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Come è stato recentemente osservato per Terra di Bari, anche in un ambiente urbano come quello di Napoli paiono convivere più

W. H Sewell, Structure and mobility: men and women of Marseille,

I. LE FORME DEL COMMERCIO

97) Rigattieri, venditori in piazza di commestibili, venditori ambulanti di minuterie, venditori di stracci e di ossa.

1.8. Come è stato recentemente osservato per Terra di Bari, anche in un ambiente urbano come quello di Napoli paiono convivere più

circuiti di scambio. Il mercato

“sembra [...] frazionarsi in circuiti resi differenti dal tipo di merci trattate e relativamente indipendenti fra loro, i quali raramente attingono tutti i livelli dello scambio (mentre alcuni non attingono il livello basso, molti non sono oggetto del livello alto) “ (102) .

Resiste la polverizzazione di un circuito commerciale in grande misura fdTndato sull 'ambulantato; resiste il connubio produzione- vendita insieme ad altri elementi che indicano la peculiarità del sistema distributivo napoletano: stock troppo consistenti di merci che deperiscono o passano di moda, un eccessivo credito concesso -ai clienti (molto spesso non documentato neanche da una ricevutaf, un assortimento promiscuo di merci, e soprattutto prezzi caratterizzati da assoluta indeterminatezza, come è possibile evincere dalla lettura degli inventari delle botteghe e dai bilanci dei commercianti falliti. Il prezzo fisso, elemento caratteristico di un moderno sistema commerciale e distributivo, a Napoli-• quasi non esiste. Secondo il console inglese Eustace Neville Rolfe, la impossibilità di alcuna verifica sul prezzo consente a cuochi e domestici di far la cresta su diversi tipi di acquisto(103) ; e questo non solo nei mercati, ma in qualsiasi

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tipo di negozio (104) .

Il circuito dell'autoconsumo, quello dei mercati e delle fiere, quello dei negozi e quello della vendita itinerante in

città, ma anche in provincia, agiscono contemporaneamente. La

101 ) "Ibid. e M. Marmo, Tra le carceri e i mercati. Spazi e modelli storici del fenomeno camorrista, in Storia d'Italia

f. . . 1 . La Campania... cit., pp.689-730.

102) B. Salvemini, I circuiti. . . cit., pp. 49-50.

103) *E.N. Rolfe and H. Ingleby, Naoles. . . cit., p.66.

104) Cfr J.W.A. Stamer, Dolce Napoli... cit., p.76. Sulla mancanza di prezzi fissi e sulla necessità di mercanteggiare per ogni acquisto insiste anche l'inchiesta Saredo, cfr Relazione, voi.I , p .6 9 .

vendita dei prodotti alimentari si effettua quasi interamente nei mercati o in minuscole botteghe e prevede un livello bassissimo di intermediazione. La campagna entra quotidianamente in città, e non solo metaforicamente. Il latte ad esempio, come lamenta la Serao, e come notano un po' esterrefatti alcuni osservatori stranieri, si acquista direttamente da caprai e vaccai che ogni mattina conducono i propri animali sin nel pieno centro cittadino urlando perché donne e domestiche si affaccino o corran giù per le scale(105). E' la città invece ad arrivare in campagna attraverso i venditori ambulanti, soprattutto donne, che comprano da dettaglianti e a credito, piccole partite, in particolare stoffe, tessuti, oggetti di merceria, da rivendere nelle zone della periferia urbana o della provincia (1,,f ) .

Ben più sofisticate intermediazioni comporta invece la distribuzione di tessuti, abiti e delle “mode e novità" appena giunte da Parigi, da Lione e da Londra. Il settore è quasi interamente nelle mani di commissionari stranieri e di pochi

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intermediari napoletani le cui caratteristiche sembrano ancora quelle del vecchio mercante che opera contemporaneamente in diverse piazze ed esercita attività commerciali e finanziarie differenti. Ed è nel campo dei beni di lusso che si affacciano le novità più interessanti: la vendita per corrispondenza in provincia organizzata da alcuni, come per esempio quella del Grand Magasin de nouveautés- A' la ville de Naples che già agli inizi degli anni '60 nelle pubblicità sui giornali propaganda prezzi fissi e invariabili e svendite stagionali; l'apertura dei grandi magazzini Mele nel 1889 seguita da altre iniziative analoghe come l'apertura dei grandi magazzini Miccio e nel 1896 dai grandi magazzini dei fratelli Bocconi che diventeranno poi

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105) M. Serao, Il ventre di Napoli... cit.. pp.76-79; J.W.A. Stamer, Dolce Napoli... cit., p.9; E.N. Rolfe e Ingleby, Naples . . .' cit., p p .29-30 .

106) t Questo sistema sembra essere abbastanza diffuso. Numerosi commercianti falliti spiegano così l'esistenza di lunghe liste di debitori.. Legami e scambi tra negozi e commercianti ambulanti sono documentati anche per l'Inghilterra cfr G. Shaw e M.T. Wild, Retail patterns in the Victorian city, "Transactions of the British Geographers", n.s. vol.IV, 1979, p.289.

La Rinascente; la costruzione della Galleria Principe di Napoli, anche se concepita esclusivamente come operazione di arredo urbano e priva di una specifica finalità commerciale(107) .

Sono esempi isolati e che non vanno considerati nulla più che segna'li di novità. D'altronde quello di Napoli non è un caso anomalo e l'Italia intera risulta essere ben lontana da quanto avviene in altre nazioni europee (10R ) . Né sono documentabili a Napoli, se non in maniera occasionale e sporadica, iniziative sul genere delle cooperative di consumo che tanta importanza avranno in paesi come la Gran Bretagna. Quello delle cooperative di consumo è un fenomeno non solo eminentemente urbano, ma soprattutto direttamente correlato al livello di industrializzazione (109) ed a Napoli manca ancora una vera e propria classe operaia. Quelle cooperative di consumo che la White Mario, pensando appunto all'Inghilterra, proponeva ai napoletani nel 1877(n0) si sviluppano molto più tardi, hanno

107) Cfr P.Macry, Borghesie, città... cit. pp.350-351.

108) La prima catena di grandi magazzini italiani nasce a Milano ne’l 1918 e si svilupperà, tra mille difficoltà e problemi, negli anni successivi. Cfr F. Amatori, Il ritorno cit., pp.721- 728 e Id., Proprietà e direzione. La Rinascente 1917-1969, Milano, 1989. Il primo grande magazzino francese, Le Bon Marchè, era sorto nel 1852 su iniziativa di A. Boucicaut, uno degli uomini portati ad esempio dal vendutissimo Self-help di Samuel Smiles (1859). Sui grandi magazzini per la Francia si veda Ph. Perrot, Il sopra e il sotto della borghesia. Storia dell'abbigliamento nel XIX secolo [1981], Milano, 1982, p.91 e ss.; M.B. Miller, The Bon Marché: bourgeois culture and the department store. 1869-1920. Princeton, 1981 e P.G. Nord, Paris shopkeepers and the politics of resentment. Princeton, 1986 per gli effetti e le conseguenze sul commercio al dettaglio dell'affermazione dei grandi magazzini; per l'Inghilterra cfr J.H. Porter, The development of the provincial department store, 1870-1939. “Business History“, vol.XIII, 1971, pp.64-71, oltre che J.B. Jefferys, Retail... cit., e D. Alexander, Retailing... cit, passim.

109) Cfr R. Gellately, The Politics. . . cit., p. 41; G. Shaw e M.T. Wil<5, Retail patterns... cit., p.281 e P. Johnson, Saving and spending: the working-class economy in Britain. 1870-1939. Oxford, 1985, pp.126-143.

110) J. White Mario, La miseria in Napoli. Firenze, 1877, pp.248-255. Sull'argomento cfr anche le considerazioni di un altro contemporaneo: A. Betocchi, L'avvenire dell'operaio e le

spesso vita breve e nascono nel settore impiegatizio. Sono questi i casi della Cooperativa del popolo fondata nel 1898 da un gruppo di ferrovieri aderenti alla federazione socialista col compito esclusivo di spacciare pane e farina per far fronte al vertiginoso aumento dei prezzi(m ) , o della Unione Cooperativa di consumo, costituita nel 1892 fra gli impiegati del Banco di Napoli con l'intento di acquistare generi alimentari all'ingrosso

e rivenderli ai soci a prezzi più miti di quelli correnti (112) .

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1.9. Napoli soffre di una troppo netta dicotomia tra un