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L INGUE , CULTURE E LETTERATURE

Nel documento 8 Nuova Secondaria (pagine 105-108)

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autentica, dimostrando di non soffrire per l’esclusione sociale che la scelta comporta.

Rilevante è anche la ricerca interiore. Hans Castorp – protagonista della

Mon-tagna incantata – giunge all’equilibrio

dopo aver trascorso sette anni in sana-torio, lontano dal resto del mondo. L’ar-monia, così faticosamente conquistata da Hans, è messa in crisi dal drammatico ri-torno alla realtà sociale dalla quale si era allontanato. Anche per Karl Rossmann, protagonista di America, la vita è fatta di dure prove. Infatti, il giovane prima è co-stretto a esiliarsi dalla sua città natale per salvaguardare il decoro della classe bor-ghese alla quale appartiene, poi, una volta giunto negli Stati Uniti, sarà abbandona-to anche dallo zio. Karl deve crescere da solo in un mondo sconosciuto che lo at-tira a sé fagocitandolo, fino a far fallire la sua volontà di distinzione e a privarlo al contempo di ogni punto di riferimen-to. La parte del suo io che vorrebbe di-stinguersi dal tutto perde la capacità di differenziarsi dalla massa e si amalgama ad essa senza rendersene conto.

Una gioventù debole,

incapace, senza regole

e brutale

L’immagine che traspare da questi ro-manzi è quella di una gioventù debole, passiva, inetta e incapace di affrontare le difficoltà del mondo esterno; infatti non è possibile parlare di maturità rag-giunta: l’unico che riesce a superare le av-versità del mondo dopo averle

sperimen-tate direttamente è il giovane Törless, che sconfigge i turbamenti della fase evolutiva solo quando capisce come gestire le ambiguità del mondo, attraverso l’uso equilibrato della ragione e del sentimen-to. In genere, però, i protagonisti dei ro-manzi non conquistano la loro maturità, perché i ragazzi rifiutano 1) le responsa-bilità tipiche del mondo adulto e 2) il rapporto con il mondo esterno, rifugian-dosi in realtà parallele da loro stessi create.

Quella giovanile è un’età nella quale, per non omogeneizzarsi alla massa, si creano

mondi fittizi nei quali vivere. Universi da

difendere a tutti i costi con la cattiveria, l’indifferenza e la violenza brutale nei confronti di tutti coloro che rappresen-tano una possibile contaminazione della purezza della sfera esistenziale immagi-naria. Due esempi: Il diavolo in corpo di Radiguet e i Ragazzi terribili di Cocteau. Il male è la forza vitale che, radicata nel-l’anima, guida e domina i ragazzi. Essi nemmeno se ne accorgono e, non aven-done coscienza, sono incapaci di avere paura o provare repulsione per il loro agi-re deviato. Gli autori mostrano come il

male non insorga nell’età adulta, ma sia radicato fin dall’origine nel cuore dell’uo-mo e conviva con la più candida inno-cenza.

Nei romanzi di formazione dei primi de-cenni del Novecento si privilegiano la complessità della dimensione interiore e l’intimità di ambienti chiusi e separati dal resto del mondo. La gioventù, presentata nelle opere considerate, non è solo pas-siva, debole e inetta, ma cattiva, immo-rale, deviata e senza regole, o meglio, si detta delle norme del tutto personali, in netto contrasto con quelle convenzionali. La solitudine nella quale i giovani si ri-tirano è essenziale perché essi possano vi-vere nei loro mondi fittizi, al riparo da ogni responsabilità. Nella segregazione volontaria non si deve, dunque, ricono-scere un sintomo di sofferenza, ma la

dol-cezza di una prigione nella quale vivere e

rimanere per sempre bambini.

Romanzi attenti ai luoghi

reconditi della coscienza

Oltre a rappresentare il tema del rifiuto di scendere a patti con il mondo, il

Bil-dungsroman racconta la crisi giovanile

Franz Kafka (1883-1924).

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spostando il polo di analisi dall’esterno all’interno della persona. L’attenzione sempre maggiore per i luoghi più recon-diti della coscienza non determina solo lo sviluppo del genere letterario definito

romanzo analitico, ma evidenzia il nuovo

valore simbolico del romanzo di forma-zione in genere. Se in passato il

Bildun-gsroman mostrava l’armonia perfetta

alla quale il singolo individuo doveva giungere, rinunciando alle proprie aspi-razioni personali per entrare a far parte del mondo adulto e della vita sociale, nel XX secolo l’adolescenza narrata è insicu-ra, instabile, chiusa in se stessa: non ri-nuncia ai propri desideri o alla propria condotta di vita, perché la ritiene migliore delle proposte del mondo istituzionale. Prima l’adolescenza era considerata una stagione di passaggio senza valore in sé e aveva come meta la progressiva acqui-sizione della piena maturità per l’età adulta, poi tutto cambia. L’età evolutiva

diventa importante per i suoi difetti, per le sue ribellioni interiori, per le decisioni impulsive, per la sua sregolatezza e per ogni elemento che le permette di distin-guersi e di opporsi agli adulti. L’adole-scenza narrativa nei primi del Novecento condensa in sé la crisi della società con-temporanea. In sostanza, l’insicurezza, l’ansia, la paura, il vivere tra genialità e disordine, la volontà dei ragazzi di agire di testa propria per trovare la propria identità e l’immediata rinuncia alla lotta per l’affermazione del proprio io raffigu-rano l’instabilità dell’epoca moderna. Nel Bildungsroman tradizionale la gio-ventù mostrava di essere matura accet-tando di scendere a patti con le istituzioni sociali e diventando così modello di comportamento da seguire per vivere una vita armonica. La progressiva crisi della funzione pedagogica del romanzo di formazione giunge alla rappresenta-zione di una gioventù immatura e

irre-sponsabile, perché anche il mondo con il quale si dovrebbe realizzare il compro-messo è in sé malsicuro e negativo. Da qui una nuova funzione istruttiva: si pro-pongono al lettore modelli comporta-mentali da evitare, perché hanno solo conseguenze deleterie.

In Europa tra la fine del Settecento e i primi decenni del Novecento, dunque, la gioventù si trasforma, passando da fa-scia generazionale che rappresenta l’emergente borghesia alla ricerca di una posizione nella società, a espressione sintomatica dell’instabilità della società moderna del XIX secolo, a microcosmo multiprospettico che si richiude in sé stesso, perché non trova nulla in grado di soddisfarlo nel macrocosmo sociale. Peraltro i caratteri che costituiscono il ro-manzo di formazione non sono esclusivi dell’Europa: negli Stati Uniti d’America, nel 1951 è pubblicato il Giovane Holden di J.D. Salinger. Holden Caufield per certi aspetti assomiglia molto ai suoi antenati europei: è uno scapestrato giovane bor-ghese pieno di curiosità verso il mondo, che non ha ancora ben capito che cosa vuole da sé e dalla vita.

La fuga, il viaggio fisico e mentale, le ro-cambolesche avventure, il cercare punti di riferimento, la voglia di cambiare e l’insicurezza per il domani fanno di Holden l’emblema della gioventù con-temporanea. Sulla stessa linea può col-locarsi l’opera capostipite della beat

ge-neration, Sulla strada (1957) di Jack

Ke-rouac. Prima di questi due esempi, inte-ressante è l’autobiografia simbolica di Ri-chard Wright in Ragazzo negro (1945). Il giovanotto è l’eroe quotidiano afroame-ricano alla ricerca di un posto nella società e di risposte alle domande esisten-ziali che rendono tormentato, oggi come ieri, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

Viviana Filippini Giornalista Thomas Mann

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ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

I

nsegnare agli studenti del biennio del-la scuodel-la secondaria di secondo grado è un’avventura incommensurabile perché si è a continuo contatto con adolescenti che rappresentano ogni anno un cambio generazionale. E così, se fino a dieci anni fa si poteva parlare dei nati nel Settanta e poi di quelli degli anni Ot-tanta, oggi si può tranquillamente affer-mare che i nati nell’ottantasei sono sen-sibilmente diversi da quelli dell’ottantotto e quelli dell’ottantanove ancora diversi da quelli del Novanta.

Certamente il cambiamento non è un evento casuale. Siamo nell’era della glo-balizzazione e abitiamo in quella parte del pianeta in cui c’è il più alto concentrato di innovazioni tecnico-scientifiche, idonee a produrre una comunicazione più diretta (più virtualmente reale o più realmente virtuale, come qualcuno si è espresso). Quanti siamo docenti nati nel bel mezzo del secolo passato non possiamo non ri-tenerci soddisfatti per essere vissuti nel pe-riodo delle trasformazioni sociali, delle grandi comunicazioni mediatiche; ma, forse proprio perché persone di quella ge-nerazione, riusciamo per lo più a gustare le novità senza esserne travolti più di tan-to, cercando di restare pur sempre i pro-tagonisti veri delle cose. In breve, appar-teniamo a una generazione che si chiede ancora, prima che il come, il perché delle cose e il cui prodest.

E i nostri alunni sanno fare altrettanto? Spesso, quando si tratta di attirare la loro

attenzione su qualche riflessione culturale, sappiamo che dobbiamo, con pazienza, aspettare l’ultimo anno di scuola, quello degli esami di stato: quando presi più o meno consapevolmente dall’angoscia del baratro che li aspetta, la disoccupa-zione o la scelta universitaria per un fu-turo da non disoccupato, sentono forte-mente la domanda viva e personale sul perché e sul “dove vado e da dove vengo?”. Non tutti gli studenti, è vero, aspettano così tanto per porsi delle domande esi-stenziali, esistono ancora le eccezioni. Il fatto che comunque la maggior parte di essi non sappia dove stia andando né da dove venga, pone non pochi problemi an-che dal punto di vista dell’apprendi-mento. Una persona che non conosce bene il suo cammino, procede incerta, e, non conoscendo la mèta, si volge indietro senza trovarvi niente. Non ha soprattutto

memoria del passato; allora anche la stabilità della sua persona inevitabilmente ne risente, è traballante e non ha punti di riferimento.

Quelli della mia generazione, da studenti, hanno duramente contestato ai docenti l’uso della memoria come strumento di apprendimento perché sembrava servisse solo a render lo studio inutile, noioso e faticoso: “A che serve conoscere tutte le date e l’Iliade a memoria?”. Credo che si ragionasse così innanzitutto perché ci si voleva sottrarre a qualcosa che non aveva a che fare più di tanto con la diretta esperienza personale.

Come è noto, in inglese “a memoria” vie-ne tradotto con l’espressiovie-ne (a me molto cara) “by heart ” (per mezzo del cuore o, con il corrispettivo francese, par

coeur). Siamo soliti ricordare ciò a cui

sia-mo profondamente affezionati e il cuore

Juan Gris,

Il libro aperto

(1925), Bern, Kunstmuseum.

Una generazione senza memoria

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