• Non ci sono risultati.

Il discorso del pane di vita nell’esegesi cristiana (Jo 6.51-58)

I. U NA LETTURA DEL SESTO CANTO DELLA P ARAFRAS

I.1 Il sito della moltiplicazione dei pan

I.3.4 Il discorso del pane di vita nell’esegesi cristiana (Jo 6.51-58)

donare», in quanto nella sfera dello spirito si riceve soltanto ciò che proviene dall’alto. Il verbo consente di prendere in considerazione l’atteggiamento degli uomini di fronte alla donazione divina essa: accettazione o rifiuto. Questa disposizione si origina sempre da una affezione interna, che prevede il credere oppure il non credere nel Figlio300.

La portata teologica del verbo lamb£nw in Giovanni è stata recepita da Nonno mediante la sua restituzione con dšcomai. L’uomo può accogliere o rifiutare (dšcomai / … oÙ dšcomai) liberamente (˜koÚsioj) il Figlio di Dio. Quando gli uomini non credono al Figlio di Dio, il loro atteggiamento è di rifiuto: Jo. 1.10-11 ~ A 29-31 kaˆ lÒgon oÙ g…nwsken ™p»luda kÒsmoj ¢l»thj. / ™ggÝj œhn „d…wn, ‡dioi dš min ¥froni lÚssV / æj xšnon oÙk ™gšrairon; Jo. 5.43 ~ E 163-164 Ãlqon ™gë boÒwn patrèion oÜnoma kÒsmJ, / kaˆ qeÕn oÜ me dšcesqe kaˆ oÙ pe…qesqe tokÁi301. Soltanto quando credono, accettano il Figlio e diventano

a loro volta Figli di Dio, un appellativo dalla grande rilevanza teologica, nella cui resa Nonno non si esime da un processo di amplificatio in piena autonomia, volto a trasportare il nesso in una dimensione tutta spirituale: Jo. 1.12ss. ~ A 31ss. Ósoi dš min œmfroni qumù / ¢planšej dšxanto kaˆ oÙ nÒon econ ¢l»thn, / oÙran…hn p£ntessi m…an dwr»santo tim¾n / tškna qeoà genetÁroj ¢eizèontoj ¢koÚein, / oÞj fÚsij oÙk êdine lecwi£j, oÙ b…oj œgnw / ¢ndromšou bl£sthma qel»matoj, oÙd kaˆ aÙt¾ / sarkÕj ™rwtotÒkoio gam»lioj ½rosen eÙn», / ¢ll¦ qeoà geg£asin ¢n»rota tškna tokÁoj302. Figli di Dio si diventa, non si è ab initio solo in virtù della propria natura umana. La figliolanza divina non appare come un dato acquisito a priori, un possesso statico, implicito nella propria nascita, ma piuttosto nella veste di un dono, che si riconosce e si accoglie nella fede. La fede è il potere dato per diventare figli di Dio; non una fede vaga e anonima, ma stabile, certa e costante, come precisa lo stesso Nonno. A coloro che accolgono il Verbo e che riconoscono il suo gšraj, Cristo concede tim», in linea con quel pensiero, già presente nella tradizione classica antica303 e

soprattutto nei culti misterici, dove la divinità ai suoi prescelti concede la tim», facendoli diventare ¢q£natoi304. In questo modo colui che custodirà gli insegnamenti veritieri e conformerà le sue azioni alla volontà divina, giungerà spontaneamente alla luce: G 107-109 Öj d qeoude…Vsin ™t»tuma p£nta fÚlassei, / †xetai aÙtokšlestoj, Óph f£oj, Ôfra fane…h / œrga, t£per po…hse qeoà tetelesmšna boulÍ305.

I.3.4 Il discorso del pane di vita nell’esegesi cristiana (Jo. 6.51-58)

Dalla sezione sapienziale il sermone di Cafarnao alle pericopi 51-58 passa a trattare soprattutto l’aspetto eucaristico, esperito attraverso termini nuovi rispetto al discorso precedente, ma pur sempre in uno stile tipicamente giovanneo306. Il suo tema fondamentale è l’associazione dell’azione del bere il sangue di Cristo con quella del mangiare la sua carne,

300 Cfr. Battaglia, pp. 121-122. 301

Cfr. commento al v. 122.

302 Oltre a questo passo, i testi di Giovanni, che trattano della figliolanza divina, sono: la prima parte del dialogo con Nicodemo (Jo. 3.1-8), dove si descrive tutto quello che compie lo Spirito Santo nell’uomo per realizzare la sua generazione e la sua nascita come figlio di Dio; due passi della prima lettera (1 Jo. 3.6-9; 5.18-19), in cui vengono descritti gli effetti spirituali e morali nella vita concreta del cristiano, allorché egli vive la sua divina figliolanza e diventa immune dal peccato.

303 Al riguardo si può citare, come osserva De Stefani a p. 132, un frammento di Cleante, fr. 537.36 (SVF I, 123): Ôfr’ ¨n timhqšntej ¢meibèmesq£ se timÍ.

304 Cfr. R. Reitzenstein, Die Hellenistischen Mysterienreligionen nach ihren Grundgedanken und Wirkungen, Leipzig 19273, pp. 252ss.

305 Su questi versi cfr. Cutino, pp. 240-241.

insieme all’insistenza sul cibo e sulla bevanda, quali datori della vita eterna per colui che con fede mangia la carne del Figlio e beve il suo sangue. Già l’esegesi antica all’interno del discorso di Cafarnao si concentrò sui versetti di Jo. 6.51-58, dandone tuttavia una diversa lettura307.

Il pensiero alessandrino, dedito ad un’esegesi allegorica e spirituale della Sacra Scrittura, focalizza la sua attenzione sul Logos, la Parola che discende per concedere la Sapienza. In linea con quella concezione già sviluppata da Filone d’Alessandria, che aveva interpretato la manna come il Logos divino, Clemente Alessandrino ritiene simboli di Cristo-Logos la carne, il pane, il sangue, il latte, realtà materiali che adombrano il vero nutrimento spirituale offerto ai credenti dal Logos; così nel Pedagogo, dopo aver menzionato Jo. 6.53, interpretato dai Giudei in senso letterale, precisa che il Logos è il vero brîma:

oÛtwj pollacîj ¢llhgore‹tai Ð lÒgoj, kaˆ brîma kaˆ s¦rx kaˆ trof¾ kaˆ ¥rtoj kaˆ aŒma kaˆ g£la, § p£nta Ð kÚrioj e„j ¢pÒlausin ¹mîn tîn e„j aÙtÕn pepisteukÒtwn. M¾ d¾ oân tij xenizšsqw legÒntwn ¹mîn ¢llhgore‹sqai g£la tÕ aŒma toà kur…ou: à g¦r oÙcˆ kaˆ onoj ¢llhgore‹tai; “ `O plÚnwn”, fhs…n, “ ™n o‡nJ t¾n stol¾n aÙtoà kaˆ ™n a†mati stafulÁj t¾n peribol¾n aÙtoà”: ™n tù a†mati tù aØtoà kosm»sein lšgei tÕ sîma toà lÒgou, ésper ¢mšlei tù aØtoà pneÚmati ™kqršyei toÝj peinîntaj tÕn lÒgon. “Oti d tÕ aŒma Ð lÒgoj ™st…n, marture‹ toà ”Abel toà dika…ou tÕ aŒma ™ntugc£non tù qeù […]. Fqšggetai d prÕj tÕn qeÕn tÕ aŒma, Ð lÒgoj, ™peˆ lÒgon ™m»nuen tÕn peisÒmenon308.

Origene, per il quale la Scrittura sta in un rapporto complementare con l’Eucaristia, applica i principi della lettura esegetica al Mistero Eucaristico, che va accolto nello schema di doppio livello: come la Sacra Scrittura può essere letta dai semplici, i quali si limitano a cogliere il senso letterale della Parola, mentre gli spirituali scorgono, tramite la guida dello Spirito, ciò che si cela al di sotto della lettera secondo l’assioma paolino: «La lettera uccide, mentre lo Spirito vivifica» (2 Cor. 3.6), allo stesso modo l’Eucaristia è «letteralmente» la carne ed il sangue di Cristo, ma «spiritualmente» include e si identifica con il Logos e in ultima istanza con l’interezza del Corpo di Cristo, che è la Chiesa309. Scrive infatti: «si consideri che il pane e il calice per i più semplici vanno letti secondo l’interpretazione più comune dell’Eucaristia, mentre per coloro che hanno imparato ad ascoltare più profondamente si tratta di un annuncio più divino che riguarda il nutrimento della verità del Logos»310. Nonostante la perdita di tutto il commento origeniano al capitolo sesto, da altri passi traspare che il versetto di Jo. 6.53ss. doveva essere riferito anche da Origene al Logos incarnato, l’unico in grado di nutrire coloro che credono in Lui mediante la parola di Dio311:

prÕj Ön lektšon Óti ésper potÕn tugc£nwn Ð toà qeoà lÒgoj oŒj mšn ™stin Ûdwr, ˜tšroij d onoj eÙfra…nwn kard…an ¢nqrèpou, ¥lloij d aŒma di¦ tÕ “ 'E¦n m¾ p…htš mou tÕ aŒma, oÙk œcete zw¾n ™n ˜auto‹j” (Jo. 6.53): ¢ll¦ kaˆ trof¾ legÒmenoj oÙ kat¦ tÕ aÙtÕ noe‹tai ¥rtoj zîn kaˆ s£rx: oÛtwj Ð aÙtÒj ™stin b£ptisma Ûdatoj kaˆ pneÚmatoj kaˆ purÒj, tisˆn d kaˆ a†matoj312.

307 Sull’argomento cfr. Schnackenburg, II, pp. 136-139.

308 Cfr. Clem. Al., Paed. 1.6.47.2-4 (GCS 12, ed. O. Stählin, p. 118.10ss.). Vd. inoltre V. Schmitt, Die Verheissung der Eucharistie (Joh. VI) bei den Vätern, Würzburg 1900, pp. 58-61.

309 Cfr. H. De Lubac, Storia e Spirito. La comprensione della Scrittura secondo Origene, Roma 1971, pp. 528- 539.

310 Cfr. Or., Cm. in Jo. 32.24 (GCS 10, Origenes Werke IV, p. 468.13-16).

311 Si tratta di una concezione ripresa in seguito da Eusebio di Cesarea: cfr. Eccl. th. 3.12 (ed. E. Klostermann, GCS Eusebius Werke IV, p. 168.32-35) éste aÙt¦ enai t¦ ·»mata kaˆ toÝj lÒgouj aÙtoÝj t¾n s£rka kaˆ tÕ aŒma, ïn Ð metšcwn ¢eˆ æsaneˆ ¥rtJ oÙran…J trefÒmenoj tÁj oÙran…ou meqšxei zwÁj.

Legato alla scuola antiochena, Teodoro di Eraclea opera una distinzione e spiega che la «carne» indica il discorso comprensibile dalla folla, mentre il «sangue» un insegnamento non percettibile da tutti; tuttavia lo scrittore non tralascia di affiancare ad una simile lettura anche un’interpretazione eucaristica di Jo. 6.53, a dimostrazione dunque della duplice esegesi, a cui fu sottoposto fin dall’antichità il discorso del pane313. Sebbene già Ignazio di Antiochia e Giustino avessero fornito una lettura in chiave eucaristica di Jo. 6.51-58314, si deve rivolgere lo sguardo soprattutto all’ambito della scuola alessandrina, tra cui primeggiano Ammonio e Cirillo, per intravedere nel pane di vita, un’allusione a Cristo nella veste eucaristica. Mentre Ammonio rileva che Gesù chiama pane della vita la sua propria carne, che viene mangiata ™n to‹j musthr…oij315, Cirillo Alessandrino, allorché fornisce un dettagliato commento al v. 54, richiama l’istituzione eucaristica e precisa che queste parole risultano incomprensibili per coloro che non credono, chiare per coloro che credono316. Nel cuore del periodo patristico, anche Giovanni Crisostomo, Cirillo di Gerusalemme e Teodoro di Mopsuestia danno una netta preponderanza a questa linea esegetica. Crisostomo parla del sacramento in termini molto realistici, giacché non esita ad affermare che Cristo ha concesso al credente, non solo di vederlo e toccarlo, ma anche di mangiarlo, mordere con i denti la sua carne e di saziare ogni desiderio317. Allorché arriva a commentare il riferimento al pane in 1 Cor. 10.16 si sofferma sull’unione tra il pane, corpus Christi, e il credente: «Il pane che condividiamo non è forse la comunione al corpo di Cristo? Perché ci parlò di condivisione? Perché volle significare qualcosa di più e mostrare una forte unione (sun£feia). Non solo comunichiamo con il condividere e con il ricevere, ma anche con l’essere uniti. Come infatti quel corpo è unito a Cristo, così pure noi siamo uniti a lui per mezzo di questo pane»318.

Cirillo di Gerusalemme afferma che chi partecipa all’Eucaristia realizza un’unione completa con Cristo319, così che le parole della traditio eucaristica di Paolo (1 Cor. 11) sono assolutamente vere e reali: «Dal momento che Gesù stesso si è espresso dicendo del pane: “questo è il mio corpo”, chi avrà l’ardire di dubitarne ancora? E se egli stesso ci ha assicurato dicendo: “questo è il mio sangue”, chi ne dubiterà sostenendo che non è il suo sangue?»320.

Come è stato possibile il miracolo di Cana, così adesso è possibile che il vino sia trasformato nel sangue di Cristo,che comunica la natura divina321. Pertanto l’esortazione del vescovo di Gerusalemme è categorica: «Non accostarti come ad un pane e ad un vino ordinari. Sono il corpo e il sangue di Cristo, secondo le affermazioni del Signore. Anche se i sensi ti suggeriscono il contrario, la fede ti sia di sostegno. Non giudicarne dal gusto, ma sii pienamente certo, basandoti sulla fede, di essere stato ammesso al corpo e al sangue di Cristo»322.Cirillo di Gerusalemme, dunque, precisa che il pane e il vino sono tÚpoi del corpo e del sangue di Cristo e che mediante la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo, tra

313 Cfr. Theod. Her., frr. 37 e 38 Reuss, pp. 74ss. su Jo. 6.53-54. Invece nel fr. 33 Reuss, p. 73 su Jo. 6.35 sembra rimandare a una tradizione esegetica in chiave eucaristica, visto che la stessa lettura (æj ™sqiomšnhn ™n to‹j musthr…oij) è fornita anche da Ammonio di Alessandria nel fr. 220 Reuss, p. 252.

314 Cfr. Ign. Ant., Rm. 7.3; Phld. 4.1; Sm. 7.1; Iust., I Apol. 66. Sulla dottrina eucaristica in Ignazio di Antiochia cfr. Schmitt, Die Verheissung der Eucharistie (Joh. VI) bei den Vätern cit., pp. 53-56, mentre per Giustino cfr. A.J. Bellinzoni, The Sayings of Jesus in the Writings of Justin Martyr, Leiden 1967.

315 Cfr. Amm. Al., fr. 220 Reuss, p. 252; per altri richiami vd. commento al v. 172. 316 Cfr. Cyr. Al. 577 e commento al v. 172.

317 Cfr. Jo. Chrys., Hom. 46.3 (PG 59, 260ss.). 318

Cfr. Jo. Chrys., Hom. 24.1 (PG 61, 199). Sull’interpretazione di Crisostomo cfr. V. Schmitt, Die Verheissung der Eucharistie (Joh. VI) bei den Antiochenern Cyrill von Jerusalem und Johannes Chrysostomus, Würzburg 1903, pp. 21-99.

319 Cfr. Cyr. Hier., Cat. 4.3 (SC 126, p. 136). Cfr. anche Cyr. Al., Cm. in Lc. 4; In Jo. 11.11-12 (PG 74, 561- 564); Jo. Chrys., Hom. in Mt. 82.5 (PG 58, 743-744); Nic. Cabas., De vita in Christo 4 (PG 150, 584-585). 320 Cfr. Cyr. Hier., Cat. 4.1 (SC 126, p. 134).

321 Cfr. Cyr. Hier., Cat. 4.2 (SC 126, p. 136). 322 Cfr. Cyr. Hier., Cat. 4.6 (SC 126, p. 138).

Gesù e il fedele si crea un’unione mistica. A conclusione di quanto sostenuto, menziona subito dopo il versetto di Jo. 6.53, interpretato come sarkofag…a dai Giudei323.

Spostato decisamente in senso eucaristico appare quanto espresso da Teodoro Mopsuesteno: ecce enim in mysterio eucaristico, quod apud nos perficitur in typo corporis Domini, per descensum Spiritu sancti, hoc ipsum fieri324.

Anche sul versante latino la lettura in chiave eucaristica del discorso sul pane di vita appare predominante, come dimostra Ambrogio nella sua trattazione sui misteri: Ista autem esca, quam accipis, iste panis vivus, qui descendit de caelo, vitae aeternae substantiam subministrat325, mentre Ilario di Poitiers, polemizzando con gli ariani che affermavano tra il Padre e il Figlio unicamente una unità di volontà e non di natura, insiste sul fatto che l’Eucaristia è il luogo in cui il Verbo, che mantiene l’unità di natura con il Padre, ha anche una unità di natura con gli uomini. Pertanto nell’Eucaristia sussiste l’unità piena di natura divina tra Padre e Figlio da un lato e dall’altro tra la natura umana con ogni uomo. Così, nell’Eucaristia avviene l’unificazione, attraverso l’unione della natura divina e umana, in Cristo e del Padre, del Cristo e di ogni uomo. Non a caso, Ilario quando allude all’incarnazione, parla di una concorporatio di Cristo con ogni uomo326. Cristo ha fatto corpo unico con ogni uomo, cosicché ogni corpo di uomo è anche corpo di Cristo, di cui Egli si serve per l’opera di redenzione. E nel De Trinitate scrive: «Se infatti veramente il Verbo si è fatto carne e noi con il cibo del Signore assumiamo veramente il Verbo-carne, come non si dovrebbe ritenere che non resti in noi naturalmente colui che, nato come uomo, ha assunto la natura della nostra carne inseparabile ormai da se stesso e ha mescolato la natura della nostra carne alla natura dell’eternità sotto il sacramento della carne destinata ad essere comune a noi? Così, infatti, tutti siamo una sola cosa, perché nel Cristo c’è il Padre e il Cristo è in noi. Chiunque pertanto negherà che il Padre sia per natura nel Cristo, neghi anzitutto di essere lui pure non per natura in Cristo o Cristo in lui. Perché il Padre è in Cristo e Cristo è in noi, ciò ci fa essere una sola cosa in loro»327.

Agostino d’Ippona, dal canto suo, non tralascia di offrire, insieme all’insegnamento di una reale presenza nell’eucarestia328, anche un riferimento al corpo ecclesiale di Cristo, conferendo così alla sua interpretazione una visione più ampia: Hunc itaque cibum et potum societatem vult intellegi corporis et membrorum suorum, quod est sancta ecclesia in praedestinatis et vocatis, et iustificatis, et glorificatis sanctis, et fidelibus eius329. L’esegesi agostiniana, compendiabile nella formula crede et manducasti, esercitò una forte influenza sul pensiero e nel periodo della Riforma330.

I.3.5 L’interpretazione nonniana di Jo. 6.55-58 (~ vv. 164-179)

La lacuna nella tradizione manoscritta nonniana, che comprende anche la resa parafrastica di Jo. 6.51-54331, non permette chiaramente di fornire un giudizio sicuro e completo sull’interpretazione nonniana di questi versetti (51-58), ma comunque da ciò che resta, ossia

323 Cfr. Cyr. Hier., Cat. 4.3; 4.4 (SC 126, pp. 136-138). Vd. Schmitt, Die Verheissung der Eucharistie (Joh. VI) bei den Antiochenern Cyrillus cit., pp. 4-20.

324 Cfr. Theod. Mops., Cm. in Jo. 6.63, p. 109 Vosté. 325

Cfr. Ambr., De myst. 8.47 (SAEMO 17, p. 160). 326 Cfr. Hilar., Cm. in Mt. 6.1.

327 Cfr. Hilar., Trin. 8.13 (PL 10, 245).

328 Cfr. M. Pontet, L’exégèse de S. Augustin prédicateur, Paris 1944, pp. 412ss. 329 Cfr. Aug., Tract. in Io. 26.15.

330 Cfr. J. Cavallera, L’interprétation du chap. VI de S. Jean. Une controverse exégétique au Concile de Trente, in «RHE» 10, 1909, pp. 687-709; Schnackenburg, II, p. 139.

la dizione di Jo. 6.55-58, emerge la volontà da parte del parafraste di adombrare uno sfondo eucaristico-sacramentale. Nonno sembra aderire all’interpretazione di Cirillo d’Alessandria e Ammonio, per cui nel pane e nel vino è racchiuso un mysterium. Del resto, il linguaggio di quest’ultima sezione (Jo. 6.55ss.) è così forte che non può non applicarsi all’Eucarestia332. I

versetti di Jo. 6.55-56: «La mia carne infatti è il vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne beve il mio sangue, rimane in me ed io in lui» rimandano al sacramento dell’Eucarestia, durante la cui istituzione Gesù disse ai suoi discepoli di mangiare il pane, che è il suo corpo e di bere il vino, che è il suo sangue (Mc. 14.22-25; 1 Cor. 11.23ss.). Nella P. il sostantivo omerico edar, utilizzato nella poesia antica soprattutto per l’ambrosia degli dèi, unito all’aggettivo ™t»tumon, portatore di una verità assoluta, colloca la s£rx su un piano celeste e trascendente (v. 164), che non può non richiamare la natura eucaristica, proprio come avviene al verso successivo mediante l’identificazione dell’aŒma quale nhmertj … potÒn (v. 165)333. Quella fame e quella sete, inserite inizialmente da Nonno all’interno di una dimensione fideistica (vv. 144-147)334, adesso sono rivestite della forma sacramentale335. L’istituzione eucaristica che pervade la resa di Jo. 6.55ss. è palesata anche dai versi seguenti, giacché Nonno esplicita la koinwn…a del corpo e del sangue di Cristo, che si realizza nel mistero eucaristico (v. 166 sarkÕj ™mÁj geÚsaito kaˆ a†matoj e„n ˜nˆ qesmù), in grado a sua volta di ricreare l’unione tra il credente e Cristo. Del corpo mistico tutti gli uomini diventano partecipi attraverso l’eucarestia (1 Cor. 10.16ss.), venendo così a crearsi un’unione reale e strettissima, restituita fra l’altro dal poeta mediante tutta una serie di termini afferenti all’unio: una formula di immanenza (~ v. 167 oátoj ¢n¾r ™n ™moˆ menšei), il composto in -zugoj (~ v. 167 ÐmÒzugoj)e l’immagine della dimora (~ v. 168 œmpedoj okoj), in linea peraltro con la visione cirilliana336. Nell’atto del mangiare e del bere l’uomo comunica con la divinità. Gli alimenti e il dio si identificano, così che si realizza una teofagia in vista di una unione con la divinità, al fine di ottenere la vita eterna e la resurrezione337. Non è da escludere che questi versetti giovannei fossero avvertiti dal poeta in tutta la loro vicinanza tra la

332

Poiché mangiare la carne di qualcuno appare nella Bibbia come espressione per indicare un’azione ostile (LXX Ps. 26.2; Zac. 11.9), a tal punto che nella tradizione aramaica il mangiatore di carne è il diavolo, tale azione nelle parole di Gesù dovrà assumere una valenza positiva.

333 Da tenere presente che già nell’episodio delle nozze di Cana, il vino viene sentito come antitipo del sangue di Cristo, strumento della sua passione e resurrezione che «sospinge e innalza la mancanza di vino dalla meschina realtà conviviale terrena fino al piano remoto di un bisogno escatologico di rivelazione messianica…» (Livrea1, p. 86). Il vino dunque al centro della morte e resurrezione di Cristo, prefigurazione di gioia e salvezza, proprio come nelle D., dove nell’episodio di Ampelo (capp. 10-12) Nonno ha trasposto l’idea della passione di Dioniso dall’uccisione di Zagreo, che nella tradizione orfica era fatto a pezzi dai Titani e rinasceva nel nuovo Dioniso, al momento della morte di Ampelo. La sua passione appare come smembrata fra il dio stesso sofferente per la morte del suo amato e la sua epiclesi, Ampelo, che deve morire per poter rinascere nella nuova forma salvifica della vite. Dioniso trionfa perché ha ottenuto il farmaco destinato a portare gioia e salvezza nel mondo. Dunque è sulla vite, chiamata alla rigenerazione (cfr. D. 7.1; O 1), e sul vino che si concentra l’ansia di rigenerazione del dionisismo tardoantico (cfr. Gigli1, pp. 53-54). Sono significative anche le parole pronunciate da Mete in D. 19.23-41. Dopo l’assaggio del vino, si verifica l’immediata conferma della capacità salvifica della bevanda: il dio, invocato prima come ™lp…j (19.15), adesso viene definito «luce», contrapponendosi alla morte. Nelle parole di Mete, che attende di essere iniziata ai misteri, Dioniso è celebrato come salvatore, anche se la salvezza da lui arrecata non è ultramondana, ma porta a un nuovo status in questa vita (cfr. Gonnelli, pp. 368-369).

334 Cfr. supra, cap. I.3. 335

Cfr. commento ai vv. 164-165. 336 Cfr. Meunier, pp. 188-193.

337 Chiaramente non è questa la sede appropriata, ma bisogna ricordare che il mangiare la carne umana, tema centrale di questa sezione del discorso di Cafarnao, è in verità un tratto tipico anche di altre culture, pur con implicazioni diverse. Per il mondo greco cfr. J. Kott, Mangiare Dio. Una interpretazione della tragedia greca,