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Un discorso a parte merita l'associazionismo dei dipendenti e dei lavoranti del commercio Non abbiamo molte notizie

W. H Sewell, Structure and mobility: men and women of Marseille,

II. ASSOCIAZIONISMO, SOCIABILITÀ' E PARTECIPAZIONE POLITICA

II. 5. Un discorso a parte merita l'associazionismo dei dipendenti e dei lavoranti del commercio Non abbiamo molte notizie

sull'organizzazione e sugli orari di lavoro e sui meccanismi di reclutamento nelle botteghe napoletane. Certo anche nel settore commerciale, come in quello manifatturiero, le forme di previdenza e tutela dei lavoratori sono ancora piuttosto arretrate se, come per molte attività artigianali, anche i commessi iiapoletani sentono il bisogno di dar vita ad una società di mutuo soccorso. Nel 1873 si costituisce l'Associazione di mutuo soccorso tra commessi ed apprendisti del commercio di Napoli. Gli scopi sono quelli tipici del mutualismo e tra questi c'è soprattutto quello di favorire l'istruzione dei propri soci invitandoli a seguire i corsi della scuola serale di commercio (8<) . Nonostante i pochi iscritti - nel 1881 ne conta 74{85)— l'associazione vive per parecchi anni pubblicando di volta in volta sul giornale della camera di commercio i verbali delle sedute e i propri bilanci. La Lega generale tra commessi

82) MAIC, Statistica elettorale politica e amministrativa. Prospetto degli elettori politici ed amministrativi iscritti nelle lis-te di ciascun comune e risultati delle elezioni generali politichi del 23 e 30 novembre 1890 e delle elezioni generali amministrative del 1889, Roma, 1891.

83) Cfr A. Scirocco, Politica e amministrazione a Napoli nella vita unitaria. Napoli, 1972.

84) "Economia e Finanza", a.I, n.3, 2.III.1878. 85) "La Rivista Economica", a.V., n.7, 13.11.1882.

ed apprendisti dei magazzini di Napoli nasce, forse sulle ceneri della precedente, nel 1888. Lo statuto del 1901, tra gli scopi principali dell'associazione, prevede di sussidiare i soci in caso di .malattia, di disoccupazione senza propria colpa, di aiutare la famiglia in caso di morte, di creare una sorta di ufficio di collocamento. Sono ancora completamente assenti quelle rivendica.zioni di tipo salariale e sull'orario di lavoro che sono invece parte integrante dei programmi delle associazioni che si vanno formando negli stessi anni in Inghilterra e Francia (86).

Quanto agli orari di lavoro, essi non dovevano differire molto da quelli delle prime fabbriche e degli insediamenti industriali (87) . L'unica testimonianza diretta è quella del negoziante di biancheria e maglieria Eduardo Giuseppe Ferrari che parla di un orario di lavoro "dalle otto del mattino alle nove di sera di ciascun giorno". Un'inchiesta del 1907 commissionata dall'ufficio del lavoro del Ministero di agricoltura, industria

86) Nel 1891 si costituisce in Inghilterra la National Union of Shop Assistants che tra l'altro rivendica la riduzione dell'orario di lavoro portando l'apertura dalle nove alle sette e la richiesta di includere in questo orario la sospensione di un'ora per il pasto e di mezzora per il tè, cfr W.B. Whitaker, Victorian and Edwardian shopworkers. Newton Abbott, 1973 per il

caso francese cfr Ph. Nord, Paris shopkeepers and the politics of resentment, Princeton, 1986.

87) La situazione napoletana non era molto diversa da quella di molte* grandi città europee. Una giornata di lavoro durava infatti mediamente dalle dodici alle quattordici ore in Francia (cfr E. Martin Saint Léon, Le petit commerce français, sa lutte pour la vie, Paris, 1911, p.173), anche nei grandi magazzini( T. McBride, -A woman's world. Department store and the evolution of women's employment. "French Historical Studies", vol.10 (1978), p.673); raggiungeva e superava le quattordici ore a Brema, specie nel settóre alimentare (C. Niermann et al., Petit commerce à Brème au début du xxe siècle, "Le Mouvement Social", 1979, n.108, p.137); oscillava tra le dodici e le sedici ore (in particolar modo per le botteghe dei quartieri operai) in Inghilterra ( D. Alexander, Retailing in England during the industrial revolution. London, 1’970 p.190) . Un'interessante analisi dei mutamenti nel tempo di lavoro e nella sua percezione con riferimento al terziario', in America, Inghilterra e Unione Sovietica è G. Cross (e d .), Worktime and Industrialization. An International History Philadelphia, 1988. Uno studio aggiornato della questione ancora per l'Inghilterra e per la Francia si trova in G. Cross, A Quest for Time. The Reduction of work in Britain and France. 1840-1940. Berkeley, 1989, in particolare le pp. 79-102.

e commercio parla di nove ore giornaliere per gli impiegati del commercio a Napoli; ma si tratta di un dato relativo ai soli due esercizi che hanno risposto al questionario. In realtà "per tutte le industrie e per tutto il Regno predominano di gran lunga gli orari da 10 a 11 ore, praticati nel 65,04% degli opifici comprendente il 76,05% degli operai" (8fc). Nel settore commerciale, inoltre, più ancora che in quello manifatturiero, si lavora, spesso ininterrottamente, anche la domenica. Si ha insomma la sensazione che in Italia, come in Francia, " la boutique restait [. . . ] avant la première guerre [. . . ] un secteur où les journées de travail étaient démesurées et où l'arbitraire

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des patròns pouvait encore s'exercer sans entrave" (e?) . Ancora un'inchiesta del ministero di agricoltura, industria e commercio, mette in evidenza, nel 1906, come "con poche eccezioni e di non grande importanza il lavoro festivo ha luogo in Italia in tutti gli esercizi commerciali". A Napoli, in particolare, secondo l'inchiesta che si avvale di informazioni raccolte dalla locale Camera di Commercio, di domenica le drogherie restano aperte fino alle ore 13; l'intero terziario lavora così come lavorano gli operai de'i Magazzini Generali, i fabbricanti di guanti e numerosi altri addetti alla produzione{90). Di domenica, sempre secondo la stessa inchiesta, non lavorano, invece, le industrie chimiche, quelle alimentari, quelle del lino e della canapa, le concerie, i calzolai e i costruttori di veicoli. L'inchiesta segue la presentazione di un progetto di legge sul riposo festivo e

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88) MAIC, Ufficio del lavoro, Operai ed orari negli opifici soggetti alla legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli (anno 1907). Roma, 1908.p.l4.

89) Qfr H.-G. Haupt, Les petits commercants et la politioue sociale: . l'exemple de la loi sur le repos hebdomadaire. in "Bulletin du Centre d'Histoire de la France Contemporaine", n.8, 1987, p .29.

90) MAIC, Ufficio del lavoro, Materiali per una legge sul riposo festivo. Inchiesta sul lavoro festivo in Italia e studi sulla legislazione estera. Roma, 1906, p.39 e p.116 e ss. L'inchiesta arriva dopo un ampio dibattito sul problema animato da libri e articoli di giornali e riviste. Tra gli altri cfr E. Loli-Piccolomini, Il riposo' festivo in Italia. "La Riforma Sociale"/ a.XII, voi.XV, 1905, pp.194-208.

soprattutto la mobilitazione generale che ha visto il formarsi nel paese di numerose leghe e associazioni, inizialmente di ispirazione cattolica, pronte a battersi per ottenere per tutti i lavoratori il riposo settimanale.

"La classe degli impiegati e commessi privati [...] da secoli è condannata al lavoro anche nei giorni in cui tutti fanno festa. Che anzi, vi hanno i commessi addetti alle vendite, dei magazzini e dei negozi di città, che proprio nelle domeniche sono soggetti a maggiori fatiche, in forza della antica e volgare abitudine per cui gli abitanti della campagna aspettano la domenica per affollare i negozi di mode delle città. “(91)

Così scrive uno dei più accaniti sostenitori del riposo festivo che nel 1902 pubblica un opuscolo che fa il punto sulla situazione legislativa nei vari paesi europei perorando la causa del riposo festivo e le iniziative assunte dalle varie associazioni dei commessi nel congresso di Bergamo del 1897. Proprio su questo problema nasce a Napoli, nel 1901, una Lega per il riposo festivo costituita dall 'Associazione sociale cristiana che si pàropone di raccogliere adesioni tra negozianti perché venga concesso ai commessi il riposo domenicale. L'azione è semplice: chiedere ai propri aderenti l'osservanza del riposo domenicale e soprattutto l'astensione dagli acquisti nel giorno di festa(92). Siamo ancora in quella che l'avvocato Gasparotto definisce la fase elemosiniera della battagliai93), ma lentamente si entra nel periodo dell'agitazione sociale cosciente. La lega napoletana non è isolata, ma è parte di un'iniziativa che coinvolge tutto il paese e che ha numerosi precedenti all'estero, in particolare in Germania!94), e che pur muovendo da una motivazione di carattere religioso finisce per essere fatta propria dalle camere del lavoro e dalle organizzazioni operaie e di mutuo soccorso in genere.

Per parlare delle prime lotte e rivendicazioni da parte dei commessi ci siamo dovuti spingere all'inizio del XX secolo. Ma

91) L. Gasparotto, Per un giorno di riposo, Milano, 1902, pp.12-13.

92) ASN, Questura. Gabinetto, f.90..

93) L. Gasparotto, Per un giorno. . . cit., p.25. 94) Cfr MAIC, Materiali . . . cit.

anche allora si tratterà di piccole battaglie, mentre le innovazioni nell'organizzazione del lavoro e il rispetto di alcuni fondamentali diritti arriveranno solo in seguito alle lotte degli operai delle fabbriche. Prima del periodo giolittiano le organizzazioni dei commessi si limitano al solo mutuo soccorso e non costituiscono mai una minaccia per i padroni delle botteghe. In un sistema che poggia in gran parte sulla famiglia, i dipendenti rappresentano l'anello debole: i primi ad essere licenziati perché prontamente sostituiti da un familiare del bottegaio, i primi a subire, con la decurtazione dei loro salari, gli effetti della crisi. Questa debolezza e questa ricattabilità che impediscono il precoce formarsi di una coscienza dei propri diritti, rallentano anche la formazione di una controparte padronale. Anche sul terreno della resistenza alle richieste dei dipendenti l'associazionismo piccolo borghese si rivelerà debole.