativa tra

diritto di cronaca, diffamazione, privacy, Experta edizioni, 2004, p. 45 ss.

194 Chiarolla M., La diffamazione a messo Stampa – analisi critica della normativa tra

diritto di cronaca, diffamazione, privacy, cit., p. 47.

195 Un esempio pratico di violazione del limite della continenza sostanziale si ravvisa in numerosi articolo di stampa, reperibili in rete, i quali evidenziano particolari inutili e infamanti relativi alla moglie dell’imputato Giuseppe Bossetti per l’omicidio della ragazza Yara Gambirasio. Si confronti quanto sostenuto dal giornalista Enrico Fedocci in http://cronacacriminale.tgcom24.it/2016/05/29/anche-una-porsche-per-

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2. DIRITTO ALL’OBLIO: NOZIONE GENERALE E

RELATIVA GIURISPRUDENZA

Come precisato nel paragrafo precedente, affinché il diritto di cronaca sia legittimamente esercitato, è necessario il rispetto delle tre condizioni essenziali precedentemente analizzate.

Inoltre, per una concreta attuazione del diritto in parola, la collettività deve essere informata in modo tempestivo dei fatti relativi alla cronaca giudiziaria; in alcuni casi, l’informazione viene resa in tempo reale grazie, principalmente, all’utilizzo delle comunicazioni elettroniche come Internet ed i vari social network.

Si specifica come il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche, anche online, sia regolato dal d.lgs. 196/2003 - meglio noto come Codice della privacy – che all’art. 136 prevede una specifica deroga all’obbligo del consenso della persona interessata; tale deroga, infatti, si applica esclusivamente per il solo trattamento “effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità (…)” con la conseguenza, quindi, che, di solito, è consentita la pubblicazione su internet di dati personali dei soggetti menzionati, a prescindere dal loro consenso.

Sebbene non vi sia il consenso dell’interessato, rimane affidata alla responsabilità del giornalista l’utilizzazione

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lecita del dato raccolto e quindi la sua diffusione secondo i parametri dell’essenzialità rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato, della correttezza, della pertinenza e della non eccedenza, avuto altresì riguardo alla natura del dato medesimo196.

Tuttavia è diritto dell’interessato, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 196/2003, conoscere in ogni momento le modalità di trattamento dei propri dati personali, così da garantire un’effettiva compartecipazione dello stesso all’utilizzazione dei propri dati, chiedendone la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati197.

Indubbiamente le nuove tecnologie, come i vari siti di informazione o i c.d. canali “all news”, consentono di essere informati tempestivamente circa l’accadimento, e il relativo sviluppo, dei vari fatti di cronaca; ad essi, nei casi di un forte interesse pubblico alla notizia, seguono i dibattiti, gli approfondimenti, talvolta veri e propri processi mediatici, con l’obiettivo di informare tenendo accesi i riflettori sul fatto di cronaca.

196 Provvedimento del 06-maggio-2004, Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in

risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti, in

http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb- display/docweb/1007634

197http://garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-

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È altresì vero che con il passare del tempo la notizia acquista la sua completezza e, conseguentemente, l’interesse dei giornalisti su di essa viene meno; tuttavia, le notizie fino a quel momento pubblicate rimarranno comunque all’interno dei database dei vari siti internet, molto spesso senza un puntuale aggiornamento della vicenda giudiziaria oggetto di interesse pubblico.

Infatti, i motori di ricerca non sono altro che attori nel sistema dell’informazione generale in quanto, tramite la indicizzazione di informazioni aggregate (per esempio intorno al nome di una persona) producono un impatto sulla reputazione e sul profilo identitario dei cittadini198.

Con specifico riferimento al trattamento dei dati personali su reti di comunicazione elettronica risulta necessario, dunque, che il diritto di cronaca venga contemperato con il c.d. diritto all’oblio degli interessati in rete, inteso come il diritto volto ad evitare che la indefinita permanenza su internet di dati e informazioni risalenti nel tempo (soprattutto incompleti e non aggiornati) provochi una lesione dell’insieme dei diritti tutelati dal già citato Codice della privacy199.

198 Diritto all'oblio: intervista ad Antonello Soro, Presidente dell'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali 18 settembre 2014, di Alessio Falconio, Michele Lembo, http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb- display/docweb/3399470

199 L’art. 2 del codice della privacy garantisce infatti che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.

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Sul tema si è pronunciata recentemente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza C-131/12 del 13 maggio 2014 avente ad oggetto la controversia tra Mario Costeja González e AEPD200 c. Google Spain e Google Inc. in

merito ad una decisione dell’AEPD la quale ha accolto la denuncia depositata dal Sig. Costeja González contro le due società sopra menzionate, ordinando a Google Inc. di adottare le misure necessarie per rimuovere dai propri indici alcuni dati personali riguardanti detto interessato e di impedire in futuro l’accesso a tali dati.

In particolare, il Sig. Costeja González, nel marzo 2010 presentò reclamo contro il quotidiano, di larga diffusione soprattutto in Catalogna, La Vanguardia Ediciones SL e contro, appunto Google Spain e Google Inc..

Digitando sul motore di ricerca Google il nome del ricorrente si presentava un link, riferito appunto al quotidiano sopramenzionato, nel quale figurava un annuncio, riportante il nome del Sig. Costeja González, per una vendita all’asta di immobili connessa ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali.

Il reclamo presentato dal Sig. González al Garante spagnolo per la protezione dei dati, chiedeva la modifica o cancellazione, da parte de La Vanguardia, delle pagine

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citate ed, inoltre, chiedeva che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o nascondere i suoi dati personali in modo che cessassero di comparire tra i risultati di Google Search e, di conseguenza, non figurassero più nei

link di La Vanguardia.

L’AEPD, in data 30 luglio 2010, respinse il reclamo nei confronti de La Vanguardia ritenendo che la pubblicazione da parte di questa testata giornalistica fosse legalmente giustificata, dato che aveva luogo su ordine del Ministro del Lavoro e degli Affari sociali con lo scopo di conferire il massimo grado di pubblicità alla vendita pubblica, al fine di raccogliere il maggior numero di partecipanti all’asta.

Invece, il reclamo contro Google Inc. e Google Spain, fu accolto dall’AEPD201; a parere del Garante spagnolo i gestori

di motori di ricerca sono assoggettati alla normativa in materia di protezione dei dati, posto che essi effettuano un trattamento di dati per il quale sono responsabili e agiscono come intermediari della società dell’informazione.

Dopo l’accoglimento del ricorso, Google Spain e Google Inc. ritennero di presentare due ricorsi separati contro tale decisione dinanzi all’Audiencia Nacional la quale, dopo aver disposto la riunione, ha sospeso il procedimento e, data l’importanza della questione, ha sottoposto in via

201 L’AEPD ha ritenuto di essere autorizzata ad ordinare la rimozione dei dati nonché il divieto di accesso a taluni dati da parte dei gestori dei motori di ricerca, qualora essa ritenga che la localizzazione e la diffusione degli stessi possano ledere il diritto fondamentale alla protezione dei dati e la dignità delle persone in senso ampio.

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pregiudiziale il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

La Corte di Lussemburgo, nella sentenza sopra citata, ha ritenuto meritevole di tutela la pretesa di un soggetto di non vedere comparire tra gli elenchi dei risultati delle ricerche le pagine web che ospitano contenuti che lo riguardano, qualora questi gli arrechino un pregiudizio e sia trascorso un lasso di tempo significativo dalla pubblicazione della notizia.

Con la propria decisione, la Corte ha riconosciuto il diritto della persona all’oblio, in relazione a contenuti in rete che la riguardano, alla luce della direttiva 95/46 CE in materia di trattamento di dati personali.

Alla luce di tale direttiva, infatti, il gestore del servizio di motore di ricerca Google è ritenuto titolare del trattamento dei dati e, conseguentemente, ha l’obbligo di evitare che alcune pagine web vengano elencate negli indici delle ricerche, se i contenuti ospitati sono ritenuti non più giustificati da finalità attuali di cronaca.

La Corte di Lussemburgo ha aggiunto, inoltre, che l’intervento “censorio” del motore di ricerca resta comunque subordinato a una preventiva disposizione di un’autorità giudiziaria o amministrativa di controllo che, nel caso in oggetto, era la AEPD.

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In conclusione, la sentenza in commento ha sancito il diritto di un soggetto a non essere trovato online - right to be

forgotten – stabilendo che si deve verificare se l’interessato

abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome, da un elenco di risultati visibili al pubblico, a seguito di una ricerca effettuata partendo dal suo nome.

Secondo la Corte, infatti, i diritti riconosciuti dagli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE202 prevalgono, in

linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico ad accedere all’informazione in occasione di una ricerca contente il nome della persona.