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Don Abbondio con Candido in Sicilia (III lezione)

Nel documento 8 Nuova Secondaria (pagine 56-59)

Proponiamo la lettura di alcuni brani da

Candido di L. Sciascia32. Sono dei passi molto noti.

A Candido si presenta un tale Zucco, dal mestiere che va tra il mediatore di

immo-bili e il procacciatore di voti.

Egli sostanzialmente gli propone un malaffare: vi è l’intenzione di costruire un ospedale per il paese su un terreno di proprietà di Candido, la terra gli verrà espropriata e pagata e lui in cambio si dovrebbe impegnare a dare parte del de-naro a chi ha deciso che l’ospedale venga lì costruito. Candido dichiara che avrebbe regalato il terreno e che, se ne fosse stato scelto un altro, dal mo-mento che il suo era il migliore a quello scopo, avrebbe denunciato il fatto pub-blicamente.

Candido il giorno dopo va a offrire il ter-reno al comune e poi all’assemblea del partito denuncia l’accaduto. I dirigenti locali del partito, quelli che stavano

dietro il tavolo, esprimono approvazioni

caute e garantiscono che il partito avrebbe sorvegliato lo svolgimento della faccenda. Quando Candido viene a sa-pere che l’ospedale verrà costruito su un altro terreno:

Riagitò la questione all’assemblea del par-tito, ma con un tono che non piacque a quelli che stavano dietro il tavolo. Un tono accusatorio, dissero, che loro non meritavano e non tolleravano. Aveva-no fatto il possibile, perché venisse accettata l’offerta di Candido: ma erano state oppo-ste ragioni tecniche che parevano incon-trovertibili. E si sarebbe potuto, sì, fare ap-pello ad altri tecnici, più bravi o meno in-teressati: ma col risultato di fermar tutto, e chi sa quando la città avrebbe avuto il suo ospedale. – Vogliamo uno scandalo o un ospedale? – Fu domandato all’assemblea.

Quasi tutti volevano l’ospedale, Candido e qualche altro l’ospedale e lo scandalo. Si alzò a parlare il segretario. Un lungo discor-so sulle cose del paese, sulla visione che il partito ne aveva, sul modo in cui il partito operava l’opposizione, la critica. Ogni tanto, sapientemente, dava un colpo a Candido: al suo esibizionismo, al suo amor proprio, alla sua condotta, al suo non tener conto degli avvertimenti del partito.

Candido replica esclusivamente affer-mando pubblicamente che il segretario aveva parlato come Fomà Fomíč.

Si tratta, anche se non viene detto imme-diatamente, di un dispotico personaggio di un romanzo di Dostoevskij, Il villaggio

di Stepàncikovo e i suoi abitanti. Il

segre-tario finge di sapere di chi si tratti, ma si lancia immediatamente a scoprire chi sia

Fomà Fomíč. L’impresa non è semplice e

si trasforma in una grottesca ricerca che coinvolge i più alti vertici del partito, finché, interpellato un professore di lin-gue slave, si scopre chi è Fomà Fomíč.

Il segretario legge il romanzo, non gra-disce il paragone e Candido viene espulso dal partito. Vota contrario solo don An-tonio, ex prete, amico di Candido. La ricerca del segretario per scoprire chi fosse Fomà Fomíč così inizia, in

coinci-denza col principio del nuovo capitolo: Fomà Fomíč. “Carneade! Chi era

co-stui?... Carneade! Questo nome mi pare bene d’averlo letto o sentito; doveva es-sere...”

(I promessi sposi, capitolo VIII). Doveva essere, secondo il segretario della sezione comunista, uno che aveva a che fare con la storia del partito nell’Unione Sovietica [...]33.

Accostiamo il brano alle letture manzo-niane per più motivi. In primo luogo per avvicinare gli studenti all’autore siciliano; in secondo luogo, per farlo attraverso un dialogo che lui stesso intrattiene con il lombardo, e quindi non per una, più o meno motivata, scelta di chi scrive, ma per un chiaro e dichiarato legame che può, tra l’altro, illuminare i lettori-stu-denti su come funzioni la letteratura e in particolare lo strumento della citazio-ne. In terzo luogo per confermare la let-tura manzoniana fin qui sostenuta, mo-strando ai lettori-studenti il senso sem-pre vivo delle opere d’arte letterarie.

32. L. Sciascia, Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia,

in C. Ambroise (a cura di), Leonardo Sciascia. Opere,

1971-1983, cit., pp. 417-423, 427.

33. L. Sciascia, Candido, cit., p. 422, puntini di

sospen-sione senza parentesi quadre, indicazione del titolo e del capitolo dell’opera manzoniana sono nel testo scia-sciano. Si segnala che uguale citazione manzoniana è usata da Sciascia, in tutt'altro contesto, in L. Sciascia,

D'Annunzio alla Piacente, in Id., Opere, 1984-1989, a c. di

C. Ambroise, Bompiani, Milano 2002, p. 581.

Francesco Gonin,

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siderato in una prospettiva non più vincolata ad al-cuna determinazione storica» (ibi, p. 153). In modo si-mile nel Contesto ciò che accade «si pone come emblematico di una più vasta realtà, diventando sim-bolo ed esemplificazione di un processo di corruzione che la gestione del potere sembra inevitabilmente condurre con sé» (Ibi, p. 155).

36. Alla scrittura Sciascia intreccia anche l’attività

edito-riale: nel 1981, per la collana La memoria di Sellerio, pubblica Il villaggio di Stepàncikovo con un risvolto

Sciascia, nelle sue opere, ricorre spesso a citazioni, ma quelle anteriori al ’71 «non hanno ancora assunto il rilievo di cui risulteranno dotate nel Contesto e in

Todo modo»34. In questi romanzi le ci-tazioni permettono allo scrittore di creare «un secondo livello di lettura»35. Il rilievo consiglia di prestare particolare attenzione al brano in questione. Il passo è complesso36. Candido nomina il personaggio di un romanzo di Dosto-evskij, dice che il segretario è come

Fomà Fomíč, intendendo riconoscere le

sue caratteristiche negative nel dirigente locale del partito.

Non si tratta di una citazione vera e pro-pria, quanto di uno dei molti riferimenti a scrittori e artisti37, che (all’interno dei dialoghi tra personaggi, come in questo caso, o nello spazio psicologico del protagonista o del narratore) funziona-no da similitudini, come nell’evenienza di cui trattiamo, in cui Candido para-gona il segretario a Fomà Fomíč.

Il riferimento è solo in parte svelato, al-meno nell’immediato, dal momento

che Candido non dice altro e il segreta-rio non vuole rendere palese a tutti che non sa di chi si tratti. Tale parzialità di informazione, oltre a offrire l’occasione per un pezzo spassosissimo (l’affannosa ricerca del segretario), serve ad avvalo-rare la negativa impressione che di lui hanno Candido e il narratore-autore. Su un piano più grottesco e più divertito, il brano di cui qui ci si occupa sembra rimandare a situazioni simili in Todo

modo. Le citazioni in questo romanzo

hanno il ruolo di creare un piano di ri-flessione altro, non necessariamente ancorato alla vicenda narrata e alle sue coordinate spazio-temporali: i due soli personaggi cui questo è affidato sono i due protagonisti, il pittore e don Gae-tano, mentre sono esclusi gli altri per-sonaggi che, quando partecipano ai dialoghi, o non capiscono affatto o non arrivano a comprendere fino in fon-do.

Sembra che nel nostro romanzo siamo di fronte a un’altra esclusione, quella del segretario, che non sa chi sia Fomà

Fo-míč; il che equivale a dire: non è in grado

di prendere parte ai dialoghi di Candido e don Antonio, i quali, non a caso, discu-tono tra loro del paragone tra segretario e Fomà Fomíč38e di stalinismo. Non si tratta semplicemente di far capire al lettore che il segretario è stu-pido o ignorante, quanto piuttosto di evidenziare la bassezza morale, civile, culturale e politica del politico locale, che, a causa di essa, non è in grado di in-staurare un vero dialogo con Candido. Gli interlocutori hanno due mondi va-loriali, due lingue, due culture diverse, ecco perché Candido dice cose che l’altro non capisce.

Non vi può essere comunicazione, non perché non la voglia Candido, ma perché non la vuole il segretario. È sin-tomatica l’espulsione del giovane comu-nista dal partito.

Veniamo alla citazione vera e propria. Citazione diretta39. Essa è una conse-guenza del riferimento precedente, sia-mo dunque di fronte a una concatena-zione. Anche le citazioni dirette per lo più funzionano come similitudini, anche se più complesse; in Todo modo e Il

con-testo si nota addirittura una rafforzata

tendenza alla metaforizzazione40. Vediamo ora la citazione nel romanzo in esame. A inizio capitolo troviamo il nome del personaggio del romanzo russo, seguito da un punto; di seguito, senza a capo, la sola citazione diretta manzoniana, anch’essa tratta da un ini-zio di capitolo, quindi l’indicaini-zione tra parentesi del capitolo d’origine, un altro punto e sulla stessa riga l’inizio vero e proprio delle riflessioni del segretario

34. R. Ricorda, Sciascia ovvero la retorica della citazione,

in Pagine vissute, Studi di letteratura italiana del

nove-cento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995, p. 156.

35. Ibi, p. 156. Ricorda sostiene che un simile

procedi-mento, nel caso di Todo modo, trasporti la vicenda nar-rata «in uno spazio più ampio, in un tempo più duraturo: […] una meditazione che, svolta in margine all’amaro riconoscimento della corruzione di una classe politica ormai completamente logora, giunge a toccare l’eterno problema del destino dell’uomo,

con-«che, diagonalmente, in modi scorciati e allusivi, colloca la proposta all’interno della scalmana politica suscitata dalla pubblicazione nel 1977 di Candido [...]» (S.S. Nigro, a cura di, Leonardo Sciascia scrittore editore, cit., pp. 14-15).

37. R. Ricorda, Sciascia ovvero la retorica della citazione,

cit., p. 160.

38. L. Sciascia, Candido, cit., p. 423-426.

39. In merito, R. Ricorda, Sciascia ovvero la retorica della

citazione, cit., pp 159-160. Francesco Gonin,

Gertrude e i familiari.

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ERCORSI DIDATTICI sulla probabile identificazione della

persona corrispondente a quel nome russo, riportate in discorso indiretto li-bero. I due testi dunque sono posti in strettissima continuità: quasi, leggendo, non ci si accorge dove finisca l’uno e ini-zi l’altro. I pensieri del segretario, infatti, oltre ad essere legati alla citazione da un’uguale posizione in incipit e da un’uguale mancanza di conoscenza che impedisce il riconoscimento di un nome, sono ulteriormente connessi al te-sto ottocentesco dal fatto che inizino, non a caso, con le stesse parole con le quali si interrompe la citazione manzo-niana: «Doveva essere».

Si tratta di una ripresa verbale, espedien-te spesso presenespedien-te nelle citazioni sciascia-ne, che «imprime al periodo un anda-mento ritmico, oltre a infiltrarsi sottil-mente sul piano dei significati e a fornire una prima chiave di lettura della citazione stessa [...]»41.

Nel caso in oggetto, dunque, sembrereb-be che Sciascia voglia affermare che il se-gretario è nella stessa situazione del cu-rato del ’600. Non solo, molto di più e molto più significativamente il segretario viene fatto parlare colle parole dell’al-tro42, diviene dunque l’altro.

Non può capirsi con Candido perché usa la stessa lingua di don Abbondio. Il se-gretario è don Abbondio o meglio è uno dei molti «don Abbondio della nostra storia fino ai giorni nostri»43. Il vero vin-citore del romanzo ottocentesco è lui, il vaso di coccio che in realtà è di ferro e alla fine del romanzo è sano e salvo, in-colume nel suo paese, dove era all’inizio. Renzo e Lucia, invece, partono perché

tutto potrebbe ricominciare, poiché le condizioni sociali e storiche che avevano creato le loro sventure rimangono im-mutate. È don Abbondio il più forte «e noi sappiamo bene come, fino ad oggi, egli abbia vinto nella storia d’Italia»44. Ecco il segretario acquisire una dimen-sione inaspettata e uno spessore che at-traversa tutta la storia, eccolo divenire uno dei tanti Italiani che nel passato e nel presente, quello di Sciascia – ma anche il nostro, verrebbe da dire –, col loro ade-guarsi e la loro moralità dubbia, italia-namente cattolica45, continuano a far sì che avvengano ingiustizie, malaffari, ma anche che si impediscano matrimoni e che vi siano forzate monacazioni. Sarà infatti un caso, ma un caso signi-ficativo, che, durante l’assemblea del par-tito, il segretario ponga questa alternativa a Candido e agli altri iscritti, per convin-cerli che non opporsi fortemente a che

l’ospedale venga costruito su un altro ter-reno, non quello di Candido, sia la mi-gliore condotta possibile, anzi la più uti-le: «Vogliamo uno scandalo o l’ospeda-le?»46. Quasi tutti vogliono l’ospedale, meno Candido e pochi altri, che sono convinti si debbano avere entrambi. Candido perde. Vince ancora, nel Nove-cento, una moralità ambigua, compro-missoria e disonesta, giacché l’ospedale, a causa della corruzione, sarà costruito con spreco di denaro pubblico. Sarà un caso che il timore dello scandalo sia individuato, nell’Ottocento, da Man-zoni, come uno dei motivi che avrà spin-to alcune monache del Seicenspin-to a non opporsi alle trame indirizzate a fare di Gertrude una monaca?

Andrea Verri Università Ca’ Foscari, Venezia

40. Ibi, pp. 163-164. 41. Ibi, p. 164.

42. Sullo sdoppiamento del personaggio, sul fatto che

gra-zie alla citazione venga fatto diventare altro da sé, in modo che la personalità ne risulti più chiara attraverso un arric-chimento polisemico, cfr. Ibi, pp. 165-166. Sul bilinguismo insito nella citazione, che, anche quando è in italiano, si ri-solve in traduzione endolinguistica, Ibi, pp. 154-155, 177.

Francesco Gonin,

Gertrude entra in convento.

43. L. Sciascia, Presentazione del volume di C. Varese,

L’originale e il ritratto. Manzoni secondo Manzoni, in Anto-logia Vieusseux, Firenze, XLIX, gennaio-marzo 1978, p. 50.

44. Ibi, pp. 49-50.

45. L. Sciascia, Manzoni a cent’anni dalla morte. Una

vi-sione pessimistica della storia, in «Corriere del Ticino», 9

giugno 1973, p. 33. Manzoni sarebbe sfortunato, non ca-pito, poco amato in Italia proprio perché cattolico, ma

diverso dagli altri cattolici italiani, e perché fornirebbe una rappresentazione vivissima dell’operare del catto-licesimo in Italia. In questo articolo di Sciascia su Man-zoni si trovano osservazioni più o meno simili a quelle della Presentazione del volume di Varese, già citata. L’uno è del 1973, la presentazione del 1978, Candido, in mezzo, è del 1977.

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ERCORSI DIDATTICI

zionalmente svolti all’inizio del terzo anno.

Obiettivi formativi generali

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