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Il nuovo codice appalti (d.lgs 18 aprile 2016, n 50)

Gli aspetti di rilevanza penale nelle recenti riforme della Pubblica Amministrazione

4. Strumenti di politica criminale

4.4. Il nuovo codice appalti (d.lgs 18 aprile 2016, n 50)

Come noto, altra recente riforma della P.A. ha riguardato l’approvazione del Nuovo codice appalti ad opera del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

Ebbene, quanto ai profili di politica criminale, occorre perlomeno menzio- nare alcune importanti novità.

Innanzitutto è stato previsto un ruolo diretto dell’ANAC nella qualificazio- ne delle stazioni appaltanti. L’art. 38 d.lgs. cit. in particolare prevede che «è istituito presso l’ANAC, che ne assicura la pubblicità, un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di commit- tenza. La qualificazione è conseguita in rapporto agli ambiti di attività, ai ba- cini territoriali, alla tipologia e complessità di contratto e per fasce di impor- to».

La stessa ANAC viene ad assumere, peraltro, un ulteriore importante ruolo nella redazione di varie linee guida, ai sensi dell’art. 36, comma 7, del nuovo codice. Sono già state predisposte linee guida in ordine ai seguenti temi: offerta economicamente vantaggiosa, responsabile unico procedimento, affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, direttore esecuzione, diretto- re dei lavori (tali linee guida sono reperibili sul sito www.anticorruzione.it).

Per quanto attiene le procedure c.d. “sottosoglia”, si segnala come l’ANAC di recente abbia avviato una consultazione finalizzata alla definizione degli aspetti di dettaglio della disciplina applicabile agli affidamenti di valore infe- riore alla soglia di rilievo europeo, chiedendo di «inviare osservazioni su tali questioni, anche prospettando soluzioni alternative, nonché ad indicare ulterio- ri elementi che si ritiene opportuno trattare nell’ambito della determinazione, indicando, se possibile, anche possibili soluzioni».

Sempre all’interno del Nuovo codice appalti, occorre segnalare con favore anche la disposizione di cui agli artt. 80 («Motivi di esclusione»).

Mentre l’art. 38 («Requisiti di ordine generale») del precedente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) contemplava più genericamente al comma I lett. c), fra l’altro, come motivo ostativo a stipulare la condanna «per partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio quali definiti dagli atti comunitari citati all’art. 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18», il nuovo art. 80 prevede espressamente la tipologia di delitti e, nel- l’ambito di quelli contro la P.A., alla lett. b), I comma i «delitti, consumati o

tentati, di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis del codice penale nonché all’articolo 2635 del codice civile». Criticabile tuttavia il fatto che il legislatore non abbia contemplato anche la turbativa d’asta di cui all’art. 353 c.p.

5. Segue: Riforma della P.A. legge 7 agosto 2015, n. 124, d.lgs. nn. 97/2016 (Trasparenza) e 116/2016 (Licenziamenti disciplinari)

La riforma della P.A. è stata oggetto di un apposito intervento del legislato- re con la legge 7 agosto 2015, n. 124 che ha previsto una serie di deleghe al governo in vari settori: cittadinanza digitale, organizzazione dello Stato sul territorio, dirigenza, anticorruzione, lavoro pubblico, Camere di commercio, enti di ricerca, società partecipate pubbliche e servizi pubblici locali, forze di polizia, conferenza dei servizi, silenzio-assenso fra amministrazioni, testi unici (per un commento v. B.G. MATTARELLA, La riforma della pubblica ammini-

strazione. Il contesto e gli obiettivi della riforma, in Giornale dir. amm., 2015,

5, 621).

In particolare l’art. 7 l. cit. ha delegato il Governo ad adottare uno o più de- creti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni nel rispetto dei principi e criteri di- rettivi stabiliti dall’art. 1, comma 35, legge 6 novembre 2012, n. 190, nonché dei seguenti principi e criteri direttivi:«a) ridefinizione e precisazione dell’am- bito soggettivo di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di tra- sparenza; b) previsione di misure organizzative, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, anche ai fini della valutazione dei risultati, per la pub- blicazione nel sito istituzionale dell’ente di appartenenza …; c) riduzione e concentrazione degli oneri gravanti in capo alle amministrazioni pubbliche, ferme restando le previsioni in materia di verifica, controllo e sanzioni; d) pre- cisazione dei contenuti e del procedimento di adozione del Piano nazionale anticorruzione, dei piani di prevenzione della corruzione e della relazione an- nuale del responsabile della prevenzione della corruzione, anche attraverso la modifica della relativa disciplina legislativa, anche ai fini della maggiore effi- cacia dei controlli in fase di attuazione, della differenziazione per settori e di- mensioni, del coordinamento con gli strumenti di misurazione e valutazione delle performance nonché dell’individuazione dei principali rischi e dei relati- vi rimedi; conseguente ridefinizione dei ruoli, dei poteri e delle responsabilità dei soggetti interni che intervengono nei relativi processi; e) razionalizzazione

e precisazione degli obblighi di pubblicazione nel sito istituzionale, ai fini di eliminare le duplicazioni e di consentire che tali obblighi siano assolti attra- verso la pubblicità totale o parziale di banche dati detenute da pubbliche am- ministrazioni»; (…) h) fermi restando gli obblighi di pubblicazione, ricono- scimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche am- ministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dal- l’ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche; …».

I primi Decreti legislativi ad essere stati emanati sono i recentissimi d.lgs. n. 97/2016 in materia di trasparenza e n. 116/2016 sui licenziamenti discipli- nari.

In particolare il primo decreto, denominato Freedom of Information Act (Foia) consente al cittadino la possibilità di accedere a dati e documenti della pubblica amministrazione anche se non sono stati resi pubblici. L’accesso a dati e documenti permette così di ridurre gli obblighi di pubblicazione delle amministrazioni.

Quanto ai riflessi penalistici, si possono ipotizzare degli influssi su abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio.

In particolare il mancato rispetto dell’obbligo di pubblicazione di determi- nati dati potrebbe rilevare come violazione di legge che, se commessa inten- zionalmente da parte del pubblico ufficiale favorendo taluno, potrebbe com- portare la commissione del delitto di abuso di ufficio ex art. 323 c.p. (che pre- vede che «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico uf- ficiale o l’incaricato di pubblico sevizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omet- tendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo con- giunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è pu- nito con la reclusione da uno a quattro anni»).

Ancora più diretto l’influsso della Foia sul delitto di omissione di atti d’uf- ficio (in particolare, art. 328, comma 2, c.p.). A fronte della richiesta del priva- to, allorché il pubblico funzionario non dovesse adempiere o non esponesse le ragioni del ritardo entro trenta giorni, correrebbe il rischio di essere condanna- to per tale fattispecie.

Grande impatto mediatico ha avuto il d.lgs. n. 116/2016 in vigore dal 13 luglio 2016 sui licenziamenti disciplinari per i dipendenti pubblici che truffano sulle presenze al lavoro.

In effetti a più riprese negli anni nelle proprie relazioni annuali la Corte dei conti ha avuto modo di segnalare il mal funzionamento dei procedimenti di- sciplinari, in particolare per: il troppo esteso lasso di tempo intercorrente fra definizione del procedimento penale ed applicazione della sanzione disciplina- ri; le gravi carenze informative fra cancellerie penali ed uffici disciplinari e la lentezza dei procedimenti disciplinari.

In effetti la materia era già stata oggetto di riforma ad opera dell’art. 69, comma 1, d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che aveva inserito nel d.lgs. n. 165/2001 l’art. 55-ter («Rapporti fra procedimento disciplinare e procedi- mento penale»), prevedendo, fra l’altro, che «il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità’ giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del pro- cedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all’articolo 55- bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedi- mento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’articolo 55-bis, com- ma 1, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare com- plessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando al- l’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irro- gazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente».

Sempre nel 2009 sono stati aggiunti gli artt. 54-quater («Licenziamento di- sciplinare») e 55-quinquies («False attestazioni o certificazioni»).

Il primo articolo prevede che «si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in ser- vizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’ammini- strazione; c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministra- zione per motivate esigenze di servizio; d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ov- vero di progressioni di carriera; e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui; f) condanna penale definitiva, in re- lazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro».

L’art. 55-quinquies («False attestazioni o certificazioni») che contempla una nuova ipotesi di reato secondo la quale «1. Fermo quanto previsto dal co- dice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che at- testa falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei si- stemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o fal- samente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto».

Ebbene il d.lgs. n. 116/2016 modifica il suddetto art. 55-quater del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, inserendo il comma 1-bis che definisce la falsa attesta- zione come «qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalen- dosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’am- ministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il ri- spetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudo- lenta».

Vengono inserite anche talune norme procedurali nell’ottica di una risposta disciplinare più rapida ed efficace. In particolare il comma 3-bis, prevede che «nel caso di cui al comma 1, lett. a), la falsa attestazione della presenza in ser- vizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensio- ne cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vi- genti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato …»; il comma 3-

ter disciplina la contestazione per iscritto dell’addebito disponendo tra l’altro

che «l’Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito. La violazione dei sud- detti termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55 bis, comma 4».

Sempre con d.lgs. n. 116/2016 si prevede che la denuncia al pubblico mini- stero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengano entro quindici giorni dall’avvio del procedimento disciplinare e la responsabilità disciplinare per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di ser- vizio competenti, omettendo di attivare il procedimento disciplinare».