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Il dono del pane celeste, della vita eterna e della resurrezione (Jo 6.32-40 ~ vv 132 162)

I. U NA LETTURA DEL SESTO CANTO DELLA P ARAFRAS

I.1 Il sito della moltiplicazione dei pan

I.3.1 Il dono del pane celeste, della vita eterna e della resurrezione (Jo 6.32-40 ~ vv 132 162)

Ð pat»r mou d…dwsin Øm‹n tÕn ¥rton ™k toà oÙranoà (Jo. 6.32)

E’ ben noto che Giovanni utilizza spesso delle immagini, cariche di simbolismo, con lo scopo di adombrare misteri e realtà spirituali più profonde, molte delle quali, già note dall’AT, si prefiggono di spiegare e presentare meglio la figura di Cristo. Accanto all’acqua, la vite e il pastore, nel capitolo sesto il pane è il simbolo predominante, prima nella moltiplicazione e poi nel discorso di Cafarnao. Messo in relazione con una realtà dell’AT, la manna264, è presentato esplicitamente da Nonno come un dono, attraverso la sostituzione del vb. d…dwmi con Ñp£zw, esperito nella poesia tardoantica in qualità di terminus technicus per esprimere l’offerta della divinità (Doroth., Vis. [PBodmer 29] 2; Lith. Orph. 1)265 e dunque appropriato per il dono del pane disceso dal cielo266: vv. 135-137 (scil. Ð pat¾r) oÙranÒqen sofÕn ¥llon ™t»tumon

¥rton Ñp£ssei. / oátoj g¦r pšlen ¥rtoj, Öj oÙranÒqen kataba…nwn / zw¾n pasimšlousan ÓlJ dwr»sato kÒsmJ267. La posizione centrale di Öj oÙranÒqen kataba…nwn tra due verbi del donare (Ñp£ssei- dwr»sato) dimostra chiaramente che, anche per Nonno sulla falsariga giovannea, Cristo discende dal cielo quale dono di Dio268, perché conceda a sua volta la vita eterna a tutto il mondo, liberando gli uomini dalla loro instabilità e caducità269. Già in precedenza nel colloquio con Nicodemo il Panopolitano aveva fatto riferimento al LÒgoj, presentato come dono ed espressione dell’amore divino270: cfr. G 87ss. oÙ g¦r ˜Õn lÒgon uŒa pat¾r qeÕj êpase kÒsmJ, / kÒsmon †na kr…neie proèrion, ¢ll¦ pesoàsan / ¢ndromšhn †na p©san ¢nast»seie genšqlhn. Il Padre ha tanto amato il mondo peccatore da aver donato per la salvezza degli uomini il Figlio: Z 169 pat¾r zèwn me bohqÒon êpase kÒsmJ ~ G 80-82 oÛtw g¦r polÚmorfon ™f…lato kÒsmon ¢l»thn / Øyimšdwn skhptoàcoj, Óti craism»tora fwtîn / mounogenÁ lÒgon uŒa pÒren

263 Cfr. commento ad locum e infra, cap. I.5. Questa attitudine del vero credente viene espressa con una terminologia dinamica, salvaguardata e valorizzata anche da Nonno, cfr. infra, cap. I.6.

264 Cfr. R.V. Tasker, The Old Testament in the New Testament, London 1946, p. 51; C.K. Barrett, The Old Testament in the Fourth Gospel, in «JThS» 48, 1947, pp. 155-169.

265 Del resto, se soltanto con il Cristianesimo la consacrazione del pane e il suo sacrificio in quanto «corpo di Cristo» ha assunto un ruolo centrale, è anche vero che esso veniva già usato dai popoli antichi precedenti come oggetto consacrato da offrire in dono alla divinità.

266 Sul tema del dono del pane disceso dal cielo in Giovanni cfr. Battaglia, pp. 102ss.; G. Segalla, Gesù pane del cielo per la vita del mondo: cristologia ed eucaristia in Giovanni, Padova 1976. Il tema del dono svolge un ruolo importante anche nelle D., su cui vd. R. Newbold, Gifts and Hospitality in Nonnus’ Dionysiaca, in «Classical Bulletin» 77, 2001, pp. 169-185.

267 Cfr. Jo. 6. 32 epen oân aÙto‹j Ð 'Ihsoàj: 'Am¾n ¢m¾n lšgw Øm‹n, oÙ MwϋsÁj dšdwken Øm‹n tÕn ¥rton ™k toà oÙranoà, ¢ll’ Ð pat»r mou d…dwsin Øm‹n tÕn ¥rton ™k toà oÙranoà tÕn ¢lhqinÒn. Sul movimento come peculiarità di questi versi cfr. infra, cap. I.6.

268 Il termine dîron per designare il pane e il vino ha un riscontro nella liturgia egiziana e cioè nell’anafora del Papiro della J.R. Library: vd. C.H. Roberts, Catalogue of the Greek and Latin Papyri in the J.R. Library, Manchester 1938, pp. 25-28.

269 Cfr. Cyr. Al., In Jo. 1.6 (PG 73, 85D-88A) sunšcei d kaˆ gegenhmšnhn (scil. t¾n kt…sin) di’ ˜autoà, to‹j tÕ ¢ϊd…wj enai kat¦ fÚsin „d…an oÙk œcousin ˜autÕn oƒone… pwj ™gkatamignÚj, kaˆ zw¾ to‹j oâsi ginÒmenoj, †na mšnV gegonÒta, kaˆ sèzhtai kat¦ tÕn o„ke‹on ›kaston [an ˜k£stJ?] tÁj fÚsewj Óron. 270 Sull’amore in Giovanni cfr. A. Feuillet, Le mystère de l’amour divin dans la théologie johannique, Paris 1972.

tetr£zugi kÒsmJ, dove questo dono offerto tetr£zugi kÒsmJ non può non richiamare la santa croce, presentata da Nonno quale fondamento del cosmo, attraverso l’utilizzo di tutta una serie di termini legati alla sfera del quattro, numero tradizionale dell’universo terreno: cfr. T 31 tetr£poroj, 74 tetr£zux, 92 tetr£pleuroj271. Il dono si concretizza nel sacrificio dell’Incarnazione fino al supplizio della croce. Cristo con il suo sangue stillante dalla croce ha lavato i peccati del primo Adamo272, propagatore dell’umanità caduta e, disteso sulla Croce, abbraccia tutto l’Ecumene273, procurando agli uomini non più il peccato ma la salvezza. La parafrasi nonniana apre le porte ad una dimensione cosmica della redenzione. Si tratta peraltro di una visione conforme all’esegesi di Cirillo Alessandrino, che nel commentare Jo. 19.23-24 (PG 74, 660B-C) precisa: e„j tšssara mšrh t¦ toà SwtÁroj dielÒntej ƒm£tia, ¢mšriston throàsi tÕn ›na, tÁj ¢fr£stou sof…aj toà Monogenoàj dioikonomoumšnhj ésper ti kaˆ di¦ toÚto shme‹on mustikÁj o„konom…aj, di’ Âj œmelle t¦ tšssara tÁj o„koumšnhj ¢nasèzesqai mšrh. 'Emer…santo g¦r oƒone… pwj, kaˆ ¢mer…stwj œcei t¦ tÁj o„koumšnhj tšssara mšrh tÕ ¤gion Ôntwj toà LÒgou per…blhma, toàt’ œsti, tÕ sîma aÙtoà.

Come accennato in precedenza, la tradizione sapienziale identificava la manna con la Legge e con la Sapienza di Dio, che aveva la funzione di donare la vita a quanti prendevano parte al suo banchetto. Nonno esplicitamente ha sostituito alla Legge il Cristo, pane vero disceso dal cielo274. Sulla base di questa interpretazione, il poeta non identifica il pane del passato con quello elargito dal Padre. La manna è un dono appartenente alla sfera esteriore della carne (v. 130 pÒren), non in grado di elargire la vita 275, benché sia considerata dalla folla il vero pane del cielo (v. 133 Ôpaze), perché solo quello che donerà il Padre appartiene alla sfera dello spirito e vivifica (v. 135 Ñp£ssei)276. Il fine di questo dono del pane celeste è la comunicazione della vita eterna al mondo intero (v. 137), un dîron che Nonno aveva già anticipato autonomamente attraverso l’immagine del banchetto al v. 108 (e„j qal…hn ze…dwron) e poi di nuovo al v. 116 (e„lap…nhn m…mnousan ¢eizèoio trapšzhj).

Nella P. insieme al pane anche l’acqua è considerata un mezzo per ottenere la vita eterna. Nella scena della Samaritana a D 68-69 (~ Jo. 4.14), Nonno specifica che lo Ûdwr di quella sorgente ultraterrena fa sgorgare la vita eterna e non un fiume terrestre (phgÁj ™ndomÚcoio palimfuj œmpedon Ûdwr, / zwÁj ¢en£oio kaˆ oÙ cqon…ou potamo‹o)277, così che il credente viene compenetrato dall’energia divina, prodotta da quest’acqua datrice di vita eterna: H 146-148 (~ Jo. 7.38) ¢eˆ di¦ gastrÕj ™ke…nou / œmfronej aÙtocÚtJ potamoˆ zèonti ·ešqrJ / ™ndÒmucon blÚssousi palimfuj œnqeon Ûdwr 278 . Dunque, attraverso quest’acqua vitale lo Spirito e la Verità si trasformano nell’uomo in un impulso di vita, che trasporta e spinge il credente a rendere il corretto e giusto culto al Padre, rinnovato dalla partecipazione all’energia divina. Nell’episodio del paralitico, dove quest’ultimo è presentato come un morto vivente279, il parafraste non manca di sottolineare la possibilità di ottenere la vita eterna: E 93 zw¾n ¢mbros…hn, t¾n oÙ crÒnoj oden Ñlšssai; 114 zwÁj ¢qan£thj ™j ¢n£stasin, 156 zw¾n oÙ minÚqousan. Il motivo della venuta del Buon Pastore risiede nella

271 Vd. Livrea-Accorinti, pp. 264-265.

272 E’ all’interno di questo simbolismo della croce, che bisogna collocare anche il nome di Adamo, menzionato da Nonno in T 90, da spiegarsi in relazione all’acrostico dei quattro punti cardinali ('Anatol», DÚsij, ”Arktoj, Meshmbr…a). Per il simbolismo del nome di Adamo cfr. e.g. Aug., Tract. in Io. 9,14; 10,12. Per altri passi cfr. W. Berschin, Griechisch-Lateinisches Mittelalter, Bern-München 1980, pp. 66ss.; Livrea-Accorinti, p. 264, nt. 11. 273 Per altri riferimenti cfr. P. Stockmeier, Theologie und Kult des Kreuzes bei Johannes Chrysostomus, Trier 1966, pp. 120ss.

274 Cfr. cap. precedente e commento al v. 135.

275 Cfr. v. 130 oÙranÒqen pÒren ¥rton, ¢feidši daitumonÁi e Jo. 6.31 ¥rton ™k toà oÙranoà œdwken aÙto‹j fage‹n.

276 Cfr. Borgen, pp. 172-186.

277 Sul tema dell’acqua viva cfr. Daniélou, pp. 53-68.

278 Per l’accostamento di questi due passi e per la bibliografia su Jo. 7.38 cfr. Caprara, pp. 12-13. 279 Cfr. Agosti ad E 14, pp. 314-315.

volontà di voler concedere questo dono alle proprie pecore, un passo che viene così parafrasato a K 36-37 (~ Jo. 10.10): ½luqon, Ôfra l£coien ¢lwf»tJ tinˆ timÍ / zw¾n ™ssomšnhn, t¾n oÙ crÒnoj oden Ñlšssai e ripresentato anche ai vv. 99-100 (~ Jo. 10.28): ginèskw d’™m¦ mÁla: kaˆ e„n ˜nˆ p©sin Ñp£ssw / zw¾n ™ssomšnhn a„ènion. Il desiderio di voler concedere la vita eterna è menzionato nuovamente da Cristo stesso nella sua preghiera di glorificazione: Jo. 17.2 ~ P 6-7 boÚlomai e„n ˜nˆ p£ntaj, Ósouj p£roj êpasaj aÙtÒj, / zw¾n qespes…hn a„ènion amfipoleÚein; essa viene considerata una giusta ricompensa per quanti credono: U 143-144 (~ Jo. 20.31) Ümmi d peiqomšnoisin ™pouran…hj c£rin ¢rcÁj / zwÁj qespes…hj a„èniÒj ™stin ¢moib».

La vita eterna occupa chiaramente un ruolo di primo piano anche nel discorso di Cafarnao280 ed è sviluppata da Giovanni soprattutto mediante le antitesi cibo perituro-cibo imperituro, morire-vivere281. Queste coppie di opposti sono sfruttate da Nonno non solo per il banchetto terreno vs. quello eterno (vv. 115-116)282, ma anche per la manna vs. il pane celeste: vv. 174-178 oÙc oŒon tÕ p£roiqen… / Ømšteroi glukÝn ¥rton ™qoin»santo tokÁej / kaˆ q£non ™n skopšloisin Ñriplanšej metan£stai. / toàton ¢n¾r ™p£rouroj ™t»tumon ¥rton ™ršptwn / zw¾n Ôyetai oátoj. La vita eterna si presenta allora come il risultato di una duplice fonte complementare: una soggettiva, la fede, di cui parteciperà il credente (vv. 160-161 Ôfra ke p©j ÐrÒwn me, pan…laon Ômma tita…nwn, / zwÁj ™ssomšnhj a„ènion e„j corÕn œlqV) e una oggettiva, il nutrirsi del pane celeste (v. 172 ™x ™mšqen z»seien ™mÕn dšmaj e„lapin£zwn)283. E’ una qualità che non appartiene alla sfera naturale, poiché non viene applicata alla vita fisica, ma è collegata all’idea della indistruttibilità e della trascendenza, elementi propri di un mondo superiore e realizzati da quel pane celeste, che per sua natura è ¥fqitoj.

Accanto al dono della vita futura, Nonno non ignora la resurrezione nell’ultimo giorno, proiettata su uno sfondo escatologico. Il cibo eucaristico, con cui l’uomo per mezzo della p…stij entra in comunione, assicura il dono della vita eterna e garantisce la resurrezione nell’ultimo giorno (v. 158)284. Si tratta di quel concetto basilare sul quale è intessuta la trama dell’episodio della resurrezione di Lazzaro, dove Cristo a L 84-87 (~ Jo. 11.25-26) proclama solennemente nella riscrittura nonniana:

zw¾ ™gë genÒmhn kaˆ ¢n£stasij: Öj dš ken ¢n¾r e„j ™m pisteÚseie, kaˆ e„ nškuj ¥pnooj e‡h, aâtij ¢naz»seie: kaˆ Öj fresˆ p…stin ¢šxei, oÙ qn»skei brotÕj oátoj, ›wj œti fa…netai a„èn.

Vita eterna, resurrezione e fede sono elementi portanti e inscindibili. Da tenere presente che ovviamente anche nelle D. svolge un ruolo centrale il concetto di morte e di rinascita285, un concetto che si impone attraverso le forme del mito per aprire e tracciare la strada dell’iniziazione nei misteri di Dioniso, la cui biografia appare come un graduale apprendimento di ciò che è necessario per acquisire lo status di divinità, dietro cui l’iniziando

280 Cfr. commento al v. 99.

281 Cfr. Panimolle, II, pp. 202-203; J.-N. Aletti, Le discours sur le pain de vie (Jean 6). Problèmes de composition et fonction des citations de l’Ancien Testament, in «RechSR» 62, 1974, pp.169-197; Borgen, pp. 165-172; Battaglia, pp. 182-187. Sul tema vita-morte nelle D. cfr. Newbold2, pp. 148-170.

282

Cfr. supra, cap. I.3.

283 Su quest’ultimo aspetto cfr. anche cap. I.3.5. 284 Cfr. Panimolle, II, pp. 202-205.

285 Centrale è l’episodio di Ampelo (cap. 12) con le parole di Atropo (vv. 142ss.), riprese nel lungo monologo di Dioniso (vv. 207-289): il dolore del dio, che è riuscito a revocare la morte di Ampelo mediante una sua metamorfosi, assurge a liberazione dal dolore dell’intera umanità grazie alla trasformazione del fanciullo in vite e alla nascita del vino, che scioglie le pene. Ma il dolore di Dioniso è anche figura della sua morte, perché egli è la vite e il vino: il dio dunque muore e rinasce per il bene dell’umanità.

scorgeva la possibilità di guadagnarsi una vita eterna allietata dalle gioie del banchetto e del vino286.

I.3.2 La discesa del Figlio dal cielo e la volontà del Padre e del Figlio (Jo. 6.38-40 ~ vv.