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IL PROCEDIMENTO PER LA RIPARAZIONE PER L’INGIUSTA DETENZIONE NELLA GIURISPRUDENZA

LA PUBBLICITÀ E IL RITO CAMERALE

4. IL RITO CAMERALE NEL PROCEDIMENTO DI APPLICAZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE

5.1. IL PROCEDIMENTO PER LA RIPARAZIONE PER L’INGIUSTA DETENZIONE NELLA GIURISPRUDENZA

DELLA CORTE COSTITUZIONALE

L’istituto dell’equa riparazione per ingiusta detenzione è disciplinato dall’art. 314 c.p.p. in forza del quale il soggetto prosciolto, con sentenza irrevocabile - perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce il reato o non è previsto dalla legge come reato - ha diritto ad un equa riparazione per la custodia subita.

Tale norma, oltre a rappresentare un principio di civiltà giuridica fondamentale per ogni ordinamento democratico, costituisce anche un principio di alto valore etico e sociale, strettamente connesso alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, ovvero di quei diritti che strutturano il fondamentale rapporto tra autorità e libertà, tra Stato e individuo negli ordinamenti democratici162; l’istituto in

parola, inoltre, si collega al c. 4 dell’art. 24 Cost. il quale affida alla legge il compito di determinare le condizioni e i modi per la riparazione dell’errore giudiziario.

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Nel corso degli anni la Corte costituzionale, in virtù di quanto affermato nell’art. 24 c. 4 Cost. e grazie ad un’interpretazione sistematica dello stesso, ha messo in luce il “fondamento squisitamente solidaristico” della riparazione per ingiusta detenzione, ravvisandone il fondamento giuridico nel rischio funzionale intrinseco all’esercizio della giurisdizione penale cautelare, che comporta l’accollo da parte dello Stato di un onere riparatorio nei confronti di chi, per effetto di quell’esercizio, abbia subito un’obiettiva lesione nella sua libertà personale, rivelatasi ingiusta tramite accertamento ex post163.

Occorre precisare che il procedimento per l’accertamento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, in forza del rinvio operato dall’art. 315 c.p.p. e dall’art. 646 c. 1 c.p.p., si svolge in camera di consiglio, seguendo la regola generale posta dall’art. 127 c.p.p., con la possibile partecipazione delle parti, ma in totale assenza del pubblico.

In particolare, le Sez. Unite della Corte di Cassazione164

hanno sollevato, in riferimento degli artt. 111 c. 1 e 117 c. 1 Cost., una questione di legittimità costituzionale dell’art. 315 c. 3 in relazione all’art. 646 c. 1 c.p.p. nella parte in cui, appunto, non consentono che, su istanza degli interessati, il

163 Mirandola S., Un’altra camera di consiglio destinata a schiudersi, Cass. pen., fasc. 13, 2011, p. 4043B.

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procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione si svolga, davanti alla Corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica165.

Quindi, il procedimento in parola, trattato senza la presenza del pubblico, nella prospettiva del giudice a quo, violerebbe l’art. 117 c. 1 Cost., ponendosi in contrasto con il principio di pubblicità delle udienze sancito dall’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla già citata sent. Lorenzetti c. Italia del 10 aprile 2012, la quale ha ritenuto necessario che “i singoli coinvolti in una procedura di riparazione per custodia cautelare ingiusta si vedano quanto meno offrire la possibilità di chiedere una udienza pubblica innanzi alla corte di appello166”. Inoltre, le medesime disposizioni

violerebbero l’art. 111 Cost. poiché contrastanti con il principio del “giusto processo”; la suddetta norma costituzionale, infatti, pur non prevedendo espressamente il principio di pubblicità delle udienze, non potrebbe ritenersi

165 In particolare: la Corte remittente premette che il ricorrente nel giudizio a quo era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere dal 16-ottobre- 2001 al 21-dicembre-2001 e a quella degli arresti domiciliari dal 21-dicembre-2001 al 10-giugno-2002 nell’ambito di un procedimento penale promosso nei suoi confronti e di altri soggetti per il reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio, conclusosi con la sua assoluzione per non aver commesso il fatto. Il prosciolto aveva quindi chiesto la riparazione per ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314 c.p.p.. La Corte di appello di Catania aveva respinto la domanda (…). A seguito del ricorso dell’interessato, l’ordinanza era stata annullata con rinvio della Corte di cassazione con sent. 01-febbraio-2011 per difetto di motivazione (…). Nuovamente investita della domanda (…), la Corte di appello di Catania era pervenuta ad analoga decisione di rigetto (…) contro la quale l’interessato aveva proposto ulteriore ricorso per cassazione. Secondo il ricorrente anche il nuovo provvedimento risulterebbe carente sul piano della motivazione. Si precisa come durante tutto il procedimento, l’istante non ha mai formulato alcuna richiesta rivolta ad ottenere un’udienza pubblica.

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altrimenti sorretta da principi diversi o più circoscritti di

quelli desumibili dalla corrispondente norma

convenzionale167.

La questione della pubblicità dell’udienza nei riti camerali era stata precedentemente affrontata dalla Corte costituzionale distinguendo tra giudizio di merito e giudizio di legittimità nelle già esaminate sent. 93/2010 e 80/2011, in cui la Corte costituzionale ha affermato che il giudizio di legittimità, per i caratteri propri della funzione che è chiamato a svolgere, non presenta la necessità di garantire la pubblicità delle udienze, a condizione però, che una pubblica udienza sia stata tenuta in prima istanza.

In questo senso, le Sez. unite hanno affermato che la circostanza che il procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione sia trattato, in sede di legittimità, con il rito camerale in assenza del pubblico, non evidenzia profili di contrasto con il principio posto dall’art. 6 par. 1 CEDU. Per il Collegio remittente, quindi, la questione di legittimità costituzionale può essere superata ai sensi dell’art. 46 CEDU, il quale prevede un generale vincolo di adeguamento degli Stati contraenti alle sentenze definitive della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, facendo quindi scattare, in rapporto a tutti i processi viziati da questo difetto strutturale, l’obbligo di porre termine alla violazione

167 Antinucci M., Ingiusta detenzione e pubblicità dell’udienza: self restraint della

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contestata e di cancellarne, per quanto possibile le conseguenze168.

In altre parole, tale indirizzo si giustificherebbe solo nel quadro di un raffronto “interno” all’ordinamento italiano, e non in una mera questione di incostituzionalità tra norma censurata e norma costituzionale, analogamente, quindi, a quanto stabilito nella già citata sent. Lorenzetti c. Italia, in cui la Corte di Strasburgo censura, non un difetto del singolo processo, ma una carenza strutturale della disciplina del procedimento in esame cioè la mancanza della pubblicità esterna nel rito camerale.

Quindi, tramite questo adeguamento, le Sez. unite della Corte di cassazione sostengono che vi sarebbe la possibilità di una riparazione di tale lesione direttamente all’interno dell’ordinamento italiano senza necessità, per l’interessato, di adire la Corte europea.

Si può capire come questa soluzione velocizzerebbe i tempi processuali, rispetto ad un eventuale ricorso presentato presso la Corte di Strasburgo, ottenendo inoltre, tramite un intervento della Corte costituzionale, una modifica della norma valida erga omnes e retroattiva169.

168 Antinucci M., Ingiusta detenzione e pubblicità dell’udienza: self restraint della

Consulta e norma <reale> sovranazionale, cit., p. 3.

169 Arienti M., La Consulta dichiara inammissibile – tracciando nuovi confini con le

decisioni della Corte europea dei Diritti dell’Uomo – la questione di legittimità costituzionale in tema di pubblicità dell’udienza nel procedimento di riparazione dell’ingiusta detenzione, nota a Corte costituzionale, sent. 18 luglio 2013, n° 214, in

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Occorre subito precisare che la Corte costituzionale, con la sent. 214/2013, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle Sez. unite della Corte di cassazione, evidenziando che una “questione finalizzata a riconoscere una determinata facoltà a una parte processuale è priva di rilevanza attuale se, nel giudizio

a quo, quella parte non ha mai manifestato la volontà di

esercitare la facoltà in discussione”170.

Il difetto di rilevanza, dichiarato dalla Corte costituzionale, viene argomentato prendendo spunto dagli argomenti usati nella sentenza 80/2011, più volte citata in questo elaborato, con la quale era già stata rigettata una questione di natura

analoga, relativa alla pubblicità dell’udienza nel

procedimento in materia di applicazione di misure di prevenzione, anche se la Corte costituzionale, in riferimento al caso in esame si aveva sottolineato una differenza.

Nel caso di specie, infatti, la Consulta osserva come la parte privata non abbia mai chiesto un’udienza pubblica nei gradi di merito171 e neppure dinanzi alla Corte di Cassazione; in

particolare, la Corte cost. ha statuito che “il ricorrente – omettendo di formulare qualsiasi richiesta o eccezione sul punto, persino dopo che il suo ricorso è stato rimesso alle Sez. unite allo specifico fine di stabilire in qual modo la sent.

170 Sent. Corte cost. 214/2013 Presidente GALLO – Redattore FRIGO,

www.cortecostituzionale.it

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Lorenzetti della Corte europea interferisse con il procedimento in corso – ha chiaramente dimostrato di non aver alcun concreto interesse allo svolgimento in forma pubblica del giudizio”.

Pertanto, ad avviso della Corte costituzionale, a nulla varrebbero i richiami all’art. 46 CEDU, che impone allo Stato di far cessare la violazione contestata e di eliminarne, per quanto possibile, le conseguenze; nella sentenza in esame viene, dunque, sancito che non è tra le prerogative della Corte cost. decidere su una “questione meramente ipotetica”.

Il metodo che le Sezioni unite della Corte di cassazione vorrebbero utilizzare tramite una sentenza “additivo- manipolativa” resterebbe, osserva la Corte costituzionale, “subordinata ad un accadimento non solo futuro ma anche del tutto incerto: e, cioè, alla circostanza che, a seguito della pronuncia di accoglimento, l’interessato si avvalga effettivamente della facoltà attribuitagli”.

Inoltre, la stessa ordinanza di rimessione qualifica come solo <eventuale> la richiesta di udienza pubblica che l’interessato potrebbe avanzare nel caso di annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

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6. LA PUBBLICITÀ DELLE UDIENZE: ANALISI DELLE

RECENTI SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Alla magistratura di sorveglianza172 - formata dall’organo

monocratico magistrato di sorveglianza e dall’organo collegiale tribunale di sorveglianza - è affidata la delicata ed importante funzione di controllo sull’esecuzione della pena mirata a verificare la coerenza e l’efficacia del trattamento penitenziario rispetto alla specifico fine della rieducazione del condannato, in vista del suo reinserimento sociale; ad essa, quindi, spetta il compito di rendere effettivo l’art. 27 c. 3 Cost. secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”173.

Di recente, la disciplina del procedimento di sorveglianza è stata oggetto di una serie di pronunce da parte della Corte costituzionale in riferimento, appunto, all’applicazione del principio di pubblicità all’interno del suo procedimento. In particolare, nella sentenza della Corte cost. 135/2014, la questione di legittimità costituzionale aveva avuto ad

172 In particolare, il magistrato di sorveglianza è competente a conoscere le seguenti materie: liberazione anticipata, remissione del debito, rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie, grazia, applicazione ed esecuzione delle sanzioni sostitutive tra cui anche l’espulsione degli stranieri, sospensione e rinvio provvisorio della esecuzione della pena detentiva, misure di sicurezza, esecuzione domiciliare della pena detentiva ex lege 199/2010, esecuzione delle misure alternative, ricoveri, concessioni permessi premio e di necessità, autorizzazione telefonate e corrispondenza, approvazione dei programmi di trattamento rieducativo, reclami

avverso provvedimenti disciplinari – in

http://www.giustizia.palermo.it/TribunaleSorveglianza/i_chi_siamo.aspx

173 Ceresa – Gastaldo, Esecuzione, in Conso G. – Grevi V., Compendio di procedura

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oggetto il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza.

Con ordinanza depositata il 26 novembre 2012, infatti, il Magistrato di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 111 c. 1 e 117 c. 1 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 666 c. 3, 678 c. 1 e 679 c. 1 c.p.p. nella parte in cui non consentono che la procedura di applicazione delle misure di sicurezza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme della pubblica udienza.

Si ricordi che il magistrato di sorveglianza, quando è stata applicata (definitivamente), o deve essere ordinata successivamente, una misura di sicurezza diversa dalla confisca, ha il compito di accertare, su richiesta del Pm o di ufficio, la pericolosità sociale dell’interessato adottando, quindi, provvedimenti conseguenti, dichiarando ove occorra, l’abitualità o la professionalità nel reato174.

Ciò detto, nell’ordinanza depositata, il giudice a quo investito di un procedimento promosso d’ufficio per la dichiarazione di abitualità nel reato, riferisce che il difensore dell’interessato aveva chiesto che la procedura fosse trattata in forma pubblica.

Il rimettente, inoltre, osserva come la richiesta avanzata dal difensore non possa essere accolta in quanto l’art. 678 c. 1

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c.p.p. dispone che il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato, procede a norma dell’art. 666, ed in particolare, il c. 3 del suddetto articolo prevede che il giudice fissi la data dell’udienza in camera di consiglio; si ricordi che il procedimento in camera di consiglio, ai sensi del c. 6 dell’art. 127 c.p.p., si svolge senza la presenza del pubblico.

Con la suddetta sentenza 135/2014, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 666 c. 3. 678 c. 1 e 679 c. 1 c.p.p. nella parte in cui non consentono che la procedura di applicazione delle misure di sicurezza si svolga, su istanza di parte, davanti al Tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica.

Infatti, per la Corte costituzionale non vi è dubbio che scopo del procedimento di sicurezza è l’accertamento della concreta pericolosità sociale del soggetto che dovrebbe essere sottoposto a misure di sicurezza con la conseguenza che, tale contenzioso è privo del carattere squisitamente tecnico che consentirebbe di derogare il controllo del pubblico sull’esercizio della giurisdizione.

Perfino l’esigenza di proteggere la riservatezza delle persone coinvolte perde rilevanza proprio perché, nella

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direttamente all’interessato la scelta di richiedere la pubblica udienza175.

Le suddette ragioni, quindi, esaltano l’esigenza di garanzia e controllo sottese al principio di pubblicità delle udienze venendo quindi a rilevare, per la Consulta, come sia indispensabile che le persone coinvolte nel procedimento abbiano la possibilità di chiederne lo svolgimento, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme della pubblica udienza.

Si osservi come la pronuncia in esame sia strettamente collegata176 alla già analizzata sentenza di accoglimento n°

93/2010, con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l’art. 117 c. 1 Cost., l’art. 4 L. 1423/1956 e l’art. 2 ter della L. 575/1965, nella parte in cui non consento che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga davanti al tribunale e alla Corte di appello nelle forme dell’udienza pubblica.

175 Lorenzetto E., Applicazione delle misure di sicurezza innanzi al giudice di

sorveglianza: una declaratoria di incostituzionalità “convenzionale” imposta dal principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, in Diritto penale contemporaneo,

28 maggio 2014, www.penalecontemporaneo.it

176 La sent. 135/2014, si inserisce in una giurisprudenza, ormai consolidata, che partendo dalle note sent. c.d. “gemelle” del 2007, ha consentito alla Corte cost. di realizzare un meccanismo di integrazione del sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali. Conseguentemente, ove si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma CEDU, il giudice nazionale deve verificare in via preliminare la possibilità di una interpretazione della norma interna conforme alla norma CEDU; qualora tale situazione risulti impraticabile, il giudice deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost.

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Entrambe le sentenze evidenziano come la Corte costituzionale abbia accuratamente evitato la strada consistente nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell’art. 127 c. 6 c.p.p.; evitando tale via, dunque, la Corte costituzionale ha voluto precisare, volta per volta, a quali procedimenti camerali estendere la portata precettiva dell’art. 6 della CEDU.

La sent. 135/2014 ha rappresentato il risultato di uno slancio interpretativo della Corte costituzionale poiché la stessa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, delle norme sopra elencate, a prescindere da uno specifico pronunciamento sul punto da parte della Corte di Strasburgo177.

Tale slancio interpretativo è proseguito nella vicenda che ha portato alla successiva sent. della Corte cost. 97/2015 in cui, con ordinanza del 14 luglio 2014, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 111 c. 1 e 117 c. 1 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 666 c. 3 e 678 c. 1 c.p.p. nella parte in cui non consentono che il procedimento innanzi il Tribunale di Sorveglianza nella materie di competenza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme della pubblica udienza.

La domanda, di cui fu investito il giudice a quo, aveva ad oggetto la concessione della detenzione domiciliare ai sensi

177 Bongiorno L., Riti camerali e pubblicità delle udienze tra giurisprudenza europea e

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dell’art. 47 ter L. 354/1975 - norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà – presentata ai sensi dell’art. 656 c. 5 c.p.p. da una persona condannata alla pena di due anni e otto mesi di reclusione; si specifica che il difensore dell’interessato aveva chiesto che il procedimento fosse trattato in “forma pubblica”.

Anche in questo caso, così come nella citata sent. 135/2014, il giudice rimettente osservava come tale pretesa non poteva essere accolta in quanto la disposizione posta all’art. 678 c. 1 c.p.p. stabilisce che il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, procede a norma dell’art. 666 c.p.p..

In particolare, il Tribunale di sorveglianza di Napoli aveva sollevato, in riferimento agli artt. 111 c. 1 e 117 c. 1 Cost. questione di legittimità costituzionale degli artt. 666 c. 3 e 678 c. 1 c.p.p. “nella parte in cui non consentono che il procedimento innanzi al Tribunale di sorveglianza nelle materie di competenza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme della pubblica udienza”178.

Il giudice a quo rilevava come, in base al combinato disposto degli artt. 678 c. 1, 666 c. 3 e 127 c. 6 c.p.p., il dettato normativo risultasse, quindi, inequivoco nello

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stabilire che il procedimento avrebbe, necessariamente, dovuto svolgersi senza la presenza del pubblico.

Il Tribunale riteneva quindi che le norme censurate sarebbero state in contrasto con l’art. 117 c. 1 Cost. e, in via interposta, con l’art. 6 par. 1 CEDU nella parte in cui afferma il principio di pubblicità nei procedimenti giudiziari; inoltre, le stesse disposizioni avrebbero violato anche le norme del “giusto processo” ai sensi dell’art.111 Cost..

È opportuno ricordare, inoltre, come nelle sue precedenti pronunce179 - analizzate nei paragrafi precedenti - la Corte

di Strasburgo ha ritenuto che le procedure in camera di consiglio si pongano in contrasto con l’indicata garanzia convenzionale, che tutela le persone soggette a giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce uno dei mezzi per preservare la fiducia nei giudici; ha osservato, inoltre, che in situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare, si può giustificare l’assenza di una udienza pubblica; tuttavia, l’udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, deve essere strettamente imposta dalle circostanze della causa.

Alla luce di tutto ciò, la Corte costituzionale ritiene che le conclusioni raggiunte con la sent. 135/2014 in materia di misure di sicurezza debbano essere estese anche al

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procedimento in esame; infatti, la scelta sulla concessione di misure alternative, sulla liberazione condizionale, sul differimento di esecuzione delle pene, sulla loro sospensione, etc., incidono in modo particolarmente rilevante sulla libertà personale dell’interessato e lo fanno a seguito di un procedimento distinto e ulteriore a quello di cognizione, nel corso del quale vengono svolti accertamenti fattuali sulla condotta del condannato e sulla sua pericolosità sociale.

Specificato ciò, in ragione dell’importanza della “posta in gioco” e, tenuto conto di quanto previsto all’interno dell’art. 6 CEDU par. 1, la Corte costituzionale nella sentenza in esame ritiene che le persone coinvolte nel procedimento debbano avere la possibilità di richiedere che questo si svolga in forma pubblica180.

In conclusione, la Corte costituzionale giunge a dichiarare l’illegittimità costituzionale degli artt. 666 c. 3 e 678 c. 1 c.p.p., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell’udienza pubblica.

Pochi mesi dopo l’emanazione della sentenza 97/2015, la Corte costituzionale si è pronunciata con sent. 109/2015

180 Carboni L., La Corte costituzionale prosegue il suo cammino verso l’affermazione

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relativamente ad un procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca.

In particolare, con ordinanza depositata il 10 giugno 2014,