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Capitolo IV. Il passo indietro della U.S Supreme Court:

3. L‘impatto di Kiobel: cosa resta dei diritti umani e dell‘Alien Tort

3.1. La doctrine del forum non conveniens

Un ultimo accenno meritano, infine, gli effetti di Kiobel sulla

doctrine del forum non conveniens.

Come abbiamo avuto modo di osservare precedentemente, la

doctrine è sempre stata utilizzata dal giudice americano per declinare

la sua giurisdizione in presenza di un foro ritenuto maggiormente adeguato.

L‟applicazione della doctrine prevede un‟analisi sufficientemente approfondita della causa, comprendendo la valutazione dell‟interesse privato e dell‟interesse pubblico, garantendo, in tal modo, una

pertinenza della stessa agli Stati Uniti.

È indubbio che l‟applicazione del criterio della presumption ai casi riconducibili all‟ATCA e, quindi, la valutazione della causa in base al più stringente requisito della territorialità, rischi di rendere del tutto inutile la permanenza del forum non conveniens, sia perché la

presumption è di più agevole riscontro sia perché pone a base della

declinazione della giurisdizione lo stesso ATCA e non la

comparazione tra diversi fori per stabilire quale sia il più adeguato per la trattazione171.

D‟altro canto, vi è chi non ha mancato di sottolineare come, avendo la Corte Suprema ristretto la discrezionalità del giudice federale nell‟ambito dell‟ATCA, molti attori potrebbero ricorrere alle corti sulla base del diritto internazionale o sulla base del diritto di uno degli stati USA, non essendo, infatti, costretti ad invocare l‟ATCA. Chi prospetta questo scenario, al contrario di quanto appena detto, non può far altro che evidenziare una rinnovata vitalità della doctrine

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John N. Drobak, The Alien Tort Statute from the Perspective of Federal Court Procedure, in Washington University Global Studies Law Review, 2014, Vol. 13, p. 436.

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che tornerebbe, così, ad essere l‟unico strumento utilizzabile dal convenuto per ottenere il dismissal del giudice172.

172

Brian J. Springer, An inconvenient truth: how Forum non Conveniens Doctrine allows defendants to escape State Court Jurisdiction, in University of

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Conclusioni

In chiusura del capitolo precedente si è fatto riferimento

all‟American Exceptionalism, che è, come già detto nel corso della trattazione, il credo di fondo che giustifica la politica e tutto l‟operato degli USA.

Alla base di tale teoria vi è la convinzione che gli Stati Uniti di America si trovino in una posizione di superiorità rispetto alle altre nazioni, e questo è dovuto alla sua storia, ai principi su cui si fonda, alle sue istituzioni politiche e religiose e al (presunto) bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato.

Conseguenza diretta di questa posizione privilegiata è, sempre secondo i sostenitori di detta eccezionalità, l‟obbligo di aiutare gli altri stati e far sì che gli stessi possano essere permeati dei valori che pervadono la società americana; l‟America, perciò, si deve porre come guida e sostegno della battaglia per l‟affermazione dei principi che reggono (o dovrebbero reggere) le moderne civiltà democratiche. Un esempio, senza andare troppo a scavare nel passato, di cosa è in grado di suscitare tale sentimento è l‟idea di poter esportare la democrazia in stati oppressi e in balia di guerre intestine,

specialmente se tali stati sono considerati potenzialmente pericolosi per il mantenimento di un equilibrio internazionale; vengono in mente le guerre in Afghanistan ed in Iraq che, dietro il manifesto, in ogni caso attuato, della lotta al terrorismo e della volontà di liberare popoli schiacciati da governi dittatoriali, celano intenti

preminentemente di natura economica.

Come che sia, gli Stati Uniti hanno potuto muoversi in quasi completa libertà nel mondo, mancando di fatto, dalla fine della Guerra fredda, un contropotere in grado di fermare le sue politiche. Oggi la situazione è mutata.

Gli Stati Uniti escono da otto anni di presidenza Obama attraverso le elezioni che da molti sono state definite come le peggiori e le più

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politicamente scorrette, il tutto incorniciato da un panorama internazionale profondamente scosso.

A preoccupare l‟America è, oggi, più che la continua crescita economica cinese o la politica intimidatoria svolta dalla Corea del Nord, la rinascita del suo rivale storico, la Russia.

Infatti, quest‟ultima, dopo una fase di stallo a seguito della Guerra Fredda (coinciso, come abbiamo visto, con il periodo di egemonia USA), ha radicalmente cambiato la sua politica estera: intento del terzo mandato di Putin è stato proprio il riaffermarsi come forza politica internazionale in grado di destare preoccupazione e frenare l‟imposizione a livello mondiale del modello statunitense.

Sarebbe prematuro dire che la Russia vi sia riuscita, ma sarebbe sbagliato affermare il contrario: si pensi alla politica intrapresa in Siria e la lotta all‟Isis così come attuate dalla Russia (coadiuvata, fra l‟altro, da governi invisi a quello americano, quali quelli di Assad ed Erdogan), che ha portato più volte Obama a rivedere i suoi piani e, da ultimo, al ruolo centrale riservato a Putin nella campagna

presidenziale ed ai suoi rapporti controversi con Donald Trump. Tutto questo ha portato ad una divisione dell‟opinione pubblica, non solo americana ma, mondiale: gli ideali americani o la pragmaticità russa?

Di particolare interesse è anche l‟orientamento assunto dai due candidati alla presidenza proprio in riferimento alla posizione degli Stati Uniti nei confronti della comunità internazionale: se, da un lato, Trump rigetta l‟idea classica dell‟American Exceptionalism

affermando di voler ricondurre gli USA ad una dimensione interna (rivedendo anche la posizione assunta nella NATO e con gli storici alleati europei, accusati di essersi adagiati sulla posizione di

supremazia americana e, conseguentemente, di non aver contribuito in egual misura agli obblighi assunti), dall‟altro lato anche le

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responsabile della politica militare fallimentare intrapresa negli ultimi anni, non sono più rassicuranti.

In particolare, per ciò che qui interessa, la Clinton si è recentemente distaccata dal veto posto da Obama al Justice Against Sponsors of

Terrorism Act.

Il veto presidenziale, in realtà, considerato anti-americano in quanto preclusivo della possibilità di ottenere un risarcimento per i parenti delle vittime dell‟11 settembre, sembra avere invece ben presente la situazione di instabilità a cui potrebbe portare l‟applicazione di tale legge.

Tramite il JASTA, si va difatti a compromettere una relazione, quella con l‟Arabia Saudita, che ora più come mai potrebbe rivelarsi

essenziale per gli Stati Uniti, non solo nella lotta contro il terrorismo ma anche per gli importanti rapporti economici che intercorrono tra i due stati; altra conseguenza è la creazione di un importante

precedente, ossia quello di permettere a corti nazionali di giudicare un altro stato sovrano (con implicazioni ovviamente ben diverse rispetto alla circostanza in cui a farlo sia una corte internazionale, magari creata ad hoc), non avendo tenuto in giusta considerazione come ciò potrebbe rivelarsi un‟arma a doppio taglio per gli stessi Stati Uniti che, per difendere i diritti umani e dei popoli, si sono talora resi colpevoli di altrettante violazioni.

Come detto in precedenza, il Congresso ha respinto il veto presidenziale e solo il tempo potrà dirci chi dei due avrà avuto ragione.

Interessante sarà anche vedere la posizione della giurisprudenza e, nello specifico, della Corte Suprema.

Il “passo indietro” di cui ci siamo occupati nel IV Capitolo denota, come già accennato, l‟avvertito bisogno di tornare ad operare entro i propri confini, dismettendo (almeno per il momento) quel ruolo di giudice universale, di patria dei diritti umani che ha caratterizzato la

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giurisprudenza americana dalla fine del „900; è forte la necessità di tornare ad operare per sé, di valutare i casi che effettivamente abbiano una collegamento ed un significato per gli USA.

L‟intervento razionalizzatore è evidente e si basa non solo su un

diktat giurisprudenziale, ma richiama anche i criteri interpretativi e le

regole che stanno alla base del sistema (si pensi alla presumption

against extraterritoriality): il sentore, quindi, è quello della necessità

di dotarsi di mezzi idonei a garantire la giustezza ed il corretto funzionamento dell‟ordinamento giudiziario in maniera incontrovertibile.

Questo nello sgomento di quanti, vittime in primis, hanno sempre fatto affidamento sull‟esistenza di un foro che non avrebbe lasciato inascoltate le loro richieste e in cui i diritti umani hanno avuto una sviluppo e una tutela che nessun altro ordinamento gli ha

riconosciuto, vuoi perché non vi è riuscito (e qui ci ricolleghiamo al fallimento della CPI), vuoi semplicemente perché nessun altro giudice ha avvertito l‟esigenza di avocare a sé una giurisdizione e un

modus operandi di tale portata ed ambizione.

Stupisce, in tal senso, come il potere politico si sia tuttavia mosso in senso diametralmente opposto, arrivando addirittura ad affermare il potere dei giudici federali di giudicare uno stato sovrano.

Ed a stupire, oltre il peso che una tale pratica (se effettivamente seguita) avrà nei rapporti internazionali tra gli stati e nel concetto stesso di sovranità, è proprio il mancato concerto di intenti con l‟organo giudiziario che, come risaputo, si incanala nel sistema americano non proprio nel pieno rispetto del principio della separazione dei poteri.

L‟importanza politica della Corte suprema è realtà affermata da anni nell‟esperienza americana così come la sua capacità di influenzarne le scelte, non solo a livello interno, ma anche estero.

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E volgendoci alla realtà di oggi, abbiamo una Corte che ha, quantomeno, socchiuso le porte dei propri tribunali.

In un periodo di insicurezze e paure, con la minaccia del terrorismo che è entrata prepotentemente nella nostra quotidianità (fino ad ora contrastata, a livello giuridico, solo dagli stessi Stati Uniti; si ricordi la sentenza Bank Markazi v. Peterson , la prima con cui si nega l‟immunità agli stati finanziatori di azioni terroristiche), e con nessuna voce che si impone nitidamente sulle altre, le prospettive di tutela sembrano via via diminuire.

Se il JASTA sarà in grado di riaprire la partita è impossibile da prevedere; se anche vi riuscisse, problematico sarà inoltre capire come questa partita verrà giocata: un conto è essere giudici in un clima internazionale di accondiscendenza, altro è riuscire a imporsi con la stessa efficacia quando il terreno sotto i piedi inizia a vacillare.

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