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La discrezionalità tecnica: dibattito dottrinale relativo alla definizione della nozione

LA DISCREZIONALITÀ NELL’ESERCIZIO DEL POTERE

5. La discrezionalità tecnica: dibattito dottrinale relativo alla definizione della nozione

Diverso dal concetto di discrezionalità amministrativa è quello di discrezionalità tecnica.

La nozione in esame ricorre molto spesso in giurisprudenza, cosa che fa comprendere come, intorno alla figura, ruotino non pochi problemi; infatti la definizione che possiamo darle ha contorni abbastanza imprecisi: può parlarsi di discrezionalità tecnica quando l’amministrazione giunga alla decisione impiegando categorie tecniche, saperi specifici, cioè che non siano propri della generalità dei soggetti (esemplificando potremmo considerare nozioni specialistiche quelle proprie della fisica, della chimica, della medicina, ecc…). Proprio per la particolarità della nozione, la dottrina da tempo ha dedicato, più che su ogni altra questione, una speciale attenzione; se si vuole fare un breve escursus relativo alle varie posizioni della dottrina circa la definizione di discrezionalità tecnica, bisogna partire intanto da una breve ricostruzione storica, descrivendo sinteticamente qual è stato, in Italia, l’originario significato che ha avuto, fino ad arrivare ad oggi.

Per spiegare, a grandi linee, lo sviluppo storico della nozione di “discrezionalità amministrativa”, bisogna dire che, nella realtà giuridica in cui si sviluppa la problematica in questione, il percorso della dottrina italiana si articola in tre fasi e, in ognuna di esse, di volta in volta, ai fini della definizione del fenomeno, affida un ruolo determinante ad un elemento specifico: in particolare dapprima occupa rilievo centrale l’elemento

normativo, cioè l’attenzione degli studiosi si concentra sulla norma e sui suoi contenuti imprecisi.

In una seconda fase acquista centralità l’elemento della discrezionalità, attraverso l’attrazione della nozione di discrezionalità tecnica in ciò che, indistintamente, viene denominato “discrezionalità”: vi è, cioè, l’assimilazione tra i due tipi di concetti, in quanto i caratteri strutturali della discrezionalità vera e propria sono tali da rendere possibile tale assimilazione, grazie al fatto che, in un primo momento, la stessa “discrezionalità amministrativa” fosse poco definita, e soprattutto non lo era a livello positivo. Tra gli autori, che rientrano in questa seconda fase di apparentamento tra i due tipi di discrezionalità, si possono citare tra tutti Ranelletti e Raselli.

Infine, in una terza ed ultima fase, finalmente la dottrina comincia a dar peso all’ elemento della tecnica, che acquista il significato specifico di conoscenza propria di particolari discipline scientifiche, così che la discrezionalità tecnica diviene attività applicativa di regole tecniche in senso stretto, nell’ambito di un procedimento amministrativo (tenendo sempre presente, però, che il confine tra scelte puramente tecniche e politiche è labile, essendo le prime quasi impossibili da effettuare, considerando che nell’ambito di una scelta del primo tipo, dunque tecnica, potremmo pur sempre rinvenire elementi soggettivi che hanno spinto in una direzione piuttosto che in un’altra).57

Ad oggi possiamo definire la discrezionalità tecnica (CERULLI IRELLI) come

l’acclaramento di fatti tecnici complessi che spesso lasciano ampi margini di opinabilità (per questo discrezionali): anche in questo caso abbiamo infatti, da parte dell’amministrazione, la scelta tra più soluzioni possibili per la definizione finale di un caso concreto, scelta che però dovrà avvenire, in tal

57 Per una ricostruzione storica dell’evoluzione del concetto di discrezionalità

tecnica si veda in particolare: DE PRETIS D., Valutazione amministrativa e discrezionalità

caso, sulla base dell’applicazione di discipline tecniche e non sulla base della ponderazione sull’assetto dei vari interessi in gioco. In questi casi, difatti, l’amministrazione non esercita un vero e proprio potere discrezionale, cioè non valuta alcuna comparazione di interessi, bensì si limita a conoscere una realtà (tecnica) e a tradurla in un provvedimento amministrativo, attraverso l’applicazione delle proprie competenze tecniche. A tal proposito l’autore citato porta come esempio di esercizio di discrezionalità tecnica, quello che una commissione di laurea compie in ordine ad un candidato: infatti, in tal caso, la commissione eseguirà una valutazione tecnica circa la preparazione del laureando nelle discipline d’esame e il risultato di tale valutazione verrà versato in un atto, il verbale dell’esame di laurea. Da questo atto, poi, la legge fa derivare una serie di effetti predeterminati da essa, sicuramente non dalla commissione stessa: l’acquisizione della qualifica di dottore in quella specifica disciplina, piuttosto che la possibilità di accedere a determinate professioni, e così via.

Si è precisato che si ha discrezionalità tecnica solo quando l’amministrazione procedente abbia comunque un momento accertativo - valutativo di una data situazione; quando, invece, l’accertamento di una data situazione di fatto, cui comunque la legge ricollega determinate conseguenze, richiede l’applicazione di norme rigide quasi in modo schematico, che non consentono perciò di intravedere nel procedimento un momento in cui l’amministrazione abbia effettuato un’operazione di valutazione di fronte a diverse possibili soluzioni, non si ha discrezionalità tecnica, bensì in tali casi la Pubblica Amministrazione pone in essere semplicemente un accertamento tecnico (come ad esempio la verifica del grado alcolico di un liquore, piuttosto che l’accertamento della composizione chimica di una certa sostanza). Ad oggi siamo pervenuti a questa distinzione tra discrezionalità tecnica ed accertamento tecnico, ma non sempre è stato così: parte della dottrina ha

continuato a definire la discrezionalità tecnica proprio in questi termini (SANDULLI).

Il problema relativo alla definizione di tale concetto non è stato molto sentito in giurisprudenza: in particolare, si può dire che la stessa, anche se in un primo momento ha contribuito in modo puntuale alla determinazione della nozione di discrezionalità tecnica (soprattutto quella ordinaria), successivamente sembra aver abbandonato il dibattito, rimanendo estranea ad esso, essendosi ben presto assestata su una posizione discussa di sostanziale assimilazione fra discrezionalità amministrativa e tecnica, sotto il profilo dell’assoggettabilità al controllo giurisdizionale.58

In conclusione, l’approccio comune è quello di considerare la discrezionalità tecnica come l’applicazione di sapere tecnico – scientifico ad una data situazione, da tradurre poi in un atto amministrativo. A differenza della discrezionalità in senso stretto, in questo caso la scelta della P.A. non riguarda ciò che è più opportuno fare al fine della soddisfazione di un pubblico interesse, bensì ha ad oggetto un fatto, presupposto per l’emanazione di un provvedimento amministrativo, che deve essere accertato mediante valutazioni di carattere tecnico.