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La discesa del Figlio dal cielo e la volontà del Padre e del Figlio (Jo 6.38-40 ~ vv 153-162)

I. U NA LETTURA DEL SESTO CANTO DELLA P ARAFRAS

I.1 Il sito della moltiplicazione dei pan

I.3.2 La discesa del Figlio dal cielo e la volontà del Padre e del Figlio (Jo 6.38-40 ~ vv 153-162)

katabšbhka ¢pÕ toà oÙranoà oÙc †na poiî tÕ qšlhma tÕ ™mÒn, ¢ll¦ tÕ qšlhma toà pšmyantÒj me (Jo. 6.38)

Nella P. il mondo appare diviso in due piani antitetici e opposti: sopra si trova il mondo dello Spirito, del Logos, la vera realtà, e sotto il mondo umano, tutto terrestre e carnale, non in grado di percepire la vera dimensione della natura spirituale, senza l’apporto e l’aiuto divino287. Il trait d’union tra le due sfere è rappresentato dalla discesa e dalla futura salita del Figlio di Dio288, il quale, pur appartenendo al mondo divino, pur avendo un’origine celeste, ha preferito scendere dalla dimensione trascendentale per venire in quel kÒsmoj ¢l»thj, avvolto nella tenebra e nel peccato, assumendo la natura umana: G 67-70 e„ m¾ qšskeloj oátoj, Öj ¢qan£thn ›o morf¾n / oÙranÒqen katšbainen ¢»qeϊ sarkˆ sun£ptwn, / ¢nqrèpou mÒnoj uƒÒj, Öj ¢sterÒenti mel£qrJ / p£trion oâdaj œcwn a„ènioj a„qšra na…ei289. In questo percorso discendente del Figlio, il motivo di partenza è stabilito da Cristo stesso nel voler compiere la volontà del Padre (Jo. 6.38). Se in precedenza era stato Gesù a svolgere un ruolo predominante, sia nel miracolo dei pani sia nella traversata sulle acque, adesso la sua figura si declina a favore di quella del Padre290. In Jo. 6.38-40 viene descritto il ruolo attivo della volontà del Padre nella salvezza dell’uomo, tramite l’intervento del Figlio. Il Figlio discende dal cielo, non come altri esseri celesti per fare la loro propria volontà, ma per compiere quella del Padre, mettendosi dunque completamente al suo servizio291. Il fare la volontà si traduce nella dizione nonniana dei vv. 153-154 in un voler portare a compimento gli œrga toà qeoà292: oÙ g¦r ™šldwr / ½luqon oÙranÒqen telšwn ™mÒn, ¢ll¦ tokÁoj, come del resto era stato già affermato a D 157-158 edar ™mÕn pšle moànon, Ópwj ¥trepton ™šldwr / patrÕj ™moà telšoimi e in seguito a R 10-11 aÙtÕj ™gè se gšrairon ™pˆ cqonÕj œrgon ¢nÚssaj, / neÚmasin Ømetšroisi tÒ moi pÒrej, Ôfra telšssw.

Il Cristo nonniano non ricerca il proprio onore, la propria gloria (kàdoj e tim»)293, ma si prefigge unicamente di salvare e conservare ciò che gli è stato affidato. Nonno fa risaltare l’azione primaria della volontà paterna, che agisce e affida gli uomini al Figlio, accanto a una terminologia del possesso, per esprimere che l’uomo è un dono affidato dal Padre al Figlio

286 Su questo aspetto cfr. M. de He. Velasco Lopez, Le vin, la mort et les Bienheureux (à propos des lamelles orphiques), in «Kernos» 5, 1992, pp. 209-220.

287 Cfr. G 32ss. Alla sfera esteriore appartengono l’uomo (la carne) e la sua attività (Jo. 1.13; 3.4), alla sfera spirituale Dio, il Figlio e lo Spirito (Jo. 3.6; 4.24; 6.64). Tra le due sfere c’è distinzione, ma l’uomo è in grado di passare dall’una all’altra mediante una nuova nascita (Jo. 3.6) che proviene da Dio. In Gesù le due realtà coesistono, limitando così ogni possibile traccia di docetismo. Il pane spirituale è Cristo, figlio di Giuseppe. 288 Cfr. Battaglia, pp. 119-121.

289 Cfr. anche A 39-41 qeÕj ¢n¾r / Ñy…gonoj progšneqloj, ™n ¢rr»tJ tinˆ qesmù / xunèsaj zaqšhn brotoeidši sÚzuga morf»n, nonché Cutino, pp. 237-238. Si tratta di una visione in linea con l’esegesi cirilliana, cfr. Meunier, pp. 173-178. Con toni simili è prospettata la differenza tra la venuta al mondo di Cristo e quella degli uomini in Anon., ap. Did., De Trin. 3.2 (PG 39, 792A) oÙ g¦r ¢p’ çd‹noj QeÕj ¥mbrotoj, oÙd’ ¢pÕ kÒlpwn / nhdÚoj ™k loc…hj f£oj œdraken.

290 Cfr. commento al v. 150.

291 Sulla volontà del Padre e del Figlio cfr. G. Ferraro, Mio-Tuo. Teologia del possesso reciproco del Padre e del Figlio nel Vangelo di Giovanni, Città del Vaticano 1994, pp. 52-57; Segalla, pp. 109-177; pp. 235-236.

292 Cfr. Segalla, pp. 169-175 e pp. 211-214. 293 Cfr. commento al v. 154.

(vv. 155-156). Gesù è presentato come depositario di questo dîron. Addirittura, come il Figlio è un dono del Padre, così è volontà del Padre che gli uomini siano donati al Figlio, perché Dio Padre ha di mira la salvezza completa dell’uomo. Il poeta arriva così a creare un forte legame con l’episodio della moltiplicazione: come il pane consacrato non deve andare disperso (v. 45), allo stesso modo i credenti presentati al Figlio non devono essere perduti (v. 156)294. Fin qui domina la volontà del Padre, in rapporto a quella del Figlio; in seguito, pur trattando ancora della volontà di Dio, si evidenzia anche il fine per cui il Padre affida gli uomini e il modo in cui essi devono raggiungere questo fine. Colui che rivolge uno sguardo benevolo al Figlio godrà della vita eterna (v. 160)295. Tuttavia, soltanto l’uomo che accetta di credere liberamente e spontaneamente nel Figlio perviene alla vita eterna e alla certezza che Gesù lo resusciterà nell’ultimo giorno. Anche per Nonno, credere in Cristo è un atto libero, spontaneo, in potere dell’uomo.

I.3.3 La fede e l’uomo

Nella presentazione da parte del Maestro della fede come un andare verso di lui, si può

cogliere un implicito riferimento alla volontà umana, giacché si avvicinano al Figlio soltanto coloro che vogliono dirigersi verso di lui. In effetti, già in Jo. 5 l’incredulità era un rifiuto ad andare verso il Verbo incarnato, frutto di un libero atto di volontà, un passo in cui la P. non manca di intrecciare la celerità dell’agire alla fede e alla libera volontà umana: E 158-159 kaˆ oÙ spšrcesqe maqÒntej / gr£mmata fwn»enta qel»monej e„j ™m ba…nein ~ Jo. 5.40 kaˆ oÙ qšlete ™lqe‹n prÒj me296. Nel discorso sul pane di vita Dio, chiamando tutti alla salvezza per mezzo di Cristo, presenta la fede come un dono concesso dal Padre all’umanità297. Il carattere di favore divino non sopprime la libertà dell’uomo nell’accogliere

o nel rifiutare il dono. Questa concezione è stata ben espressa alla fine del discorso di Cafarnao da Nonno: vv. 203-205 oÙ dÚnatai merÒpwn tij ˜koÚsioj e„j ™m ba…nein, / e„ m¾ ¢f’ ¹metšroio qeù pefilhmšnoj ¢n¾r / toàto gšraj dšxoito carizomšnoio tokÁoj ~ Jo. 6.65. La fede anche nell’ottica nonniana è un dono (v. 205 gšraj) che coinvolge la libertà umana. La volontà dell’uomo, come quella di Gesù, appaiono sottomesse al disegno del Padre; però sono volontà guidate liberamente, non automaticamente298. Come il Figlio accetta liberamente di compiere la volontà del Padre che lo ha mandato, ugualmente l’uomo sceglie liberamente di essere dato in dono al Figlio, attraverso un libero atto di fede che lo conduce al Padre e alla vita eterna: cfr. anche G 83-85 Ôfra min Öj dšxoito met£tropon Ãqoj ¢me…yaj, / p…stin ™j ¢stufšlikton ˜koÚsion aÙcšna k£mptwn299, / zwÁj oÙran…hj a„ènion e„j corÕn œlqV;

Una simile visione comporta come requisito di partenza che l’uomo debba far propria, ossia accettare, la rivelazione di Cristo. A tal fine, l’evangelista Giovanni usa in particolare due verbi: lamb£nw e d…dwmi. Il verbo lamb£nw conclude la traiettoria del dono di Dio nella sua venuta del mondo ed è in stretta relazione con d…dwmi; lo testimonia la frase di Giovanni Battista in Jo. 3.27: «Non può un uomo ricevere (lamb£nein) nulla, se non gli è stato donato

294 Cfr. commento ai vv. 155-156.

295 Sull’importanza del vedere-credere in Nonno cfr. infra, cap. I.6.

296 Anche nell’episodio del funzionario regio la velocità dell’agire si intreccia con la fede: D 228 kaˆ kraipnÕj ¢n¾r ™pepe…qeto mÚqJ, / 'Ihsoàj Ön œeipe, kaˆ œsticen ™lp…di peiqoàj. Per converso, in G 95-96 Cristo evidenzia lo spirito lento a credere nel Figlio di Dio: ¢n¾r kškritai oátoj, Óti bradupeiqši qumù / oÜpw p…stin œdekto.

297 Cfr. supra, cap. I.3.

298 Cfr. Segalla, pp. 312-316; Panimolle, II, pp. 179-180.

299 Per la iunctura cfr. D. 12.20; 22.73; 36.432. E’ presente anche nei Carmina di Gregorio di Nazianzo, per esprimere «subjection and humility» (vd. Simelidis, pp. 208-209). Cfr. Athan., Exp. in Ps. 45 (PG 27, 216.27-28); Jo. Chrys., Hom. I ad Corinth. III.1 (PG 61, 22.54-55).

(Ï dedomšnon) dal cielo». Giovanni utilizza lamb£nw come sinonimo di d…dwmi, «dare, donare», in quanto nella sfera dello spirito si riceve soltanto ciò che proviene dall’alto. Il verbo consente di prendere in considerazione l’atteggiamento degli uomini di fronte alla donazione divina essa: accettazione o rifiuto. Questa disposizione si origina sempre da una affezione interna, che prevede il credere oppure il non credere nel Figlio300.

La portata teologica del verbo lamb£nw in Giovanni è stata recepita da Nonno mediante la sua restituzione con dšcomai. L’uomo può accogliere o rifiutare (dšcomai / … oÙ dšcomai) liberamente (˜koÚsioj) il Figlio di Dio. Quando gli uomini non credono al Figlio di Dio, il loro atteggiamento è di rifiuto: Jo. 1.10-11 ~ A 29-31 kaˆ lÒgon oÙ g…nwsken ™p»luda kÒsmoj ¢l»thj. / ™ggÝj œhn „d…wn, ‡dioi dš min ¥froni lÚssV / æj xšnon oÙk ™gšrairon; Jo. 5.43 ~ E 163-164 Ãlqon ™gë boÒwn patrèion oÜnoma kÒsmJ, / kaˆ qeÕn oÜ me dšcesqe kaˆ oÙ pe…qesqe tokÁi301. Soltanto quando credono, accettano il Figlio e diventano

a loro volta Figli di Dio, un appellativo dalla grande rilevanza teologica, nella cui resa Nonno non si esime da un processo di amplificatio in piena autonomia, volto a trasportare il nesso in una dimensione tutta spirituale: Jo. 1.12ss. ~ A 31ss. Ósoi dš min œmfroni qumù / ¢planšej dšxanto kaˆ oÙ nÒon econ ¢l»thn, / oÙran…hn p£ntessi m…an dwr»santo tim¾n / tškna qeoà genetÁroj ¢eizèontoj ¢koÚein, / oÞj fÚsij oÙk êdine lecwi£j, oÙ b…oj œgnw / ¢ndromšou bl£sthma qel»matoj, oÙd kaˆ aÙt¾ / sarkÕj ™rwtotÒkoio gam»lioj ½rosen eÙn», / ¢ll¦ qeoà geg£asin ¢n»rota tškna tokÁoj302. Figli di Dio si diventa, non si è ab initio solo in virtù della propria natura umana. La figliolanza divina non appare come un dato acquisito a priori, un possesso statico, implicito nella propria nascita, ma piuttosto nella veste di un dono, che si riconosce e si accoglie nella fede. La fede è il potere dato per diventare figli di Dio; non una fede vaga e anonima, ma stabile, certa e costante, come precisa lo stesso Nonno. A coloro che accolgono il Verbo e che riconoscono il suo gšraj, Cristo concede tim», in linea con quel pensiero, già presente nella tradizione classica antica303 e

soprattutto nei culti misterici, dove la divinità ai suoi prescelti concede la tim», facendoli diventare ¢q£natoi304. In questo modo colui che custodirà gli insegnamenti veritieri e conformerà le sue azioni alla volontà divina, giungerà spontaneamente alla luce: G 107-109 Öj d qeoude…Vsin ™t»tuma p£nta fÚlassei, / †xetai aÙtokšlestoj, Óph f£oj, Ôfra fane…h / œrga, t£per po…hse qeoà tetelesmšna boulÍ305.

I.3.4 Il discorso del pane di vita nell’esegesi cristiana (Jo. 6.51-58)

Dalla sezione sapienziale il sermone di Cafarnao alle pericopi 51-58 passa a trattare soprattutto l’aspetto eucaristico, esperito attraverso termini nuovi rispetto al discorso precedente, ma pur sempre in uno stile tipicamente giovanneo306. Il suo tema fondamentale è l’associazione dell’azione del bere il sangue di Cristo con quella del mangiare la sua carne,

300 Cfr. Battaglia, pp. 121-122. 301

Cfr. commento al v. 122.

302 Oltre a questo passo, i testi di Giovanni, che trattano della figliolanza divina, sono: la prima parte del dialogo con Nicodemo (Jo. 3.1-8), dove si descrive tutto quello che compie lo Spirito Santo nell’uomo per realizzare la sua generazione e la sua nascita come figlio di Dio; due passi della prima lettera (1 Jo. 3.6-9; 5.18-19), in cui vengono descritti gli effetti spirituali e morali nella vita concreta del cristiano, allorché egli vive la sua divina figliolanza e diventa immune dal peccato.

303 Al riguardo si può citare, come osserva De Stefani a p. 132, un frammento di Cleante, fr. 537.36 (SVF I, 123): Ôfr’ ¨n timhqšntej ¢meibèmesq£ se timÍ.

304 Cfr. R. Reitzenstein, Die Hellenistischen Mysterienreligionen nach ihren Grundgedanken und Wirkungen, Leipzig 19273, pp. 252ss.

305 Su questi versi cfr. Cutino, pp. 240-241.