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Pubblicità e procedimento penale: il principio e le eccezioni

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INDICE

INTRODUZIONE

STORICA E SISTEMATICA

(ACCUSATORIO/INQUISITORIO) SUL PRINCIPIO DI

PUBBLICITÀ NEL PROCESSO PENALE- DAL DIRITTO

ROMANO AI GIORNI NOSTRI

1. Premessa: il concetto di pubblicità...p. 5 2. La pubblicità nel processo penale romano...p. 7 3. La pubblicità nel processo penale medioevale...p. 10 4. La pubblicità nel processo penale nell’età moderna...p. 12 5. La pubblicità nei codici italiani di procedura penale...p. 15

CAPITOLO PRIMO

FONDAMENTO NORMATIVO DEL PRINCIPIO DI

PUBBLICITÀ

1. Analisi del principio della pubblicità nella Costituzione italiana……….p. 17 2. Pubblicità interna – come estrinsecazione del diritto di difesa – e pubblicità esterna………..………p. 25 3. Il principio di pubblicità nella legislazione europea….p. 32

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4. Cenni sulla giurisprudenza della Corte europea sull’art. 6 CEDU e della Corte costituzionale……….p. 38

CAPITOLO SECONDO

LA CONCRETA APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI

PUBBLICITÀ NELLE DINAMICHE DEL

PROCEDIMENTO PENALE

1. Il segreto investigativo……..……….p. 42 1.1. Il divieto di pubblicazione di atti e immagini nella fase delle indagini preliminari………..……….p. 49 2. La pubblicità nella fase dell’udienza preliminare…….p. 58 3. La pubblicità nella fase dibattimentale………p. 61 3.1. Il divieto di pubblicazione di atti e immagini nella fase dibattimentale………p. 68 3.2. Cenni sul divieto di pubblicazione di dati identificativi del minore………p. 73 3.3. Riprese audiovisive nei dibattimenti………p. 75

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CAPITOLO TERZO

LA PUBBLICITÀ E IL RITO CAMERALE

1. Premessa………p. 81 2. Tipologie di riti camerali……….……p. 83 3. Significato e limiti del principio di pubblicità nella giurisprudenza CEDU………..p. 87 4. Il rito camerale nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione nella giurisprudenza della Corte europea………...p. 94 4.1. Il rito camerale nel procedimento per la riparazione di ingiusta detenzione nella giurisprudenza della Corte

europea………..…………..p. 100 5. Il procedimento di applicazione delle misure di

prevenzione nella giurisprudenza della Corte

costituzionale………p. 105 5.1. Il procedimento per la riparazione per l’ingiusta detenzione nella giurisprudenza della Corte

costituzionale………...p. 111 6. La pubblicità delle udienze: analisi delle recenti sentenze della Corte costituzionale……….p. 118

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CAPITOLO QUARTO

PROCESSO PENALE E MASS MEDIA

1. Il diritto di cronaca………..……….p. 128 2. Diritto all’oblio; nozione generale e relativa

giurisprudenza………p. 137 3. Il processo mediatico………p. 145 3.1 La Direttiva UE 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti

penali………p. 149 3.2. Cenni sul codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive………..p. 155

BIBLIOGRAFIA………..p. 162

SENTENZE CORTE EUROPEA..………..p. 170

SENTENZE CORTE COSTITUZIONALE….………..p. 172

SENTENZE CORTE DI CASSAZIONE…….………..p. 173

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5

INTRODUZIONE STORICA E SISTEMATICA

(ACCUSATORIO/INQUISITORIO) SUL PRINCIPIO DI

PUBBLICITÀ NEL PROCESSO PENALE- DAL DIRITTO

ROMANO AI GIORNI NOSTRI

SOMMARIO: 1. Premessa: il concetto di pubblicità – 2. La pubblicità nel processo penale romano – 3. La pubblicità nel processo penale medioevale – 4. La pubblicità nel processo penale nell’età moderna 5. La pubblicità nei codici italiani di procedura penale

1. PREMESSA: IL CONCETTO DI PUBBLICITÀ

Il significato letterale della parola pubblicità è fatto

pubblico, che si svolge alla presenza del pubblico, cioè un

fatto che riguarda la collettività considerata nel suo complesso.

Ulteriore significato da attribuire alla parola pubblicità è

rendere pubblico, divulgare, far conoscere, appunto, al

pubblico.

Nel diritto processuale penale si è soliti distinguere tra pubblicità interna e pubblicità esterna1.

La pubblicità interna rappresenta “lo stato di conoscenza

procurato ai soggetti del procedimento tramite l’assistenza

agli atti che vi si compiono2”.

1 Ciappi Manuele, Pubblicità, Digesto delle discipline penalistiche, Torino, Utet, 1987.

2 Voena, Principio di pubblicità ed udienza preliminare, in L’udienza preliminare, Atti del quarto convegno tra gli studiosi del processo penale: Urbino, 20-22/settembre/1991, Milano, 1992.

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6

La pubblicità esterna, invece, si sostanzia nella conoscibilità di ciò che accade nel procedimento da parte di qualunque soggetto, anche ad esso estraneo3.

Quest’ultima definizione, a sua volta, può essere distinta in pubblicità immediata e pubblicità mediata; nel primo caso, la conoscenza degli atti e fatti processuali discende dalla

diretta partecipazione del pubblico all’attività

procedimentale mentre, nel caso di pubblicità mediata, l’informazione di atti e fatti processuali proviene dai mezzi di comunicazione.

La pubblicità esterna, dunque, svolge una duplice funzione:  Consente al comune cittadino di conoscere ciò che

accade nel corso di un processo, garantendo di fatto il controllo dell’opinione pubblica sul regolare esercizio della funzione giurisdizionale;

 Costituisce una forma di manifestazione del pensiero mediante la cronaca e la critica giudiziaria.

La presenza della pubblicità all’interno del processo penale ha origini molto antiche, risalenti al diritto romano dell’età repubblicana.

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7

2. LA PUBBLICITÀ NEL PROCESSO PENALE ROMANO

Nell’antico diritto romano, la partecipazione popolare nell’amministrazione della giustizia era del tutto assente; il re, infatti, esercitava un incondizionato potere di repressione dei reati più gravi, procedendo a far arrestare l’autore del crimine, a stabilire la sanzione e a far eseguire la pena di morte.

Con l’avvento della repubblica, invece, la repressione dei reati fu affidata al popolo riunito nelle assemblee comiziali. Il potere di coercitio dei magistrati venne in qualche modo temperato dall’istituto della provocatio ad popolum4, che

attribuiva al perseguito la facoltà di ricorrere all’assemblea. Il processo popolare venne successivamente sostituito dai tribunali stabili, le c.d. quaestiones perpetuae, istituiti per legge e presieduti da un magistrato. Il processo davanti alle

4 Quanto allo svolgimento del processo penale in età repubblicana si precisa che:

“Al magistrato romano, Pretore, arrivava una notitia criminis cioè una notizia di reato; esso notificava la comparizione, davanti a lui e al popolo, della persona indagata in un giorno ben preciso c.d. diei dictio.

Alla data stabilita il popolo si riuniva senza alcuna formalità presso il Foro oppure il Campidoglio ed in questa prima udienza pubblica, che prende il nome di contio, il Pretore procedeva ad una sorta di istruttoria dibattimentale, c.d. anquisistio, al fine di accertare la responsabilità dell’accusato.

In questa udienza, della durata di tre giorni intervallati l’uno dall’altro da almeno un giorno di interruzione, il magistrato formulava in dettaglio l’accusa con prove a carico e l’accusato svolgeva le sue difese con prove a discarico.

Alla fine dei tre giorni, il Pretore poteva ritirare l’accusa o proporre la condanna rinviando il processo a una quarta riunione assembleare da tenersi a distanza di almeno ventiquattro ore.

Al termine della quarta riunione, nella quale veniva vagliati e completati i risultati dell’istruttoria anteriore, il magistrato convocava ufficialmente il comizio, che decideva a maggioranza di voti, secondo le regole proprie di ciascun tipo di assemblea (…). Il voto in origine era espresso in forma orale. Più tardi, a partire dagli ultimi decenni del II sec. fu introdotto lo scrutinio segreto per mezzo di tavolette cerate sulle quali era inciso L (libero) e D (damno) (…).

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“quaestiones perpetuae”, sostanzialmente accusatorio, si disarticolava in tre distinte fasi: accusatio5, controversia

forensis e sententia.

La fase centrale del processo, corrispondente all’attuale dibattimento, era la controversia forensis, nella quale l’orazione dell’accusa precedeva quella della difesa. Tale fase processuale si svolgeva coram populi, dinanzi ad un pubblico vivo e numeroso6.

Il processo penale, infatti, era un iudicium publicum, perché il reato era qualcosa che interessava tutta la comunità; conseguentemente tutta la civitas era chiamata a effettuare un controllo sul corretto esercizio della funzione giurisdizionale.

Durante l’età repubblicana quindi, cominciò ad affermarsi il principio della partecipazione popolare alle controversie penali.

Nei primi anni del principato, il sistema delle quaestiones

perpetuae iniziò a subire la concorrenza di un nuovo tipo di

processo, definito cognitio extra ordinem, in cui la controversia veniva affidata ad un delegato dell’imperatore

5 L’accusa spettava a qualunque cittadino, quale rappresentante dell’interesse pubblico, che assumeva la funzione di pubblico ministero; l’imputato era rappresentato da un collegio di difensori, mentre la giuria era composta da membri del senato e da cavalieri, scelti a sorte da una lista di persone disponibili.

6 Antonio Barba, I principi del contraddittorio e dell’oralità, in Rivista europea di diritto, procedura penale, ordinamento giudiziario e leggi speciali, Archivio penale, 2009/3.

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che cumulava il potere di accusare, raccogliere le prove e giudicare.

Differentemente dal sistema delle corti permanenti, la

cognitio extra ordinem si fondava sul principio inquisitorio7.

Il nuovo sistema giurisdizionale introdotto da Augusto,

tuttavia, rispettò rigorosamente l’antico principio

repubblicano secondo cui la giustizia doveva essere amministrata dai magistrati alla presenza del popolo8.

La pubblicità del processo penale fu garantita, altresì, anche da altri imperatori del I sec. d.C. i quali amministrarono la giustizia nel Foro o in altri luoghi pubblici, come ad esempio nel Pantheon.

In tale periodo si verificò, altresì, una burocratizzazione del processo che determinò una frequente adozione della forma scritta degli atti. Ciò che emergeva nel corso del dibattimento veniva registrato stenograficamente dai segretari dell’ufficio e successivamente trascritto nel protocollo di udienza, a cui il giudice apponeva la sua sottoscrizione; il documento veniva poi depositato nell’archivio del tribunale ove gli interessati potevano prendere visione ed eventualmente estrarre copia.

7 Nel nuovo sistema i rappresentanti del principe assumevano l’iniziativa della persecuzione dei crimini in seguito ad una propria indagine o su un rapporto di organi di polizia di cui disponevano; l’iniziativa del funzionario poteva anche derivare dalla denuncia di un privato che, tuttavia, era considerato un semplice informatore e non un accusatore in senso tecnico.

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Anche la sentenza doveva essere redatta per iscritto dal giudice e, dopo la sua lettura alla presenza dell’accusato, doveva essere trascritta nei registri del tribunale9.

Nel periodo del tardo impero tuttavia, il principio di pubblicità fu fortemente ridimensionato: i processi, infatti, non erano più svolti coram populi, bensì in aule chiuse, dette secretaria, in cui venivano ammessi esclusivamente gli accusati e i loro difensori.

Nonostante l’editto emanato dall’imperatore Costantino nel 331 d.C., in cui vennero emanate precise disposizioni per ripristinare la pubblicità dei processi10, la prassi di impedire

l’accesso del popolo nelle aule di giustizia continuò ad essere seguita in tutta l’età tardoantica.

3. LA PUBBLICITÀ NEL PROCESSO PENALE

MEDIOEVALE

Nell’Alto Medioevo, nel contesto dei primitivi regni barbarici, sorti a seguito della disgregazione dell’Impero romano, il processo penale era considerato un fenomeno irrazionale nel quale si manifestavano credenze magiche.

9 B. Santalucia, La giustizia penale in Roma antica, Il Mulino, p. 126.

10 “I presidi tengano i loro processi pubblicamente dopo aver fatto entrare una gran quantità di persone nei tribunali, e quando devono giudicare le cause civili, non si nascondano nei loro secretaria, si che il litigante non possa ottenere di incontrarli se non pagando un prezzo; quando poi avranno concluso l’esame di tutte le cause ad esse sottoposte e nessuno più risponderà alla chiamata ripetuta dal banditore per invitare i postulanti a presentarsi, dopo aver compilato tutti gli atti pubblici e privati, potranno ritirarsi” (Cod. Theod. 1.16.6), così in B. Santalucia, La giustizia penale in Roma antica, Il Mulino, p. 125.

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Il giudizio era basato essenzialmente sull’ordalia, che era una prova fisica subita dall’accusato alla presenza del popolo, riunito nella piazza principale; dal suo risultato si ricavava la prova dell’innocenza dell’accusato, poiché la

divinità sarebbe dovuta intervenire a sostegno

dell’innocente.

Successivamente, l’ordinamento barbarico cominciò a recuperare e recepire gli insegnamenti del diritto romano. In particolare, nel diritto penale venne ripristinato il sistema della cognitio extra ordinem che da quel momento assunse il nome di inquisizione, successivamente accolta anche dai Comuni e dagli Stati assoluti che si formarono nell’Europa continentale11.

Tale sistema inquisitorio, caratterizzato da un potere incondizionato del giudice - considerato il vero e proprio

dominus delle indagini e del processo - si caratterizzava per

un unico limite di natura meramente formale: il giudice aveva l’onere di annotare e registrare ogni suo atto processuale12.

La scrittura e il formalismo, assumeva una duplice funzione: da un lato rappresentava uno strumento di terrore nei confronti dei testimoni, i quali, a causa della trascrizione delle loro deposizioni, erano perfettamente consapevoli

11 Tonini P., Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2015, p. 15.

12 Cuccuru A., Il processo penale nel periodo inquisitoriale: il sospetto tra metodo

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della impossibilità di smentire e ritrattare quanto in precedenza dichiarato; dall’altro permetteva all’autorità centrale di effettuare controlli ed ispezioni sullo svolgimento dei procedimenti disciplinari.

4. LA PUBBLICITÀ NEL PROCESSO PENALE NELL’ETÀ

MODERNA

Il processo di stampo inquisitorio diffuso negli Stati assoluti del 1600, viene analiticamente descritto nella Ordonnance

criminelle promulgata in Francia nel 1670.

In base a tale atto, il processo penale veniva azionato a seguito di una denuncia di un privato, di una querela della persona offesa oppure su iniziativa del procuratore del Re o del giudice d’ufficio.

Seguiva una procedura preparatoria denominata

Information, avente la funzione di raccogliere le fonti di

prova; i testimoni erano sentiti dal giudice, che provvedeva ad arrestare l’imputato e ad interrogarlo senza la presenza del difensore.

Terminata tale fase preparatoria, il giudice trasmetteva gli atti al procuratore del Re, che poteva chiedere la liberazione dell’arrestato oppure la prosecuzione del processo.

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Se il giudice optava per la prosecuzione del processo, iniziava una fase detta istruzione definitiva, caratterizzata essenzialmente dalla segretezza.

Il singolo testimone infatti, in segreto davanti al giudice inquisitore, era tenuto essenzialmente a confermare le dichiarazioni precedentemente rese. In caso di mancata conferma il testimone veniva punito.

Successivamente, difronte al collegio giudicante,

l’inquisitore svolgeva la sua relazione sul processo e si provvedeva all’interrogatorio dell’imputato. Il processo terminava poi con una sentenza di assoluzione o di condanna, nei cui confronti l’imputato poteva proporre appello13.

Tale sistema processuale fu aspramente criticato da Cesare Beccaria nella sua opera “Dei delitti e delle pene”¸ pubblicata a Livorno nel 1764.

In tale opera, tra l’altro, Beccaria criticava la segretezza delle denunce e delle accuse14 tipica del sistema

inquisitorio, proponendo, altresì, lo svolgimento in pubblico del processo penale.

13 Tonini P., Manuale di procedura penale, cit., pp. 16-17.

14 “È già stato detto dal Signor di Montesquieu che le pubbliche accuse sono piú

conformi alla Repubblica, dove il pubblico bene formar dovrebbe la prima passione de' cittadini, che nella monarchia, dove questo sentimento è debolissimo per la natura medesima del governo, dove è ottimo stabilimento il destinare de' commissari, che in nome pubblico accusino gl'infrattori delle leggi. Ma ogni governo, e repubblicano e monarchico, deve al calunniatore dare la pena che toccherebbe all'accusato” in Beccaria C., Dei delitti e delle pene, in www.letteraturaitaliana.net, Cap. 15 p. 37.

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Le critiche sollevate da Cesare Beccaria furono accolte anche dalla Toscana di Pietro Leopoldo, il quale approvò la Riforma della legislazione criminale toscana, pubblicata il 30-novembre-1775.

Il nuovo codice leopoldino, infatti, condannò fermamente la segretezza del processo inquisitorio.

Questa importante codificazione criminale fu accompagnata dalla solenne dichiarazione di principio: “in avvenire i

processi dei rei si facciano ad usci aperti, perché qualunque

persona vi possa intervenire e sentirli”15.

Ciò costituiva una cesura importante rispetto al modello inquisitorio dell’antico regime, che identificava istruttoria e processo ed escludeva totalmente la partecipazione del pubblico dal dibattimento e la diffusione pubblica degli atti processuali.

Il processo di stampo inquisitorio, sviluppatosi, come già visto, soprattutto in Francia, non fu accolto in Inghilterra. Il processo penale inglese, infatti, fortemente improntato ai principi del processo romano repubblicano, si basava essenzialmente su due istituti fondamentali: la giuria e i testimoni.

In particolare erano previste due giurie: una prima giuria detta Grand Jury decideva sull’eventuale rinvio a giudizio dell’imputato; la seconda giuria, invece, assisteva al

15 Alessi G., Il processo penale – Profilo storico, Editori Laterza, Roma – Bari, 2009, p. 146.

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pubblico dibattimento e decideva sulla colpevolezza dell’imputato con un verdetto non motivato. Nel caso di accertamento della colpevolezza, era poi il giudice a stabilire la pena da irrogare.

5. LA PUBBLICITÀ NEI CODICI ITALIANI DI

PROCEDURA PENALE

Il primo maggio 1848 entrò in vigore in Piemonte il nuovo codice di procedura penale fortemente ispirato al Code

d’Instruction criminelle del 1808.

Caratteristica principale di tale Code era l’introduzione, nel processo penale, di un sistema misto in cui venivano sommati i caratteri del sistema inquisitorio e di quello accusatorio in un’unica struttura processuale.

Nello specifico, la fase istruttoria era segreta e quindi caratterizzata, prevalentemente, dal principio inquisitorio, seppur con la previsione di alcuni correttivi16 rispetto

all’inquisizione tipica dell’antico regime.

La fase del dibattimento, invece, era prevalentemente accusatoria.

Il primo codice di procedura penale italiano fu approvato nel 1913, il quale, pur conservando le caratteristiche del sistema misto, sopra descritto, riconosceva significativi

16 1. Istruzione iniziava dopo la formale richiesta al giudice istruttore da parte del Pm. 2. L’istruzione terminava dopo la richiesta del Pm del rinvio a giudizio o proscioglimento. 3. Il giudice non poteva rifiutare di compiere l’istruzione. 4. Era garantito all’imputato il controllo sulla richiesta di rinvio a giudizio.

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diritti all’accusato già a partire dalla fase istruttoria; in particolare, nel corso dell’istruttoria restavano segrete soltanto le testimonianze.

Nel dibattimento, invece, fu introdotta la giuria popolare la quale aveva la funzione di pronunciarsi circa la colpevolezza o meno dell’imputato.

A seguito della prima guerra mondiale e della successiva instaurazione del regime fascista, nel 1930 venne promulgato, insieme al codice penale, il nuovo codice di procedura penale.

Caratteristica di tale codice fu, sostanzialmente, un ripristino dei caratteri tipici del sistema inquisitorio ovvero si tornò, anche nella fase istruttoria, ad avere una completa segretezza degli atti.

Oltre a ciò, il codice di procedura penale del 1930, abolì la giuria popolare e al tempo stesso introdusse la Corte di assise, composta da due giudici togati e da cinque cittadini17.

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FONDAMENTO NORMATIVO DEL PRINCIPIO DI

PUBBLICITÀ

SOMMARIO: 1. Analisi del principio della pubblicità nella Costituzione italiana – 2. Pubblicità interna – come estrinsecazione del diritto di difesa – e pubblicità esterna – 3. Il principio di pubblicità nella legislazione europea – 4. Cenni sulla giurisprudenza della Corte europea sull’art. 6 CEDU e della Corte costituzionale

1. ANALISI DEL PRINCIPIO DELLA PUBBLICITÀ NELLA

COSTITUZIONE ITALIANA

Occorre subito specificare che, rispetto all’art. 72 dello Statuto albertino in cui veniva espressamente previsto che

“le udienze dei Tribunali in materia civile e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle

leggi18”, all’interno della Costituzione del 1948 non vi è

alcuna norma che faccia esplicito riferimento alla pubblicità processuale19.

Ciò non sta a significare che tale precetto non sia garantito costituzionalmente, anzi, oltre alle varie sentenze emanate in merito dalla Corte cost., vi sono comunque riferimenti costituzionali, seppur indiretti, che garantiscono la presenza dell’istituto della pubblicità all’interno del processo penale. Il motivo per cui il principio della pubblicità non si trova esplicitato all’interno della Carta costituzionale è da ricondurre a scelte operate, nel corso dei lavori preparatori

18https://it.wikisource.org/wiki/Italia,_Regno_-_Statuto_albertino . 19 Chiavario Mario, Diritto processuale penale – VI ed., UTET, pag. 10

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della Costituzione, dai padri costituenti. In tal periodo, infatti, si fronteggiarono sostanzialmente due interessi contrapposti20: l’uno a favore dell’enunciazione di tale

principio all’interno del testo costituzionale, l’altro, invece, demandava l’enunciazione di tale istituto ai codici di rito, trattandosi di un principio universalmente accettato e riconosciuto.

A tal proposito Piero Calamandrei, delineando le due

posizioni, era favorevole all’enunciazione esplicita

dell’istituto all’interno della Costituzione, consigliando anche di integrarlo con il precetto relativo al dovere del

giudice di motivare le sentenze21; dello stesso avviso fu

anche Giovanni Leone.

Tuttavia, come già anticipato, nella Carta costituzionale non fu inserito un esplicito riferimento all’istituto della pubblicità, ma questo non impedì alla Corte cost. di intervenire, tramite una serie di importanti sentenze, al solo scopo di attribuire pieno valore costituzionale al principio in esame.

Una delle prime sentenze costituzionali che si occupò, seppur incidentalmente (obiter dicta), del valore costituzionale della pubblicità, fu la sentenza Corte cost.

20 Ciappi, voce Pubblicità (principio della), in Digesto delle discipline penalistiche, vol. X, Utet Torino, 1995, pag. 455.

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25/1965 avente ad oggetto la pubblicità immediata, che sarà oggetto di esame nei paragrafi successivi.

In questa sentenza la pubblicità del dibattimento venne definita una “garanzia di giustizia, come mezzo per

allontanare qualsiasi sospetto di parzialità”; nella sentenza

si specifica altresì che “le norme che disciplinano i casi nei

quali (…) è necessario derogare al principio della pubblicità, debbono attenere al retto funzionamento della giustizia, bene supremo dello Stato, garantito anch’esso dalla Costituzione”.

Nella suddetta sentenza, inoltre, viene precisato che l’esclusione della presenza del pubblico dal dibattimento sarebbe un vano espediente “qualora fosse consentito di

portare a conoscenza di una larga cerchia di persone, a mezzo della stampa, il contenuto di quegli atti o documenti che nel processo abbiano assunto carattere riservato”.

La funzione di garanzia di sostanziale giustizia del principio di pubblicità, sancita nella sentenza del 1965, venne ribadita nuovamente, anche questa volta incidentalmente, nella sentenza Corte cost. 18/1966.

Dopo questi primi riferimenti incidentali circa la garanzia costituzionale del principio della pubblicità nel processo penale, un primo importante passo si ebbe con la sentenza Corte cost. 12/1971.

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Infatti nella sentenza del 1971 per la prima volta, ribadendo quanto già affermato nella sentenza 25/1965, si ritenne che la regola della pubblicità “sia coessenziale ai principi ai

quali, in un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare, deve conformarsi l’amministrazione della giustizia che in quella sovranità trova fondamento (art. 101, primo comma, Cost.)”.

La Corte cost. nuovamente specificò, così come nella già ricordata sentenza 25/1965, che tale regola generale “può

subire eccezioni in riferimento a determinati procedimenti, quando esse abbiano obiettiva e razionale giustificazione (…)”, continua la Corte cost. che tali deroghe, soprattutto

con riferimento al processo penale, in cui la pubblicità del dibattimento acquisisce un valore particolarmente rilevante, “possono essere disposte solo a garanzia di beni a

rilevanza costituzionale, negli altri casi più ampio potere discrezionale deve essere riconosciuto al legislatore nella valutazione degli interessi che possano giustificare la celebrazione del dibattimento a porte chiuse”.

Infatti la Corte ha affidato al legislatore, in determinati procedimenti, un ampio potere discrezionale circa la valutazione di interessi che possano giustificare la celebrazione del processo a porte chiuse.

Così, oltre al processo penale minorile, si è giustificata la celebrazione del processo a porte chiuse nei procedimenti

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penali a carico dei giornalisti (Corte cost. sent. 235/1993) o nei procedimenti in materia di impiego degli stessi dipendenti della Corte costituzionale (Corte cost. sent. 36/1993)22.

Da queste prime sentenze della Corte costituzioale è possibile dunque notare come la regola della pubblicità sia in qualche modo ricollegabile all’art. 101 c. 1 Cost., in cui viene esplicitato il principio secondo cui la giustizia è amministrata in nome del popolo.

A questo punto occorre specificare che la Corte cost., non solo collegò il principio di pubblicità solo all’art. 101 c. 1 Cost., ma nella sentenza 17/1981 ritenne che “il divieto di

pubblicità dei dibattimenti sarebbe in contrasto con l’art. 1,

comma secondo, della Costituzione23, perché il principio

della pubblicità delle udienze costituirebbe applicazione, nel processo, della esigenza generale dei regimi liberi di assicurare il controllo della pubblica opinione su tutte le manifestazioni della sovranità popolare”.

La sentenza 212/1986 ribadì il concetto per cui “il principio

di pubblicità delle udienze doveva ritenersi recepito,

sebbene non esplicitamente, nella nostra legge

fondamentale, e in particolare nel citato art. 101, in quanto

22 Bartole – Bin, Commentario breve alla Costituzione, CEDAM, Padova, 2008, pag. 963

23 Art. 1, c. 2 Cost. “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e

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inteso ad assicurare il controllo dell’opinione pubblica su tutte le manifestazioni della sovranità statale”.

Per riassumere, il vero fondamento del principio della pubblicità delle udienze è sicuramente insito nell’art. 101 c. 1 Cost. giacché esso “rendendo palese che il titolare ultimo

dell’attività di amministrare giustizia è il popolo, implica che a favore di quest’ultimo il legislatore ordinario predisponga strumenti conoscitivi idonei a realizzare il controllo pubblico

sul modo con cui la giustizia viene amministrata”24.

Non si sottovaluti neppure la possibile connessione tra il principio di pubblicità nel processo penale e il principio del giusto processo garantito dall’art. 111 Costituzione laddove, affinché un processo penale possa definirsi equo, si dovrebbe prevedere la possibilità di procedere in forma pubblica.

Infatti, come risulta dalle sentenze della Corte cost. sopra esaminate, in passato il principio della pubblicità veniva ricavato unicamente dall’art. 101 c. 1 Cost. senza fare alcuna menzione, di tale principio, all’interno dell’art. 111 Costituzione.

Neppure con la riforma costituzionale avvenuta con L. cost. 2/1999, avente ad oggetto l’inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 Cost. e, tenendo conto anche

24 Voena G.P., Mezzi audiovisivi e pubblicità delle udienze penali, Milano, 1984, pag. 196.

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del contenuto posto all’art. 6 par. 1 CEDU25, vi fu

l’inserimento esplicito di tale istituto all’interno della Carta costituzionale.

Di conseguenza, le aspirazioni dei fautori dell’inserimento esplicito nella Costituzione del principio di pubblicità furono disattese; ragion per cui risultò quindi necessario valorizzare la nozione di giusto processo art. 111 Cost. interpretandola anche alla luce di tutte le garanzie contenute nell’art. 6 par. 1 CEDU26, che saranno esaminate successivamente.

Per completare l’indagine dei principi costituzionali in tema di pubblicità è necessario altresì soffermarsi sugli aspetti derivanti dall’analisi dell’art. 21 Cost. circa il diritto all’informazione.

A tal proposito, è evidente come il principio della pubblicità sia strettamente collegato con l’art. 21 Cost., soprattutto in una società in cui la rapidità e lo scambio di informazioni comportano, inevitabilmente, la necessità di tutelare gli interessi coinvolti nei vari procedimenti penali.

Basti pensare ai dibattiti che hanno luogo nei vari salotti televisivi in cui vengono svolti veri e propri processi

25 “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente,

pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge (…). La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia”.

26 Carboni L., La Corte costituzionale prosegue il suo cammino verso l’affermazione

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mediatici, ove opinionisti, talvolta senza alcuna conoscenza in merito, sentenziano circa la responsabilità della persona indagata, in spregio ad ogni tipo di tutela derivante dall’applicazione dell’art. 27 c. 2 Cost. secondo cui

“l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

È altresì vero che il passaggio dalla pubblicità del processo al diritto di informazione non è affatto scontato e, sarebbe altrettanto semplicistico e pericoloso affermare che al processo pubblico corrisponda automaticamente un diritto all’informazione, con i soli limiti legati al diritto di cronaca27.

È da notare come nella nostra Costituzione non venga riconosciuto espressamente la libertà di informazione, ma solo il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero art. 21 Costituzione.

A partire dagli anni ‘60 la giurisprudenza costituzionale, relativa all’art. 21 Cost. – manifestazione del pensiero – ha iniziato a sviluppare il concetto di libertà di cronaca e successivamente, il concetto di libertà di stampa.

La giurisprudenza costituzionale, inoltre, ha attribuito alla libertà di manifestazione del pensiero un lato attivo (libertà di dare e divulgare notizie, opinioni e commenti) ed un lato

passivo consistente in un interesse generale, anch’esso indirettamente protetto ex art. 21 Cost., all’informazione” il

27 Filippo Giunchedi, Informazione e processo penale, in F.R. Dinacci (a cura di), Processo penale e Costituzione, Giuffrè, Milano, 2010, p. 649.

(25)

25

quale, in un regime di democrazia implica una pluralità di fonti di informazione, libero accesso, assenza di ingiustificati ostacoli legali28.

È indubbio che la libertà di informazione costituisca uno degli strumenti principali per consentire la formazione di un’opinione pubblica documentata, non manipolata dall’alto, che contribuisca a formare una società autenticamente democratica29.

Affinché tale opinione pubblica possa essere a tutti gli effetti documentata, è necessario che il diritto all’informazione segua le linee indicate dalla sent. Corte cost. 112/1993, in cui, appunto la legittimità del diritto all’informazione è subordinata al rispetto: “a) del pluralismo

delle fonti cui attingere conoscenze e notizie (…) b) dall’obiettività e imparzialità dei dati forniti c) dalla completezza, dalla correttezza e continuità dell’attività di informazione erogata d) dal rispetto della dignità umana, dall’ordine pubblico, dal buon costume e dal libero sviluppo psichico e morale dei minori”.

2. PUBBLICITÀ INTERNA – COME ESTRINSECAZIONE

DEL DIRITTO DI DIFESA – E PUBBLICITÀ ESTERNA

28 Spagnolo P., Il segreto giornalistico nel processo penale, Giuffrè Editore, 2014, p. 52.

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26

La pubblicità nel processo penale si sostanzia nella possibilità, del comune cittadino, di conoscere quanto si svolge nel dibattimento.

In particolare, così come già anticipato nella premessa di questo elaborato, la pubblicità si suddivide in pubblicità c.d.

interna e pubblicità c.d. esterna30.

La prima forma di pubblicità si rivolge ai soggetti del procedimento, i quali hanno la possibilità di venire a conoscenza, in maniera diretta e precisa, di ogni atto relativo al procedimento che li riguarda.

La pubblicità interna rappresenta, quindi, un presupposto indispensabile per l’attuazione del diritto di difesa dell’indagato, garantito sia dall’articolo 24 della Cost. che dal principio di parità delle armi delle parti desumibile dall’articolo 111 della Cost..

Affinché il diritto di difesa sia effettivamente garantito, infatti, è indispensabile che la persona sottoposta alle indagini venga a conoscenza dell’addebito sussistente nei suoi confronti31.

Tale consapevolezza può essere acquisita dall’indagato in diverse forme e in diversi momenti nel corso dell’indagine preliminare.

30 Ciappi, voce encicl. Pubblicità (principio della), cit., p. 454.

31 Conso – Grevi – Bargis, Compendio di procedura penale, Settima edizione, Cedam – Wolters Kluwer Italia, 2014, p. 592.

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27

In primo luogo, l’indagato, sospettando che sia in corso un’indagine penale a sua carico, può rivolgersi alla segreteria della Procura della Repubblica per chiedere che gli vengano comunicate le eventuali iscrizioni riguardanti la sua persona contenute nel registro delle notizie di reato. Il pubblico ministero può rifiutarsi di fornire le informazioni richieste esclusivamente in due casi:

1) quando si stia procedendo per uno dei delitti previsti dall’art. 407 c. 2 lett. A) c.p.p.;

2) quando nel decidere sulla richiesta, abbia disposto con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi, per specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine.

In questi casi, analogamente all’ipotesi in cui non sussistano iscrizioni, la segreteria risponde con la formula “non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione”.

In secondo luogo, è possibile che nel corso delle indagini risulti indispensabile un atto investigativo a cui il difensore dell’indagato ha diritto di assistere (come ad esempio

l’interrogatorio, accertamento tecnico irripetibile,

sequestro, prelievo coattivo di campioni biologici etc.). In tal caso, la persona sottoposta alle indagini riceve un atto denominato informazione di garanzia, in cui devono essere necessariamente indicate le norme di legge che si assumono violate, la data e luogo del fatto e l’invito a

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28

nominare un difensare di fiducia, tutto ciò nell’ottica del sopra ricordato principio di parità delle armi32.

In ogni caso, la persona indagata verrà comunque a conoscenza della sua posizione tramite l’avviso della conclusione delle indagini preliminari contenente la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate e della data e del luogo del fatto.

Detto ciò è necessario ricordare che, seppure il nostro processo penale non sia di stampo inquisitorio33, durante la

fase delle indagini preliminari sussiste comunque un’esigenza di segretezza, necessaria per creare una struttura investigativa solida, tale da perdurare nel corso del dibattimento; vi è quindi la necessità di impedire ogni forma di pubblicazione di fatti o situazioni che possano, in

concreto, ostacolare o compromettere l’attività

investigativa34.

Sussistono dunque due contrapposte esigenze: da un lato l’esigenza di segretezza interna alle indagini, che in concreto impedisce ai soggetti processuali di venire a conoscenza di aspetti riguardanti l’attività investigativa; dall’altro l’esigenza della pubblicità interna, necessaria per consentire

32 Conso – Grevi – Bargis, Compendio di procedura penale, cit., pp. 592-593.

33 Come già visto nel capitolo introduttivo di questo elaborato, il carattere predominante del sistema inquisitorio è la segretezza del processo.

34 Siracusano D., Galati A., Tranchina G. Zappalà E., Diritto processuale penale, Giuffrè editore, 2013, p. 419-420.

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29

alla persona sottoposta alle indagini di essere informata, riservatamente e in tempi ragionevoli, circa la natura e i motivi dell’accusa elevati a suo carico, affinché possa disporre del tempo necessario per preparare la sua difesa, così come stabilito dall’art. 111 c. 3 Cost. e dall’art. 6 CEDU. Gli istituti sopra richiamati, dunque, rappresentano il risultato di un bilanciamento operato dal legislatore tra le suddette esigenze.

La pubblicità c.d. esterna, invece, è caratterizzata dalla possibilità di conoscenza che singoli individui, anche estranei al procedimento penale, hanno circa gli sviluppi processuali di un dato processo penale.

Questa differenza, così prospettata, sottolinea come la pubblicità c.d. esterna possa essere un vero e proprio strumento di conoscenza a sfondo pubblicitario35.

La pubblicità esterna è da considerare il vero e proprio principio pubblicitario all’interno del processo penale.

Di conseguenza, la pubblicità esterna, a sua volta, può distinguersi in pubblicità immediata e mediata.

In particolare, per pubblicità mediata si allude “al diverso

grado di conoscenza che si realizza quando i membri di una collettività siano informati dello svolgimento dell’udienza attraverso i mezzi di comunicazione di massa, anziché

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30

attraverso l’assistenza personale in aula”36; per pubblicità

immediata, invece, si intende la conoscenza che soggetti estranei al processo assumono, circa atti e fatti processuali,

in quanto assistono direttamente all’attività

procedimentale (dibattimentale).

Ulteriore differenza tra le due fattispecie nasce dall’analisi dell’art. 471 c. 1 c.p.p. il quale prevede che “l’udienza è pubblica a pena di nullità”37.

Pertanto, è possibile comprendere quale sia la conseguenza derivante dal mancato rispetto di tale disposizione poiché, una eventuale violazione si può ripercuotere sulla validità della fattispecie.

Il principio di pubblicità immediata, quindi, è considerato, a tutti gli effetti, un requisito formale dell’udienza dibattimentale.

È altresì vero che tali considerazioni non possono essere applicate per la pubblicità mediata; infatti la violazione di tale principio non comporta alcun tipo di nullità all’interno del procedimento penale in corso, non costituendo, appunto, un requisito formale; la pubblicità mediata, infatti, in quanto strettamente connesso al diritto di informazione, ha come scopo essenziale quello di formare un’opinione pubblica consapevole38.

36 Voena G. P., Mezzi audiovisivi e pubblicità delle udienze penali, Giuffè Editore, 1984, pp. 1-2.

37 Analisi dettagliata di questo articolo verrà svolta nei capitoli successivi. 38 Spagnolo P., Il segreto giornalistico nel processo penale, cit., p. VIII.

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31

Detto ciò, sempre in riferimento alla pubblicità mediata, è importante analizzare l’art. 147 disp. att. c.p.p. in cui vengono indicate le modalità tramite le quali il diritto di cronaca può essere esercitato.

In particolare, nella suddetta disposizione, si menziona l’utilizzo di riprese fotografiche o fonografiche o audiovisive, nonché la trasmissione radiofonica o televisiva delle udienze.

Di conseguenza, l’utilizzo di tali metodologie viene autorizzato dal giudice con ordinanza, al ricorrere di tre condizioni:

1. deve essere finalizzato all’esercizio del diritto di cronaca, quale espressione, dell’art. 21 Costituzione;

2. non deve arrecare un pregiudizio al sereno e regolare svolgimento udienza o della decisione;

3. deve sussistere il consenso di tutte le parti presenti al processo.

Questa ultima condizione, tuttavia, può anche non ricorrere qualora “sussista un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento”, così come previsto nell’art. 147 c. 2 disp. att. c.p.p39.

E’ evidente, dunque, che sia la pubblicità immediata che quella mediata - nonostante la diversità dei destinatari,

39 Dominioni O., Corso P., Gaito A., Spangher G., Galantini N., Filippi L., Garuti G., Mazza O., Varraso G., Vigoni D., Procedura penale – IV edizione, Giappichelli Editore – Torino, 2015, p 587.

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delle modalità di attuazione e delle specifiche funzioni - sono finalizzate essenzialmente al corretto esercizio della giurisdizione penale, nell’interesse della collettività e dello stesso imputato40.

3. IL PRINCIPIO DI PUBBLICITÀ NELLA LEGISLAZIONE

EUROPEA

All’interno dell’art. 6 par. 1 CEDU si afferma esplicitamente il principio di pubblicità del processo penale, diversamente da quanto previsto nella Costituzione italiana.

L’intenzione della Corte di Strasburgo, nell’enucleare la ratio della pubblicità, è quello di mettere in relazione il principio in oggetto con tutti gli altri principi fondamentali di una società democratica41, ribadendo quindi lo scopo

della pubblicità del processo penale, ossia quello di tutelare

i singoli da una giustizia che sfugge al controllo del pubblico,

rappresentando così, uno degli strumenti per contribuire al

mantenimento della fiducia nei tribunali42.

In particolare, l’art. 6 par. 1 Cedu si apre con una affermazione, esplicita e generale, del principio in esame prevedendo, infatti, che ogni persona ha diritto a che la sua

40www.csm.it/circolari/cir6_13.pdf .

41 Kostoris R.E., Manuale di procedura penale europea – II edizione riveduta e ampliata, Giuffrè Editore, 2015, p.115

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33

causa sia esaminata equamente e pubblicamente (..) e che

la relativa sentenza sia resa pubblicamente (…).

Proseguendo la lettura di tale disposizione è possibile rilevare la presenza di deroghe a tale principio, che si sostanziano “nell’interesse della morale, dell’ordine

pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica; quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia”.

Nei casi sopra menzionati, viene demandato al giudice ordinario dello Stato nazionale, il compito di contemperare le diverse ed opposte esigenze che possono giustificare una eventuale limitazione del principio della pubblicità43.

Alla Corte europea resterà, comunque, il potere-dovere di esaminare il modo con cui i singoli Stati effettuano il bilanciamento degli interessi coinvolti44.

È necessario osservare come l’art. 6 par. 1 Cedu alluda, principalmente, alla pubblicità esterna nella sua duplice accezione sia di pubblicità c.d. immediata che di pubblicità

43 Maffeo V., Il contributo della giurisdizione sovranazionale all’evoluzione del

principio di pubblicità - The contribution of supernational law to the evolution of the tenet of judicial public hearing, in www.processopenaleegiustizia.it, n°2/2016, p. 155.

44 Bartole S., Conforti B., Raimondi G., Commentario alla Convenzione europea per la

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34

c.d. mediata, garantendo quindi la presenza alle udienze giudiziali sia del pubblico che della stampa45.

In ragione di ciò, occorre precisare come il destinatario principale delle deroghe sopra descritte, sia la stampa; da ciò si può pacificamente affermare come i singoli Stati, siano autorizzati a dettare regole diverse per l’una o l’altra categoria.

Si precisa come nella categoria della stampa, rientrino tutti quei soggetti idonei ad assicurare una pubblicità c.d. mediata46.

A riprova di ciò, si veda come nell’art. 473 c. 2 c.p.p. sia possibile riscontrare, a tutti gli effetti, quanto sostenuto fino ad ora; in tale norma, infatti, si prevede la possibilità, per il giudice, di disporre, con ordinanza pronunciata in pubblica udienza, la celebrazione del dibattimento o il compimento di alcuni atti a porte chiuse; in tale situazione, tuttavia, il giudice ha la possibilità di consentire la presenza dei giornalisti in aula, nei soli casi previsti dall’art. 427 c. 3 c.p.p.: per ragioni di igiene, quando vi sono manifestazioni pubbliche che possono turbare il regolare svolgimento oppure quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o imputati47.

45 Chiavario, Diritto processuale penale, Utet - VI edizione, p.515.

46 Bartole S., Conforti B., Raimondi G., Commentario alla Convenzione europea per la

tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cit., p.201.

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35

Per quanto concerne la pubblicità interna, intesa, come visto sopra, come la partecipazione attiva dell’accusato al procedimento, e in particolare, il diritto del soggetto a essere informato dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, occorre ricordare la direttiva 2012/13/UE con cui il Parlamento europeo e il Consiglio U.E. hanno dettato agli Stati membri obblighi di risultato in tema di diritto di informazione nel procedimento penale.

La direttiva in parola si occupa del diritto di informazione - dalla fase delle indagini preliminari fino all’esaurimento delle procedure di impugnazione - in tre diverse accezioni:

- Diritto a conoscere gli estremi dell’addebito;

- Diritto all’informazione sulle prerogative processuali; - Diritto di accesso al materiale probatorio raccolto

dagli inquirenti.

In particolare, quanto alla prima accezione, l’articolo 6 della direttiva, rubricata “diritto all’informazione sull’accusa” recita:

“Gli stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano fornite informazioni sul reato che le stesse sono sospettate o accusate di aver

commesso. Tali informazioni sono fornite

tempestivamente e con tutti i dettagli necessari, al fine di garantire l’equità del procedimento e

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36

l’esercizio effettivo dei diritti della difesa. Gli stati membri assicurano che le persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute, siano informate dei motivi del loro arresto o della loro detenzione, e anche del reato per il quale sono indagate o imputate”.

Per quanto concerne invece la seconda accezione del diritto all’informazione l’articolo 3 della direttiva prevede che gli Stati membri devono assicurare tanto alle persone indagate quanto alle persone imputate alcune prerogative difensive fondamentali tra cui il diritto di avvalersi dell’assistenza tecnica di un difensore, l’enunciazione delle condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio, il diritto di essere informato degli estremi dell’addebito, il diritto di ottenere l’assistenza di un interprete e della traduzione degli atti, il diritto a rimanere in silenzio.

Infine, con riferimento alla terza accezione del diritto di informazione, l’articolo 7 paragrafo 1 stabilisce che, a prescindere dalla fase processuale in cui si collochi, qualora una persona sia stata arrestata o sia comunque detenuta, gli stati membri debbono provvedere “affinché i documenti

relativi al caso specifico, in possesso delle autorità

competenti, che sono essenziali per impugnare

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37

legittimità dell’arresto o della detenzione, siano messi a disposizione delle persone arrestate o degli avvocati”.

Tale disposizione è finalizzata essenzialmente a garantire al soggetto privato della libertà personale, di disporre di tutto il materiale probatorio necessario per reagire al provvedimento limitativo della libertà.

Il paragrafo 2 dell’articolo 7, invece, impone agli Stati membri di assicurare all’imputato e al difensore, l’accesso a tutto il materiale probatorio in possesso delle autorità competenti, sia esso a favore o contro l’interessato. L’accesso a tali documenti deve essere garantito a prescindere dalla sussistenza di un provvedimento limitativo della libertà personale, in tempo utile per consentire l’esercizio effettivo dei diritti della difesa e “al più tardi nel momento in cui il merito dell’accusa è sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria”.

La suddetta direttiva è stata attuata nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 1° luglio 2014 n.101, che ha apportato modifiche significative al codice di procedura penale.

Il decreto legislativo, tuttavia, si è concentrato essenzialmente sulle prime due accezioni del diritto all’informazione, tralasciando completamente il diritto di accesso alla documentazione relativa all’indagine. Il

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38

parzialmente alla disciplina contenuta nella direttiva, ha perso l’occasione di introdurre una disciplina organica in tema di pubblicità interna, rispettosa degli standard europei48.

4. CENNI SULLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE

EUROPEA SULL’ART. 6 CEDU E DELLA CORTE

COSTITUZIONALE

La recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha evidenziato una pluralità di problemi strutturali nel sistema processuale penalistico italiano.

In particolare la violazione all’art. 6 par. 1 riguarda specifiche procedure relative sia all’applicazione delle misure di prevenzione sia la riparazione per ingiusta detenzione.

Per quanto concerne le misure di prevenzione, è importante menzionare la sent. Corte Europea 13/11/2007 Bocellari e

Rizza c. Italia in cui la Corte, oltre a ricordare che il controllo

pubblico contribuisce altresì a mantenere la fiducia della

collettività negli organi giudiziari, denuncia l’inosservanza,

dell’articolo in esame, poiché lo svolgimento in camera di consiglio delle suddette procedure - tanto in prima istanza che in appello - così come previsto dall’art. 4 L. 1423/1956,

48 Ciampi S., Diritto all’informazione nei procedimenti penali: il recepimento low

profile della direttiva 2012/13/UE da parte del d.lgs. 1° luglio 2014 n. 101, in

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39

non prevedeva la possibilità, per le parti, di chiedere un’udienza pubblica49.

Sempre in riferimento alla procedura di prevenzione, vale la pena ricordare la sent. Corte europea 08/07/2008 Pierre e

altri c. Italia, in cui la medesima, afferma che, pur

riconoscendo l’alto grado di tecnicità del procedimento, tale da giustificare l’assenza di pubblicità, non poteva perdersi di

vista l’essenza del procedimento di prevenzione e la forte

incidenza che la decisione finale ha sulla persona50

imponendo, quindi, un controllo pubblico a garanzia dell’interessato.

È opportuno, inoltre, menzionare la sent. Corte europea 10/04/2012 Bongiorno c. Italia - sempre in tema di pubblicità nelle procedure riguardanti le misure di prevenzione – in cui la Corte, dopo aver richiamato le due sentenze sopra citate, conferma il diritto alla pubblica udienza nella procedura per l’applicazione delle misure di prevenzione sostenendo, inoltre, che la possibilità di chiedere una pubblica udienza non può essere negata, fatta salva la possibilità per il giudice nazionale, di non

49 Gianniti P. (a cura di), La CEDU e il ruolo delle Corti, Zanichelli Editore – Bologna, 2015, p.1730.

50 Maffeo V., Il contributo della giurisdizione sovranazionale all’evoluzione del

principio di pubblicità - The contribution of supernational law to the evolution of the tenet of judicial public hearing, cit., p. 155.

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40

riconoscerla in presenza o di interessi superiori, o a causa dell’alto grado di tecnicità del procedimento51 .

La Corte cost., con la sentenza 93/2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 L. 1423/1956 per violazione dell’art. 117 c. 1 Cost. nella parte in cui non consente che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla Corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica.

Invece, per quanto riguarda il procedimento camerale per ingiusta detenzione, la Corte europea nell’aprile 2012, emanò la sent. Lorenzetti c. Italia in cui ribadì come il principio di pubblicità, debba essere considerato un principio del giusto processo - art. 6 CEDU – escludendo, quindi, che una sua deroga trovi giustificazione nel tecnicismo della questione posta all’esame dei giudici.

In altre parole, per la Corte europea, nessuna circostanza eccezionale può giustificare l’udienza senza controllo pubblico52.

A seguito della sent. 93/2010, la Corte cost., con la sent. 135/2014, ha emesso declaratoria di incostituzionalità degli artt. 633 c. 3, 678 c. 1, 679 c. 1 c.p.p., aventi ad oggetto il

51 Lo Giudice M., In diritti umani in Italia – rivista giuridica, Bongiorno c. Italia, 2014,

www.duitbase.it/database-cedu/bongiorno-c-italia .

52 Maffeo V., Il contributo della giurisdizione sovranazionale all’evoluzione del

principio di pubblicità - The contribution of supernational law to the evolution of the tenet of judicial public hearing, cit., p. 155.

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procedimento davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza per l’applicazione misure di sicurezza53, nella parte in cui non consentono che, su

istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga nelle forme dell’udienza pubblica.

Oltre alla sentenza appena esaminata, meritano un’analisi particolare la sent. 97/2015 e la sent. 109/201554 della

Corte cost.; nello specifico, nella sent. 97/2015 la Corte ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 666 c. 3 e 678 c. 1 c.p.p. nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il processo davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, si svolga nelle forme dell’udienza pubblica; nella sent. 109/2015, invece, viene dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 663 c.3, 667 c. 4 e 676 c.p.p. nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca, si svolga davanti al giudice dell’esecuzione nelle forma dell’udienza pubblica.

53 Kostoris R.E., Manuale di procedura penale europea, cit., p.116. 54 Kostoris R.E., Manuale di procedura penale europea, cit., p.116.

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LA CONCRETA APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI

PUBBLICITÀ NELLE DINAMICHE DEL

PROCEDIMENTO PENALE

SOMMARIO: 1. Il segreto investigativo – 1.1. Il divieto di pubblicazione di atti e immagini nella fase delle indagini preliminari – 2. La pubblicità nella fase dell’udienza preliminare – 3. La pubblicità nella fase dibattimentale – 3.1. Il divieto di pubblicazione di atti e immagini nella fase dibattimentale – 3.2. Cenni sul divieto di pubblicazione di dati identificativi del minore – 3.3 Riprese audiovisive nei dibattimenti

1. IL SEGRETO INVESTIGATIVO

Uno dei principi fondamentali su cui si fonda la fase delle indagini preliminari si rinviene all’interno dell’art. 329 c.p.p. il quale tratta l’obbligo del segreto per gli atti di indagini compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. Al fine di garantire il riserbo delle attività investigative, dunque, l’art. 329 c.p.p. sancisce il divieto di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, la cui violazione, da parte del pubblico ufficiale o da persona incaricata di pubblico servizio, è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, ai sensi dell’art. 326 c. 1 c.p.; inoltre, l’art. 684 c.p. punisce, con l’arresto alternativo all’ammenda, chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione.

Diversamente da quanto previsto dalla direttiva 2 della L. delega 81 del 16/febbraio/1987, in cui l’obbligo del segreto

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43

era esteso “a tutti gli atti compiuti dal pubblico ministero e

dalla polizia giudiziaria”, l’art. 329 c.p.p., come detto, si

riferisce esclusivamente agli “atti di indagini” di natura investigativa, rimanendo quindi escluse tutte le attività non dirette all’acquisizione di fonti di prova55.

A tal proposito si precisa che tra gli “atti di indagine”, di cui all’art. 329 c.p.p., non rientrano le attività svolte per la ricerca della notitia criminis (e quelle ad esse connesse), le quali possono essere intraprese da parte del P.m. e dalla P.g. a seguito di denuncia anonima; infatti, queste ultime presuppongono una notizia di reato sufficientemente definita, oltre alla raccolta degli elementi necessari per le valutazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, con la conseguenza che, relativamente a tali atti, gli ufficiali di P.g. non sono sottoposti all’obbligo del segreto ai sensi dell’art. 329 c.p.p. ma sono tenuti al segreto, come qualsiasi altro impiegato dello Stato ai sensi dell’art. 15 d.p.r. n° 3 del 10 gennaio 1957 sostituito dall’art. 28 L. n° 241 del 7 agosto 199056.

Il principio della segretezza dell’attività investigativa del P.m. o della P.g. svolge, dunque, un ruolo essenziale ai fini dell’esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.) in quanto, se tali attività fossero portate alla conoscenza

55 Chinnici D., Il regime del segreto investigativo – The system of secret investigation, in Cass. pen., fasc. 5, 2015, pag. 2081B.

56 Bricchetti R. – Marzaduri E. – Codice di procedura penale – annotato con

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dell’interessato, o più in generale della collettività, potrebbero perdere totalmente la loro efficacia.

Si evidenzia come la L. 397/2000, avente ad oggetto disposizioni in materia di indagini difensive, ha riconosciuto

significativi poteri di indagine al difensore;

conseguentemente sarebbe stato opportuno estendere il regime del segreto investigativo anche agli atti posti in essere dal difensore.

In effetti, così “come l’accusatore ha bisogno del segreto per garantire l’efficacia della propria azione investigativa, così il difensore può temere che dalla conoscenza dei propri atti possa derivare un nocumento al patrocinio del suo assistito”57.

Tuttavia, il legislatore non ha esteso il regime di segretezza applicabile agli atti compiuti dal P.m. o dalla P.g., anche agli atti di indagine del difensore che, quindi, rimangono esclusi dall’operatività del divieto di conoscenza e dal divieto di pubblicazione.

Importante sottolineare come l’ambito operativo della segretezza delle indagini preliminari operi sia sotto il profilo endo processuale - della conoscenza nei confronti delle parti private - sia sotto il profilo extra processuale - nei confronti dei terzi estranei al procedimento58; a tal

57 Grifantini F. M., Il segreto difensivo nel processo penale, Giappichelli, 2001, p. 8. 58 Molinari F. M., Il segreto investigativo, Giuffrè Editore, Milano, 2003, p. 159.

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45

proposito si evidenzia la stretta connessione esistente tra l’art. 329 c. 1 e l’art. 114 c. 1 e 7 c.p.p..

Infatti, al segreto delle indagini corrisponde il divieto di pubblicazione di atti e immagini posto dal citato art. 114 c.p.p. il quale, come più avanti analizzeremo, individua una distinzione tra atti coperti dal segreto e atti non coperti dal segreto.

La segretezza degli atti del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, sopra menzionata, perdura fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Sicuramente, con la chiusura delle indagini preliminari59

l’obbligo del segreto degli atti investigativi viene necessariamente meno; esistono, tuttavia, casi in cui l’obbligo del segreto cessa prima di tale momento, ai sensi del c. 1 dell’art. 329 c.p.p..

In particolare, l’art. 369 c.p.p. – informazione di garanzia – prevede che “solo quando si deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del

59 O per effetto di una procedura di archiviazione ai sensi dell’art. 409 c.p.p. oppure in caso di esercizio dell’azione penale, con relativo avviso all’indagato della conclusione delle indagini ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p. – così Voena G.P, in Conso – Grevi – Bargis – Compendio di procedura penale, cit., p. 634.

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