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Una delle maggiori difficoltà che incontrano le Istituzioni europee quando cerca- no di elaborare una politica portuale comunitaria uniforme riguarda le differenze che i porti europei presentano sia rispetto alla loro configurazione giuridico-istituzionele sia alla loro impostazione gestionale.

L’unico aspetto comune dei porti europei è costituito dall’esistenza di enti re- sponsabili dell’amministrazione e dello sviluppo dei porti, denominati geralmente Autorità Portuali, che comunque si presentano estremamente diversi nella loro confi- gurazione, nel loro inserimento nel sistema organizzativo dei singoli Stati e nei loro rapporti con il potere pubblico. Così, riguardo alla forma giuridica, si può constatare che, accanto ai porti configurati come enti pubblici, e secondo le osservazioni svi- luppate nel paragrafo precedente soggetti a controlli o meno più rilevanti, ve ne sono altri costituiti come unità autonome o sotto forma di società per azioni, ed in quanto tali dotate di maggiore indipendenza ed agilità operativa. In ordine, invece, all’assetto proprietario, accanto ai porti statali, gestiti direttamente o indirettamente dallo Stato, vi sono quelli rientranti nella competenza delle comunità territoriali, qua-

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li enti, regioni e città-stato, oltre ai porti gestiti ed appartenenti a imprese private. In tutti i casi, le differenze più significative riguardano la proprietà delle aree portuali, che talvolta sono soggette al regime demaniale e talvolta a norme sulla proprietà pri- vata312.

In via generale, anche per le infrastrutture portuali, vige il principio di neutralità, enunciato dall’art. 395 TFUE, già art. 295 TCE, secondo il quale è “lasciato del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.

Siamo pertanto di fronte ad un’impostazione classica del diritto comunitario che preferisce non intervenire direttamente sulle materie ove predilige occuparsi degli obiettivi e non dei mezzi, restando indifferente al regime giuridico specifico degli Stati membri.

Secondo un’impostazione tradizionale sul regime giuridico dei porti, nel panora- ma europeo, coesistono tre modelli di riferimento: Comprehensive Port Authorities, Landlord Port Authorities e Port Company.

Nel primo modello i porti sono “pubblici”, ovvero gestiti dallo Stato o dall’ente pubblico che ha la totale responsabilità dell’organizzazione e del controllo di tutte le attività che si svolgono nel porto, ritenute servizio pubblico e non attività imprendito- riali; nel secondo, invece, i porti sono “pubblico-privati”, caratterizzati da un feno- meno intermedio in cui la proprietà dell’area e delle infrastrutture portuali è pubbli- ca, mentre la gestione dei servizi portuali è lasciata alle imprese private. Tale model- lo è presente nei grandi porti del nord Europa e, dopo le riforme spagnola e italiana, si sta estendendo ai porti mediterranei, con la differenza che, nei primi, i porti più importanti sono di proprietà degli enti territoriali locali, Land o Municipalità, mentre nei secondi la gestione è affidata ad appositi enti pubblici.

Nel modello di Port Company, invece, i porti sono privati, ovvero configurati come imprese, indipendentemente dal loro assetto proprietario, e l’Autorità portuale è responsabile della gestione di esso e della produzione dei servizi, oltrechè degli in- vestimenti necessari per il mantenimento e lo sviluppo delle infrastrutture. In questo caso, il soggetto gestore del porto si differenzia da quello del modello di Comprehen- sive Port Authorities sia per l’estensione delle sue competenze sia per la responsabi- lità nella gestione del porto, in quanto tale soggetto è tenuto ad occuparsi anche della 312 VEZZOSO G., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., p. 261.

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pianificazione economica e territoriale dell’area. Tipico esempio di tale modello lo riscontriamo nei porti inglesi.

Questo impostazione non è l’unica proposta nel panorama europeo; nella prassi comunitaria si tende, infatti, a distinguere in relazione ai modelli di “Ente Portuale” tra il land port (porto proprietario), in cui l’Ente di gestione è responsabile della va- lorizzazione del territorio e provvede alla realizzazione delle infrastrutture, quali banchine, zone di parcheggio, di carico e di scarico delle merci, mentre la gestione dei traffici e dei servizi accessori ad essi è lasciata ai privati, il tool port (porto uten- sile), in cui l’Ente si occupa della creazione, dell’utilizzo delle infrastutture e dell’erogazione dei servizi connessi ad esse e l’operating port (porto operatore), ove il porto resta completamente di proprietà pubblica e l’Ente di gestione provvede a ge- stire e svolgere le operazioni portuali. Tale tripartizione, tuttavia, non permette di di- stinguere tra i vari tipi di porto ed, in particolare, tra il ruolo assegnato agli organismi che governano il porto e quello affidato alle imprese private313.

In realtà, a livello pratico, i tre modelli delineati non si riscontrano allo stato pu- ro, nel senso che possono prevalere elementi dell’uno o dell’altro modello, rendendo difficile l’individuazione di una situazione adattabile a tutte le realtà; pertanto, l’impostazione è utile al fine di individuare il regime giuridico applicabile di volta in volta ai porti e, di conseguenza, coglierne le evoluzioni. Evoluzione che, allo stato, pare superare, nella maggior parte dei porti, l’impostazione di cui alla Comprehensi- ve Port Autority per avvicinarsi man mano al modello di Land Lord, che, a sua volta, pare evolversi verso nuovi modelli orientati verso l’apertura gestionale al settore im- prenditoriale.

Nell’ottica evolutiva, recentemente, è stato presentato uno studio comparativo svolto per conto di ESPO (European Sea Ports Organisation)314, in cui sono stati pre- sentati i dati dell’indagine effettuata nei 26 Paesi facenti parte dell’Organizzazione, i quali hanno condotto a dividere le Autorità Portuali in tre gruppi principali.

Un primo gruppo, contraddistinto da una stretta relazione con i poteri locali e da una larga autonomia del potere centrale, comprenderebbe i porti dei Paesi di tradi-

313 VEZZOSO G., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., p. 264.

314 Reperibile nel sito www.espo.it. Relazione del Segretario Generale VERHOVEN P., tenuta a Ro- ma il 18 ottobre 2011 all’Assemblea Generale di Assoporti, disponibile su http://www.ferpress.it/wp- content/uploads/2011/10/Assoporti-relazione-Verhoeven.pdf

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zione anseatica, ovvero Svezia, Germania, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi e Belgio, oltre ad un sottogruppo, orientato agli stessi principi, di Paesi recen- temente entrati nell’Unione Europea: Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia.

Un secondo gruppo sarebbe composto dai Paesi di tradizione latina, Italia, Fran- cia, Portogallo, Malta, Gravia, Cipro e Israele, caraterizzati da uno stretto rapporto con il governo centrale e, relativamente all’aspetto gestionale, da un controllo pub- blico su tutta l’attività portuale, anch’esso con un sottogruppo, con caratteristiche analoghe, composto dai porti di tradizione neo latina: Slovenia, Croazia, Bulgaria e Romania.

Il terzo gruppo sarebbe, invece, riconducibile ai porti del Regno Unito e dell’Irlanda, caratterizzati da un’impostazione privatistica e imprenditoriale delle Au- torità portuali, dotate di estrema autonomia gestionale.

Anche questa classificazione, come la precedente, risulta rilevante per quanto at- tiene all’approccio didattico, essendo espressione dell’evoluzione della logistica por- tuale, che comunque appare utile ai fini pratici, essendo sempre difficile far coincide- re automaticamente una determinata configurazione giuridica con una precisa filoso- fia gestionale, stante le possibili contraminazioni fra modelli o le incongruenze fra impostazioni organizzative perseguite ed asssetto normativo e istituzionale esisten- te315.

Anche il Segretario Generale dell’ESPO, Patrick Verhoven, relazionando sullo studio effettuato, ha osservato che “Il metodo classico per classificare le Autorità Portuali in termini organizzativi è quello di suddividerle in landlord ports, tool ports e service ports. Il rapporto mostra che la maggioranza delle Autorità Portuali, al- meno quelle sul continente, converge sul modello landlord. Queste Autorità Portuali si sono fondalmentalmente disimpegnate dai servizi di movimentazione merci, a bor- do nave e a terra, ed hanno ri-orientato il loro ruolo su compiti di landlord e di re- golamentazione. I processi di riforma in corso, specialmente nei Paesi latini e nei nuovi Stati Membri, confermano questa tendenza. Le Autorità Portuali, in genere, hanno mantenuto determinate attività operative, ma principalmente quelle relative alla fornitura di servizi accessori e complementari per l’intera comunità portuale come, ad esempio, servizi pubblici e dragaggi. Sono presenti, comunque, significati- 315 VEZZOSO G., La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, cit., p. 262.

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ve differenze tra Regioni, con importanti Autorità portuali anglosassoni che sono molto più impegnate nella fornitura di servizi di movimentazione merci e anche in quelli tecnico-nautici. Similmente, le Autorità Portuali più piccole rimangono in inea di massima più impegnate nella fornitura di servizi di questo tipo”316.