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Diritto penale e politica criminale

Gli aspetti di rilevanza penale nelle recenti riforme della Pubblica Amministrazione

2. Diritto penale e politica criminale

A livello di metodo, per una migliore comprensione degli strumenti a di- sposizione del legislatore per perfezionare il contrasto dei reati posti a tutela del buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), occorre ben distinguer i vari piani di intervento a disposizione, delineando chiaramen- te i confini fra il diritto penale e le politiche criminali, anche con alcuni cenni di carattere storico.

Il ruolo della politica criminale e, più in generale, della criminologia rispet- to al diritto penale è quello di dare a quest’ultimo «indicazioni utili per verifi- carne la legittimità umana e sociale ed offre suggerimenti utili per il cambia- mento. Circa le condotte da punire, la criminologia, libera dai vincoli formali della legge, lavora con una nozione sostanziale di illecito» (S. VINCIGUERRA,

Principi di criminologia, II ed., Padova, 2005, 124). Tale importante funzione,

storicamente, perde la sua rilevanza ad opera dell’indirizzo tecnico-giuridico. Non si può non ricordare, infatti, che in seno alla Scuola classica di diritto penale, era d’uopo un approccio alle fattispecie ricco di considerazioni de iure

condendo.

Si pensi, in tema di delitti contro la Pubblica Amministrazione, ad esempio, alle osservazioni svolte da Carrara nel suo Programma del corso di diritto pe- nale. Così, per quanto concerne il rapporto tra il delitto di corruzione e quello di concussione, secondo l’illustre penalista «spetta alla prudenza del giudice cercare nelle circostanze dei casi più sicuri criterii; ma quante volte apparisca loro in qualche modo dubbiosa la pravità d’intenzione nel privato, adottino pu- re con coraggio il titolo di concussione a preferenza di quello di corruzione, serbino la severità loro contro la perfidia dell’ufficiale e la loro pietà verso il privato, e vivano sicuri che la pubblica opinione renderà omaggio alla loro giustizia. È però vero che i giudici avranno rara occasione di porre in opera questi consigli per la deplorabile rarità delle accuse di concussione» (F. CAR- RARA, Programma del corso di diritto criminale, V, IV ed., Lucca, 1881, 163- 164).

Con l’affermarsi del c.d. Indirizzo tecnico-giuridico, «fin dai primi anni del Novecento è divenuta prevalente la tendenza a ridurre la politica criminale a politica penale. Ne sono causa, da un lato, i giuristi, sempre più arroccati dopo la prolusione di Arturo Rocco, entro le maglie del tecnicismo giuridico, non- ché dall’altro, gli orientamenti di una scineza criminologica che, pur muoven- do da concezioni plurifattoriali della criminalità, si viene attestando – e il pro- cesso resiste tuttora – su basi più cliniche che sociologiche» (F. BRICOLA, Po-

litica penale e scienza del diritto penale, Bologna, 1997, 102).

indagine sulle capacità generalpreventive delle fattispecie, come pure dello studio di meccanismi di prevenzione. Tale tendenza si manifesta nella consa- pevolezza della dottrina penalistica che «quello del giurista che si isola nella torre d’avorio delle forme pure è atto di superbia e di ignoranza, che non può far progredire la scienza giuridica; ma è pure atto di superbia e ignoranza quello dello scienziato che pretende di costruire le sue classificazioni, trascu- rando la realtà delle norme giuridiche e troppo indulgendo a generalizzazioni che non tengono conto del coefficiente di variabilità e dei limiti inderogabili posti dalla scienza sperimentale all’ansia degli studiosi» (P. NUVOLONE, Dirit-

to penale e criminologia, in S. FERRACUTI (a cura di), La criminologia e il di-

ritto penale, in Trattato di criminologia, medicina criminologia e psichiatria forense, a cura di S. Ferracuti, Milano, vol. III, 1987, 14).

Tali temi afferiscono al campo della politica penale o, più ampiamente, del- la politica criminale.

Il rapporto tra queste due branche è di contenuto a contenitore. In particola- re «in riferimento agli identici fini perseguiti, quelli cioè di diminuire la cri- minalità, mentre la politica penale si snoda attraverso i canali istituzionali e si avvale esclusivamente dei mezzi del diritto penale, la politica criminale può prescindere dai mezzi di carattere penale ed è aspetto della politica sociale. Ossia: per la politica penale il diritto penale è l’unico mezzo utilizzabile, per la politica criminale, viceversa, il diritto penale svolge il ruolo di extrema ratio rispetto alla politica sociale» (S. VINCIGUERRA,Principi di criminologia, cit., 127; sul tema, inoltre, F. BRICOLA, Politica criminale e politica penale del-

l’ordine pubblico (a proposito della legge 22 maggio 1975 n. 152), in Quest. crim., 1975, 221, ora in Scritti di diritto penale, II, 1, 1997, 2601). Sulle varie

nozioni di «politica criminale» v. F. BRUNO,S.FERRACUTI, La ricerca scienti-

fica in criminologia e la formulazione della politica criminale, in S. FERRA- CUTI (a cura di), cit., 159). «Può dirsi oggi verità almeno teoricamente acquisi- ta che la politica criminale, mentre da un lato ricomprende in sé la politica

penale, che di quella è soltanto un capitolo, dall’altro è a sua volta soltanto un

settore particolare della politica generale, non essendo solamente politica legi- slativa, ma anche sicuramente politica giudiziaria, amministrativa e ampiamente sociale» (F. MANTOVANI, Il problema della criminalità, Padova, 1984, 8).

In definitiva, «alla politica criminale è assegnata specialmente la funzione di sottoporre ad esame la zona di rischio penale ed eventualmente di tracciarla nuovamente, come pure di assicurare l’affermazione del diritto penale nell’ap- plicazione giudiziaria e nel processo penale, nella lotta preventiva alla crimi- nalità, nella fase di superamento delle conseguenze del reato e nella prospetti- ca del diritto penale del futuro. La politica criminale si può perciò definire in breve come la produzione e la realizzazione dei principi dell’ordinamento nel

campo dell giustizia penale» (H. ZIPF, Politica criminale, Milano, 1989, 14). Risulta necessario, pertanto, che la prevenzione rispetto a determinati reati passi primariamente attraverso la punizione delle condotte che non raggiungo- no il livello di offensività penale attraverso una adeguata punizione civile o amministrativa: infatti, «nello studiare il modo di punire, la politica penale non può fare a meno di constatare che alla trasgressione non si risponde sol- tanto con la sanzione penale, ma occorre modulare l’intervento sanzionatorio in guisa da coinvolgere tutte le specie di sanzione (civile, penale ed ammini- strativa), ponderandone l’uso secondo la gravità dei fatti e gli scopi che si vo- gliono raggiungere con le sanzioni» (S. VINCIGUERRA,Principi di criminolo-

gia, cit., 137).

La funzione general-preventiva del diritto penale deve, pertanto, essere si- gnificativamente supportata da meccanismi di punizione di determinati com- portamenti che potrebbero sfociare in reati già dai settori di riferimento. Solo in questo modo si può vincere la sfida a determinati illeciti e comporre «la ve- ra, forse storica alternativa dell’attuale momento penalistico ... tra un sistema orientato in via primaria alla stabilizzazione psicologica della collettività, nel quale l’interesse per l’individuo che delinque resta in second’ordine, ed un si- stema che, nel tutelare (più efficacemente) la società, miri pur sempre a com- prendere la effettiva situazione umana e sociale in cui si genera il fenomeno criminale, cercando di incidere costruttivamente su di essa» (L. EUSEBI, La

“nuova” retribuzione, in MARINUCCI, DOLCINI, Diritto penale in trasforma-

zione, Milano, 1985, 135).

L’affermarsi di tali meccanismi preventivi extrapenalistici va incontro al- l’esigenza del primato della politica criminale, la quale «richiede che la poli- tica finalizzata alla prevenzione del delitto non si esaurisca nella risposta puni- tiva, ma anzi si rassegni a questa solo dopo (e in ogni caso senza prescindere dall’esigenza) che lo stato abbia adempiuto integralmente alla lotta alle cause del crimine con gli strumenti extrapenali di prevenzione» (M. DONINI,Il volto

attuale dell’illecito penale, Milano, 2004, 78).