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IL SEGRETO INVESTIGATIVO

PROCEDIMENTO PENALE

1. IL SEGRETO INVESTIGATIVO

Uno dei principi fondamentali su cui si fonda la fase delle indagini preliminari si rinviene all’interno dell’art. 329 c.p.p. il quale tratta l’obbligo del segreto per gli atti di indagini compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. Al fine di garantire il riserbo delle attività investigative, dunque, l’art. 329 c.p.p. sancisce il divieto di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, la cui violazione, da parte del pubblico ufficiale o da persona incaricata di pubblico servizio, è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, ai sensi dell’art. 326 c. 1 c.p.; inoltre, l’art. 684 c.p. punisce, con l’arresto alternativo all’ammenda, chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione.

Diversamente da quanto previsto dalla direttiva 2 della L. delega 81 del 16/febbraio/1987, in cui l’obbligo del segreto

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era esteso “a tutti gli atti compiuti dal pubblico ministero e

dalla polizia giudiziaria”, l’art. 329 c.p.p., come detto, si

riferisce esclusivamente agli “atti di indagini” di natura investigativa, rimanendo quindi escluse tutte le attività non dirette all’acquisizione di fonti di prova55.

A tal proposito si precisa che tra gli “atti di indagine”, di cui all’art. 329 c.p.p., non rientrano le attività svolte per la ricerca della notitia criminis (e quelle ad esse connesse), le quali possono essere intraprese da parte del P.m. e dalla P.g. a seguito di denuncia anonima; infatti, queste ultime presuppongono una notizia di reato sufficientemente definita, oltre alla raccolta degli elementi necessari per le valutazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, con la conseguenza che, relativamente a tali atti, gli ufficiali di P.g. non sono sottoposti all’obbligo del segreto ai sensi dell’art. 329 c.p.p. ma sono tenuti al segreto, come qualsiasi altro impiegato dello Stato ai sensi dell’art. 15 d.p.r. n° 3 del 10 gennaio 1957 sostituito dall’art. 28 L. n° 241 del 7 agosto 199056.

Il principio della segretezza dell’attività investigativa del P.m. o della P.g. svolge, dunque, un ruolo essenziale ai fini dell’esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.) in quanto, se tali attività fossero portate alla conoscenza

55 Chinnici D., Il regime del segreto investigativo – The system of secret investigation, in Cass. pen., fasc. 5, 2015, pag. 2081B.

56 Bricchetti R. – Marzaduri E. – Codice di procedura penale – annotato con

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dell’interessato, o più in generale della collettività, potrebbero perdere totalmente la loro efficacia.

Si evidenzia come la L. 397/2000, avente ad oggetto disposizioni in materia di indagini difensive, ha riconosciuto

significativi poteri di indagine al difensore;

conseguentemente sarebbe stato opportuno estendere il regime del segreto investigativo anche agli atti posti in essere dal difensore.

In effetti, così “come l’accusatore ha bisogno del segreto per garantire l’efficacia della propria azione investigativa, così il difensore può temere che dalla conoscenza dei propri atti possa derivare un nocumento al patrocinio del suo assistito”57.

Tuttavia, il legislatore non ha esteso il regime di segretezza applicabile agli atti compiuti dal P.m. o dalla P.g., anche agli atti di indagine del difensore che, quindi, rimangono esclusi dall’operatività del divieto di conoscenza e dal divieto di pubblicazione.

Importante sottolineare come l’ambito operativo della segretezza delle indagini preliminari operi sia sotto il profilo endo processuale - della conoscenza nei confronti delle parti private - sia sotto il profilo extra processuale - nei confronti dei terzi estranei al procedimento58; a tal

57 Grifantini F. M., Il segreto difensivo nel processo penale, Giappichelli, 2001, p. 8. 58 Molinari F. M., Il segreto investigativo, Giuffrè Editore, Milano, 2003, p. 159.

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proposito si evidenzia la stretta connessione esistente tra l’art. 329 c. 1 e l’art. 114 c. 1 e 7 c.p.p..

Infatti, al segreto delle indagini corrisponde il divieto di pubblicazione di atti e immagini posto dal citato art. 114 c.p.p. il quale, come più avanti analizzeremo, individua una distinzione tra atti coperti dal segreto e atti non coperti dal segreto.

La segretezza degli atti del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, sopra menzionata, perdura fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Sicuramente, con la chiusura delle indagini preliminari59

l’obbligo del segreto degli atti investigativi viene necessariamente meno; esistono, tuttavia, casi in cui l’obbligo del segreto cessa prima di tale momento, ai sensi del c. 1 dell’art. 329 c.p.p..

In particolare, l’art. 369 c.p.p. – informazione di garanzia – prevede che “solo quando si deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del

59 O per effetto di una procedura di archiviazione ai sensi dell’art. 409 c.p.p. oppure in caso di esercizio dell’azione penale, con relativo avviso all’indagato della conclusione delle indagini ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p. – così Voena G.P, in Conso – Grevi – Bargis – Compendio di procedura penale, cit., p. 634.

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luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore”.

È possibile quindi notare come, con l’informazione di garanzia, e quindi prima della chiusura delle indagini preliminari, per la prima volta, la persona indagata possa venire a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico.

Si precisa, altresì, che con riferimento all’art. 329 c.p.p., la Corte di Cassazione ha evidenziato come “la segretezza degli atti di indagini non costituisca principio generalizzato ed inderogabile, per tutta la fase delle indagini preliminari, ben potendo essere disposto il <disvelamento> quando è necessario per la prosecuzione delle indagini”60.

A tal proposito, i c. 2 e c. 3 dell’art. 329 c.p.p. contemplano le ipotesi della desegretazione e della segretazione, le quali si sostanziano in deroghe specifiche al principio di segretezza.

La c.d. desegretazione degli atti di indagine consente al P.m., in deroga a quanto previsto dall’art. 114 c.p.p., non solo di far venire meno il segreto su atti o parti di essi ancora segreti, ma anche di permettere eccezionalmente la pubblicazione del contenuto o dello stesso testo degli atti, indipendentemente dalla circostanza che siano o meno

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ancora segreti61; sarà quindi il magistrato inquirente,

tramite l’emanazione di un decreto motivato, a decidere sulla pubblicazione di certe attività investigative altrimenti coperte dal segreto.

La c.d. segretazione, di contro, può riguardare la protrazione dell’obbligo del segreto per singoli atti non più segreti, ossia pubblicabili, purché l’imputato lo consenta o quando la conoscenza dell’atto possa ostacolare le indagini riguardanti altre persone, così come previsto dal c. 3 lett. A) dell’art. 329 c.p.p., sempre che tutto ciò appaia necessario per la prosecuzione delle indagini62.

Il c. 3 lett. B) art. 329 c.p.p. prevede, invece, la possibilità del P.m. di disporre il divieto di pubblicazione del contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni di indagine che, sebbene non più segreti, non sono ancora divulgabili testualmente.

Per la dottrina63 è pacifico come, il decreto di c.d.

segretazione possa disporre la protrazione del segreto nei confronti dell’indagato (c.d. segreto interno) al massimo fino alla chiusura delle indagini, mentre, quando opera sul divieto di pubblicazione (c.d. segreto esterno), non

61 Giarda A. – Spangher G. (a cura di), Codice di procedura penale commentato – IV edizione, IPSOA Gruppo Wolters Kluwer, 2010, p. 4106

62 Chinnici D., Il regime del segreto investigativo – The system of secret investigation, cit..

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pregiudicando nessun diritto difensivo, possa durare fino a tutta la fase predibattimentale dell’eventuale giudizio64.

Si osservi come il potere del P.m. di emanare tali decreti sia squisitamente discrezionale; oltretutto la motivazione dei decreti non è soggetta ad alcun rigido controllo, se non di tipo disciplinare.

Tale circostanza è particolarmente delicata potendo portare ad un abuso, da parte del P.m., ove si consideri che il potere di desegretazione (o segretazione) è strettamente connesso al diritto di difesa, sotto il profilo del tempo di conoscenza degli atti di indagine e del diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti65.

In altre parole, il P.m., attraverso un abile dosaggio dei decreti di desegretazione (segretazione), potrebbe far filtrare solo informazioni che offrono una versione colpevolista delle risultanze istruttorie66.

Inoltre, gli atti desegretati devono essere depositati presso la segreteria del pubblico ministero; a tale obbligo di deposito corrisponde il diritto, non espressamente previsto, del difensore dell’indagato di prenderne visione.

64 Giarda A. – Spangher G. (a cura di), Codice di procedura penale commentato – IV edizione, cit., p. 4107.

65 Molinari F. M., Il segreto investigativo, cit., p. 190.

66 Giostra G., Processo penale e informazione – 2° edizione, Giuffrè editore – Milano, 1989, p. 313.

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1.1. IL DIVIETO DI PUBBLICAZIONE DI ATTI E

IMMAGINI

NELLA

FASE

DELLE

INDAGINI

PRELIMINARI

Al fine del nostro esame è necessario chiarire preliminarmente il concetto di pubblicazione per poter, appunto, comprendere la portata del divieto di pubblicazione di atti previsto dall’art. 114 c.p.p. norma, peraltro, di non agevole comprensione, trattandosi di un testo definito “alquanto labirintico”67.

A tal proposito, appare corretto ritenere che integri il concetto di pubblicazione “non la comunicazione ad uno o più soggetti determinati delle notizie di cui sia vietata la propalazione, ma la loro rivelazione con modalità tali da metterne al corrente un numero indefinibile di persone”68.

Il divieto, posto dal c. 1 dell’art. 114 c.p.p., investe non soltanto la pubblicazione tramite la stampa, ma tramite qualsiasi strumento idoneo a rendere di pubblico dominio una notizia: radio, televisione, cinematografia, lettura in pubblico, narrazione pubblica, bandi, conferenze, social network, pubbliche affissioni69; perfino la creazione di siti

internet deve ritenersi non consentita, in quanto permette un accesso pressoché indiscriminato a informazioni di ogni

67 Cfr. Cordero F., Codice di procedura penale commentato, Utet, Torino, 1992, p. 136.

68 Così Ubertis G., in Commentario del nuovo codice di procedura penale – diretto da Amodio E. e Dominioni O., II, Milano, 1989 p. 27.

69 Con riferimento all’affissione di una fotocopia ingrandita in un esercizio pubblico, v. Cass., 2 marzo 1990, Oliva, in Cass. pen., 1992, p. 337.

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genere, provenienti da qualsiasi parte del mondo ed erogate ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti. In merito, è stato osservato che non è necessario che la notizia illecitamente pubblicata sia effettivamente appresa da un determinato numero di persone, essendo sufficiente che essa risulti percettibile; a tal proposito, infatti, la

pubblicità presuppone l’indeterminatezza e

l’indeterminabilità dei soggetti destinatari70.

Più precisamente, l’art. 114 c.p.p., vietando la pubblicazione di atti ed immagini, ha inteso contemperare due opposte esigenze: da un lato la necessità di non divulgare alcuni atti che devono rimanere segreti, almeno entro i limiti previsti dall’art. 329 c.p.p.; dall’altro, la necessità di garantire il diritto di cronaca giudiziaria.

Al fine di garantire, appunto, la segretezza processuale, la dottrina opera un distinguo tra segretezza interna, che costituisce un limite alla conoscenza contenutistica di alcuni atti da parte di soggetti processuali e segretezza esterna, che si risolve nel divieto, per chiunque, di pubblicare il contenuto di certi atti71.

Specificato ciò, dal combinato disposto dell’art. 329 c.p.p. c. 3 lett. B) e dai c. 1, 2 e 7 dell’art. 114 c.p.p. emerge una differenza tra due tipologie di divieti di pubblicazione: l’uno

70 Molinari F. M., Il segreto investigativo, cit., p. 205.

71 Molinari, Sull’illegittimità costituzionale del divieto di pubblicazione degli atti del

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relativo agli atti coperti dal segreto investigativo e l’altro relativo agli atti non coperti dal segreto investigativo72;

inoltre, con riferimento a queste due tipologie di atti sussiste un doppio divieto di pubblicazione: si parla pertanto del c.d. divieto assoluto di pubblicazione e del c.d. divieto relativo di pubblicazione.

In particolare, il divieto assoluto (o divieto di pubblicazione del contenuto dell’atto), posto all’interno del c. 1 dell’art. 114 c.p.p. secondo cui “è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto”, investe gli atti coperti dal segreto investigativo o singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni, in quanto fatti oggetto di un apposito decreto di copertura del segreto, emanato dal P.m. (art. 329 c.p.p.); invece, il divieto relativo (o divieto di pubblicazione dell’atto), è limitato alla sola divulgazione dell’atto e non anche al suo contenuto (art. 114 c. 2-5 c.p.p.).

La portata dei due divieti sopra menzionati non è pacifica; la stessa distinzione tra pubblicazione dell’atto e contenuto dell’atto appare priva di effettiva consistenza e suscettibile di raggiri, rischiando di favorire elusioni legalizzate del divieto di pubblicazione di atti del procedimento, tramite

72 Gaito A. (a cura di), Codice di procedura penale commentato – IV edizione, Utet giuridica, 2012, p. 605.

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l’uso di tecniche narrative e di espedienti espositivi adeguati73.

In primo luogo occorre precisare che per contenuto dell’atto non si intende ciò in cui lo stesso si sostanzia poiché, posto che gli atti hanno forma scritta, esso si sostanzierebbe essenzialmente nel “contenuto del verbale”. La dottrina prevalente74, invece, ritiene che per contenuto si

debba intendere, in generale, le “notizie relative alle indagini, purché esse non pretendano di appoggiarsi su basi documentali provenienti da fonti ufficiali”.

Secondo una ricostruzione dottrinale75, l’espressione “atto”

di cui al c. 1 dell’art. 114 c.p.p. dovrebbe intendersi in senso ampio, comprensivo cioè dei fatti e di qualunque accadimento emerso nel corso delle indagini preliminari. Altra parte della dottrina76, invece, ritiene che sia

indispensabile distinguere l’atto processuale dal fatto processuale; quest’ultimo, infatti, a differenza dell’atto, consiste in un “evento fenomenico visibile o direttamente percepibile” da parte dei cittadini e, conseguentemente, pubblicabile.

La giurisprudenza aderisce sostanzialmente a quest’ultimo indirizzo dottrinale, optando per una lettura rigorosa

73 Giarda A. – Spangher G. (a cura di), Codice di procedura penale commentato – IV

edizione, cit., p. 1156.

74 Chiavario, La riforma del processo penale, Torino, 1990.

75 Cenci, La “fuga” di notizie processuali tra norme e prassi, RIDPP, 1994, p. 1629. 76 Grilli, La pubblicazione degli atti e il segreto professionale del giornalista, GP, 1990, III, p. 565.

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dell’ambito di operatività del divieto, precisando che tale divieto ha ad oggetto solo gli atti e non i fatti.

La Corte di Cassazione, infatti, ha affermato che “l’atto di indagine non può automaticamente coincidere con il fatto che ne costituisce l’oggetto e pertanto non rientra nel divieto di pubblicazione l’espletamento di attività procedimentali che si sostanzino in fatti storici direttamente percepibili, talché non sarà pubblicabile il contenuto delle dichiarazioni rese dal teste oculare di un avvenimento all’a.g., ma sarà lecito riferire quanto attinto direttamente dallo stesso testimone, che in quanto tale, non è tenuto al segreto77”.

Circa l’oggetto del divieto assoluto di cui al c. 1 dell’art. 114 c.p.p., è opportuno richiamare l’art. 329 c.p.p. che, come già visto, riferisce il segreto investigativo ai soli atti di indagine compiuti dalla P.g. e dal P.m. e a quelli richiamati nel c. 3 lett. a) dello stesso articolo; ma il divieto assoluto di pubblicazione, anche parziale, degli atti coperti dal segreto o del loro contenuto non si ferma ai soli atti indicati nell’art. 329 c.p.p.

Infatti, il divieto può riguardare le iscrizioni nel registro delle notizie di reato previste nei c. 1 e 2 dell’art. 335 c.p.p. , sia nei casi in cui esse non siano comunicabili - poiché si procede per uno dei delitti di cui all’art. 407 c. 2 lett. a) - sia

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nelle ipotesi in cui, sussistendo specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il pubblico ministero le abbia segregate ai sensi del c. 3 bis dell’art. 335 c.p.p., ossia una volta richiamato a decidere sulla richiesta di comunicazione avanzata dalla persona alla quale il reato è attribuito, dalla persona offesa o dai rispettivi difensori.

Viceversa, non rientra nella tutela del c. 1 dell’art. 114 c.p.p. la c.d. informazione di garanzia che, in quanto atto non segreto fin dalla sua formazione, sorge senza il presidio del divieto assoluto di pubblicazione.

Di conseguenza, venuta ad esistenza un’informazione di garanzia, il nome della persona alla quale la stessa è indirizzata potrebbe essere pubblicato senza violazione del c. 1 dell’art. 114 c.p.p., anche prima della comunicazione al destinatario, secondo le modalità prescritte dalla legge. Infine occorre fare cenno, sempre in riferimento all’applicazione del c. 1 dell’art. 114 c.p.p., ad un problema attuale avente ad oggetto la diffusione mediatica di

informazioni tratte da comunicazioni intercettate

nell’ambito del procedimento penale.

Si precisa che la pubblicazione di tali atti non è in contrasto con il suddetto comma allorquando il contenuto del colloquio è diffuso dopo che si è dato avviso ai difensori delle parti della facoltà di prendere conoscenza delle risultanze derivanti da tale attività investigativa; pertanto, il

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deposito in segreteria del P.m. di tali atti segna il venir meno del segreto, ai sensi del c. 1 dell’art. 329 c.p.p. e la relativa conoscibilità dell’atto da parte della difesa pone termine anche al divieto di pubblicarne il contenuto.

Si è detto che con l’avviso ai difensori delle parti della facoltà di prendere conoscenza delle risultanze investigative, l’intercettazione cessa di essere coperta dal segreto, con la conseguenza che il contenuto può essere reso pubblico; tuttavia, non significa che, per esempio, il cronista possa diffondere sempre e comunque ogni singolo verbale di intercettazione reso pubblico, in quanto operano limiti alla diffusione di dati tratti dal procedimento penale come quelli posti a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato78.

A tal proposito, la giurisprudenza79 ha però ritenuto che il

contenuto di conversazioni o di comunicazioni telefoniche non pertinenti a gravi reati, deve considerarsi riservato indipendentemente dalla fase processuale nella quale si collochi il procedimento incidentale ex art. 268, in quanto si tratta, in ogni caso, di atti coperti dal divieto di pubblicazione ex art. 684 c.p.80.

78 Canzio G. – Tranchina G. (a cura di), Codice di procedura penale, Tomo II (artt.

379-746), cit., p. 1148.

79 G.i.p. Tribunale di Milano, 10 ottobre 1997, Di Feo, CP 1998, p. 1807 ss.

80 Giarda A. – Spangher G. (a cura di), Codice di procedura penale commentato – IV

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Anche il c. 2 dell’art. 114 c.p.p., avente ad oggetto il divieto di pubblicazione relativo, sembra essere, come detto, alquanto labirintico; infatti, facendo riferimento “agli atti non più coperti dal segreto”, il divieto in oggetto sembra non coinvolgere gli atti destinati a restare esclusi dal patrimonio conoscitivo del giudice dibattimentale, in quanto tale locuzione pare indicare esclusivamente gli atti che abbiano perso la copertura del segreto originariamente posseduta.

La giurisprudenza81 non opta per tale conclusione

sostenendo che la preclusione si estende a tutti gli atti delle indagini e dell’udienza preliminare, anche se non originariamente segreti ai sensi dell’art. 329 c. 1 c.p.p. stabilendo, pertanto, che il divieto relativo sussiste “per gli atti non coperti da segreto assoluto, ma la regola va estesa a quelli ab initio non segreti”.

Oltre a ciò, il comma in oggetto fornisce dei limiti temporali sulla durata del divieto, al fine di salvaguardare la virgin

mind del giudice dibattimentale precisando, quindi, che è

vietata la pubblicazione, anche parziale degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Infatti, quando il procedimento penale raggiunge uno dei due limiti temporali sopra esposti, il regime di pubblicabilità

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degli atti si uniforma al limite previsto dal c. 5 dell’art. 114 c.p.p. per i casi in cui “non si procede al dibattimento” con la conseguenza che, non dovendo più salvaguardare la

virgin mind del giudice dibattimentale, gli atti del

procedimento penale divengono pienamente divulgabili.

Di conseguenza, quando il passaggio alla fase

dibattimentale risulta escluso, la regola è la piena divulgabilità degli atti ma, il già citato c. 5 dell’art. 114 c.p.p., conferisce al giudice competente per la definizione del procedimento il potere di disporre, sentite le parti, il divieto di pubblicazione di atti o di loro brani, quando la stessa pubblicazione “può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell’interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private”; il divieto cessa, comunque, allo scadere dei termini previsti dal c. 4 dello stesso articolo, per gli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse82.

Infine, occorre richiamare il c. 7 dell’art. 114 c.p.p. - la cui prima lettura sembra vanificare tutte le osservazioni effettuate fino a questo momento - in cui viene stabilito che “è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”.

82 Gaito A. (a cura di), Codice di procedura penale commentato – IV edizione, cit., p. 607.

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Infatti, come la dottrina83 non ha mancato di rilevare,