• Non ci sono risultati.

I. U NA LETTURA DEL SESTO CANTO DELLA P ARAFRAS

I.1 Il sito della moltiplicazione dei pan

I.2.1 Alla ricerca di Gesù (Jo 6.22-25 ~ vv 84-105)

Con la conclusione della tempesta al v. 83, la situazione temporale muta: al dissiparsi delle tenebre caliginose, come nel racconto di Apollonio Rodio231, sorge l’aurora (v. 84), segno di un nuovo inizio, della presenza di un altro evento miracoloso. A differenza della Vorlage, nell’ottica del poeta si tratta senza dubbio del giorno dopo i due eventi miracolosi232. La mattina seguente la folla della moltiplicazione, rimasta sulla sponda orientale, nota che nel luogo del miracolo vi è una sola barca ¢nškplooj (v. 90) e ricordando che il giorno prima vi erano soltanto due barche, quella dei discepoli per mezzo della quale era avvenuta la traversata iniziale e il loro successivo approdo a Cafarnao, e quella che avrebbe dovuto utilizzare Gesù e che invece non pare averla usata miraculi causa, intuendo ciò, vuole dirigersi anch’essa a Cafarnao233. Nella P. la folla miracolata è m£rtuj anche del miracolo della traversata sulle acque234. Del resto, la semplice notazione locale giovannea ™ke‹ di Jo. 6.22 viene sì trasformata da Nonno nella classica immagine della riva battuta dalle acque, ma con lo scopo di richiamare il miracolo della tempesta, attraverso l’insistenza della riva umida,

229 Tale possibile parallelo è già stato notato da Accorinti. Secondo lo studioso, pp. 196-198, che ha analizzato il passo in questione, il racconto dei sinottici (Mt. 14.26; Mc. 6.49 e soprattutto Lc. 24.37), nel quale i discepoli credono di vedere un fantasma, potrebbe aver influito ad una risemantizzazione dell’immagine omerica, se il nÒhma della raffigurazione nonniana allude all’apparizione di Cristo come pneàma.

230 Su questa linea interpretativa si erano già mossi, per il vangelo di Giovanni, F. Toletus, In Sacrosanctum Johannis Evangelium Commentarii, Romae 1588, pp. 555-556: «non solum ut divinam suam potentiam significaret, sed ut ea quae futura erant in hac mirabili Eucharistiae institutione praesignaret… Cito agnoscitur a discipulis nec jam phantasma videtur, quia cito surgens eos convenit et consolatur, navicula statim ad portum appellit et ventum cessat, quia jam Christus resurgens non amplius moritur, non est passibilis…»; J. Knabenbauer, Evangelium secundum Johannem, Parisiis 1906, p. 222: «ambulatione super aquas ad oculum demonstrat discipulis se posse corpus suum a legibus materiae plane eximere idque in corpus spiritale transformare» e i passi menzionati da Zarella, Gesù cammina sulle acque cit., pp. 148-149 con relative note; Godet, II, pp. 13-14: «If the multiplication of the loaves was the prelude of the offering which He would make of His flesh for the nourishment of the world, -if, in this terribile night of darkness, tempest and separation, they have experienced as it were the foretaste of an approaching more sorrowful separation, in this unexpected and triumphant return across the heaving waves, Jesus, as it were, prefigured His resurrection by means of which He will be restored to them and that triumphant ascension in which He will one day give the Church itself a share, when, raising it with Himself, through the breath of His Spirit, He will bring it even to the heavenly places»; A. Richardson, The Miracles Stories of the Gospels, London 1948, p. 117.

231 Cfr. Ap. Rh. 4.1713-1717 aÙt…ka d’ ºëj / fšggen ¢nercomšnh, toˆ d’ ¢glaÕn 'ApÒllwni / ¥lsei ™nˆ skierù tšmenoj stiÒent£ te bwmÕn / po…eon, A„gl»thn mn ™uskÒpou e†neken a‡glhj / Fo‹bon keklÒmenoi.

232 Cfr. commento al v. 87.

233 Ci ha indotti a una simile ricostruzione il prof. E. Livrea*. Cfr. commento ai vv. 84-90. 234 Cfr. commento al v. 94.

bagnata; essa pertanto diventa carica di una valenza simbolica: „kmalšhj, infatti, è in opposizione ad ¥brocon del v. 76 mentre ƒmassomšnhj ricorda la tempesta, così che viene attuata una duplice sottolineatura del secondo miracolo.

Il laÒj rifocillato, dopo aver raggiunto Tiberiade per rifornirsi di navi e partire alla ricerca di Gesù, ritorna sul luogo del miracolo dei pani, mysterium del banchetto eucaristico; non avendo trovato Cristo e sospettando qualcosa di strano, di prodigioso, per aver già constatato che la Sua nave non era scesa in mare, si dirige a Cafarnao (vv. 94-102)235. I versetti di raccordo tra la fine del miracolo sulle acque e l’inizio del discorso tra Gesù e la folla presso Cafarnao, sono inaugurati nella P. dal tema della ricerca. Desiderosa di non perdere di vista il profeta che il giorno prima aveva operato il prodigio dei pani, non trovandolo più sul luogo del miracolo (vv. 99-100 … m¾ …/ … eØrÒntej), adesso lo trova (v. 103 eØrÒntej) un po’ inaspettatamente sulla riva antistante, a Cafarnao.

I.3 Il sermone sul pane disceso dal cielo (Jo. 6.26-40 ~ vv. 106-162)236

Nella P. il rimprovero del Maestro si riallaccia proprio a questa ricerca, una sorta di caccia alla sua persona da parte della folla, che era stata sfamata il giorno prima (v. 109 oda, t… masteÚontej ƒk£nete): Egli è consapevole del fatto che la folla vuole soltanto l’operatore dei prodigi e non il Figlio di Dio. Traspare chiaramente che il motivo della sequela è tutto carnale e materiale; il pÒqoj di ritrovare nuovamente quei pani divini la trascina, visto che in precedenza è stata saziata in abbondanza (v. 113 e„lap…nhn n»riqmon ™mÁj kekÒrhsqe trapšzhj); invece di lasciarsi condurre alla fede dalla vista di quei miracoli compiuti sui malati che ridonano la zw» e dei quali è stata testimone, preferisce non abbandonare un taumaturgo, che appaga i bisogni primari e materiali (vv. 109-113). La moltiplicazione, dunque, non è stata interpretata come segno rivelatore della trascendenza del Verbo incarnato. In ragione della superficialità della loro fede, Gesù esorta i presenti ad abbandonare l’attenzione per il cibo perituro. Sublime trasposizione musicale di questo concetto è offerta dall’aria: «Chi si pasce di cibo mortale / non si pasce di cibo celeste», parole intonate dalla statua di pietra del Commendatore nel Don Giovanni di Mozart237.

Siffatta contrapposizione è stata perfettamente attuata da Nonno per il banchetto di vita terrena in contrasto con quello spirituale: vv. 115-116 da‹ta tacÝ fqimšnhn kaˆ ¢nÚssate m©llon ™ke…nhn / e„lap…nhn m…mnousan ¢eizèoio trapšzhj. Del resto, già ai versi precedenti, attraverso un’aggiunta del tutto autonoma dalla Vorlage, il poeta aveva riproposto l’opposizione tra il cibo perituro e quello duraturo, verso cui Cristo trascina gli uomini erranti, tutto ciò con lo scopo di svalutare la dimensione terrena, a favore di quella spirituale: vv. 107-108 minunqad…hj ¢pÕ forbÁj / e„j qal…hn ze…dwron ¢l»monaj ¢nšraj ›lkwn. Si tratta di quella medesima contrapposizione che anima anche l’episodio della Samaritana, dove al nutrimento perituro (D 151 da‹ta minunqad…hn) fa seguito quello vitale (v. 152 biot»sion)238, un collegamento giustamente instaurato dal poeta tra i due episodi, sulla scia forse della stessa esegesi cristiana, come dimostra Agostino, Tract. in Io. 25.10: sed dixerat cibum non qui perit, sed qui permanet in vitam aeternam, quomodo dictum fuerat muliebri illi Samaritanae: si scires qui petit a te bibere, tu forsitan postulasses ab eo, et daret tibi aquam vivam 239. Nella scena della Samaritana una simile contrapposizione riprende quella tra

235 Sul movimento di questa sezione cfr. infra. cap. I.6.

236 A causa della lacuna nella tradizione manoscritta (cfr. commento ai vv. 162-163), la parafrasi nonniana restituisce solo Jo. 6.26-40 e poi parafrasa Jo. 6.55ss.

237 Cfr. Don Giovanni, Atto secondo, scena XIV, in L. Da Ponte, Libretti viennesi, a cura di L. della Chà, I-II, Parma 1999, I, p. 749.

238 Cfr. Caprara, pp. 252-253.

l’acqua terrena e quella viva restituita da Nonno a D 44-46: “™picqon…hj ¢pÕ phgÁj / dÒj moi d…yan œconti pie‹n minuèrion Ûdwr” / aÙt¾ profronšwj a„ènion Éteej aÙtÕn / zwÕn Ûdwr, kaˆ toàto sofÕn potÕn ecen Ñp£ssai e ai vv. 62-64: Öj p…etai cqon…wn lagÒnwn minuèrion Ûdwr / p…dakoj À glukÝ n©ma camaigenšoj potamo‹o, / diy»sei pal…norsoj240. Così come per l’acqua del pozzo di Giacobbe, anche nel discorso di Cafarnao Nonno insiste sulla natura terrestre del pane, contrapposto al vero pane eterno, che come si vedrà è Cristo stesso. Per tale ragione Gesù li esorta ad operare non per il cibo perituro, ma per quello che rimane per la vita eterna.

In Jo. 6.27 il significato del vb. operare (™rg£zesqe) non appare del tutto chiaro agli interlocutori. La folla infatti, subito dopo questa esortazione, proferisce: t… poiîmen, †na ™rgazèmeqa t¦ œrga toà Qeoà (6.28), domanda alla quale Gesù risponde che una sola è l’opera di Dio, la fede: toàtÒ ™stin tÕ œrgon toà Qeoà, †na pisteÚhte e„j Ön ¢pšsteilen ™ke‹noj (6.29). La tematica della p…stij appare uno degli elementi centrali e fondamentali del discorso di Cafarnao, presentata sotto forma di immagini o simboli, volti ad esprimere l’atteggiamento del credente nei confronti di Cristo241. Già l’evangelista, fin dall’apertura del dialogo tra Gesù e la folla, aveva messo in luce l’assenza di fede dei convenuti che lo avevano seguito, non per aver visto dei segni, ma perché avevano mangiato pane a sazietà (6.26). Nonno nell’interrogatorio di Jo. 6.28 non ha mancato di restituire a pieno la mentalità

giudaica, legata al valore delle opere, non soltanto grazie al mantenimento dell’espressione œrga qeoà, ma soprattutto mediante l’inserzione di qeoterpši qesmù: vv. 120-121 e„pš, t… ken ·šxwmen, Ópwj qeoterpši qesmù / œrga qeoà telšsoimen. Il loro operare vuole essere in linea con le opere della legge, una visione alla quale si oppone fermamente il Cristo nonniano, che presenta, con estrema decisione, come unica opera cara a Dio, la fede: v. 122 Ñrq¾n p…stin œcontej. Essa, a dispetto delle opere, deve polarizzare l’esistenza umana242. La grazia prefigurata nell’Antico Testamento è offerta nel Nuovo Testamento per mezzo della p…stij.

Nella P. allora il fare per operare è in netto contrasto con il credere, la legge (qeoterpši qesmù) è in disaccordo con la fede (Ñrq¾n p…stin). Sembra riecheggiata la polemica paolina contro le opere della legge a favore della fede: davanti a Dio non si è giustificati dalle opere, ma dalla fede indipendentemente dalle opere (Rm. 3.20.27; Gal. 2.16). Lo spiega lo stesso Agostino, Tract. in Io. 25.12: Discernitur quidem ab operibus fides, sicut apostolus dicit: iustificari hominem per fidem sine operibus (Rm. 3.28); et sunt opera quae videntur bona, sine fide Christi; et non sunt bona, quia non referuntur ad eum finem ex quo sunt bona; finis enim legis Christus, ad iustitiam omni credenti (Rm. 10.4). Ideo noluit discernere ab opere fidem, sed ipsam fidem dixit esse opus. L’antica legge comandava e proibiva, ma non dava l’aiuto per osservare comandi e proibizioni, era esterna all’uomo. La nuova economia, invece, offre per mezzo della fede la grazia, un atto che, pur essendo dono di Dio, viene affidato alla libera scelta di ogni uomo243. I Giudei anche nella P. non accettano di credere semplicemente,

ma necessitano di una garanzia e nella veste di esecutore di un qeÒssuton œrgon chiedono a Cristo un segno celeste in grado di indurli a credere (v. 125 Ôfra ke peiqo…mesqa … „dÒntej)244. Poiché i loro padri hanno mangiato il cibo etereo, essi credono di sapere cosa sia questo alimento celeste; pertanto se Gesù non offre loro di nuovo la manna, promessa per la

240 Cfr. Caprara, pp. 10-11. 241

Cfr. S.A. Panimolle, Fede e Sacramento nel discorso di Cafarnao (Gv 6,26-28), in P-R. Tragan (a cura di) Fede e Sacramenti negli scritti giovannei. Atti del VI Convegno di Teologia Sacramentaria (Roma, 23-25 maggio 1983), Roma 1985, pp. 121-133.

242Nel quarto vangelo è attraverso il Figlio che è possibile conoscere il Padre e le realtà divine, mentre nell’ottica giudaica è mediante una integrità etica e lo scrupoloso ossequio del culto che si raggiunge questo fine. Cfr. commento al v. 122.

243 Cfr. Panimolle, II, p. 145 e per Nonno cfr. infra, cap. I.3.3. 244 Sull’importanza del vedere-credere in Nonno cfr. infra, cap. I.6.

fine del tempo, non può essere degno di fede245; esigono che fornisca un segno della stessa natura del prodigio della manna246.

L’amplificatio a cui Nonno sottopone la citazione scritturistica di Jo. 6.31 ai vv. 129-130 dimostra che l’episodio veterotestamentario della manna è stato interpretato nell’ottica nonniana orizzontalmente, come prefigurazione e simbolo della moltiplicazione dei pani e della venuta del vero pane dal cielo. TÒte è diventato nàn. Lo stesso Cirillo insiste sulla linea esegetica che vede negli scritti sacri una forma tipologica dei misteri; l’errore giudaico risiede nel non aver compreso che l’episodio della manna andava inteso in senso figurale: 496B ¢ll’ œdei kaˆ polÝ tÁj Qeù filait£thj latre…aj ¢pescoinismšnouj œti deiknÚein aÙtoÚj, kaˆ oÙdn Ólwj ™gnwkÒtaj tîn ¢lhqîj ¢gaqîn, toÝj o† ge tù gr£mmati tù nomikù prosedreÚontej, tÚpwn ¡plîj kaˆ schm£twn mestÕn œcousi tÕn noàn. In conformità all’esegesi antica, soprattutto con questa dell’Alessandrino247, anche per Nonno la manna è un’ombra dietro la quale si cela la vera venuta del pane dal cielo, è tÚpoj di quello futuro: Gesù pane vivo disceso dal cielo. Il popolo giudaico avrebbe dovuto scorgere che quegli elementi, caratterizzanti il miracolo veterotestamentario della manna, si erano adempiuti prima con il miracolo dei pani e poi erano stati svelati nel discorso sul vero pane celeste. Nonno sembra aver instaurato un’interpretazione tipologica tra l’episodio della manna e il pane celeste248. La folla indicibile del popolo d’Israele si rispecchia nel polÝj Ôcloj che

è giunto adesso da Gesù; la promessa della manna si attualizza con la vera venuta del pane spirituale e la folla, tanto allora quanto ora quella della moltiplicazione, non si preoccupa del significato del segno, ma pensa soltanto al piacere impuro del ventre e alla sazietà piuttosto che all’ammirazione per i miracoli:

Miracolo della → Miracolo dei manna pani- Pane celeste (vv. 129-130)

¢metr»tJ pot laù ~ vv. 11-12 ¥speton … / laÒn

oÙranÒqen pÒren ¥rton ~ v. 135 oÙranÒqen sofÕn ¥llon ™t»tumon ¥rton ¢feidši daitumonÁi ~ vv. 40-41 ¢ll’ Óte laù / peinalšJ kÒroj œske

I Giudei, pur avendo tutti gli strumenti a loro disposizione (testimonianza della Scrittura- parola e segni di Gesù), si sono mostrati incapaci di interpretare in senso spirituale tutto ciò. L’incapacità di aderire a una lettura spirituale impedisce loro di accogliere le parole della Scrittura e di credere a Gesù. Anzi secondo Agostino, richiamando il miracolo della manna,

245 Schlier, pp. 126ss.; Panimolle, II, p. 176. 246 Cfr. commento al v. 126.

247 Cfr. Cyr. Al. 501C 'Epide…xomen d di¦ p£ntwn, Óti tÕ m£nna tÕ ¢lhqinÕn aÙtÒj ™stin Ð CristÒj, æj ™n tÚpJ tù m£nna corhge‹sqai to‹j ¢rcaiotšroij nooÚmenoj par¦ toà Qeoà kaˆ PatrÒj e ancora 513B: Ãn d tÕ dîron oÙk ¢nqrwpe…aj eÛrema ceirÒj, ¢ll’ œrgon tÁj ¥nwqen c£ritoj, ™n to‹j pacutšroij katagrafoÚshj tÕ nohtÒn, kaˆ tÕn ¥rton ¹m‹n shmainoÚshj tÕn ™x oÙranoà, tÕn ÓlJ tù kÒsmJ didÒnta t¾n zw»n, kaˆ oÙc eÁÁÁÁn æj kat¦ prÒklhsin ¢potršfonta gšnoj tÕ ™x 'Isra»l.

248

Sull’interpretazione tipologica della Scrittura cfr. M. Edwards, Origen on Christ, Tropology and Exegesis, in G.R. Boys-Stone (ed.), Metaphor, Allegory and the Classical Tradition: ancient Thought and modern Revisions, Oxford 2003, pp. 235-256; M. Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica, Roma 1985. Come ha notato giustamente Tissoni, pp. 75-78, in part. p. 78, nell’opera nonniana Dioniso è figura di Cristo, proprio come Penteo lo è dei Sacerdoti del Tempio. A proposito lo studioso menziona la definizione di figura di E. Auerbach, Figura, in Studi su Dante, tr. it., Milano 19885, pp. 176-226, in part. p. 190: «La denominazione Giosuè-Gesù è dunque una profonda profezia reale o una figura anticipatrice del futuro: “figura” è qualche cosa di reale, di storico, che rappresenta e annuncia qualche altra cosa, anch’essa reale o storica».

ritengono che le Sue opere siano inferiori a quelle di Mosè, Tract. in Io. 25.12: et ut noveris quia miracula illa huic miraculo comparabant, et ideo quasi minora ista iudicabant quae faciebat Iesus.

Il punto culminante di questa sezione parafrastica va individuato nella pericope di Jo. 6.32ss., dove il Panopolitano ricrea lo sfondo sapienziale e messianico, sfruttando tutta la portata dell’immagine del cibo, datore di sof…a. Nella tradizione rabbinica, nella letteratura sapienziale e in Filone Alessandrino la manna era simbolo della sapienza e il pane offerto da Essa (Pr. 9.5) è lo stesso pane della Torà249. Tenendo conto di questa lettura, nella P.

l’impiego di sofÒj per il nuovo pane donato dal Padre è quanto mai appropriato. La manna sarà sostituita da un altro pane, questa volta vero e sapiente: Cristo stesso250. Nonno ha ricreato il contrasto tra Mosè e Gesù, tra la legge e l’insegnamento vero della Sapienza. Il pane dato da Mosè non fu il vero pane e la Legge da lui data non fu la vera Legge. Il pane e la vera Legge, che è vita eterna, sono il Figlio dell’uomo, dono di Dio. Del resto, già la presentazione iniziale di Gesù assiso sull’Ôroj Øyik£rhnon aveva lo scopo primario di presentarlo come nuovo Mosè251, pronto ad impartire nella veste di magister252 un nuovo insegnamento attraverso il miracolo dei pani e prospettato adesso attraverso il contrasto tra la manna e il pane celeste; il cibo imperituro, in grado di saziare in maniera definitiva, non risiede nella legge sinaitica, simboleggiata dalla manna, ma nella figura stessa di Gesù: la Legge è divenuta Persona253. In linea con il quarto vangelo, anche per Nonno Gesù non solo prende il posto della Sapienza, della Torà, ma addirittura porta a compimento i precetti di vita e di salvezza, contenuti nella legge mosaica, offrendo un insegnamento di natura superiore, come aggiunge Nonno al v. 134 (fšrteron … ¥rton). Dunque, il pane elargito dal Figlio dell’uomo, ossia Gesù stesso, rappresenta il compimento e allo stesso tempo il superamento del grande legislatore, secondo quanto profetizzato dalla Scrittura. Se si considera il precedente contrasto tra le opere della legge e la fede e adesso la sostituzione della Torà- Sapienza con la nuova vera Sapienza, Cristo, per Nonno sembra proprio che la verità sia entrata nel mondo non grazie a Mosè ma a Gesù: cfr. Jo. 1.17 Ð nÒmoj di¦ Mwãsšwj ™dÒqh, kaˆ ¹ c£rij kaˆ ¹ ¢l»qeia di¦ 'Ihsoà Cristoà ™gšneto e la parafrasi di Nonno ad A 52- 54: qem…stwn / b…blon Ólwn genšthj di¦ Mwsšoj êpase laù, / kaˆ c£rij ™k Cristo‹o kaˆ ¢trek…h pšle kÒsmJ. Non a caso, il poeta non si esime dal sottolineare che soltanto il pane celeste offerto da Cristo è ™t»tumoj254: v. 135 oÙranÒqen sofÕn ¥llon ™t»tumon ¥rton; v. 173 zwÁj ¥fqitoj ¥rtoj ™t»tumoj oátoj ¢koÚei. Collocando ciò all’interno della controversia tra la manna (Legge) e l’insegnamento di Cristo (vero pane) appena sopra delineata, si comprende che il pane del cielo è veritiero perché contiene la suprema verità, cioè la rivelazione definitiva della vita divina concessa dal Verbo.

Molto spesso Nonno fa emergere l’errata visione nella quale incorrono i Giudei, che, rimanendo aderenti alla lettera, non riescono a cogliere il Mistero profondo; in questo caso non comprendono che la manna è ombra di una verità superiore, prefigurazione terrena del vero immortale pane celeste. L’equivoco che si crea tra le parole di Gesù e la loro ricezione da parte della folla viene ulteriormente accentuato nella P.; infatti, la precisazione nonniana sul dono del Padre di un altro pane (v. 135 ¥llon… ¥rton) viene letta dai Giudei in un senso diverso da quello a cui Cristo si riferisce, giacché ritengono che si rinnoverà il miracolo della

249 Cfr. Borgen, pp. 147-158; Dodd, pp. 412-415; Brown, I, pp. 352-354; M. Conti, Il discorso del pane di vita nella tradizione sapienziale, Levanto 1967.

250 Cfr. v. 135 oÙranÒqen sofÕn ¥llon ™t»tumon ¥rton e commento ad locum. 251 Cfr. commento al v. 7.

252 I versi iniziali del canto Z, vv. 7-8, mostrano Gesù attorniato dai discepoli, pronto per insegnare loro. Cfr. commento al v. 8.

253 Cfr. MacCoull1, pp. 494-495; S.A. Panimolle, Il dono della legge e la grazia della verità (Gv 1.17), Roma 1973, pp. 222ss.; E. Gebremedhin, Life-Giving Blessing: An Inquiry into the Eucharistic Doctrine of Cyril of Alexandria, Uppsala 1977.

manna255. Il popolo giudaico, non comprendendo il significato del discorso, sposta la sua richiesta su un piano materiale, proprio come aveva fatto in precedenza la Samaritana e chiede di essere sfamato256. Quell’immagine del banchetto, che nelle parole di Cristo si proiettava su uno sfondo messianico, viene riportata dagli interlocutori a una dimensione terrena: banchettare di nuovo e saziarsi ampiamente, v. 140 Ôpasson ™t»tumon e„lapin£zein. Nonno ha così ricreato la contrapposizione tra «le repas sacré» e «le repas de saturation»257; mentre il primo tramite il manducare consente ai partecipanti di entrare in contatto con la divinità, presentatasi sotto forma di un sÚmbolon cultuale258 e di prendere parte alla vita eterna, il secondo è organizzato unicamente per soddisfare la fame, proprio