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La disputa del commercio

Nel documento Cronache Economiche. N.328, Aprile 1970 (pagine 34-39)

Giancarlo Biraghi

Il Salone mercato internazionale dell'ali-mentazione e del commercio, svoltosi a Torino-Esposizioni all'inizio di quest'anno, ha a v u t o il merito di richiamare ancora u n a volta, e in forma di particolare urgenza, l'attenzione sui problemi della distribuzione.

N o n si può negare che c'è oggi un motivo assai più valido rispetto al passato: l ' a v v e n u t a presentazione alla Commissione industria della Camera dei d e p u t a t i , che dovrebbe esaminarlo in sede legislativa, di u n testo unificato di proposte di legge sulla riforma del commercio.

Di questo progetto, che h a subito sollevato reazioni sensibilmente contrastanti, non soltanto d e t e r m i n a t e da divergenze di interessi m a anche da motivi tecnici giuridico-economici di appli-cabilità, si può forse dire t u t t o il male che si vuole, salvo riconoscere che r a p p r e s e n t a il primo t e n t a t i v o organico, da u n q u a r t o di secolo a questa parte, di sottoporre a revisione u n a m a t e r i a nella quale ci si t r o v a da t r o p p o t e m p o in s t a t o di completo immobilismo.

Nel corso di vari convegni che h a n n o ac-c o m p a g n a t o il Salone, e di altri ac-che in queste ultime settimane sono a n d a t i svolgendosi in diverse città italiane, sono s t a t e di nuovo sottoposte a spietata denuncia le carenze della f u n -zione distributiva in Italia, magari insistendo su taluni aspetti che forse non sono t r a i più preoccupanti e in certi casi accreditando stati-stiche t u t t ' a l t r o che univoche ed accettabili. Spesso e facilmente si confonde ad esempio t r a u n i t à locali o esercizi di commercio e licenze, d a t o questo di più facile accesso statistico, in modo che i confronti nel t e m p o e nello spazio assumono caratterizzazioni del t u t t o instabili. Cosi probabilmente sono v e n u t e fuori, con quale f o n d a m e n t o è difficile dire, cifre sbalorditive sulla proliferazione delle imprese commerciali in Italia rispetto agli altri Paesi della C E E , per cui è parso di capire che una radicale cura chirurgica del settore rappresenti oggi l'unico e indispensabile s t r u m e n t o di razionalizzazione. E p p u r e in m a t e r i a economica nulla è più fallace che l'opinione corrente e i luoghi conso-lidati dall'uso, e ci è s e m b r a t o quindi o p p o r t u n o controllare meglio certe informazioni p r e n d e n d o

in m a n o un numero a b b a s t a n z a recente di « Studi e indagini statistiche », edito a fine 1968 dall'Istituto statistico delle Comunità euro-pee, che dedica a p p u n t o u n ' a c c u r a t a analisi a « L a s t r u t t u r a del commercio nelle comunità europee ».

È vero che i dati assunti a base dell'indagine comunitaria risalgono alla p r i m a p a r t e del de-cennio sessanta, m a essi conservano ad avviso del citato I s t i t u t o u n carattere ugualmente significativo. Ciò dipende dal f a t t o che i rile-v a m e n t i si estendono su u n periodo di q u a t t r o anni e più ancora dalla circostanza che le s t r u t t u r e del commercio non si t r a s f o r m a n o in misura sensibile da u n anno all'altro e d'altra p a r t e le loro differenze sono cosi accentuate da rimanere ancora valide, se non altro come espressione di tendenza.

Lo studio della Comunità, e gli accertamenti su cui si fonda, consentono di documentare concretamente, afferma il rapporto, « la nozione assai vaga che finora si a v e v a del commercio interno della Comunità ». Il pregio maggiore della ricerca C E E è di essere c o n d o t t a in termini comparativi, cosi da ridurre al minimo la possibilità di equivoci i n t e r p r e t a t i v i e di accostamenti non appropriati.

E b b e n e , se stiamo alle risultanze ci sembra di poter fin d'ora dire che la situazione della distribuzione in Italia non a p p a r e cosi d r a m m a -tica come la si vuol descrivere, specialmente per certi aspetti, anche se non m a n c a n o n a t u -r a l m e n t e non t-rascu-rabili f a t t i patologici.

N o n sembra i n t a n t o del t u t t o vero che il n u m e r o delle imprese commerciali del nostro Paese sia cosi esorbitante rispetto a quello degli altri grossi partners della Comunità. Se-condo la f o n t e citata, le ditte italiane del mercio sarebbero all'incirca 880 mila (cifra com-prensiva dell'ingrosso, degli intermediari, del m i n u t o fisso e del m i n u t o ambulante), mentre in F r a n c i a e in Germania si aggirerebbero sulle 770 mila. Se si esclude però il commercio a m b u l a n t e , che h a u n a certa i m p o r t a n z a s o p r a t -t u -t -t o in I-talia m a che è presen-te anche nei Paesi Bassi e in Belgio, le nostre imprese si riducono a 721 mila, contro le 713 mila della

Tavola 1

BELGIO C O N S I S T E N Z A D E L L E I M P R E S E C O M M E R C I A L I

GERMANIA FRANCIA ITALIA 128.007 110.783 76.840 111.167 32.795 11.490 474.213 544.465 632.777 57.818 83.136 155.961 771.205 771.179 877.068 LUSSEMB. CEE J 1.039 379.800 J 1.039 165.526 | 2.855 1.909.622 | 2.855 335.322 3.894 2.790.270 SETTORI COMMERCIALI Ingrosso Intermediari . . . Minuto fisso . . . Minuto ambulante Totale

Germania Federale e le 688 mila della F r a n c i a (tav. 1).

Sotto questo profilo s e m b r a che la diffu-sione delle a t t i v i t à commerciali, come avviene del resto in genere per quelle del settore terzia-rio, sia in primo luogo correlata allo sviluppo della popolazione, per cui n o n pare a n o m a l o il c o n s t a t a r e che a Paesi di i m p o r t a n z a demografica a b b a s t a n z a simile corrisponda u n a m -m o n t a r e di d i t t e co-m-merciali pili o -m e n o dello stesso ordine di grandezza. A q u e s t a conside-razione d o v r e b b e aggiungersene u n ' a l t r a , per q u a n t o r i g u a r d a l ' I t a l i a : il n o s t r o territorio è orograficamente a c c i d e n t a t o , t a n t o è vero che su circa 300 mila k m q . di superficie n e m m e n o 70 mila sono di p i a n u r a , di f r o n t e a d oltre 106 mila di m o n t a g n a e 125 mila di collina. Ne segue che le stesse maggiori difficoltà di comunicazione p r e m o n o nel senso di u n a più a c c e n t u a t a dispersione dei servizi d i s t r i b u t i v i .

D ' a l t r a p a r t e è ovvio che le a t t i v i t à com-merciali si sviluppino a n c h e in sintonia con l'evoluzione del settore industriale. Se osser-v i a m o la situazione i t a l i a n a d a q u e s t o angolo, d o b b i a m o riconoscere che n o n vi sono segni palesi di distorsione: nella C E E vi sono me-d i a m e n t e 137 me-d i t t e commerciali ogni 100 me-d i t t e industriali; in I t a l i a il r a p p o r t o è di 136, in G e r m a n i a scende lievemente a 129 e ili F r a n c i a risale a 139. Questi valori f a n n o i n d u b -b i a m e n t e p e n s a r e a p r e d e t e r m i n a t e u n i f o r m i t à nei r a p p o r t i intersettoriali, sui quali n o n si p u ò p e n s a r e di incidere in f o r m a t a n t o sbriga-t i v a o a d d i r i sbriga-t sbriga-t u r a semplicissbriga-tica (sbriga-tav. 2).

U n ' a l t r a considerazione. Nella f u n z i o n e com-merciale p o s s i a m o distinguere il flusso dei beni d e s t i n a t i al c o n s u m o p r i v a t o d a quello delle transazioni i n t e r i n d u s t r i a l i e delle m a t e r i e pri-Tavola 2

RAPPORTO % TRA IMPRESE COMMERCIALI E INDUSTRIALI

1

I GERM. FRANCIA ITALIA OLANDA BELGIO LDSS. CEE

129 139 | 136 131 170 100 137

me, per cui t u t t o s o m m a t o n o n è completa-m e n t e corretto r a p p o r t a r e , cocompleta-me spesso si fa al n u m e r o dei p u n t i di v e n d i t a la sola spesa di consumo. Anche sotto questo r i g u a r d o il commercio italiano si colloca nell'intorno del-1 assetto medio comunitario, dove circa l ' 8 3 ° ' dei p r o d o t t i commercializzati è relativo ai con-sumi p r i v a t i m e n t r e il r i m a n e n t e 1 7 % riflette scambi di altri beni. C'è da dire che in Ger-m a n i a la proporzione è u l t e r i o r Ger-m e n t e s p o s t a t a a f a v o r e della seconda categoria, i n d u b b i a m e n t e qualificante d e l l ' a t t i v i t à commerciale, per u n a m m o n t a r e di circa il 2 2 % delle transazioni complessive; in F r a n c i a essa raggiunge però

s o l t a n t o il 7 % . b P Tavola 3 D E N S I T À D E G L I E S E R C I Z I C O M M E R C I A L I (per 10.000 abitanti) SETTORI COMMERCIALI Ingrosso . . . . Intermediari. . . Minuto fisso . . . Minuto ambulante Totale « H O 25 20 96 11 152 « 26 7 124 17 174 17 2 134 31 184 27 2 93 16 138 m 41 8 184 22 255 a I-3 37 101 138 P3 o 24 10 119 19 172

V e n i a m o ora al p u n t o p i ù dolente, quello della d e n s i t à commerciale i t a l i a n a di cui si f a g r a n discutere. I n effetti il n u m e r o di eser-cizi commerciali su 10 mila a b i t a n t i è di 184 m Italia, di 174 in F r a n c i a e di 152 in G e r m a n i a . Se si escludono però i v e n d i t o r i a m b u l a n t i , che volere o no r a p p r e s e n t a n o u n f e n o m e n o margi-nale, il ventaglio si c h i u d e : il r a p p o r t o eser-cizi-popolazione (per 10 mila a b i t a n t i ) è uguale in I t a l i a a 153, in G e r m a n i a a 141, in F r a n c i a a 157 ( t a v . 3).

I n t e r v i e n e in q u e s t a fase la q u e s t i o n e del c o n f r o n t o t r a v o l u m e dei consumi p r i v a t i e p u n t i di v e n d i t a o p p u r e t r a cifra globale d ' a f -fari e p u n t i di v e n d i t a . R i s u l t e r e b b e così che il livello dei c o n s u m i o la cifra d ' a f f a r i per

esercizio commerciale nel nostro Paese sia la m e t à o un terzo o a d d i r i t t u r a u n q u a r t o di quella riscontrata in altri Paesi della Comunità, da cui si vorrebbe dedurre una catastrofica diagnosi per il settore nostrano. A p a r t e l'inter-rogativo sulla legittimità statistica di questi paragoni, implicitamente emergente da alcune osservazioni sopra avanzate, rimane il f a t t o significativo che u n assetto a b b a s t a n z a analogo è riscontrabile nella situazione comunitaria del settore industriale. Secondo elaborazioni di dati ufficiali (cfr. « Statistiche dell'industria », a cura dell'Istituto statistico delle Comunità europee, 1967-J-A) risulterebbe che, nell'insieme dell'in-dustria e s t r a t t i v a e m a n i f a t t u r i e r a , il valore n e t t o della produzione media per impresa, è in Italia di 26 mila u n i t à di conto (U. C.), di f r o n t e a 49 mila del Belgio, 63 mila della Francia, 71 mila dell'Olanda, 78 mila del Lus-Tavola 4

ALCUNI RAPPORTI CARATTERISTICI DEL SETTORE INDUSTRIALE

(ESTRATTIVO E MANIFATTURIERO) GERMANI A FRANCI A ITALI A OLAND A BELGI O LUSSEMB . CE E

Cifra media d'af-fari per impresa

(000 U.C.). . . 209 156 59 174 119 223 134

Valore medio netto della produzione

per impresa (000 105 63 26 71 49 78 61

U.C.)

semburgo e 105 mila della Germania. Per stare ai Paesi più i m p o r t a n t i , l'Italia è in r a p p o r t o di 1 a 2,5 circa rispetto alla F r a n c i a e di 1 a 4 rispetto alla Germania. Se consideriamo la cifra d'affari, sempre espressa in u n i t à di conto, o t t e n i a m o per l'Italia 59 mila, contro 119 mila per il Belgio, 156 mila per la Francia, 174 mila per l'Olanda, 209 mila per la Germania e 223 mila per il Lussemburgo. Anche in questo caso il r a p p o r t o t r a il nostro Paese e gli altri grandi della Comunità è a p p r o s s i m a t i v a m e n t e di 1 a 2,5 nei confronti della F r a n c i a e di 1 a 3,5 per la G e r m a n i a (tav. 4).

Che cosa significa t u t t o questo ? Prognosi i n f a u s t a per l'industria i t a l i a n a ? No. Sempli-cemente u n a cosa: che la n o s t r a s t r u t t u r a econo-mica nell'ambito della C o m u n i t à è c e r t a m e n t e meno r o b u s t a di quella di altri Paesi, ma non esclusivamente per ciò che r i g u a r d a il settore distributivo, bensì più o meno u n i f o r m e m e n t e

lungo t u t t o l'arco delle a t t i v i t à produttive. I n altri termini siamo di fronte a un certo grado di sviluppo settoriale che corrisponde, ove più ove meno, ad una certa fase dell'evo-luzione dell'intero organismo sociale; se questo è vero, non sembra il caso di a p p u n t a r e l'indice accusatore su questo o quel tipo di a t t i v i t à . Del resto può essere istruttivo q u a n t o si legge a riguardo dell'industria in u n passo del Progetto 80: « A ridosso delle grandi imprese, al cui gruppo si è aggregato u n numero ristretto di medie imprese, si è verificata l ' e n t r a t a di numerosissime piccole aziende che, s f r u t t a n d o i vantaggi di più bassi costi, h a n n o saputo cogliere agilmente le o p p o r t u n i t à dell'allarga-m e n t o dei dell'allarga-mercati, assorbendo la quota più rilevante di occupazione. Nella maggior p a r t e delle medie imprese lo sviluppo è stato invece assai più lento. Esse da u n lato non h a n n o p o t u t o godere di vantaggi nei costi paragona-bili a quelli delle piccole imprese; dall'altro non sono riuscite a percorrere la strada della specializzazione e della maggiore valorizzazione delle produzioni. U n a p a r t e notevole della nostra industria presenta quindi aspetti di fragilità, che solo u n incisivo processo di a d e g u a m e n t o s t r u t t u r a l e p o t r à risolvere ».

Ma t o r n i a m o al commercio e cerchiamo ora di individuare le più profonde cause di insuf-ficienza o c o m u n q u e gli aspetti di inadegua-tezza che lo contraddistinguono.

Secondo lo studio della C E E il vero handicap del nostro Paese è di avere u n a q u o t a propor-zionalmente bassa di occupati nelle a t t i v i t à commerciali: meno di 2 milioni, contro 2 milioni e 400 mila in F r a n c i a e quasi 3 milioni e mezzo in Germania. Ne consegue che gli a d d e t t i alla distribuzione si aggirano da noi sulle 400 u n i t à per 10 mila a b i t a n t i , di f r o n t e ai 500 della F r a n c i a ed ai 630 della Germania. L a media della Comunità oltrepassa i 500. È forse per questo che l'analisi della CEE, riferendosi in particolare al commercio al minuto, giunge alla conclusione in a p p a r e n z a paradossale che l ' I t a -lia è il Paese in cui il commercio è meno esteso. I n effetti in Germania sono circa 400 gli a d d e t t i al commercio al m i n u t o ogni 10 mila abitanti, m e n t r e gli altri Paesi della Comunità seguono l a r g a m e n t e distanziati e, f a t t a eccezione per il Lussemburgo, restano n o r m a l m e n t e al di sotto della media generale che è di 355. L ' I t a l i a presenta il valore più basso, con 311 occupati per 10 mila abitanti, cosi che lo scarto tra il nostro Paese e la Germania raggiunge all'in-circa il 3 0 % . T u t t o s o m m a t o pare di dover concludere che non è la q u a n t i t à delle ditte a r a p p r e s e n t a r e nella nostra economia un f a t t o patologico, ma semmai la loro dimensione e

Tavola 5

INCIDENZA DEGLI OCCUPATI NEL COMMERCIO SULLA POPOLAZIONE (per 10.000 abitanti) SETTORI COMMERCIALI Ingrosso . . . . Intermediari. . . Minuto fisso . . . Minuto ambulante i a -r I* RANCI A ITALI A OLAND A BELGI O 194 126 78 212 175 35 20 5 5 10 386 337 270 316 314 16 18 41 24 29 030 | 501 394 [ 557 528 P p-q 200 298 498 142 19 330 25 510

perciò il loro grado di efficienza. Il che è molto differente agli effetti di u n a razionale politica di intervento (tav. 5).

U n ' a l t r a reale carenza nella distribuzione, sulla quale nessuno generalmente indugia è costituita da noi dall'importanza secondaria che ha il commercio all'ingrosso. Gli esercizi all'ingrosso sono in Italia soltanto il 9% di quclh commerciali globalmente considerati ma in Francia raggiungono il 15%, in Germania e in Belgio il 16%, in Olanda il 2 0 % . Ancora p m forti i corrispondenti scarti di occupazione-1 ingrosso italiano impiega il 2 0 % degli a d d e t t i al commercio, contro il 2 5 % della Francia, il 3 1 % della Germania, il 3 3 % del Belgio e il 3 8 % dell'Olanda.

C'è un altro limite n e l l ' a p p a r a t o distributivo italiano: il peso irrilevante degli intermediari che invece svolgono una funzione essenziale specie in Germania e in Francia. L ' a t t i v i t à degli intermediari serve a m e t t e r e in r a p p o r t o acquirenti e venditori e come tale funge da s t r u m e n t o di connessione tra i diversi ^stadi economici, costituendo cosi principalmente u n o s t r u m e n t o di commercializzazione per le im-prese industriali. In Italia su 100 imim-prese ali ingrosso vi sono soltanto 15 ditte di inter-mediari, m e n t r e in F r a n c i a se ne h a n n o 30 e m Germania a d d i r i t t u r a 87.

Abbiamo infine un problema di efficienza o, per dirla m termini economici, di p r o d u t t i vità. Si è soliti dire che gli a u m e n t i di p r o d u t -tività nel campo dei servizi sono necessaria-mente lenti e non suscettibili di vistosi risultati

v e r o s o l° i n Parte. C'è in p r i m o luo<xo la prova di q u a n t o s'è o t t e n u t o in altri Paesi-c e s o p r a t t u t t o la p r o s p e t t i v a dell'introdu-zione, anche nel settore terziario, di metodi di gestione e di a t t r e z z a t u r e più moderne e persino a u t o m a t i c h e . Il maggiore ostacolo sta lorse nel f a t t o che queste esigenze c o n t i n u a n o a restare o s t i n a t a m e n t e al di fuori dell'oriz-zonte della maggior p a r t e degli operatori.

I s t r u t t i v a al riguardo un'interessante nota apparsa qualche tempo addietro su questa stessa rivista (cfr. n. 323-4), ad illustrazione di certe risultanze acquisite mediante un'inda gme campionaria effettuata in Piemonte dal-1 Unione regionale delle Camere di commercio Vi si osservava che il 97% degli esercizi tori-nesi al dettaglio appare ancora condizionato dal sistema di presentazione delle merci esclu-sivamente al banco, proprio quando in molti Paesi, anche nella vicina Francia, si arriva a d d i r i t t u r a allo « ipermercato » e lo s W a n di moda è: abolite banchi e vetrine: sono bare di mercanzia; mettete tutto in vista, a portata di mano e lasciate che il cliente si serva da solo liberamente, di tutto.

Che dire allora del f a t t o che il 90°/ dei negozi torinesi abbia superfìci inferiori ai 100 mq, che il 5 5 % non superi i 30 clienti giornalieri e che l ' 8 0 % non vada al di là di 15 milioni di vendite a n n u e ? I n d u b b i a m e n t e questa situazione è collegata con un certo tipo di gestione e con un certo livello di attrez-zatura.

In ultima analisi si può forse affermare che i problemi del commercio sono oggi condizio-nati in Italia da due ordini di vincoli: da un lato il livello medio individuale dei redditi ancora n o t e v o l m e n t e distante da quello europeo, dall'altro lo s t a n d a r d modesto di p r o d u t -tività che caratterizza le aziende. Il p rim o elemento costituisce, rispetto all'attività com-merciale, u n a variabile esogena, d a l l ' a n d a m e n t o delia quale si determineranno, o meno effetti favorevoli a t t r a v e r s o la dinamica espansiva dei consumi e quindi della cifra d'affari. Il secondo elemento è invece interno al settore, in certa guisa dominabile dagli operatori dello stesso e costituisce p r a t i c a m e n t e non una, bensì l'unica via possibile di razionalizzazione e moderniz-zazione.

N o n si può d u n q u e che condividere il cri-terio-guida della politica della distribuzione cosi com'è enunciato nel Progetto 80, secondo cui « la direttiva principale è di favorire l'affer-mazione delle f o r m e moderne di c o m m e r c i o » con il chiarimento che « d a un lato si t r a t t a di consentire lo sviluppo della g r a n d e distri-buzione secondo le esigenze del mercato, e dall'altra di incoraggiare l ' a m m o d e r n a m e n t o delle imprese tradizionali ».

A l t r e t t a n t o accettabile è il concetto che, per p r o m u o v e r e il processo di riorganizzazione ed a m m o d e r n a m e n t o delle s t r u t t u r e distributive tradizionali, d o v r a n n o essere s t u d i a t e misure specifiche nel c a m p o creditizio come, a d esem-pio, l'estensione del credito agevolato a rag-g r u p p a m e n t i di imprese commerciali, il

finan-ziamento di processi di modernizzazione, faci-litazioni fiscali alle unioni volontarie per ac-quisti collettivi, la creazione di centri di adde-s t r a m e n t o profeadde-sadde-sionale.

È ovvio che, in parallelo, tale indirizzo debba essere accompagnato « da un'energica ed efficace azione di tutela del consumatore. In questo a m b i t o dovranno essere predisposte misure volte a vietare, o a limitare drastica-mente, la pratica del cosiddetto prezzo imposto; al controllo di veridicità dei messaggi pubbli-citari; alla diffusione del marchio di qualità; alla disciplina delle vendite a premio e al divieto di quelfe che si risolvono in concorsi a contenuto aleatorio; a d efficaci e moderne forme di in-formazione del consumatore, a t t r a v e r s o i mezzi di comunicazione di massa ».

Del resto il Progetto di -piano elaborato dal CRPE del P i e m o n t e àncora t u t t e le ipotesi di sviluppo del settore terziario nel suo insieme, e del commercio in ispecie, proprio al persegui-m e n t o dell'obiettivo dell'increpersegui-mento della pro-d u t t i v i t à . Si afferma che tale incremento pro- dovrebbe conseguire ad u n processo di r i s t r u t t u -razione di alcuni comparti, in particolar m o d o dell'attività commerciale, con l'assorbimento di u n a q u o t a dell'occupazione marginale. P e r il settore commerciale e dei servizi in effetti, all'espansione dell'occupazione del 3 % all'anno, viene f a t t o corrispondere u n a u m e n t o in termini di valore aggiunto dell'8,7% annuo, tale da c o m p o r t a r e cioè un a u m e n t o della p r o d u t t i v i t à pari al 5,5% all'anno. L'ipotesi è b a s a t a in particolare sullo sviluppo del cosiddetto « gran-de gran-dettaglio » e gran-del « gran-dettaglio associato », ten-denza che — afferma il Progetto di piano —

dovrebbe trovare sempre maggiore impulso anche legislativo.

D ' a l t r a p a r t e le prospezioni delle alternative di sviluppo dell'economia piemontese al 1980 danno fin d'ora per scontato che nel complesso il settore terziario dovrà assumere una nuova « dimensione », a cui corrisponderà un incre-m e n t o del tasso di terziarizzazione nella strut-t u r a occupazionale. Si prevede che l'indice di terziarizzazione del Piemonte verrà a collocarsi nel 1980 intorno al 3 6 % dell'occupazione glo-bale, laddove a t t u a l m e n t e si aggira sul 3 1 % . N o n o s t a n t e gli incrementi ipotizzati tale indice resterà però ancora relativamente basso sia rispetto agli altri Paesi europei sia rispetto alla stessa media nazionale, anche perché si osserva che nella regione piemontese, relativamente allo sviluppo industriale, la s t r u t t u r a terziaria ha u n grado di obsolescenza elevato, dovuto alla m a n c a t a risoluzione di numerosi problemi t a n t o all'interno q u a n t o all'esterno del settore.

C'è quindi u n a conclusione di estrema impor-t a n z a da impor-t r a r r e : se l'argomenimpor-tare fin qui svolimpor-to è valido, bisogna a m m e t t e r e che di f r o n t e alle diverse istanze a v a n z a t e di volta in volta dai vari centri di interessi, il criterio discriminante d a a d o t t a r e nel campo della politica commer-ciale non può che essere ricondotto alla misura del contributo in termini di p r o d u t t i v i t à che ciascun p r o v v e d i m e n t o è suscettibile di recare. Ogni altra valutazione, b a s a t a su differente f o n d a m e n t o , anche se rispettabile sotto altri profifi, non può che ritardare o a d d i r i t t u r a bloccare il conseguimento del vero t r a g u a r d o : il r i n n o v a m e n t o in f o r m a di più alta efficienza della funzione distributiva.

P r o s p e t t i v e e c o n o m i c h e d i l u n g o p e r i o d o

Un sistema economico

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