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L’annullabilità del provvedimento amministrativo

2. Nullità e annullabilità del provvedimento amministrativo: artt 21-

2.2 L’annullabilità del provvedimento amministrativo

L’atto emanato nel rispetto delle norme attributive del potere ma in difformità di quelle di azione è in linea di principio affetto da illegittimità e, quindi, sottoposto al regime dell’annullabilità.

L’atto annullabile produce gli stessi effetti dell’atto legittimo, ma tali effetti sono precari, nel senso che nell’ordinamento sono previsti strumenti per eliminarli: strumenti giurisdizionali, piuttosto che il ricorso al principio dell’autotutela da parte della stessa amministrazione che lo ha emesso, nonché la possibilità per il giudice ordinario, che incidenter tantum si trovi a dover giudicare circa la legittimità di un atto amministrativo, di disapplicarlo nell’ambito del giudizio.

Vi è da dire, però, che a questo ci si è arrivati nell’ultimo decennio del secolo scorso; storicamente il nostro ordinamento, dall’inizio del XX secolo, è stato fortemente influenzato da teorie formalistiche secondo le quali le norme di

diritto pubblico, in quanto tali, sono sempre inderogabili, per cui ogni tipo di violazione seppur minima avrebbe portato all’invalidità dell’atto. Vi era una tendenza a non distinguere le varie possibilità in cui un atto possa essere illegittimo, secondo una teoria denominata appunto “dell’eguale rilevanza dei vizi”: capacità di ogni tipo di vizio dell’atto rispetto alla norma di provocarne l’invalidità. Di conseguenza, in ogni caso di violazione di norme giuridiche l’illegittimità si verificava in modo automatico.

Fino agli anni ’90, infatti, era minoritaria anche se già esistente, la teoria che non andava a guardare l’aspetto formale bensì quello teleologico: secondo tale impostazione si ritiene innocuo, quindi non invalidante, un vizio che non incida concretamente sullo scopo della norma che è stata violata; in particolare se la norma è stata elusa ma lo scopo che sottostà a tale norma è stato comunque raggiunto, l’atto ancorché viziato non può essere invalido: un vizio può ma non deve necessariamente provocare l’invalidità dell’atto amministrativo.

Tale teoria comincia a farsi strada, mano a mano, in giurisprudenza: questa inizia a stabilire che le violazioni di norme procedurali generano l’invalidità dell’atto solo e unicamente se, attraverso tale violazione, siano stati lesi gli interessi sostanziali alla cui tutela è tesa la norma stessa; in caso contrario tale violazione non può rendere l’atto illegittimo. Quindi, dalla teoria dell’eguale rilevanza dei vizi, si passa a quella della “diversa rilevanza dei vizi”, essendo via via sempre più valorizzato l’aspetto teleologico della norma e non più quello formale. «Se la formalità è strumento per raggiungere un determinato scopo previsto dalla norma, è ragionevole pensare che la violazione di questa norma perda rilievo ove la stessa violazione non sia insanabilmente in contrasto con la ratio tipica della formalità violata».31

31 Cit. LUCIANI F., ‹‹L’invalidità e le altre anomalie dell’atto amministrativo: inquadramento teorico››,

Dunque, a partire dagli anni ’90 la giurisprudenza comincia a sostenere che alcuni tipi di norme, nello specifico quelle procedimentali, non devono essere applicate meccanicamente e tale orientamento viene poi definitivamente recepito anche dal legislatore che, con l’art. 21-octies della L. proc. amm., codifica la tesi in esame in tema di violazioni di norme amministrative sulla forma e sulla procedura. Infatti si inizia a dubitare che la violazione di una norma, ancorché imperativa, debba necessariamente provocare l’illegittimità dell’atto; infatti la suddetta norma è strutturata in modo che, al primo comma si trovi l’elenco tradizionale della cause di illegittimità ma, al secondo, una disposizione che limita fortemente l’applicazione del regime dell’annullabilità: in talune ipotesi, che saranno affrontate successivamente, nonostante che l’atto sia in effetti difforme rispetto al paradigma normativo non è comunque annullabile.

2.2.1 Cause di annullabilità del provvedimento: art. 21-octies 1º comma

Al primo comma dell’art. 21-octies vengono innanzitutto indicate le cause di illegittimità-annullabilità dell’atto amministrativo:

«E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.»

Le cause di annullabilità del provvedimento amministrativo, quindi, sono le tradizionali ipotesi di illegittimità: l’incompetenza (rectius relativa, essendo quella assoluta una causa di nullità), la violazione di legge e l’eccesso di potere.

L’incompetenza (relativa) indica la violazione delle norme che dettano i regimi della competenza e la violazione di legge indica qualsiasi altra violazione di legge di azione generale e astratta diversa da quelle che dettano le regole sulla competenza; la distinzione tra le due cause di annullabilità

ormai non ha più alcun rilievo, essendo l’incompetenza una specie della generale violazione di legge, attenendo la prima più propriamente al profilo soggettivo della fattispecie, non comprendendo solo la violazione delle regole della competenza in senso tecnico, ma anche altre regole relative alla formazione del soggetto, come ad es. per gli organi collegiali la presenza dei

quorum necessari32.

L’eccesso di potere (del quale si dirà ampiamente oltre) è, infine, il risvolto patologico della discrezionalità amministrativa: nasce dalle violazioni delle norme che sono dettate nell’ambito dell’attività non vincolata della pubblica amministrazione. Infatti, ancorché discrezionale, l’attività della pubblica amministrazione non è libera, nel senso che l’ente sarà comunque tenuto, nell’ambito della facoltà di scelta che gli è concessa, ad attenersi a determinati parametri; in particolare, la P.A. è tenuta a rispettare il principio di ragionevolezza e quello del vincolo del fine: di conseguenza, detto in modo abbastanza riduttivo, si configurerà il vizio di eccesso di potere laddove non vengano assecondati tali principi da parte del soggetto che, con poteri discrezionali, abbia emanato l’atto.

In ogni caso, al di là della tripartizione legislativa, ormai la categoria dell’annullabilità è residuale: ogni causa di invalidità che non rientri in quelle di cui all’art. 21-septies, e quindi nelle cause di nullità, andrà a configurare annullabilità dell’atto viziato; l’elenco di cui al primo comma dell’art. 21-octies ha quindi un rilievo meramente descrittivo, la struttura della norma in esame è dunque da considerarsi aperta.

32

2.2.2 Limiti all’annullabilità del provvedimento amministrativo: il secondo comma dell’art. 21-octies:

Come si è già detto in precedenza, ormai il nostro legislatore ha accolto le tesi teleologiche, discostandosi da quelle finalistiche dell’eguale rilievo dei vizi, per cui ormai non ogni violazione di norme, ancorché imperative, genera necessariamente illegittimità di un atto, soprattutto laddove si tratti di norme sulla forma e il procedimento.

Il legislatore ha codificato tale orientamento al secondo comma dell’art. 21-

octies, nel quale sono previsti limiti alla possibilità di annullare un atto

amministrativo: «Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri nel giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.»

La disposizione in esame è composta da due proposizioni che disciplinano due ipotesi di non annullabilità di un atto amministrativo diverse tra loro: la prima prevede la generica non annullabilità nel caso siano state violate norme sul procedimento o sulla forma di un atto che abbia natura vincolata e, proprio per tale natura, palesemente il suo contenuto non sarebbe potuto essere diverso; la seconda ipotesi riguarda invece un caso specifico, cioè quello della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento: in tale situazione, se in giudizio l’Amministrazione riesce a dimostrare che in ogni caso il contenuto del provvedimento sarebbe stato identico, questo non è comunque invalido.

Dunque, la prima ipotesi riguarda vizi meramente formali di provvedimenti per loro natura vincolati: solo in quest’ambito si può affermare la corrispondenza di contenuto, perché in caso di attività discrezionale la legge non detta parametri ben definiti, all’interno dei quali l’Amministrazione deve muoversi, bensì delle indicazioni e dei criteri con i quali orientarsi, ma il contenuto è stabilito dall’Amministrazione stessa. Il problema sta nello stabilire se la non annullabilità, in questi casi, debba essere considerata come una nuova categoria di irregolarità forte, oppure un’illegittimità cui l’ordinamento ammetta una sanabilità ex post in corso di giudizio oppure, infine, se la norma debba essere considerata come avente natura meramente processuale e che, quindi, questa ipotesi configuri solo una mancanza di interesse del ricorrente ad ottenere l’annullamento giurisdizionale, perché l’Amministrazione successivamente avrebbe comunque la possibilità di riadottare un altro provvedimento, rispettante le disposizioni procedimentali e formali, con contenuto identico. Se si accetta la prima ipotesi, allora dobbiamo considerare il provvedimento come non invalido ab origine ma neppure valido pleno jure: irregolare, quindi, con conseguenze ad esempio disciplinari ricadenti sul soggetto pubblico che ha posto in essere il provvedimento; nelle altre due ipotesi, invece, l’atto nasce invalido e o viene convalidato o resta inattaccabile in sede giurisdizionale per motivi processuali.33

Viceversa, la seconda ipotesi ha una portata più limitata perché riguarda un vizio specifico ma, allo stesso tempo, è più ampia perchè può riguardare anche provvedimenti adottati nell’ambito dell’esercizio di attività discrezionale da parte della P.A.: viene considerato lo specifico vizio della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento; in tal caso la decisione

33 LUCIANI F., ‹‹L’invalidità e le altre anomalie dell’atto amministrativo: inquadramento teorico››, in

del giudice di ritenere i il provvedimento non invalido non sarà il frutto di una valutazione a priori, come nella prima ipotesi, bensì di una concreta analisi di atti e documenti prodotti in giudizio da parte dell’Amministrazione, che deve opportunamente dimostrare che comunque il contenuto non sarebbe stato differente.

In entrambi i casi c’è da chiedersi come sia possibile che un atto difforme dal paradigma normativo possa essere considerato valido; prima ancora della legge n. 15/2005, che ha novellato la 241/1990 introducendo le norme che si stanno analizzando, si è già accennato come giurisprudenza e dottrina avessero introdotto una serie di ipotesi, nelle quali nonostante l’atto fosse imperfetto comunque dovesse essere considerato valido. I criteri che venivano adottati erano due: quello del raggiungimento dello scopo e quello della mancanza di interesse a ricorrere.

Il primo criterio si basa sul principio della strumentalità della forma, cioè il principio secondo il quale qualsiasi imposizione di natura procedimentale o riguardante la forma in generale, sia prevista per il raggiungimento di scopi sostanziali: di conseguenza laddove, nonostante la violazione di tali norme, lo scopo sia comunque raggiunto, non si ha motivo di considerare tale vizio invalidante.

Il criterio della mancanza dell’interesse a ricorrere esclude il valore invalidante di un vizio laddove, a prescindere dal raggiungimento dello scopo, comunque il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso; questo soprattutto con riguardo agli atti a natura vincolata: in tali casi un eventuale soggetto non avrebbe alcun interesse a ricorrere per eliminare il vizio di forma o procedimentale, perché comunque non otterrebbe un provvedimento con un contenuto diverso da quello che ha impugnato. Si ritiene che la disposizione esaminata abbia più che altro accolto il primo criterio, quello del raggiungimento dello scopo, perché il secondo, pur

ritenuto valido da autorevole dottrina, è stato sottoposto a numerose critiche: in primo luogo non sembra possibile, da parte del legislatore, valutare a priori l’utilità che eventualmente un ricorrente potrebbe ricavare dall’accoglimento del ricorso; per non parlare poi del fatto che il provvedimento, anche se venisse successivamente riadottato con contenuto identico, avrebbe comunque una decorrenza in un momento posteriore e questo potrebbe bastare a ritenere sussistente un interesse a ricorrere.