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Le diverse tipologie di trust in ambito societario e delle procedure

Gli strumenti di tutela del patrimonio e le procedure concorsual

2. Le diverse tipologie di trust in ambito societario e delle procedure

concorsuali

Secondo l’elaborazione dottrinale, è possibile distinguere i trust liquidatori, aventi cioè finalità di liquidazione del patrimonio sociale segregato, in rela- zione alla loro tipologia e soprattutto allo scopo enunciato. Così possono di- stinguersi:

prenditore in stato di crisi reversibile e mirano a scongiurare un’istanza di fal- limento o a favorire e supportare soluzioni negoziali della crisi (ad esempio per rendere maggiormente appetibile una proposta di concordato può essere costituito con beni personali dell’imprenditore o di terzi), specialmente diffusi come si vedrà innanzi nelle procedure di concordato preventivo; in tal caso il

trust è concluso quale alternativa alle misure concordate di risoluzione della

crisi d’impresa

2) i trust “puramente liquidatori”, che realizzano una modalità alternativa alla liquidazione disciplinata dagli art. 2487 ss. c.c., consentendo al trustee di eseguire le operazioni di liquidazione e all’impresa liquidata di cancellarsi dal registro; il trust viene concluso per sostituire in toto la procedura liquidatoria, al fine di realizzare con altri mezzi il risultato equivalente di recuperare l’attivo, pagare il passivo, ripartire il residuo e cancellare la società.

3) i trust “falsamente liquidatori, illeciti o anti-concorsuali” istituiti da im- prenditori già decotti che hanno soltanto lo scopo di ostacolare le pretese cre- ditorie e di procrastinare (contando sul decorso del termine annuale previsto dall’art. 10 l. fall., decorrente dalla cancellazione dal registro dell’imprese) il fallimento di un’impresa già in stato di conclamata insolvenza; in tal caso, il

trust viene a sostituirsi alla procedura fallimentare ed impedisce lo spossessa-

mento dell’imprenditore insolvente. La fattispecie è oggetto di analitica e spe- cifica trattazione nell’importante pronuncia di legittimità Cass., sez. I, n. 10105/2014.

3. Cass., sez. I, n. 10105/2014: il c.d. trust illecito, anti-concorsuale o

falsamente liquidatorio

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Roma aveva respinto il reclamo proposto, ai sensi della l. fall., art. 18, avverso la sentenza del Tribunale di Roma, che aveva dichiarato il fallimento della società ricorrente per cassazione.

La Corte territoriale aveva ritenuto la sussistenza dello stato di insolvenza, sebbene la società, già posta in liquidazione, avesse costituito un c.d. trust li- quidatorio, in cui era stata conferita l’intera azienda, comprensiva dei debiti e dei crediti, provvedendo successivamente alla cancellazione della stessa dal registro delle imprese, opinando che la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata con legge 16 ottobre 1989, n. 364, esclude si possa impedire l’appli- cazione della lex fori in tema di protezione dei creditori in caso d’insolvenza e che tale strumento sia stato utilizzato in funzione illecita, valorizzando una se- rie di accertamenti di fatto: in particolare, l’entità del debito nei confronti di

Equitalia Sud S.p.A. e gli infruttuosi tentativi di pignoramento, il ridotto attivo residuo, la costituzione del trust da parte del legale rappresentante della socie- tà che ha pure il ruolo di trustee (che se da un punto di vista formale non qua- lifica il trust come “autodichiarato” in ragione della alterità soggettiva, la cir- costanza è stata però correttamente assunta dalla corte del merito come indizio significativo della illiceità dell’atto, mancando nella sostanza un vero affida- mento intersoggettivo dei beni) ed il mancato compimento di qualsiasi concre- ta attività di liquidazione (non essendo indicato nel c.d. libro degli eventi quali di tali attività siano state avviate nei confronti dei creditori sociali) rendono apprezzabile il pericolo che il trust sia stato di fatto utilizzato per eludere la disciplina concorsuale, tenuto conto anche della successiva cancellazione della società dal registro delle imprese.

Occorre premettere che, come evidenziato dalla Corte di legittimità, la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, resa esecutiva in Italia con la citata legge n. 364/1989, quale convenzione di diritto internazionale privato, regola la possibilità del riconoscimento degli effetti in Italia ad un particolare stru- mento di autonomia negoziale proprio dei sistemi di common law, il trust.

Peraltro, in ragione della estraneità dello strumento agli istituti giuridici di molti ordinamenti, la Convenzione dell’Aja contiene plurimi limiti di efficacia per il trust. In particolare, la norma di cui all’art. 13, nell’ambito di quelle de- putate proprio a regolare le condizioni del riconoscimento, prevede: “Nessuno

Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi significativi, ad eccezione della scelta della legge applicabile, del luogo di amministrazione o della resi- denza abituale del trustee, siano collegati più strettamente alla legge di Stati che non riconoscono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”.

Essa è dunque rivolta agli Stati e costituisce una norma di preventiva chiusura, che come vedremo innanzi non sarà in concreto quella applicata dalla Cassa- zione per bloccare l’operatività interna del trust “falsamente liquidatorio”.

Nella presente pronuncia, la Cassazione si rifà all’orientamento, diffuso presso i giudici di merito, secondo cui il c.d. trust liquidatorio, inteso quale segregazione patrimoniale di tutto il patrimonio aziendale istituita per provve- dere, in forme privatistiche, alla liquidazione dell’azienda sociale – è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., allorché abbia l’effetto di sottrarre agli organi della procedura fallimentare la liquidazione dei beni in contrasto con le norme im- perative concorsuali, secondo le espresse regole di esclusione previste dall’art. 13, e art. 15, lett. e), della convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985.

L’alternatività degli strumenti lecitamente utilizzabili va esclusa, qualora non due istituti privatistici si comparino, ma strumenti di cui l’uno, quale il

trust, ancorato a regole ed interessi comunque privati del disponente, e l’altro

ta a sopravvenire nel caso di insolvenza a tutela della par condicio creditorum e che non è surrogabile da strumenti che (ove pure siano trasferiti al trustee anche i rapporti passivi) né garantiscono tale parità, né escludono procedure individuali, né prevedono trattative vigilate con i creditori al fine della solu- zione concordata della crisi, né contemplano alcun potere di amministrazione o controllo da parte del ceto creditorio o di un organo pubblico neutrale.

Del pari, altro è rispetto alle soluzioni negoziali delle crisi d’impresa il rea- lizzare un’operazione – come il trasferimento in trust dell’azienda sociale – elusiva del procedimento concorsuale e degli interessi più generali alla cui soddisfazione esso è preposto.

Ove, pertanto, la causa concreta del regolamento in trust sia quella di se- gregare tutti i beni dell’impresa, a scapito di forme pubblicistiche quale il fal- limento, che detta dettagliate procedure e requisiti a tutela dei creditori del di- sponente, l’ordinamento non può accordarvi tutela.

Il trust, sottraendo il patrimonio o l’azienda al suo titolare ed impedendo una liquidazione vigilata – in quanto rimette per intero la liquidazione dell’at- tivo alla discrezionalità del trustee – determina l’effetto, non accettabile per il nostro ordinamento, di sottrarre il patrimonio del debitore ai procedimenti pubblicistici di gestione delle crisi d’impresa ed all’attivo fallimentare della società settlor il patrimonio stesso.

Nel caso di specie, la Cassazione formula in via preliminare un giudizio di riconoscibilità del trust nel nostro ordinamento, nel raffronto con le norme in- derogabili e di ordine pubblico in materia di procedure concorsuali.

E poiché il trust – secondo gli accertamenti di merito della sentenza impu- gnata, che ha ravvisato come esso fu costituito in una situazione di insolvenza – si palesa oggettivamente incompatibile con queste, lo strumento, ponendosi in deroga alle medesime, sarà “non riconoscibile” ai sensi dell’art. 15 della Convenzione, mentre non potrà applicarsi il predetto art. 13 che si rivolge allo Stato.

Tale norma, invero, espressamente prevede che la Convenzione non possa costituire “ostacolo all’applicazione delle disposizioni della legge designata dalle norme del foro sul conflitto di leggi” in tema di “protezione dei creditori in caso di insolvenza” (ed applicandosi a società italiana disponente le dispo- sizioni della legge fallimentare interna), e l’ultimo comma aggiunge che “qua- lora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconosci- mento del trust, il giudice cercherà di attuare gli scopi del trust in altro modo”, così dunque palesando che proprio al giudice compete, e proprio per i motivi elencati nel primo comma, denegare il disconoscimento (e che dar corso alla procedura fallimentare costituisce appunto un modo compatibile con l’ordina- mento di realizzare il fine liquidatorio).

La conseguenza è che il giudice che pronuncia la sentenza dichiarativa del fallimento provvede incidenter tantum al disconoscimento del trust liquidato- rio, il quale finisce per eludere artificiosamente le disposizioni concorsuali sottraendo al curatore la disponibilità dell’attivo societario; una volta accertata la non riconoscibilità, lo strumento non produce alcun effetto giuridico nel no- stro ordinamento, in particolare non quello di creare un patrimonio separato, restando tamquam non esset; in tal caso, posto che la Convenzione ex art. 15 cit. non può costituire “ostacolo” all’applicazione della disciplina dell’insolvenza, è quest’ultima a porsi, all’inverso, come ostacolo al riconoscimento del trust.

Mentre la sanzione della nullità (ex artt. 1343, 1344, 1345 e 1418 c.c.) pre- suppone che l’atto sia stato riconosciuto dal nostro ordinamento, il conflitto con la disciplina inderogabile concorsuale determina invece la stessa inesi- stenza giuridica del trust nel diritto interno. Il trust deve essere disconosciuto dal giudice del merito, ogni volta che sia dichiarato il fallimento per essere ac- certata l’insolvenza del soggetto, ove l’insolvenza preesistesse all’atto istituti- vo. Dalla dichiarazione di fallimento deriva, quindi, l’integrale non riconosci- mento del trust, ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. e) della Convenzione, po- nendosi esso oggettivamente in contrasto con il principio di tutela del ceto creditorio e per il fatto stesso che non consente il normale svolgimento della procedura a causa dell’effetto segregativo, il quale impedirebbe al curatore di amministrare e liquidare l’azienda ed, in generale, i beni conferiti in trust.

Ne consegue che:

• la non riconoscibilità permane, sebbene il trust indichi fra i suoi scopi proprio quello di tutelare i creditori dell’impresa ricorrendo alla segregazione patrimoniale ed alla liquidazione. Invero, l’insolvenza, come non è nelle fatti- specie generali esclusa dalla mera capienza del patrimonio del debitore, così non è nella specie scongiurata dalla destinazione di quel patrimonio al soddi- sfacimento dei creditori. Ed infatti, ciò che può evitare la situazione d’insol- venza non è in sé l’istituzione del trust, ma, semmai, l’attuazione del program- ma, con l’avvenuto pagamento dei creditori e la soddisfazione delle obbliga- zioni originariamente in capo al debitore;

• nelle ipotesi in cui, come nel caso in esame, l’atto istitutivo contenga la clausola (riportata dalle parti) di risoluzione allorché sopravvenga una vicenda concorsuale nei confronti della disponente (c.d. clausola di salvaguardia), essa resta inoperante, come tutto il negozio, privo in via assoluta di effetti in quan- to non riconosciuto ab origine.

In conclusione, il trust liquidatorio in presenza di uno stato preesistente di insolvenza non è riconoscibile nell’ordinamento italiano, onde il negozio non ha l’effetto di segregazione desiderato. Pertanto l’inefficacia non è esclusa: a)

né dal fine dichiarato di provvedere alla liquidazione armonica della società nell’esclusivo interesse del ceto creditorio (od equivalenti); b) né dalla clauso- la che, in caso di procedura concorsuale sopravvenuta, preveda la consegna dei beni al curatore.

Se l’atto istitutivo del trust è tamquam non esset, occorre poi considerare quale sorte abbia il trasferimento dei beni o dell’azienda operato in favore del

trustee.

Secondo l’art. 4 della Convenzione, questa non si applica alle questioni preliminari relative alla validità degli “atti giuridici in virtù dei quali dei beni

sono trasferiti al trustee”. Alla stregua, dunque, della legge interna, dal mo-

mento che il negozio istitutivo del trust si pone come antecedente causale (al- meno dal punto di vista logico-giuridico, anche qualora contestuale) dell’attri- buzione patrimoniale operata con l’atto di trasferimento dei beni, ove non ri- conoscibile il primo diviene privo di causa il secondo (nullo per difetto di cau- sa ex art. 1418, comma 2, prima parte, c.c., perché operato in esecuzione di negozio non riconoscibile). In tal modo, il curatore, per effetto dello sposses- samento fallimentare che priva il fallito della disponibilità di suoi beni, tra i quali sono da ricomprendere tutti i diritti patrimoniali inefficacemente trasferi- ti, può materialmente procedere all’apprensione di essi.

Dalla lettura della sentenza, che ha individuato limiti specifici alla utilizza- zione del trust in materia concorsuale, possono ricavarsi i seguenti principi:

a) il trust liquidatorio, a determinate condizioni, è legittimo, anche quando si atteggia a trust interno, specialmente quale strumento finalizzato alla positi- va gestione di crisi d’impresa destinate a dar luogo a concordati preventivi, in base alle norme che negli ultimi anni tutelano la regolazione concordata del- l’insolvenza, oltre che per svolgere la liquidazione da parte di una società in bonis, senza danneggiare gli interessi dei creditori;

b) ai fini di valutarne la legittimità, non ci si può arrestare allo scrutinio della “causa astratta” e cioè del programma di segregazione con il quale un soggetto svolge una determinata attività per conto e nell’interesse di un altro soggetto, ma occorre anche valutare la “causa concreta”, che risulta dal rego- lamento d’interessi effettivamente perseguito;

c) il giudizio sulla validità dell’atto istitutivo del trust come dei susseguenti atti di attribuzione patrimoniale dev’essere preceduto da un giudizio sulla ri- conoscibilità da parte dell’ordinamento italiano del trust, dovendosi intendere che l’ordinamento italiano. disconosce, ai sensi dell’art. 15 della Convenzione dell’Aja, i trust che violino nelle materie ivi indicate principi di ordine pubbli- co propri del sistema interno (par condicio creditorum che va tutelata in caso di insolvenza nell’ambito della procedura fallimentare): nel caso d’insolvenza

dell’imprenditore che sfoci in fallimento, il patrimonio del debitore non può essere sottratto alla procedura pubblicistica di liquidazione, sostituendola con l’attività del trustee; l’ordinamento non può riconoscere un trust sostitutivo della procedura fallimentare, quando la situazione d’insolvenza sia già prodot- ta. Esso non sarebbe solo nullo, ma del tutto inesistente giuridicamente e, dunque, tamquam non esset, siccome lesivo non solo di una norma, ma di un intero plesso normativo imperativo e di ordine pubblico e, dunque, incapace di produrre alcun effetto giuridicamente rilevante. La Suprema Corte aderisce dichiaratamente, pur con un apparato motivazionale parzialmente difforme, al- l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza di merito, secondo cui il trust segregativo dell’intero patrimonio aziendale è nullo (e, per la Suprema Corte, anzi, inesistente) allorché abbia l’effetto di sottrarre agli organi della procedu- ra fallimentare la liquidazione dei beni in contrasto con le norme imperative concorsuali.

La dottrina ha evidenziato due punti deboli della predetta pronuncia: 1) in primo luogo, la tutela dei creditori è affidata in linea generale dall’or- dinamento italiano al sistema delle azioni revocatorie che notoriamente ope- rano sul piano della inefficacia relativa, e non della validità degli atti che inci- dono sulla garanzia patrimoniale: pertanto, gli atti compiuti da un imprendito- re poi fallito dovrebbero quindi essere inefficaci, e non nulli come sembra concludere la Suprema Corte;

2) in secondo luogo, non pare del tutto congruo evocare la “non riconosci- bilità” in relazione al trust c.d. interno in quanto la riconoscibilità, secondo i principi del diritto internazionale privato, parrebbe riferirsi a fattispecie inter- nazionali e non interne.

Infine, va rilevato che la Suprema Corte nulla dice espressamente con ri- guardo al caso in cui un’impresa istituisca un trust liquidatorio per favorire la propria liquidazione, trovandosi in una situazione di solvibilità ma venga suc- cessivamente dichiarata fallita. In proposito, giova rammentare che il d.l. n. 83/2015 conv. in legge n. 132/2015 ha introdotto un nuovo comma 2 all’art. 64 l. fall., il quale stabilisce che i beni trasferiti a titolo gratuito vengono ac- quisiti alla massa fallimentare mediante semplice trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Ove si consideri gratuito il trasferimento dei beni al

trustee la inefficacia dell’atto dipende oggi dall’adempimento di tale specifica